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Analisi
dell'istituzione psichiatrica dopo la legge 180: Intervista a Pier Francesco
Galli
a cura
di Anna Grazia, 13 maggio 1998
- Indice:
- Introduzione di Anna
Grazia
- L'attività
del Gruppo Milanese per lo sviluppo della psicoterapia
- L'aziendalizzazione
della sanità e i problemi della psichiatria
- Sul
problema della formazione degli psichiatri italiani
- Altri links:
- - Galli P.F.
(1965). La psicoterapia in
Italia ( Relazione letta alla Giornata di studio del
30 ottobre 1965)
- - Galli P.F. (1967). Psicoterapia e
scienza
- - Galli P.F. (1990). Psychoanalysis as the story of a crisis
- - Galli P.F. (1998). L'epidemia della normalità: dagherrotipo del
nuovo che avanza
- - Presentazione
della rivista Psicoterapia e Scienze Umane e storia del Gruppo Milanese per lo
Sviluppo della Psicoterapia
- - Sito
ufficiale della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Introduzione
Pier Francesco
Galli, medico e psicologo clinico, ha studiato psichiatria e psicoanalisi
prima a Basilea poi a Zurigo.
La sua attività
in campo editoriale è nota anche al grande pubblico: ha fondato
e dirige dal 1961 la Biblioteca di Psichiatria e di Psicologia Clinica
della casa editrice Feltrinelli, con Gaetano Benedetti; dal 1964 la collana
Programma di Psicologia, Psichiatria, Psicoterapia della casa editrice
Bollati Boringhieri; dal 1967 la rivista Psicoterapia e Scienze Umane,
edita da Franco Angeli.
Nel 1962
ha formato insieme a Berta Neumann, Marianna Bolko, Enzo Codignola, Emanuele
Gualandri e Gianbattista Muraro il Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia che organizzava seminari di formazione a cui partecipavano
- oltre a numerosi psicoanalisti e psichiatri italiani - anche Franco Basaglia,
Giovanni Jervis e Agostino Pirella che furono protagonisti della riforma
psichiatrica in Italia.
Ritengo che
la sua testimonianza sia di grande interesse proprio perché ha promosso
da oltre trent'anni, insieme al suo gruppo, iniziative culturali e formative,
su temi di cruciale importanza per la formazione degli psichiatri in Italia.
Ho inserito
in queste pagine anche la relazione di grande attualità L'epidemia
della normalità: dagherrotipo del nuovo che avanza, recentemente
presentata al convegno New trends in schizophrenia.Ten years later,
organizzato dal Prof. Vittorio Volterra a Bologna nell'aprile 1998, in
cui analizza con grande precisione lo stato di crisi in cui versa oggi
l'istituzione psichiatrica. (Anna Grazia)
L'attività
del Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia negli
anni 1960.
A.Grazia:
Dott. Galli, innanzi tutto siamo lieti di avere un suo contributo per l'iniziativa
di questo numero Speciale di Psichiatry on-line sul ventennale della
180, in relazione alla sua conoscenza storica di quel periodo, che l'ha
vista in molti passaggi anche come protagonista di momenti importanti che
hanno caratterizzato l'evoluzione della psichiatria in Italia.
Lei
ha avuto diversi incontri con Basaglia e con il gruppo che lavorava
a Gorizia in relazione anche all'attività dei seminari di formazione
che si svolgevano a Milano all'inizio degli anni '60 organizzati da lei
e dal Gruppo milanese per lo sviluppo della psicoterapia, a cui partecipavano
anche psichiatri e psicoanalisti stranieri.
Può
raccontare ai nostri lettori qualcosa di quel periodo?
P.
F. Galli: Devo, prima di entrare nel merito delle questioni che
lei pone, fare una premessa. Non desidero con l'occasione di questa intervista
centrata sul ventennale della 180, che peraltro accetto volentieri, entrare
nella dimensione della celebrazione dell'evento perché ho l'impressione
che negli ultimi anni in Italia delle questioni sostanziali ci si
ricordi solo in occasione delle celebrazioni o della ricorrenza di date
per così dire 'storiche': questo modo di analizzare i fatti non
contribuisce certo a chiarire gli sviluppi del processo storico stesso.
Le rievocazioni celebrative si collocano, a mio parere, all'interno delle
'revisioni critiche', che tendono di fatto ad espellere il più rapidamente
possibile quello che è accaduto dalla memoria collettiva,
creando un vera e propria 'cesura' sul piano storico - e questo accade
a vari livelli, non solo per ciò che concerne la psichiatria -
scambiando la faccia del 'nuovo' con l'annullamento del passato ...
