Introduzione di Paolo Migone Questo scritto di Adolf Grübaum ø il testo abbreviato della sua conferenza inaugurale del "Seminario interdisciplinare di filosofia della scienza", tenuta all'Aula dei Filosofi dell'Università di Parma il 19 maggio 1998 e organizzata dal Prof. Massimo Pauri, Professore Ordinario al Dipartimento di Fisica dell'Università di Parma. Il fatto che una conferenza sulla psicoanalisi si sia tenuta ad un seminario sulla filosofia della scienza, e organizzato da un Dipartimento di Fisica, può a prima vista lasciare perplessi coloro che non conoscono il percorso scientifico di Grübaum. Ma va ricordato che Grübaum, uno dei principali epistemologi viventi, divenne inizialmente molto noto per i suoi studi sulla filosofia della fisica, culminati nel ponderoso libro del 1963 intitolato Philosophical Problems of Space and Time ["Problemi filosofici dello spazio e del tempo"] (Dordrecht & Boston: D. Reidel, 19742). Solo dopo essersi imposto all'attenzione mondiale in questo campo, e forte del suo bagaglio di profonde conoscenze di filosofia della scienza, rivolse la sua attenzione alla psicoanalisi, divenendo anche qui in breve tempo un punto di riferimento essenziale riguardo al problema del rapporto tra psicoanalisi e scienza. A cavallo degli anni '80, quando incominciarono ad uscire i suoi articoli, e soprattutto dopo l'uscita del libro del 1984 I fondamenti della psicoanalisi (Milano: Il Saggiatore, 1988), non vi era rivista o convegno di psicoanalisi che non includesse discussioni o riferimenti delle sue idee. Egli criticò duramente le principali posizioni filosofiche che in questo secolo avevano caratterizzato il dibattito sul rapporto tra psicoanalisi e scienza (essenzialmente quelle del neopositivismo, di Popper, e dell'ermeneutica), ponendo la questione su nuove basi. La psicoanalisi non fu affrontata soltanto dal punto di vista del suo statuto scientifico, ma fu da lui utilizzata in un certo senso anche come pretesto per affrontare questioni ben più rilevanti, quali l'induttivismo e, in particolare, lo scontro con Popper riguardo alla "linea di demarcazione" tra scienza e non scienza. In questo senso, si può dire che l'attacco di Grübaum a Popper sia durissimo (per non parlare dell'attacco all'ermeneutica, da molti ritenuto devastante). Grübaum confuta decisamente la pretesa asserzione di non scientificità della psicoanalisi in quanto secondo Popper sarebbe "non falsificabile", e rimette di diritto la psicoanalisi all'interno alle scienze naturali ponendola, per così dire, di fronte alle sue responsabilità. Le sue conclusioni, diversamente da tutte le precedenti posizioni filosofiche da lui prese in considerazione, sono che la psicoanalisi di fatto è una scienza (anche se, allo stato attuale della ricerca, non si può dire che essa "goda di buona salute" [Grünbaum, 1984, p. 278]). E' per questo motivo che, paradossalmente, e nonostante tanti psicoanalisti vedano in Grübaum solo un nemico, si può dire che Grübaum "salvi" la psicoanalisi dal punto di vista epistemologico, in quanto ne ammette la dignità di scienza, cosa che né Popper né i neopositivisti avevano fatto. E' solo dopo averne riconosciuto lo statuto di scienza che è possibile incominciare a testare, una per una, le sue varie formulazioni, cosa che schiere di ricercatori in psicoterapia stannno cercando di fare. Non essendo possibile in questa sede approfondire ulteriormente le posizioni di Grübaum, rimando ai suoi scritti, innanzitutto al suo libro del 1984 prima citato, e poi anche ad un suo secondo libro, non tradotto, intitolato Validation in the Clinical Theory of Psychoanalysis. A Study in the Philosophy of Psychoanalysis (Madison, CT: International. University Press, 1993 [Psychological Issues, 61]). Un altro importante testo, tradotto in italiano, è quello a cura di Marcello Pera Psicoanalisi: obiezioni e risposte (Roma: Armando, 1988), in cui viene tradotto un numero monografico della rivista The Behavioral and Brain Sciences (1986, 9, 2: 217-284) che contiene 39 interventi di discussione, sia favorevoli che contrari, al libro del 1984, con una premessa di Grübaum in cui riassume le sue posizioni, e una sua risposta finale (per altre informazioni bibliografiche e una breve rassegna del rapporto tra psicoanalisi e filosofia della scienza così come è visto dal neopositivismo, da