I . INTRODUZIONENoi tutti cominciamo a pensare per immagini. Prima ancora della nascita di un linguaggio (segnaletico, gestuale, verbale) noi vediamo figure, sentiamo suoni, palpiamo corpi. Cominciamo ad organizzare il nostro esperire in serie articolate di immagini. Agli albori della coscienza, líimmagine come rappresentazione intrapsichica non esiste, non è ancora indipendente dalla percezione dellíoggetto corrispondente. Studi sperimentali (Piaget) hanno permesso di stabilire che solo dopo i primi nove mesi di vita il bimbo è in grado di rappresentarsi un oggetto anche quando esso è assente dal campo percettivo. Il concetto che un oggetto esiste continuativamente nello spazio e nel tempo anche quando non è in vista e, più in generale, la facoltà di formare concetti astratti, dipendono dalla capacità fondamentale di archiviare rappresentazioni del mondo esterno e di reagire ad esse anche quando gli oggetti reali non sono presenti. Poiché la formazione di tali rappresentazioni precede nellíontogenesi lo sviluppo del linguaggio, si ritiene anche che ciò valga per la filogenesi umana. "Sembra che il linguaggio, come ci dice Damasio (1992), abbia fatto la sua comparsa, nel corso dellíevoluzione, solo dopo che gli esseri umani o gli ominidi che li precedettero divennero capaci di classificare in categorie le diverse azioni e di crearsi rappresentazioni mentali di oggetti, eventi e relazioni". Líantico problema filosofico, se esistono idee innate, come voleva Leibniz, o se nulla esiste nella mente che non sia passato attraverso le porte della percezione, è sempre discusso, e C.G. Jung denomina "archetipi" certe rappresentazioni mentali fondamentali che sarebbero innate ad ogni essere umano. Tuttavia, la loro manifestazione dipende dallíesperienza, ed innata sembra essere solo la predisposizione a certi apprendimenti. La dipendenza delle immagini interne dagli originari apprendimenti percettivi è dimostrabile sperimentalmente. Cerebrolesi in certe funzioni percettive soffrono spesso anche nelle loro capacità di corrispondenti rappresentazioni mentali. Chi è affetto da acromatopsia di solito vede il mondo in toni di grigio; ebbene, quando nella mente egli costruisce uníimmagine che normalmente sarebbe colorata, ne vede le forme, il movimento, la grana, ma non il colore. Un paziente colpito da infarto cerebrale, con conseguenti danni corticali che pregiudicano in lui la percezione della forma, riesce magari abilmente a copiare uníillustrazione, ma non a comprendere che i tratti da lui disegnati formano ad es. uníimmagine della cattedrale di S. Pietro a Roma. Una maggiore frequenza di immagazzimento ed elaborazione di certi tipi di immagini rispetto ad altre sembra anche dipendere dal sesso. Gli uomini - per esempio - tendono ad ottenere in situazioni sperimentali risultati migliori rispetto alle donne in certi compiti che richiedono abilità spaziali, compiti nei quali il soggetto deve immaginare di ruotare un oggetto in tre direzioni, o in precisioni di mira; le donne riescono meglio in alcuni test di fluidità ideativa o in test di abilità verbale. Non mancano qui, oltre le spiegazioni di diverso apprendimento culturale, quelle filogenetiche. Così, Kimura (1992) afferma: "Durante le migliaia di anni in cui si sono evolute le caratteristiche del nostro cervello agli uomini era necessaria la capacità di trovare la strada su lunghe distanze e di riconoscere la configurazione del territorio da diverse angolazioni; era necessaria anche una buona mira. Alle donne era richiesta la capacità di orientarsi a corto raggio ... una discriminazione percettiva sensibile a piccole variazioni nellíambiente o nel comportamento e nellíaspetto dei bambini". Il mondo dellíimmaginario si evolve non solo in seguito allíesposizione del soggetto e del suo inconscio, anche ancestrale, alle situazioni relazionali più diverse, ma anche in seguito ad una particolare capacità di elaborazione percettivo-ideativa del bimbo, denominata da D. Stern "cross-modality": secondo cui esperienze in un dato campo sensoriale, ad esempio acustico, si trasmettono alla gestualità, al movimento, integrandosi così in figurazioni complesse1. È così che sorge infine la creazione del simbolo linguistico, la quale richiede al nostro cervello