L'altro motivo
di disagio scaturisce dal constatare come molte persone - che in
quel periodo partecipavano attivamente a quei processi di riforma dell'istituzione
psichiatrica - abbiano nel corso di questi anni fatto per così
dire 'il salto della quaglia': ma non voglio qui ridurre tutto a critiche
alle persone o agli errori fatti allora ... e quindi come spettatore di
prima fila, ma anche da protagonista di quegli anni, devo sottolineare
che non rievoco il passato con gioia o nostalgia, ma piuttosto con un senso
di amarezza, anche perché molte delle critiche sommarie che oggi
vengono fatte a ciò che accadde allora, erano emerse in dibattiti
e confronti in quel periodo: quindi la mia critica non è certo
ex post facto.
A.
G.: Come giudica lei oggi la legge 180? Da molti esponenti di Psichiatria
Democratica viene sicuramente considerata un buona legge (si veda anche
l'intervista a Sergio Piro). Varie proposte di modifica sono state presentate
nel corso di questi anni: anche se alcune, in parte, avevano spunti interessanti
- ispirati alle legislazioni vigenti in altri paesi europei - nessuna di
queste è stata mai presa in considerazione. È evidente anche
il timore da parte di molti psichiatri, che proprio a causa del fallimento
della sua applicazione si ritorni a formule di mero custodialismo. Cosa
può dirci in proposito?
P.F.
Galli: Come può capire, date le premesse che prima ho esposto
in via preliminare, non vale la pena di cadere nella trappola di stabilire
se la legge 180 sia stata una buona legge o meno: ciò che può
forse interessare ed essere utile è capire, ricostruendo vari passaggi
non necessariamente lineari di quel periodo, che cosa quel particolare
momento della storia italiana ha provocato, e in questo senso, se qualcosa
ha provocato, bisognerebbe valutare con obiettività quegli effetti
che sono oggi misurabili.
In Italia
è diffuso un fenomeno già molto studiato dai sociologi americani
funzionalisti: i meccanismi della fuga nella legge e della fuga
nei valori come modi per eludere i problemi: dinanzi ad ogni problema
'forte' si pensa sempre ad una legge o modifica di legge piuttosto che
attivare comunque quanto consentito dalle leggi vigenti.
A.
G.: Può spiegare meglio il punto della fuga
nei valori, cosa intende precisamente?
P.
F. Galli: Nel settore della sanità questo fenomeno è
evidentissimo soprattutto nei contenuti della cosiddetta 'formazione' nell'area
sanitaria in genere ... vengono oggi propagandati slogan del tipo la
centralità della risorsa umana che spostano il fulcro di molte
contraddizioni inerenti invece all'organizzazione dei sistemi, su di un
discorso di 'valori', mascherando la compressione sulla risorsa umana che
è in atto, anche nell'attuale organizzazione dei servizi psichiatrici.
Assistiamo
frequentemente a quelli che ho chiamato tempo fa i convegni della mutua,
in cui ci si muove sul piano concettuale in elevatissimi discorsi sui 'valori',
a cui stanno arrivando anche i formatori, che diventano puri discorsi di
'predicazione' sganciati dai 'fenomeni reali' determinati dai sistemi
di organizzazione. A questo punto sarebbero necessarie scelte politiche:
ma mi chiedo, sono possibili scelte politiche 'forti' nel momento in cui
è stata lasciata completamente nelle mani burocratico-amministrative
la linea di comando?
Per esempio,
da un lato - nell'attuale organizzazione cosiddetta aziendale della sanità
- abbiamo un'ipertrofia della questione della 'dirigenza', col il paradosso
che fino a qualche anno fa sembrava che una sorta di 'rambo' potesse risolvere
in modo rapido ed indolore la questione dell'organizzazione sanitaria.
Ora il sistema
è entrato in crisi su due livelli: su quello della 'leadership'
e su quello del coordinamento. Quindi è inevitabile che l'organizzazione
dei servizi sul piano pratico tenda a disgregarsi. Questo fenomeno nella
psichiatria è senz'altro più evidente che in altri settori
più tecnici della medicina, e per questo ovviamente possono essere
individuate delle precise ragioni, come ho segnalato nella relazione L'epidemia
della normalità: dagherrotipo del nuovo che avanza.
A.
G.: Mi sembra di capire che in questa fase attuale della psichiatria
il rischio è di tornare ad una situazione quasi 'ottocentesca'....
P.F.