Popper, dall'ermeneutica, e in particolare da Grübaum, rimando al cap. 11, pp. 175-186, del mio libro Terapia psicoanalitica, Milano: Franco Angeli, 1995; vedi anche, su Internet, il mio lavoro "La psicoanalisi è una scienza? Panorama storico del problema e dibattito attuale sollevato da Grünbaum".). Veniamo infine al testo qui pubblicato. Come dice Grübaum nelle sue note introduttive che gentilmente ci ha scritto per POL.it, questo testo è una sintesi del suo capitolo contenuto del catalogo della mostra Sigmund Freud: Conflict and Culture ["Sigmund Freud: conflitto e cultura"], pubblicato a cura di Michael Roth (New York: Knopf, 1998), e vale la pena aggiungere alcune parole su questa famosa e tanto tormentata mostra, oltre a quanto già menzionato nelle sue note introduttive. La mostra Sigmund Freud: Conflict and Culture, dopo tante controversie, è stata aperta alla Library of Congress di Washington il 15 ottobre 1998 e si è chiusa il 15 gennaio 1999. Il suo programma prevede di passare al Jewish Museum di New York dal 11-4-1999 al 8-8-1999, per poi andare a a Vienna dal 11-11-1999 al 10-2-2000, per le celebrazioni del Millennio. Dal 7-3-2000 al 21-5-2000 è programmata al nuovo Getty Museum di Los Angeles, per poi andare in Brasile. Perché questa mostra ha suscitato polemiche? La mostra era stata progettata per il 1996, ma fu fatta slittare due anni ufficialmente per motivi organizzativi, mentre molti sostengono che la riprogrammazione fu causata dalle proteste suscitate da una lettera aperta firmata da una cinquantina di studiosi (essenzialmente alcuni tra i più noti e accreditati storici della psicoanalisi e biografi di Freud, oltre che vari psicoanalisti e studiosi del campo della psicologia, tra cui si possono menzionare Morris Eagle, Phyllis Grosskurth, Adolf Grünbaum, Robert Holt, John Kerr, Zvi Lothane, Paul Roazen, Oliver Sacks, Morton Schatzman, Frank Sulloway, ecc. - vi era anche Sophie Freud, la nipote di Sigmund; fungeva da coordinatore Peter Swales [il quale, tra parentesi, è quello coinvolto nel "caso Masson", di cui racconto la storia nel cap. 14 mio libro prima citato, pp. 251-254]). Questi studiosi sostenevano che la mostra, così come era stata progettata, era troppo di parte, cioè troppo celebrativa, e non teneva conto delle voci critiche che da più parti erano state mosse alla psicoanalisi nel corso del suo primo secolo di vita. Questo gruppo di studiosi non era assolutamente costituito da autori tutti critici della psicoanalisi, anzi, tra di loro vi erano alcuni seri e motivati difensori di Freud, ma volevano che ne fosse data una immagine più obiettiva, comprensiva di tutte le prospettive. Va tenuto presente che questa mostra era finanziata dal governo federale, cioè coi soldi pubblici, ed era di grandi dimensioni, prevedendo un enorme afflusso di pubblico (e per dare un'idea dell'importanza di questo evento, tra le altre cose era previsto che l'immagine di Freud fosse collocata al posto in cui di solito vi è quella del presidente degli Stati Uniti). Si possono immaginare anche i forti interessi economici che potevano essere in gioco, soprattutto in un momento di crisi della immagine sociale della psicoanalisi. Si temeva insomma che la mostra fosse in un certo qual modo istituzionalmente controllata (ad esempio dalla American Psychoanalytic Association o da altre istituzioni "di parte"). I mass media si occuparono molto di questa vicenda, con immaginabili incomprensioni e accuse, ad esempio i firmatari della lettera furono più volte accusati di essere dei "Freud bashers", e così via. Fatto sta che la mostra fu riprogrammata e fu deciso di includere anche la prospettiva di voci critiche, una delle quali fu appunto quella di Grünbaum, il cui capitolo vediamo qui pubblicato in versione ridotta. Come si è detto, questo testo fu letto da Grünbaum ad una conferenza tenuta all'Università di Parma il 19 maggio 1998. In occasione di questo suo viaggio in Italia tenne anche una relazione intitolata "Critique of Freud's notion of mental illness" ["Critica alla concezione freudiana di malattia mentale"] al congresso della Academie Internationale de Philosophie des Sciences intitolato "Interpretazione e senso della malattia" e organizzato da Evandro Agazzi all'Ospedale San Raffaele di Milano. Sempre a Milano, la sera del 21 maggio 1998 nella sede de Il Ruolo Terapeutico