una ulteriore elaborazione dellíimmagine. Questíultima può infatti risultare lese anche se líimmagine intrapsichica è indenne. Ad esempio pazienti che hanno subìto lesioni alla corteccia temporale sinistra e a quella parietale inferiore possono mantenere uníesperienza e una rappresentazione normale di un dato colore, ma quando essi cercano di recuperare la forma di parola corrispondente producono suoni di parole distorti foneticamente. E ancora: pazienti affetti da anomia del colore (in seguito a danni al segmento temporale del giro linguale sinistro) continuano ad avere esperienze di colori normali, perdono però in gran parte la capacità di dar nomi ai colori. La creazione del simbolo linguistico viene sinteticamente così descritta da Damasio (1992): I concetti sono archiviati nel cervello sotto forma di registrazioni "quiescenti". Quando vengono attivate, queste registrazioni possono ricreare le sensazioni e le azioni associate a un ente particolare o a una categoria di enti. Una tazza di caffè, per esempio, può evocare le rappresentazioni visive e tattili riguardanti forma, colore, materiale di cui è fatta, nonché profumo e gusto della bevanda o traiettoria che mano e braccio devono compiere per portare la tazza dal tavolo alle labbra. Tutte queste rappresentazioni vengono formate in regioni distinte del cervello, ma la loro ricostruzione avviene in modo sostanzialmente simultaneo. Fin qui il cervello umano è stato il nostro punto di riferimento nella comprensione del mondo immaginario della psiche umana. La distinzione del filosofo Cartesio nel XVII secolo fra res extensa (la materia) e res cogitans (il pensiero) non è più possibile in quella misura categorica, da quando noi studiamo le basi materiali del pensiero stesso; studiamo quelle cellule nervose, che S. Ramon y Cajal, padre degli studi moderni sul cervello, descriveva come "le misteriose farfalle dellíanima, il cui battito díali potrebbe forse un giorno chiarire il segreto della vita mentale. La poesia del linguaggio immaginario e simbolico non manca neppure alla scienza (ed è fonte di ispirazione per lo scienziato), e noi potremmo oggi immaginare i brevi impulsi elettrici che si propagano lungo i neuroni, i cosiddetti "potenziali díazione" come le ali in movimento delle farfalle, di cui parlava ai primi di questo secolo Cajal. Da allora molto cammino è stato percorso. È divenuto possibile studiare líattività nervosa che si frappone fra stimolo e risposta, che corrisponde quindi alla formazione dellíimmagine o del simbolo. È stato accertato ad es. (Goldmann-Rakic, 1992) che la corteccia cerebrale prefrontale funge da intermediaria fra memoria ed azione, ed ha quindi importanza nella formazione del pensiero immaginario in quel breve arco di temo in cui il soggetto non è in rapporto con il mondo, ma con se stesso, con líintroiezione del mondo in sé. Líatto della consapevolezza è un processo mentale che si basa su immagini mentali non necessariamente concettualizzate o simbolizzate, e neppure tutte emergenti alla coscienza. Studi clinici hanno documentato che nellíuomo un danno alla corteccia parietale provoca una perdita di consapevolezza del corpo e dei suoi rapporti con gli oggetti del mondo esterno. Ray Jackendorf postula, come la maggior parte dei cognitivisti, che le computazioni delle immagini della mente siano largamente inconsce, e che ciò di cui diveniamo coscienti sia il risultato che ne scaturisce2. Ma è veramente possibile ridurre al cervello líuniverso dello spirito umano? Il cervello è la struttura più complessa dellíuniverso a noi nota, e il neurofisiologo Jung ebbe a scrivere che, se fosse possibile una rappresentazione della sua complessità in equazioni matematiche, il cervello umano non sarebbe in grado di elaborare tutta líinformazione proveniente da se stesso. E basterebbe poi questa informazione Il neurobiologo Fischbach (1992) afferma: i neurobiologi si chiedono oggi se il cervello basti a spiegare il mistero dellíimmaginazione e degli stati díanimo umani. È a questo punto che in scienza interviene il versante della psicologia e della psichiatria; ossia lo studio dei fenomeni mentali e sociali anche al di là di una loro riduzione alle loro basi materiali, rimanendo invece su un livello fenomenologico. Ciò