Galli: Non proprio, piuttosto ad una caricatura. Inoltre l'attuale
struttura dell'organizzazione sanitaria, centrata sul puro risparmio finanziario
a breve termine, anche dal punto di vista strettamente aziendale, impedisce
di prevedere ciò che accadrà anche nell'immediato futuro.
Su questa base, ciò che vediamo oggi, la carenza di progettualità
dal punto di vista del calcolo dei 'costi vivi' che dovremo assorbire fra
qualche anno, con l'attuale livello di 'compressione' sulla risorsa umana,
gabellata per aumento di produttività. Il problema oggi sarebbe
almeno di poter prevedere il danno economico futuro. In psichiatria questo
è particolarmente evidente.
A.G.:
Certo, questa sua analisi dell'oggi è molto puntuale e senz'altro
condivisibile. Ma bisogna ricordare che, almeno in Italia, il processo
che si avviò trent'anni fa, non ha dato poi i risultati sperati.
Quali sono i motivi della mancata attuazione della legge?
P.
F. Galli: Bisogna infatti analizzare un altro punto importante:
ovvero capire in che misura quello che ha provocato la legge 180
fosse una sorta di 'fantasia' che si muoveva nell'area della propaganda,
oppure se abbia dato l'avvio a processi reali di modifica delle istituzioni
psichiatriche a livello nazionale. Oggi abbiamo delle situazioni più
o meno dislocate a 'pelle di leopardo' sul territorio nazionale. E questo
è un altro fatto di cui bisogna tenere conto. Molte di queste realtà,
anche per i motivi già espressi prima, sono oggi costrette a muoversi
in una cultura di sopravvivenza piuttosto che di progettualità,
quindi con una forte tensione difensiva rispetto alla ripresa di
una linea decisionale politica, si intende di politica sanitaria nell'ambito
della psichiatria. Sono quindi questi gli elementi da considerare, salvo
non volere rimanere sul livello degli aspetti formali della legge e da
questi voler derivare il momento etico. Questo aspetto può aver
funzionato come spinta motivazionale da un lato, e dall'altro aver determinato
l'aspetto pratico che ha continuato a svolgersi con quei criteri, pur con
i coefficienti di altissima stagnazione che caratterizzano il nostro sistema
organizzativo, a tutti i livelli e in particolare nell'area sanitaria
e nell'area psichiatrica. Questo è un discorso che ho fatto diverse
volte, e ripreso in vari ambiti: tutte 'le psichiatrie' in Italia sono
sopravvissute nel tempo e sono andate avanti in parallelo. È emerso
nel tempo solo l'aspetto propagandistico di una piuttosto che di un'altra,
ma nessuna 'psichiatria' è mai scomparsa ...
A.
G.: ... certo ognuno di fatto manteneva i suoi spazi, questo
si è visto molto chiaramente sia nell'ambito accademico che in quello
delle strutture private. Quindi il rinnovamento non è avvenuto in
tutti i settori?
P.F. Galli:
Certamente no. Pensiamo proprio alle case di cura private
dove si poteva comunque continuare a fare l'elettroshock, giusto o sbagliato
che fosse ... ma tutto ciò al di fuori dall'emersione di quella
che si può definire come l'area della propaganda. Sembrava
che circolasse a vari livelli la fantasia che un aspetto 'assertivo' di
tipo ideale della psichiatria fosse di fatto anche concretamente operante
sul piano delle scelte istituzionali: questo non è stato vero, ma
allora se non è stato vero significa che bisogna comunque agire
perché diventi il più possibile vero, piuttosto che di nuovo
inseguire il fatto che cambiando la legge cambi la situazione.
L'aziendalizzazione
della sanità e i problemi della psichiatria
A.
G.: Quale processo deve quindi attivarsi perché molte istanze
rimaste per così dire sul piano teorico e ideale possano concretizzarsi
nella pratica?
P.F. Galli:
Bisogna sempre partire da un'analisi di come funziona
il sistema nel suo complesso. Tra l'altro bisogna ricordare che il punto
di demarcazione di questo processo si è avuto proprio negli
ultimi anni, con il cambiamento di gestione della sanità.
Quindi se
prima quello che operava e ha funzionato per anni, anche come sistema
motivazionale, era il legame 'tecnico-politico', oggi c'è un
salto, un cambiamento in atto.
Il politico
oggi ha l'alibi di trincerarsi dietro le scelte di ordine tecnico-burocratico,
o per così dire amministrativo-dirigenziale (questa non è
una definizione ma la descrizione di una sorta di coacervo di situazioni
che convivono nel modo di operare nei sistemi di direzione attuali).