tenne un seminario intitolato "Domande e risposte su psicoanalisi e filosofia", in cui non lesse una relazione formale, ma, con Alessandro Pagnini come moderatore, rispose alle domande di psicoanalisti, psicologi, psichiatri, ricercatori in psicoterapia e filosofi (tra gli altri, intervennero Alfredo Civita, Mauro Fornaro, Salvatore Freni, Massimo Pauri, ecc.). Il testo di questo seminario è stato registrato su due CD che sono in vendita presso la segreteria de Il Ruolo Terapeutico, Via Giovanni Milani 12, 20133 Milano, Tel./Fax 02-70636457, E-Mail <ilruolo.terapeutico@libero.it> (fui io a tradurre il seminario di Milano, come pure la conferenza di Parma - entrambe le lingue, italiano e inglese, sono chiaramente riprodotte in una traduzione rapida differita). Il contributo di Grünbaum viene pubblicato nell'area "Psicoterapie" di POL.it, nella speranza che susciti discussioni e interesse. Come è stato detto più volte a proposito di altri documenti pubblicati, uno dei modi migliori per di approfondire un problema è quello di conoscere anche le critiche e discuterle apertamente. Ringraziamo, per i permessi di pubblicazione, Adolf Grünbaum, la rivista KOS (dove è uscita la versione italiana nel n. 152, maggio 1998, pp. 26-31, con la traduzione di Rosaria Trovato), e il bollettino del Center for West European Studies della University of Pittsburgh (dove è uscita la versione inglese, dal titolo "A Century of Psychoanalysis: Critical Retrospect & Prospect", nel numero di febbraio 1998, pp. 1 e 7). Nota introduttiva di Adolf Grübaum (1999) La mostra Sigmund Freud: Conflict and Culture ["Sigmund Freud: conflitto e cultura"], tenuta alla Library of Congress di Washington dal 15 ottobre 1998 al 15 gennaio 1999, ha provocato polemiche in tutto il mondo. L'editore Alfred A. Knopf di New York ha pubblicato il catalogo della mostra, dallo stesso titolo, curato da Michael Roth, curatore anche della mostra. Io sottoscrivo le parole seguenti, tratte dalla breve segnalazione di Richard Farr pubblicata su Internet da Amazon, che cita il mio saggio contenuto nel catalogo: La eredità e la reputazione di Sigmund Freud sono state messe sotto accusa da vari decenni, ma quando la Library of Congress originariamente progettò la sua Freud Exhibition nel 1996, questo lavoro sembrò essere stato concepito nella totale negazione dei fatti, e i critici gridarono al gioco sleale. Dopo due anni di rabberciamenti, la mostra fu finalmente riprogrammata per aprire nell'ottobre 1998, e questa raccolta di saggi, pubblicata assieme alla mostra, riflette il dibattito che nel frattempo era avvenuto. (...) La maggior parte dei 18 saggi, comunque, rimane benevola e pia, specialmente i saggi scritti da analisti quali Ilse Gubrich-Simitis e Patrick Mahony. Il capitolo di Hannah Decker sul "caso Dora" menziona di sfuggita i critici, ma allo stesso modo evita i temi più spiacevoli, scrivendo che Freud successivamente "riconobbe i suoi errori e mostrò di aver compiuto progressi significativi". Ma molti critici, non citati da Decker, hanno arguito strenuamente che non vi furono reali progressi; anche se vi furono stati, rimane chiaro che essi non permisero a Freud di rivedere il proprio comportamento sotto una luce onesta. Alcuni degli autori apertamente freudiani sono più flessibili, ma, per estensione, più interessanti: Peter Gay sulla psicobiografia, per esempio, e Robert Coles sull'idealismo sociale che accompagna l'idea che la psicoanalisi era una chiave per risolvere il conflitto umano. E, come risultato della controversia del 1996, i critici più duri di Freud come Adolf Grünbaum vengono ora a malincuore rappresentati. Eppure, la amara retrospettiva di Peter Kramer potrebbe servire da coda non solo al volume ma allo stato attuale degli studi su Freud: "La nostra concezione di Freud è composta da immagini estreme che a mala pena si incrociano". (Richard Farr, Amazon) Ho preparato delle sintesi del mio saggio integrale "Un secolo di psicoanalisi: bilancio e prospettive" sia per la traduzione italiana (pubblicata su KOS, Nuova serie, maggio 1998, n. 152, pp. 26-31) che per la pubblicazione inglese nel bollettino del Center for West European Studies della University of Pittsburgh, dove è uscita nel numero del febbraio 1998, pp. 1 e 7, e viene qui pubblicata col suo permesso. Introduzione Le idee fondamentali della