non implica necessariamente la rinuncia allíanalisi degli elementi fisici, ma dà adito alla comprensione di fenomeni, di processi, di leggi che valgono solo sui livelli superiori di complessità. Se fosse ad esempio possibile uníanalisi molecolare delle aree cerebrali del linguaggio in un disturbo psicotico del pensiero simbolico, essa non ci direbbe tanto quanto lo studio della costruzione del mondo e del Sé nella soggettività del paziente. E così pure la creazione del simbolo del Sé nella dualità affettiva di madre e bimbo alle origini della vita non potrà mai essere oggetto di indagine neurofisiologica, perché fondamento di quella res cogitans che come spirito umano trascende la materia. II. IL PENSIERO FIGURATIVO NEL SOGNO Il sogno come reminiscenza Il pensiero figurativo è in particolare proprio dei popoli primitivi. Levi Bruehl (1966) ci riferisce che gli abitanti della Tanzania "non avevano parole per esprimere le idee astratte.. non potevano esprimere qualità come duro, soffice, rotondo, alto, basso etc. Per esprimere "duro" dicevano "simile ad una pietra", per "alto" "gambe lunghe", per "rotondo" "simile ad una palla", o "simile alla luna", e così via, sempre accompagnando le parole con gesti intesi a mettere dinanzi agli occhi dellíinterlocutore líoggetto descritto". Quando avviene "una transizione a tipi mentali superiori, questo linguaggio deve essere abbandonato; concetti logico-astratti generali, privi di immagini, ne sostituiscono i "concetti-immagine", vividi, ricchi di particolari sensoriali" (Sacks). Ora, è stato più volte detto, ritenuto, che nel sogno si continui questíepoca arcaica della mente umana; che il sogno sia una regressione sia al passato individuale anche più lontano, sia anche a quello archetipico dellíumanità (e non mancano i neurofisiologi che postulano un tipo regressivo di preorganizzazione neuronale). Il filosofo Nietzsche riteneva ad es. che nel sogno "si perpetua uníepoca primitiva dellíuomo, che non potremo più raggiungere per via diretta". Riflessioni simili si trovano anche in Freud, il quale riteneva che ciò che oggi è legato simbolicamente doveva un tempo lontano rappresentare uníidentità (vedi il suo XII saggio metapsicologico del 1985, solo recentemente ritrovato). La relazione simbolica veniva vista da lui come un residuo di una più profonda identità arcaica. Siffatte ipotesi sono difficilmente confermabili dal punto di vista storico, mentre dal punto di vista psicologico esse non sono né testabili né falsificabili. Noi non potremo mai conoscere per bocca dellíinfante cosa ci sia, nella psiche umana, al di là di quella "rimozione primaria" (Lacan) che ha scisso alle origini la mente fra oggetto e soggetto, fra il cosiddetto "reale" (Lacan) e il simbolo; líesperienza "globale" di Stern equivale, nel senso della non conoscibilità, al "noumeno" di Kant. Ipotesi psicologiche non verificabili hanno solo la funzione (significativa) di costruire modelli della vita psichica su cui organizzare le esperienze della psicoterapia. È certo intanto che il pensiero figurativo, sia immaginario che simbolico, è proprio del sogno come di nessuníaltra forma di attività mentale. È vero, come esporremo in seguito, che in situazioni particolari del pensiero umano, come la contemplazione religiosa, estetica, meditativa, líImmaginario e il Simbolico strutturano largamente lo stato mentale; ed è altresì vero che neanche il pensiero astratto può fare a meno di elementi simbolici. Ma dove, come nel sogno, tutto è immagine e simbolo? La psichiatria conosce particolari alterazioni della coscienza, dette "oniroidi", ove la mente pensa solo per immagini. Ma proprio la qualifica di "oniroide" documenta la loro vicinanza al sogno, al pensiero che dal termine greco vien detto nel tentativo di comprendere il significato del sogno (problema antico di millenni, battezzato in scienza dal 1900 con Freud e da allora, come tutti i grandi problemi della mente, mai definitivamente risolto) muovo da un progetto fisiologico: quello di concepire le funzioni del sogno nel triplice ventaglio della memorizzazione, della simbolizzazione e dellíattività ristoratrice del sogno. La scoperta fondamentale della psicoanalisi è stata con Freud quella di accedere al passato anche infantile, e non più