Il secondo
aspetto è relativo alla cooptazione delle leadership tecniche, nel
sistema dirigenziale. Questa operazione nei settori a tecnologie di maggiore
spessore - pensiamo ad un settore come quello della chirurgia -
funziona meglio perché è più forte lo 'spessore' della
linea decisionale tecnica e perché il 'valore aggiunto' per un certo
tipo di tecnico o di chirurgo, scompare totalmente se si mette a fare il
dirigente: un medico che esce dalla sala operatoria scompare dal punto
di vista professionale.
In psichiatria
vediamo che la situazione funziona diversamente dal resto del comparto
sanitario. Ed è diversa su due livelli: innanzi tutto diventa
un 'valore aggiunto' per uno psichiatra potersi esprimere con linguaggi
del tutto estranei alla psichiatria. E come capita di vedere in questo
ultimo periodo, per uno psichiatra essere cooptato a livello tecnico-burocratico
diventa un sorta di gratificazione narcisistica, anche sul piano personale
e non solo professionale. E non si tratta qui, si badi bene, solo di acquisizione
di 'potere' perché 'avere potere' in un sistema decisionale significa
portare ad un alto livello di probabilità il fatto che una decisione
presa venga anche posta in atto e posta in essere sul processo. Quello
è esattamente ciò che non sta accadendo perché si
è creato nell'ambito della psichiatria, in rapporto a questi fenomeni,
il fenomeno delle 'doppia leadership'.
Abbiamo una
prima leadership che si muove per piani esclusivamente burocratico-amministrativi,
completamente sganciata dalla linea operativa, che è assegnata alla
seconda 'fascia', i dirigenti di primo livello, che rimangono ancora sul
campo ad operare e che assieme al proprio personale deve prendere
delle decisioni nella quotidianità e che su questa base non ha più
nessuna identificazione con quegli stessi colleghi che si muovono
nei livelli burocratico-amministrativi del sistema. C'è quindi uno
'scollamento' tra questi due piani, e le due 'leadership' lavorano in parallelo,
mentre una - quella burocratico-amministrativa - non ha pregnanza
identificatoria sull'altra. Questa è la mia analisi di fenomeni
abbastanza diffusi.
A.
G.: Può essere interessante, a questo punto, capire quali
sono le radici di questo fenomeno, di scollamento tra il piano burocratico-amministrativo
e quello clinico, ad esempio...
P.F.Galli:
Il punto è proprio questo: il fenomeno si manifesta oggi con questa
connotazione sociologica particolare, ma è anche l'espressione
di quei fenomeni che avevo segnalato già in altri miei lavori ed
interventi, cioè la 'stratificazione sociale' fortissima che è
avvenuta in questo settore. Quello che avevo già indicato ormai
da tempo era che ci si trovava di fronte ad un fenomeno di accumulazione
di leadership intellettuale di 'vertice'; si riteneva che partendo da operazioni
'di vertice' si potesse trasformare l'intero sistema.
Su questa
base, la leadership cooptava i vari livelli presenti nella professione
psichiatrica - medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali - fino
ai livelli più bassi, dando l'illusione di muoversi nella stessa
situazione e con lo stesso tipo di condivisione del potere. Questa
era una grossa falsificazione.
A.G.:
Quindi era già quello che accadeva nel primo esperimento
di Basaglia a Gorizia, dove per definizione si cancellavano i ruoli degli
operatori che allora lavoravano nella comunità e anzi ciò
veniva considerato il requisito fondamentale per consentire al paziente
di liberarsi dal proprio ruolo subordinato, e assumere quindi una nuova
veste. Lei
quindi sostiene che questo era già il primo passo di un processo
che oggi è evidentemente entrato in crisi?
P.F.
Galli: Certamente, quelle analisi 'sociologiche' dei ruoli,
per esempio molto utilizzate all'epoca, trovavano una risposta immediata
in certe analisi di tipo marxista della 'sovrastruttura'. È poi
accaduto che dal primo momento in cui ci si è scontrati con delle
situazioni e difficoltà pratiche all'interno delle équipe
di lavoro, si sono subito ristabiliti i 'ruoli' e i vantaggi legati al
ruolo professionale. E quindi è chiaro che i 'vertici' - coloro
che di fatto prendevano le decisioni - già allora potevano godere
del 'vantaggio narcisistico' accessorio della funzione di psichiatra, che
tutti conosciamo molto bene attraverso la pubblicistica o il presenzialismo
ai convegni, mentre gli altri tornavano nell'oscurità del lavoro
quotidiano, peraltro - dato il tipo di patologia - anche sicuramente
poco gratificante.
E questi
sono fenomeni sociologicamente prevedibili.