psicoanalisi furono enunciate per la prima volta nel 1893 da Josef Breuer e Sigmund Freud nella "Comunicazione preliminare", che faceva da introduzione agli Studi sull'isteria. Tre anni dopo, Freud si riferiva al metodo terapeutico "catartico" di Breuer, consistente nella ricerca clinica condotta sui ricordi traumatici rimossi dai pazienti, come al "nuovo metodo della psicoanalisi". Oggi, l'impresa psicoanalitica ha ormai compiuto un secolo. E' arrivato il tempo, dunque, di fare l'inventario critico dei suoi risultati in quanto teoria della natura umana e in quanto terapia, e di gettare uno sguardo verso le sue prospettive. Freud non fu certamente il primo a postulare l'esistenza di processi mentali inconsci di una qualche sorta. Nel corso dei secoli precedenti, numerosi altri pensatori avevano già ipotizzato qualcosa di simile con l'intento di spiegare il pensiero conscio e il comportamento manifesto per i quali non riuscivano a trovare altra spiegazione. In verità, Freud ebbe altri precursori che anticiparono alcune delle sue idee chiave con impressionante precisione: Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche avevano sostenuto a livello speculativo parti centrali della dottrina psicoanalitica, che Freud rivendicò d'aver sviluppato successivamente, in modo indipendente, a partire dalle osservazioni cliniche sui suoi pazienti. Tra i processi inconsci ipotizzati dalla psicologia cognitiva da un lato e i contenuti inconsci della mente postulati dalla psicologia psicoanalitica dall'altro esistono alcune importanti differenze. Il cosiddetto inconscio "dinamico" di Freud è il ripostiglio dei desideri proibiti rimossi di natura sessuale o aggressiva, che cercherebbero avventatamente una gratificazione immediata, indipendentemente dalle limitazioni della realtà esterna, ma il cui ingresso o reingresso nella coscienza è impedito dalle operazioni difensive preventive dell'Io. In realtà, secondo Freud, noi non avremmo nemmeno sviluppato le facoltà necessarie alle attività cognitive, se ci fosse stato possibile gratificare i nostri bisogni istintuali senza dover ricorrere ad esse. Una conclusione diversa fu raggiunta dallo psicoanalista Heinz Hartmann, il quale fu spinto da fatti riguardanti la maturazione biologica, scoperti per via non psicoanalitica e presumibilmente già noti a Freud, a riconoscere, nella sua cosiddetta "Psicologia dell'Io" (ego psychology), che funzioni come l'apprendimento, la memoria, e il pensiero si possono sviluppare autonomamente, per via di una programmazione genetica innata, e indipendentemente dalla gratificazione degli impulsi istintuali. Nell'inconscio cognitivo regna dappertutto una grande razionalità, che presiede ai processi computazionali e associativi con cui vengono risolti i problemi posti dalla memoria, dalla percezione, dal giudizio e dall'attenzione. Invece, il contenuto di desiderio dell'inconscio dinamico fa sì che esso operi in maniera altamente illogica. Per di più, l'inconscio dinamico acquisisce i suoi contenuti in gran parte dalla rimozione inconsapevole di idee originariamente presenti in una certa forma nella coscienza; invece nell'inconscio cognitivo non giocano alcun ruolo né l'espulsione dalla coscienza di idee e ricordi, né la censura selettiva operata al loro ingresso nella coscienza. Freud pensava che l'uso della sua nuova tecnica delle associazioni libere potesse alleviare la rimozione sui desideri istintuali, e, in questo modo, potesse ricondurre alla coscienza le idee rimosse senza alterarle. Per l'inconscio cognitivo, invece, non esiste nulla di simile al divenire cosciente di qualcosa grazie ad un processo con cui si passano in rassegna velocemente una serie di cose e se ne cerca una, come per esempio quando a qualcuno viene prontamente in mente il nome dell'amante della zarina, Rasputin, che avevamo chiesto di dire. Alcuni partigiani di Freud hanno voluto sostenere l'inconscio psicoanalitico offrendogli il supporto di quello cognitivo, ma in realtà l'esistenza dell'inconscio cognitivo sottrae ogni credibilità all'inconscio psicoanalitico. Con uguale cautela bisogna guardarsi dall'argomento secondo cui l'influenza pervasiva delle idee freudiane nella cultura occidentale garantirebbe la prova della probità dell'impresa psicoanalitica. La diffusione dell'influenza culturale di Freud non convalida i contenuti