cosciente, attraverso la memoria latente del sogno. Per lo più questa memoria è cifrata, per motivi che discuteremo in seguito; ma essa può anche, in casi singoli e istruttivi, sorprenderci con una vividezza di particolari, di cui nulla era rimasto nel ricordo della veglia. Una paziente in psicoterapia, che accusava disturbi di natura psicosomatica, sogna di essere una bimba di tre anni, accanto a sua sorella maggiore, tredicenne. Lei si trova in un locale sconosciuto, ove irrompono tre giovani che abusano sessualmente di lei e della sorella. La paziente si sveglia dal sogno perplessa; non riesce a ricordare nulla che vada in direzione del sogno. Si decide allora a raccontarlo alla sorella, la quale le conferma che le immagini del sogno corrispondevano perfettamente alla lontana realtà, di cui alla piccola per un riguardo non era stato fatto più cenno. Non solo il numero dei ragazzi che fecero violenza alle bambine, ma perfino i particolari del locale raffigurato dal sogno corrispondevano al ricordo della sorella maggiore. Questo è un esempio di memorizzazione singolare, senza alcuna trasformazione simbolica. In che modo il sogno può favorirla? Nellíuomo, eludendo le resistenze emotive al ricordo, le quali sono maggiormente legate allíIo sveglio, all'Io morale del soggetto. Da un punto di vista neurofisiologico questíultimo aspetto non può certamente apparire, ma vi è un riscontro interessante alla teoria della memorizzazione. Cito Wilson, di cui riferisco la più recente formulazione del 1991. Il suo assunto fondamentale è quello che i sogni rappresentano nei mammiferi e nellíuomo un meccanismo di memorizzazione delle esperienze della veglia, che vengono così elaborate in immagini stabili, per divenire base comparativa di nuove esperienze. Líautore ha osservato che un caratteristico segnale neuroelettrico, da lui chiamato "ritmo theta", compare durante la veglia nel cervello dellíanimale, non quando questo esibisce un comportamento determinato geneticamente, come líalimentazione e líattività sessuale, ma solo quando esso reagisce a condizioni di vita ambientale. Nel sonno tale ritmo compare durante líattività onirica nella regione dellíippocampo, notoriamente coinvolta essenzialmente nel processo di memorizzazione. Ecco il reperto che ha indotto líautore allíaffermazione che il "ritmo theta" riflette un processo nervoso mediante il quale informazioni essenziali alla sopravvivenza della specie, raccolte durante il giorno, verrebbero ulteriormente memorizzate durante il sonno, proprio attraverso il sogno. La rete neocorteccia-ippocampo è sottoposta al "ritmo theta" durante il sogno e senza questo, in seguito alla sua abolizione sperimentale, il sogno scompare. Le informazioni cerebrali, ci dice Wilson, vengono suddivise in "pacchetti" di 200 mill isecondi ciascuno dal "ritmo theta". Poiché gli animali non posseggono il linguaggio, le informazioni che essi elaborano sono necessariamente solo sensoriali.Coerentemente alla nostra discendenza dai mammiferi, anche nellíuomo i sogni sono sensoriali, soprattutto visivi, e ne assumono la forma di una narrazione verbale [...] Sempre in conformità con il ruolo di memorizzazione, non cíè alcuna necessità funzionale che questo materiale diventi coscio; ed infatti vi sono individui che sognano raramente in confronto di altri. Ma non vi è neppure motivo per cui il contenuto dei sogni non debba giungere alla coscienza, soprattutto se il risveglio avviene durante o subito dopo la fase di sonno REM. [Wilson conclude con il seguente concetto] qualunque possa essere il suo ruolo nellíetà neonatale, ritengo che allíetà di due anni (quando líippocampo, che è ancora in fase di sviluppo, diventa funzionale) il sonno REM assuma la sua funzione di permettere il processo di memorizzazione. Il substrato cognitivo basilare della memoria è il paradigma del mondo reale, con il quale le successive esperienze dovranno essere confrontate ed interpretate. Líorganizzazione in forma di memoria di questa infrastruttura richiede una fase di sonno particolarmente lunga, come appunto nel bambino. Desidero amplificare qui il concetto di memorizzazione proposto da Wilson in termini strettamente fisiologici. Direi che nellíuomo adulto il ricordo del passato remoto non serve alla