In Italia,
più che altrove, c'è stato un legame più stretto -
anche a causa della pregnanza della cultura marxista in quel periodo -
con operazioni che venivano impropriamente riferite ad es. al concetto
marxista di 'prassi' rispetto a quelle che erano invece delle 'pratiche
sociali'. Tant'è vero che nel momento degli anni 'di fuoco' il temine
che veniva adoperato, era 'prassi' (e devo sottolineare che era un termine
usato da parte di persone che conoscevano perfettamente i limiti dell'uso
di questo termine). Nel momento in cui invece il discorso doveva portare
alla elaborazione del documento di fondazione di Psichiatria Democratica
vedremo che il termine che verrà usato sarà quello di 'pratica
sociale' al posto di 'prassi'.
E questi
erano degli equivoci teorici che avevano un riscontro anche sul piano istituzionale:
l'analisi sociologica oggi non va fatta solo 'a posteriori', ma bisogna
riprendere le tesi di chi la faceva già allora. Ci sono poi state
radicalizzazioni del discorso politico che portavano anche a degli aspetti
grotteschi. D'altra parte molti dei protagonisti di quel periodo erano
'neofiti' della politica, quindi si proponevano con atteggiamenti di radicalizzazione
che nell'ambito della sinistra si manifestavano con atteggiamenti tipo
'togliere il saluto' al nemico.
Non bisogna
dimenticare che in quegli anni si verificavano anche delle vere rotture
di rapporti personali, che sul piano più generale provocarono una
interruzione di dialogo anche all'interno di componenti che dobbiamo pur
sempre collocare nell'ambito della sinistra. Comunque un fatto è
che in quegli anni ci fu uno scontro tra diverse componenti della sinistra:
ci fu evidentemente una linea 'vincente' sul piano della propaganda.
A.
G.: Tornando però al tema della legge, anche se è
senz'altro condivisibile la sua osservazione sul fatto che è improprio
discutere se la legge 180 sia una buona legge o meno, bisogna però
considerare che certamente in questi ultimi quindici anni molti drammi
si sono consumati all'interno di quelle famiglie dove sfortunatamente è
rimasto il malato, spesso anche giovane, senza particolari cure o interventi
terapeutici se non quelle della somministrazione di farmaci depot.
Abbiamo oggi malati praticamente abbandonati a se stessi e al loro
destino. Ed mancata in particolare l'organizzazione di luoghi di
cura 'alternativi' al manicomio o allo stesso Servizio Psichiatrico di
Diagnosi e Cura (SPDC), dove trattare a medio-lungo
termine soprattutto i disturbi psicotici che tendono inesorabilmente a
cronicizzare.
Oggi
è riconosciuto che ci troviamo davanti alla cosiddetta nuova cronicità
che si manifesta anche per coloro che non sono mai stati in manicomio.
Qual'è il suo punto di vista su questo problema?
P.F. Galli:
La sua analisi è senz'altro corretta e bisogna
sempre considerare che lei osserva per così dire 'dal basso' i fenomeni
per come sono osservabili nella concretezza della quotidianità,
rispetto invece alla 'forbice' che si apre sul piano dei discorsi di propaganda,
di quei discorsi che invece sono sovente calati 'dall'alto'. Anche in Emilia
Romagna c'è stata poca lungimiranza nel capire che ad un certo punto
erano indispensabili le strutture intermedie da utilizzare in rete con
i servizi territoriali esistenti: si trovarono allora - e questo
non molti anni fa - delle incredibili 'opposizioni' di tipo ideologico,
che usavano ancora l'argomentazione di non voler attivare dei 'piccoli
manicomi', muovendosi con categorie di fissità istituzionale e non
di processo. Il piccolo manicomio non si riproduce perché si fa
un'istituzione, ma si riproduce se questa viene isolata nel sistema, cioè
se si perde la connessione di 'rete' tra le strutture. Questo è
infatti uno dei grossi rischi che corriamo adesso, dal punto di vista di
un certo tipo di scelte. Se da un lato ha una valenza senz'altro positiva
la scelta del 'privato sociale' rispetto ai luoghi di affidamento della
patologia che ha bisogno di degenze più prolungate - comunità
terapeutiche o strutture di questo tipo - il punto critico è che
se noi, con la diminuzione dell'organico dei servizi territoriali in quanto
tali, corriamo il grosso rischio che nelle stesse comunità (dove
il personale non ha un'alta qualificazione professionale) il supporto psichiatrico
divenga soltanto un forma di 'supporto' nel momento in cui si crea all'interno
di queste strutture una situazione di emergenza. E quindi di nuovo si torna
ad una gestione della psichiatria basata sull'emergenza, piuttosto che
sulla gestione del processo continuo, e quindi anche di assistenza continua
alla patologia, con tutto ciò che questo comporta.