del suo pensiero più di quanto l'egemonia del cristianesimo non garantisca la credenza nella verginità di Maria alla nascita di Gesù o nella resurrezione. E anzi, la prevalenza di concetti pseudo-freudiani volgarizzati rende difficile determinare attendibilmente fino a che punto idee genuinamente psicoanalitiche abbiano effettivamente esercitato la loro influenza sulla nostra cultura intesa in senso lato. Per esempio, la spiegazione psicoanalitica motivazionale offerta da Freud a proposito dei lapsus si limitava ai lapsus le cui "motivazioni [sono] sconosciute alla coscienza" e dei quali si pensa che a prima vista manchino di una motivazione psicologica. Nondimeno, tutti i lapsus e tutte le azioni mancate aventi una motivazione, persino quelli le cui ragioni sono consce e anzi trasparenti, vengono chiamati erroneamente "freudiani". Critica della psicoanalisi freudiana e post-freudiana Veniamo ora alla mia critica delle questioni centrali della teoria psicoanalitica freudiana originaria. Subito dopo, si tratterà di capire se queste mie obiezioni sono superate dalle due maggiori scuole post-freudiane, la "Psicologia del Sé" (self-psychology) e la "teoria delle relazioni oggettuali". Come Freud ci ha insegnato, "la teoria della rimozione è la pietra angolare su cui poggia l'intera struttura della psicoanalisi. Ne è la parte più essenziale". Le tre diramazioni principali della teoria della rimozione sono insiemi di ipotesi che riguardano le cause inconsce e la terapia psicoanalitica, rispettivamente, della psicopatologia, della teoria dei sogni, e della teoria dei lapsus. In ciascuna di queste diramazioni la teoria psicoanalitica sostiene che la rimozione di contenuti mentali giocherebbe un ruolo causalmente necessario: esso sarebbe la molla essenziale nell'insorgere di psicosi e nevrosi a partire da impulsi sessuali inconsci, nella formazione di sogni a partire da desideri infantili latenti, proibiti, e nella comparsa di azioni mancate a partire da varie cause nascoste di disturbo. Dal punto di vista di Freud, i nostri sintomi nevrotici, il contenuto manifesto dei nostri sogni e i lapsus che commettiamo sono tutti costruiti come "compromessi tra le richieste di un impulso rimosso e le resistenze di una forza censoria nell'Io". Si può dire quindi che Freud abbia offerto una "teoria del compromesso" unificatrice di nevrosi, sogni e lapsus/atti mancati. E gli psicoanalisti hanno insistito sulla virtù esplicativa di tale teoria unificata per reclamarne la validità, che però io ritengo di dover mettere in questione. Qual è, infatti, la motivazione o la causa iniziale che mette in opera e sostiene il meccanismo inconscio della rimozione prima che questa produca gli effetti che le si attribuiscono? Freud assunse in modo assiomatico che sono gli stati mentali disagevoli, come i desideri proibiti, i traumi, i ricordi opprimenti, la repulsione, l'angoscia, l'ira, la vergogna, l'odio, il senso di colpa, la tristezza - che sono tutti spiacevoli - a mettere in atto e poi ad alimentare la dimenticanza fino a trasformarla in rimozione. Quindi la rimozione presumibilmente regola il piacere e la pena difendendo la nostra coscienza da diversi tipi di sentimenti negativi. Freud espresse la cosa in maniera dogmatica: "La tendenza a dimenticare ciò che è sgradevole mi sembra che esista su scala universale", e "i ricordi angoscianti soccombono con particolare facilità alla dimenticanza motivata". Nondimeno, egli dovette concedere: "Abbastanza spesso troviamo, al contrario, impossibile liberarci dai ricordi angoscianti che ci perseguitano e bandire impulsi emotivi come il rimorso e i tormenti di coscienza". Non solo, egli riconosce anche che "le cose che ci angosciano sono particolarmente difficili da dimenticare". Se ne deve concludere che alcuni stati mentali dolorosi vengono ricordati in modo vivido, mentre altri vengono dimenticati e persino rimossi. La spiegazione di Freud è viziata dal fatto che fattori diversi dall'intensità del dolore causato da tali stati mentali determinano il fatto che essi vengano ricordati o dimenticati. Per esempio, una predisposizione della personalità, o variabili legate alla situazione possono effettivamente agire da concause. Freud non affrontò mai veramente l'impatto sfavorevole del fenomeno del ricordo ossessivo di esperienze dolorose sul caposaldo della