sopravvivenza della specie o dellíindividuo, ma alla creazione dellíidentità storica del soggetto. Tale identità storica può anche rimanere in parte inconscia e riemergere nel sogno. Ricordi dellíinfanzia (la strada del paese natio, líedera rampicante sul muro di casa) affiorano talora in certi sogni con una tale vividezza e precisione di particolari, quale nessuna memoria della veglia sa renderci. Il senso di gioia provato al risveglio è forse dovuto proprio al vissuto di un recupero integrale della memoria: nulla del passato va totalmente perduto, nellíinconscio rimane intatta la storia dellíindividuo come mostrano certi particolari e brevi stati di coscienza in individui esposti al confronto con la morte: in un flash di consapevolezza tutto il passato della vita sembra riemergere dallíInconscio e viene sintetizzato anche in un brevissimo arco di tempo, come mai possibile nella veglia usuale. È nella simbolizzazione che consiste il fulcro della funzione psicodinamica del sogno, il quale si distingue dalla veglia nel fatto che quasi tutto in esso è simbolo; tanto che ci è permessa líipotesi essere il sogno un organizzatore fondamentale del pensiero simbolico nellíuomo. Toccheremo in seguito il problema, cosa intendiamo per simbolo, parlando del pensiero umano nella veglia. Qui vogliamo anzitutto affermare che la grande capacità sintetica del simbolo onirico sta nella sua possibilità di ricostruire eventi passati in immagini del presente. Molto spesso noi ci troviamo, nei nostri sogni, in un presente indefinito ove tuttavia si attualizzano grandi problemi del passato. Trattasi, come io la definisco, di una attualizzazione potenzialmente trasmutativa, perché nella ripetizione simbolica si apre uníarea di possibile nuova decisionalità entro un evento già definito dai parametri del passato. Noi abbiamo la possibilità (che è quella del nostro inconscio, non della nostra volontà) di reagire nuovamente e diversamente di prima a qualcosa che in realtà ci ha già determinati. Tale possibilità viene raccolta quando il soggetto fa nel sogno qualcosa che non ha potuto fare mai nel suo passato e che gli permette, in uníarea di dipendenza da aspetti coercitivi dellíesistenza, un vissuto di liberazione e quindi anche una nuova autonomia psichica. È in questo significato della simbolizzazione che rientra il celebre concetto freudiano della soddisfazione del desiderio proibito. Freud ha visto il desiderio soprattutto dal punto di vista istintuale, e la proibizione come censura morale del Super-io. Il sogno, che permette la soddisfazione del desiderio nelle vesti di simbolo, ossia in modo nascosto, ed evita perciò il conflitto con il Super-io, è un "guardiano del sonno". Pur accettando il modello di Freud, suffragato da uníimponente casistica clinica di decenni di ricerca psicoanalitica, e che ha inoltre il grande merito di avere introdotto i concetti fondamentali di una psicologia dinamica nello studio dei sogni e dellíinconscio, desidero allargarlo nei termini sopraesposti. La soddisfazione del desiderio rientra nella realizzazione del sé, il suo motore non è solo il principio del piacere, ma la spinta ad una autonomia della psiche in uníesistenza che la limita e che viene trasformata nel sogno. Il simbolo onirico traveste il desiderio proibito perché esso è il risultato di processi psichici difensivi quali la condensazione di immagini diverse, la contaminazione di uníimmagine con altre, líuso della "pars pro toto", la negazione dellíintenzionalità nascosta. Abbiamo qui tutta la "tecnica inconscia" dellíoccultamento simbolico, così ben scoperta da Freud, che forse nullíaltro di essenziale è stato detto, da lui in poi, in questo campo.Ma la costruzione del simbolo onirico è ambigua: il simbolo non solo occulta, ma anche, allíopposto, rivela, e ciò attraverso un processo, che io denomino la "sensorializzazione dellíesperienza". Dal resto diurno fino al pensiero archetipico, tutto appare nel sogno sotto forma di immagini visive. E poiché noi abbiamo cominciato a pensare non razionalmente, ma per immagini, allora proprio la riduzione dellíesperienza allíimmagine conferisce ad essa una drammaticità espressiva ed una evidenza di pensiero altrimenti impossibile. Talora il desiderio onirico non è affatto proibito