Le situazioni
a cui lei faceva riferimento come situazioni di abbandono, si sono concretamente
verificate: da una lato per mancate scelte di investimento, dall'altro
per il fatto che di nuovo la questione della psichiatria in Italia rappresenta
una sorta di 'ventre molle' dal punto di vista formativo, per cui
il 'problema' della 180 non può non essere inscritto nella 'nascita'
della psichiatria in Italia. Quindi il momento è molto pre-datato
rispetto al periodo in cui fu espressa la legge.
Da un certo
punto di vista ha rappresentato - in carenza di una preparazione psichiatrica
e di un'alta professionalità psichiatrica nel sistema (è
un dato di fatto) - un ventre molle dal punto di vista della penetrazione
di linguaggi che allora erano linguaggi 'politici' e che hanno avuto una
notevole forza motivazionale, che è durata molti anni, producendo
vantaggi ed errori o mancate scelte, questo è evidente.
Ma il punto
critico è rappresentato dal fenomeno della penetrazione dei linguaggi
'non psichiatrici' nell'ambito della psichiatria stessa: vent'anni fa
era quello politico, oggi è quello burocratico-aziendale. È
sempre lo stesso fenomeno.
Sul
problema della formazione degli psichiatri italiani
A.
Grazia.: Perché la psichiatria italiana è così
facilmente influenzabile dai sistemi ideologici, in che cosa è stata
dunque carente?
P.F.
Galli: Bisogna ricordare che la psichiatria italiana, fino agli
inizi degli anni '60, come fenomeno istituzionale non esisteva se non nella
forma dei manicomi e quindi del personale che lavorava nei manicomi.
Di conseguenza
anche la psichiatria italiana, dal punto di vista accademico non esisteva:
nelle altre nazioni il 'luogo' manicomiale era anche il luogo della clinica
psichiatrica universitaria. Ad esempio il manicomio svizzero di Zurigo,
è anche il luogo della psichiatria e della ricerca psichiatrica,
o quello di Basilea; o le tante istituzioni universitarie manicomiali in
Germania, in Francia, per cui il percorso accademico muoveva all'interno
della necessità di conoscenza della psichiatria e di quello che
questo proponeva sul piano della psichiatria descrittiva, fenomenologica,
psicodinamica.
Tutto questo
in Italia semplicemente non esisteva: e tutti i luoghi universitari erano
orientati verso la neurologia. Nel momento in cui s'inventa la psichiatria
in Italia quelli che allora si potevano considerare psichiatri in senso
mitteleuropeo si contavano sulle dita: la maggior parte di loro si muoveva
nell'ambito della psichiatria descrittiva, l'insegnamento a livello universitario
non esisteva, la situazione ospedaliera non sto a descrivere quale fosse
... e si contavano sulle dita le persone che si occupavano in modo specifico
di psichiatria, per un interesse personale evidentemente, perché
non era certo con quei lavori che avrebbero potuto fare carriera. E il
posto di direttore di ospedale psichiatrico generalmente era il posto che
veniva dato a coloro che non riuscivano ad andare in cattedra a neurologia.
Questo fu anche quello che accadde a Basaglia: andò a Gorizia perché
lì era chiaramente indirizzato dal direttore della cattedra nella
quale svolgeva il suo lavoro scientifico precedentemente e anche
per un suo interesse specifico per la psichiatria, non certo di tipo opportunistico,
ma legato ai suoi interessi personali.
Questo spiega
poi la successiva 'accelerazione' di un movimento che diventa essenzialmente
politico senza mediazione tecnica. Bisogna poi togliere di mezzo l'equivoco
che la psichiatria fenomenologica abbia prodotto cultura nell'ambito della
genesi della legge 180: questo non è assolutamente vero. Nessuno
dei maggiori rappresentanti della psichiatria fenomenologica o della psichiatria
descrittiva, che in genere andavano a dirigere gli ospedali psichiatrici
(erano sempre coloro che non facevano carriera in neurologia) sono state
poi le persone che hanno trasformato qualcosa nelle strutture che dirigevano.
Quindi voler
dare una dimensione politico-culturale alla fenomenologia, per il solo
fatto che da questo punto di vista veniva ripresa e ricollocata la questione
della 'persona totale', è un fatto puramente metodologico, legato
a vicissitudini disciplinari della psichiatria di quel periodo, ma non
aveva alcuna connotazione per cui dovesse in forma immediata produrre trasformazioni.