psicoanalisi secondo cui le emozioni negative conducono alla rimozione. Sia detto en passant, lo psicologo Thomas Gilovich dell'università di Cornell sta presentemente conducendo apprezzabili studi sulle condizioni che determinano il ricordo di esperienze dolorose e sulle altre condizioni che ne determinano la dimenticanza. Un'altra difficoltà fondamentale che interessa ugualmente tutte e tre le principali diramazioni della teoria della rimozione sta nei difetti epistemologici del metodo freudiano delle associazioni libere. Si sostiene che il metodo delle associazioni libere possegga un doppio effetto, ovvero che sia, da un canto, causalmente utile alla diagnosi, in quanto può identificare le cause inconsce dei pensieri e dei comportamenti umani; dall'altro canto si sostiene che sia terapeutico, perché superando le resistenze e la rimozione, può rimuovere le cause patogene inconsce delle nevrosi e, in questo modo, curare un'importante classe di disordini mentali. Ci si dice, quindi, che utilizzando la sua tecnica, assolutamente unica, per disserrare le dighe dell'inconscio, Freud fu capace di mostrare che le nevrosi, e non solo quelle, ma anche i sogni e i lapsus, sono causati da impulsi rimossi. Nei miei scritti ho proposto con ragioni dettagliate perché sia mal fondata la fiducia di Freud nel fatto che le associazioni libere provino in modo causale la teoria della rimozione, e perché, di conseguenza, sia mal fondata anche la teoria della rimozione, inclusiva della teoria della psicopatologia e della relativa terapia, nonché della teoria dei sogni, e della teoria dei lapsus. Come apprendiamo dalle pagine di apertura dell'Interpretazione dei sogni, che illustrano il metodo utilizzato in questo campo, Freud estrapolò dalle associazioni libere la loro presunta capacità di prova, la quale, dall'essere soltanto un metodo di ricerca delle cause mirante alla terapia, divenne anche una via per trovare le pretese cause inconsce dei sogni. Nello stesso tempo, Freud ci informa del fatto che quando i pazienti gli raccontavano i loro sogni associandoli liberamente ai loro sintomi, egli, in modo ardito se non addirittura precipitoso, trasferì la sua "teoria del compromesso" dai sintomi nevrotici ai contenuti manifesti dei sogni. Un anno dopo, egli portò a termine la stessa operazione di duplice estrapolazione nel campo dei lapsus e degli atti mancati. Ma che cosa ci dicono le associazioni libere sui sogni, dal punto di vista di Freud? Quale che sia il contenuto manifesto dei sogni, la psicoanalisi sostiene che esso sia in grado di soddisfare i desideri in due modi logicamente distinti tra di loro, che potremmo esprimere come segue: per ogni sogno S, esiste almeno un desiderio infantile normalmente inconscio D tale che (i) D è la causa motivazionale di S, e (ii) il contenuto manifesto di S mostra graficamente, in modo più o meno mascherato, lo stato di cose desiderato da D. Per dirla con Freud, "quando si esaminano i contenuti latenti di un sogno rivelati dall'analisi [per mezzo delle associazioni libere], se ne trova uno che risalta tra tutti gli altri... quel pensiero isolato si rivela una pulsione di desiderio... Questo desiderio è il vero fabbricatore del sogno: è lui che fornisce l'energia per la sua produzione...". Come prova del fatto che il metodo delle associazioni libere fosse un potente mezzo per identificare gli ipotetici desideri proibiti e nascosti come moventi dei nostri sogni, Freud produsse la sua analisi del "Sogno esemplare di Irma" del 1895. Nella mia dettagliata critica della (ingiustamente celebrata) analisi del sogno di Irma, ho sostenuto che, purtroppo, l'interpretazione datane da Freud non è che una pubblicità menzognera: (i) essa non fornisce tutte le giustificazioni che promette riguardo alla capacità di prova delle associazioni libere, (ii) non fa nulla per garantire il suo dogma azzardato secondo cui tutti i sogni soddisfano i desideri nel modo summenzionato, (iii) non prova neanche a sostenere che il suo preteso "sogno esemplare" costituisca una prova della sua teoria del compromesso a proposito del contenuto manifesto del sogno, e per finire, (iiii) la celebrazione inveterata e continuativa dell'analisi freudiana del sogno di Irma nella letteratura psicoanalitica come modello esemplare dell'interpretazione dei sogni è completamente ingiustificata, perché