ed ha bisogno del sogno solo per divenire trasparente a se stesso, indimenticabile e certo, attraverso la radicalizzazione dellíimmagine. Ecco un esempio fornitomi da un mio paziente il analisi: Vidi Lei, prof. Benedetti, sulla scala della mia abitazione. Eravamo in tre: Io, Lei ed un giovane che in parte si assimilava e in parte si distingueva da me. Io e questo giovane eravamo curvi ad un improbo e faticoso lavoro: quello di estrarre sacchi di immondizia dallo sportello della colonna-condotta vuota ove si gettano i rifiuti che giungono così al raccoglitore situato nel sotterraneo. Il condotto si era ingorgato e noi dovevamo estrarre da quel pertugio-botola i pacchi di immondizia gettativi dentro, che per la loro eccessiva dimensione avevano ostruito il condotto. Líoperazione faticosa e ripugnante riusciva ed io consegnavo a Lei, prof. Benedetti che mi stava accanto in piedi, un sacchetto azzurro di plastica, che contrariamente allíimmondizia circostante era pulito e conteneva un raccoglitore trasparente e sigillato, pieno di un liquido che pensavo a prima vista essere acqua distillata - e che poi si rivelavano essere lacrime. Quale forza di espressione in questo sogno transferale, nel simbolo dellíimmondizia, che faticosamente viene estratta dal passato durante la psicoanalisi, nellíattualizzazione di questo passato attraverso líimmagine del giovane, il paziente di un tempo che lavora a fianco del paziente anziano di adesso, personificato dallíIo sognante. E quale profonda consapevolezza è nel simbolo, che è anzitutto il Sé del paziente, presente e passato, a compiere gran parte del lavoro analitico, mentre il compito dellíanalista è anzitutto quello di sapergli stare accanto. In ultimo abbiamo líimmagine del sacchetto pulito e pieno di lacrime, il quale simboleggia la consapevolezza che dal profondo non viene estratta solo immondizia (la miseria della neurosi) ma dolore umano concreto come il pianto; il quale anchíesso viene consegnato al partner, anzi diviene trasparente ai due (sembrava essere acqua distillata, nel linguaggio del simbolo) proprio attraverso gli atti della comunicazione e delle identificazioni reciproche. Come sarebbe stato possibile esprimere tutto ciò senza il simbolo? La simbolizzazione qui non copre nulla, rende solo evidente quel che nella sua affettività sta al di là della parola che non può venire acquisito dalla mente che attraverso líimmagine. In conclusione, la simbolizzazione del sogno ci mostra uníimmagine ambigua che ora rivela e ora nasconde, ora memorizza e ora spersonalizza, ora concretizza e ora astrae, ora scinde e ora condensa, ora estranea e ora personifica, ora oggettifica e ora soggettifica, ora comunica ciò che può esser riportato ad un resto diurno e ora si rifà ad un passato remotissimo. Non mi è possibile, per motivi di spazio, sostare su queste polarità oniriche che ora si escludono e ora si condizionano a vicenda, ora sono dialettiche ed ora sinergiche; mi limiterò solo ad accennare allíalternativa di oggettificazione e soggettificazione. Il sogno di una donna che nel sonno immagina di partorire un bimbo può esprimere da un canto un desiderio di maternità (interpretazione di oggetto = il bimbo) o anche il simbolo della nascita di un nuovo Sé verso una forma più alta di autorealizzazione (interpretazione di soggetto, messa in particolare a fuoco da Jung). Il sogno ci mostra così una struttura antinomica della conoscenza arcaica, che si contrappone a quella lineare del pensiero razionale. La proposizione razionale ha una struttura binaria, è una scelta fra il sì e il no; líimmagine onirica contiene il sì e il no, è ambigua e perciò interpretabile diversamente. La "sfocatezza" del sogno è visibile anche nel fatto che le strutture mentali di spazialità, temporalità, causalità, ritenute da Kant un a priori della mente umana, possono apparire anche cancellate nel sogno. La doppia valenza del linguaggio onirico si riflette naturalmente nella logica interpretativa, che ne condivide líambiguità, tanto che un critico della psicoanalisi (Jaspers) le ebbe a rimproverare la transmutabilità interpretativa. Ma proprio tale partecipazione del pensiero interpretativo alla struttura della vita soggettiva profonda, che non è riducibile alla obbiettività