E questo va detto anche perché un certo recupero di questi ultimi
anni della psichiatria fenomenologica, dal mio punto di vista, non significa
assolutamente nulla.
Significa
ricollocare le conoscenze che la psichiatria ha e poteva avere e che non
sono state fornite agli studenti...
La psichiatria
assume in Italia una connotazione universitaria e viene legittimata a partire
dal 1950 (la prima cattedra di Psichiatria nacque a Milano, in convenzione
con l'amministrazione provinciale di Milano, e venne allora affidata al
prof. Cazzullo). Comincia in quel periodo il fenomeno di riconversione
dei neurologi verso la psichiatria. Bisogna tenere presente che le cliniche
psichiatriche universitarie erano poi di fatto 'sganciate' dalla gestione
del malato mentale a differenza di quello che accadeva in altre nazioni,
e quindi ci si poteva permettere il lusso di insegnare qualsiasi cosa,
secondo i gusti o le 'riverniciature' di chi si era occupato fino a qualche
tempo prima solo di aspetti neurologici. Su questo si innesta la 'questione
politica' di trasformazione dell'istituzione manicomiale, ma s'innesta
con una 'debolezza intrinseca' di conoscenza della psichiatria da parte
dei tecnici di allora.
A.
G. : Negli atti del convegno del '70 organizzato dal vostro gruppo,
buona parte del dibattito è occupato dal tema del rapporto tra società
repressiva e le problematiche dell'individuo ......
P.F.
Galli: Anche qui abbiamo l'immissione di linguaggi derivati dalla
sociologia all'interno di una debolezza intrinseca della professionalità
e della competenza di ordine psichiatrico, che in altre nazioni invece
c'era. In quegli anni il problema della formazione - che il mio gruppo
sosteneva attivamente, era evitato da molti psichiatri, e addirittura
considerato 'de-formazione': si diceva che la formazione andava fatta sul
campo, ricorrendo quindi ad una impostazione che chiamerei di 'empiricismo
volgare', con effimere soluzioni durate pochissimo come la questione grottesca
dell' operatore unico, che sembrava volesse annullare la stratificazione
sociale interna al sistema. Bisogna aspettare la metà degli anni
'70 perché la questione della formazione venga di nuovo affrontata,
anche se spesso con proposizioni di ordine demagogico.
Voglio ancora
sottolineare il fatto che ormai simili questioni legate ad un quarantennio
della psichiatria italiana, non possono essere descritte semplicemente
in bianco e nero: del tipo 'alcuni che avevano capito tutto', e altri che
rimanevano ancorati a posizioni 'tradizionali'.
I percorsi
in realtà erano molto più contorti di quello che oggi viene
spesso semplicisticamente delineato, e molto più sofferti di quanto
possano apparire. Oggi potremmo dire che allora c'erano delle ambiguità:
ma in realtà era il riflesso della ricchezza della sofferenza di
molti intellettuali che si assumevano responsabilità sociali, e
che attraverso il 'fare i conti' con le ambiguità insite nel sistema
finivano col prendere delle decisioni, ma forse anche col cambiare parere...
e con l'avere impostazioni diverse e molto meno lineari di quanto non si
voglia far apparire.
A.
G.: Il ruolo degli psichiatri come lavoratori intellettuali non
era dunque così lineare come oggi molti invece vogliono rappresentare....
P.F.
Galli: Certo, perché come dicevo anche prima, altro
è rievocare quel periodo in modo acritico e personale, altro è
fornire chiavi di lettura più generali sul quel periodo, anche per
recuperare quel tipo di sofferenza che c'era in chi era politicamente impegnato
come intellettuale sul campo. Certe contraddizioni sono frutto di quella
sofferenza e di quello che poteva produrre. Non è un caso che se
da un lato c'era il discorso anti-istituzionale di azzeramento del
manicomio, dall'altro lo stesso Basaglia faceva parte con il prof. Venturini
della commissione che a Ravenna, per conto dell'amministrazione provinciale,
stava progettando il nuovo ospedale psichiatrico che non venne fatto per
una scelta politica fatta alla fine degli anni '60. Queste sono contraddizioni
legate alle difficoltà insite nel ruolo di chi allora agiva e operava
come intellettuale; i percorsi sono molto meno lineari da questo punto
di vista, e posso affermarlo proprio perché dalla metà degli
anni 1950 sono nel settore e quindi queste di cui riferisco sono situazioni
che ho conosciuto direttamente.