non si tratta che di propaganda bella e buona. Come se non bastasse, la teoria secondo cui i sogni soddisfano i desideri aveva un irrimediabile difetto sin dall'inizio: come oggi si scopre, e la cosa è deplorevole, Freud non aveva fatto caso ad una patente conseguenza epistemologica del suo abbandono di un altro modello, quello del Progetto del 1895, secondo cui il sogno era guidato dal desiderio in termini neurologico-energetici. Precisamente abbandonando quel modello, Freud aveva rinunciato alla sua iniziale spiegazione biologica, la quale gli permetteva di sostenere che per lo meno tutti i sogni "normali" soddisfano desideri. A fortiori, questa rinuncia lo lasciava senza alcuna forma di garanzia basata su considerazioni di tipo energetico tale da permettergli di universalizzare la dottrina della soddisfazione dei desideri in modo da estenderla a ogni tipo di sogno. Eppure, alleggerita da qualunque garanzia di questo tipo e da ogni altra giustificazione, la dottrina universalizzata, formulata ora in termini psicologici, sorse come un'araba fenice dalle ceneri del defunto modello energetico di Freud. Sia detto en passant, come sostengo in un articolo di prossima apparizione, l'argomento neuro-energetico secondo cui il sogno sarebbe guidato dal desiderio era nato morto. Una volta che Freud si fu legato gratuitamente all'universale monopolio del desiderio sulla generazione dei sogni, le sue interpretazioni dei sogni furono costrette a riconciliare i sogni che contraddicono i desideri con la decretata universalità della teoria della soddisfazione del desiderio. Tale riconciliazione esigeva che tutte le altre parti e tutti gli altri dettagli della teoria dei sogni fossero obbligatoriamente modellati per ben calzare con il dogma del desiderio, in modo da poterlo corroborare. E, nel trattare della questione metodologica, Freud occultò astutamente questa dinamica della teorizzazione. In realtà, visto che ci sono innumerevoli sogni angosciosi, che prima facie contrariano i desideri, l'idea fissa di Freud della soddisfazione del desiderio dava luogo, nella teoria dei sogni, a non meno che le seguenti tre grandi dottrine artefatte: (i) la distinzione tra il contenuto conscio, "manifesto", di un sogno - che ha un contenuto polimorfico - e il contenuto rimosso, "latente", che come Freud decretò, aveva per oggetto invariabilmente l'onnipresente desiderio rimosso. Il contenuto manifesto viene fatto passare per una mera facciata dietro cui si nasconde il contenuto di desiderio nascosto, proibito, latente: il contenuto manifesto deriverebbe dalla distorsione, tramite un travestimento, del desiderio proibito ottenuta attraverso un processo designato da Freud come "lavoro del sogno"; ma questa ipotetica distorsione non va confusa con la familiare bizzarria dei sogni. (ii) Un secondo artefatto dell'imperialismo del desiderio di Freud era l'annesso caposaldo secondo cui il contenuto manifesto del sogno, non diversamente da un sintomo nevrotico, sarebbe il prodotto di un conflitto e di un compromesso tra un desiderio rimosso che reclama d'essere espresso, e la censura esercitata da un io incline a reprimere. (iii) L'insistenza sulla universalità della soddisfazione del desiderio nei sogni impose anche un'esigenza metodologica. Come ha osservato Clark Glymour, il metodo freudiano dell'interpretazione dei sogni attraverso le associazioni libere era vincolato tematicamente a priori dalla necessità di collegare tra loro le risultanti associazioni in maniera selettiva, di modo da ottenere che una motivazione di desiderio spiccasse tra le altre. Di fatto, Freud fece passare questo risultato predefinito per una scoperta empirica immediata, per un dato puro e semplice derivante dalle associazioni libere fatte dai pazienti e non gravato dalle categorizzazioni imposte da una teoria. I sostenitori della psicoanalisi hanno celebrato il grande potere esplicativo della loro teoria, dal momento che il modello del compromesso offre una spiegazione unificata di fenomeni apparentemente disparati come le neurosi, i sogni e i lapsus, senza contare il fatto che la teoria della rimozione costituisce anche un notevole contributo alla teoria freudiana dello sviluppo psico-sessuale. Infatti, alcuni filosofi della scienza hanno salutato l'unificazione nella spiegazione come uno degli obiettivi principali ed uno dei grandi successi dell'impresa scientifica. Eppure, in contesti diversi, l'unificazione può essere un vizio, anziché una virtù. Sebbene Talete di Mileto cercasse un'immagine del mondo razionalistica piuttosto che mitopoietica, insegnava che tutto è fatto d'acqua, insegnava un'unificazione chimica cosmica. Ma il chimico Mendeleyev avrebbe potuto parlare a Talete, attraverso i millenni, con le parole di Amleto: "Ci sono più cose tra cielo e terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia" (Shakespeare, Amleto, Atto I, Scena V). Come ho sostenuto, si potrebbe dire lo stesso della dubbia speculazione psicopatologica della normalità di Freud: purtroppo, assumendo che il metodo delle associazioni libere fosse persuasivamente causale, il suo modello di compromesso ha generato una pseudo-unificazione dei comportamenti nevrotici con l'attività del sogno e le azioni mancate. Sviluppi post-freudiani Ma quali sono stati gli sviluppi post-freudiani, nella misura in cui si qualificano come psicoanalitici nei contenuti, e non solo di nome? E le loro basi epistemologiche sono più solide delle principali ipotesi originarie di Freud? Il noto psicologo clinico Morris Eagle ha dato una generale e penetrante risposta, una risposta negativa, a questa domanda. Similmente, i filosofi "ermeneutici" Karl Jaspers, Paul Ricoeur e Jürgen Habermas hanno accusato Freud di aver frainteso il valore scientifico della sua impresa psicoanalitica. Ma la versione "ermeneutica" che essi hanno proposto non ha generato nuove ipotesi psicoanalitiche fruttifere. Si tratta soltanto di un grido di battaglia negativistico ed ideologico basato per giunta su diversi errori logici gravi. Che prospettive si delineano, dunque, per il futuro della psicoanalisi nel XXI secolo? Un fosco verdetto viene dal famoso psicologo e psicoanalista americano Paul Meehl: egli afferma che se non si saprà trovare rimedio per le difficoltà che io ho indicato nei miei scritti sulla psicoanalisi, "avremo un secolo in cui la psicoanalisi potrà essere accettata o rifiutata, soprattutto sulla base delle opinioni personali di ciascuno. Se questo accadrà, la mia previsione è che essa sarõ lentamente, ma ineluttabilmente abbandonata, sia in quanto prospettiva terapeutica sia in quanto teoria della psiche." Bibliografia Eagle M.N.(1987). The psychoanalytic and the cognitive unconscious. In: Stern R., editor, Theories of the Unconscious and Theories of the Self. Hillsdale, NJ: Analytic Press, 1987, pp. 155-189 (trad. it.: L'inconscio psicoanalitico e l'inconscio cognitivo. In: Conte M. & Gennaro A., a cura di, Inconscio e processi cognitivi. Bologna: Il Mulino, 1989, pp. 33-73). Eagle M. (1993).The Dynamics of Theory Change in Psychoanalysis. In: Earman J. et al. (editors), Philosophical Problems of the Internal and External Worlds: Essays on the Philosophy of Adolf Grünbaum. Pittsburgh and Konstanz: University of Pittsburgh Press and University of Konstanz Press, cap. 15 (trad. it.: La natura del cambiamento teorico in psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane, 1992, XXVI, 3: 5-33). Grünbaum A. (1963). Philosophical Problems of Space and Time. Dordrecht & Boston: D. Reidel, 19742. Grünbaum A. (1984). The Foundations of Psychoanalysis: A Philosophical Critique. Berkeley, CA: University of California Press (trad. it.: I fondamenti della Psicoanalisi, Milano: Il Saggiatore, 1988). Grünbaum A. et al. (1986). Reflections on "The Foundations of Psychoanalysis". The Behavioral and Brain Sciences, 9, 2: 217-284. (trad. it. in: Pera M., a cura di, Psicoanalisi: obiezioni e risposte. Roma: Armando, 1988; questo libro include la traduzione dell'originale americano, "Précis of The Foundations of Psychoanalysis: A Philosophical Critique", e la risposta dell'autore, "Is Freud's theory well-founded?"). Grünbaum A. (1991). Psicoanalisi e Teismo. Introduzione di A. Pagnini. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane. Grünbaum A. (1993). Validation in the Clinical Theory of Psychoanalysis: A Study in the Philosophy of Psychoanalisys. Madison, CT: International Universities Press. von Eckardt B. (1985). "Adolf Grünbaum and Psychoanalytic Epistemology". In: Reppen J. (editor), Beyond Freud: A Study of Modern Psychoanalytic Theorists. Hillsdale, NJ: Analytic Press, pp. 353-403.
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