Il terzo
dei fattori che mi dà disagio oggi in questo clima di rievocazioni,
è assistere a quei processi di falsificazione storica che cercano
di dare linearità a processi la cui ricchezza era proprio nel fatto
di non essere lineari e intrisi di sofferenza.
Lo stesso
Piro che ha fatto cose egregie, ebbe uno scontro molto aspro a Firenze,
in occasione del Festival dei Popoli del 1968, organizzato da Tullio Seppilli,
al quale anch'io avevo partecipato per l'organizzazione della parte psichiatrica:
in quella occasione Sergio Piro portò un filmato su alcune trasformazioni
che stava tentando di attuare come modernizzazione dell'ospedale psichiatrico
e fu violentemente attaccato dalla componente più radicale.
Su questa
base nacquero poi collegamenti di ordine diverso, e la partenza anche di
diverse posizioni politiche: rivendico la non linearità di questi
processi proprio come ricchezza e non come debolezza. Ritengo sia invece
una debolezza voler dare una connotazione celebrativa, museale
o monumentale agli eventi che caratterizzarono quel periodo.
A questo
punto posso anche dire che la 180 è una buona legge. C'erano e ci
sono state le condizioni per attivare tutti i passaggi del 'processo reale'
rispetto alle necessità del trattamento del disturbo mentale, con
gli strumenti che sarebbero stati necessari per completare il processo
che iniziò allora, e che vengono attivati oggi con un ritardo ultra-trentennale.
A.
G.: Certo il ritardo è purtroppo grave in questo settore,
anche se pensiamo alla possibilità che oggi hanno le singole regioni
- attraverso strumenti finanziari decentrati - di adottare procedimenti
mirati di politica sanitaria; ma anche qui si nota una certa lentezza nel
modificare certi aspetti strutturali della gestione delle risorse in psichiatria.
Perché tante difficoltà nel passare alla pratica?
P.F.
Galli: In questa legislatura abbiamo un fattore senz'altro
positivo nella politica psichiatrica oggi: è di avere un ministro
come Rosy Bindi che ha raccolto soluzioni non solo sul piano
burocratico-amministrativo,
ma anche con istanze di tipo etico, per cui sta raccogliendo il meglio
di quelle che sono oggi le proposte in campo psichiatrico. Questo è
un aspetto importante, perché non ci si può limitare all'attuazione
del decreto di chiusura dei manicomi. È altresì importante
avere oggi meccanismi di controllo efficienti della spesa e di gestione,
soprattutto in psichiatria. L'anello debole può essere di nuovo
la gestione delle singole Regioni che hanno degli spazi di manovra che
possono portare a nuove falsificazioni del sistema.
Il processo
di aziendalizzazione della sanità è iniziato già dall'inizio
degli anni 1990 e oggi il ministro si trova a dover compiere scelte difficili,
in cui le istanze etiche non devono essere semplicemente eluse, ed è
quello che sta facendo, con forti assunzioni di responsabilità e
senza cadere nella trappola economicistica. Altri problemi potranno derivare
dal mancato ricambio generazionale degli psichiatri: paradossalmente quello
che potrà ritardare una spinta innovativa nel settore potrà
essere proprio l'invecchiamento dell'organico. Oggi in media uno psichiatra
entra in ruolo dopo un lungo periodo di precariato, in genere dopo i quarant'anni,
con tutto ciò che questo comporta. Ciò significa che la nuova
spinta innovativa, trovi una componente forte nelle associazioni di base
dei familiari, ovvero di chi non può comunque eludere il problema
della malattia mentale, perché ci vive accanto: sarà questo
elemento che spingerà il sistema verso un ulteriore cambiamento.
A.Grazia:
...noi tutti ce l'auguriamo di cuore. La saluto e la ringrazio per la sua
attenzione.
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all'Indice
- Introduzione di Anna
Grazia
- L'attività
del Gruppo Milanese per lo sviluppo della psicoterapia
- L'aziendalizzazione
della sanità e i problemi della psichiatria
- Sul
problema della formazione degli psichiatri italiani
- Altri links:
- - Galli P.F.
(1965). La psicoterapia in
Italia ( Relazione letta alla Giornata di studio del
30 ottobre 1965)
- - Galli P.F. (1967). Psicoterapia e
scienza
- - Galli P.F. (1990). Psychoanalysis as the story of a crisis
- - Galli P.F. (1998). L'epidemia della normalità: dagherrotipo del
nuovo che avanza
- - Presentazione
della rivista Psicoterapia e Scienze Umane e storia del Gruppo Milanese per lo
Sviluppo della Psicoterapia
- - Sito
ufficiale della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
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