razionale e diviene comprensibile nellíidentificazione con líaltro, ribalta la "debolezza scientifica" nella forza e penetranza della comunicazione. Il sogno come ristoro dellíattività mentale La scoperta di Dement del 1959 ci aveva fatto ritenere che líesperienza onirica nellíuomo occorresse solo durante certe fasi del sonno, caratterizzate da una particolare frequenza dellíattività elettrica del cervello, registrabile elettroencefalograficamente e simile allíattività della mente durante la veglia. Soggetti svegliati sperimentalmente durante tali fasi, dette REM perché caratterizzate da "rapid eye mouvements" (che sembrano esplorare lo spazio del sogno) ci dicono nove volte su dieci di sognare. Ma negli anni successivi si è appreso che esistono anche sogni NREM, i quali intervengono cioè anche nelle altre fasi del sonno; sembra che essi, anche formalmente e affettivamente diversi, siano più difficili da ricordare, perché solo una persona su tre, svegliate in tali momenti, è capace di riprodurli. Ora, data líimpossibilità della regolarità del ricordo anche nella situazione sperimentale, nulla vieta di ipotizzare la possibilità di una esperienza onirica continua durante tutto il sonno (Strauch e Meier, 1992).È possibile avanzare qui la tesi che, come la veglia è una continua introiezione di percezioni che sovraccaricano la ricettività psichica così i sogni consistono in proiezioni di immagini da cui l'Io dormiente si dissocia. Ricordo líesperienza di ristoro che si fa passando da uníora insonne, in cui i più banali pensieri e ricordi si affollano alla mente, in un dormiveglia in cui ci si osserva e ci si accorge, entrando nel pensiero immaginario del sogno, come immagini oniriche dissociate dallíIo si susseguono secondo ordini loro propri, senza che líIo semidormiente debba costruirle egli stesso. Il flusso dellíattività mentale continua nel sogno, ma líIo, come sdoppiato, ne sta al di fuori, si guarda allo specchio anche quando agisce nel sogno e riposa. La scissione fisiologica fra Io dormiente e Io agente nel pensiero simbolico del sogno permette quella funzione salutare che è il distacco dalla realtà che si riflette nel simbolo. Tale distacco è inoltre tanto maggiore, quanto più puntiforme è la coscienza del sogno, dellíimmagine che torna a dissolversi appena emersa dallíInconscio. Il fatto che la maggior parte dei sogni viene dimenticata, come sempre sottolineato nel loro studio sperimentale attraverso la tecnica del risveglio, trova qui una nuova risposta: non solo la memorizzazione, come proposto da Wilson, ma anche la dimenticanza, come proposto da Crick e Mitchison è importante, e la funzione del sogno, che come tutti i "processi primari della psiche" (Freud) si stende fra estremi opposti e li riunisce dialetticamente, è complessa. Secondo i due autori citati il sonno onirico servirebbe a cancellare regolarmente le associazioni spurie, supponendo che la neocorteccia possa trovarsi nella veglia in sovraccarico per la grande quantità di informazioni in arrivo. Le onde PGO raggiungono, secondo questa teoria, la neocorteccia e provocano la cancellazione, ossia il disapprendimento. "Sogniamo per dimenticare". È possibile applicare tale teoria su un doppio livello: da un canto a proposito di quegli individui che sognano solo raramente; il loro sonno è una cancellazione continua di immagini appena emersi in sogni subito dimenticati. Dallíaltro a proposito di quegli individui che soffrono di sogni ripetitivi, ove non è possibile vedere il soddisfacimento di un desiderio istintuale, mantenuto dalla teoria di Freud. Sono spesso rimasto stupito nellíascoltare dalla bocca di siffatti pazienti, come nulla li avrebbe resi tanto infelici quanto il perdere i loro sogni infelici! Mi sono poi reso conto che qui opera un meccanismo psichico analogo a quello che Freud ebbe a individuare nellíesperienza del lutto: líincontro con il ricordo della perdita permette líusura progressiva della rappresentazione della perdita, e così la dimenticanza. III - IL PENSIERO IMMAGINARIO COME RICEZIONE DI IMMAGINI E COME PROIEZIONE SUL MONDO DELLíATTIVITÀ DELLíIO Abbiamo detto precedentemente che noi da bambini cominciamo a pensare per immagini. Il nostro primo pensiero è immaginario perché legato allíesperienza sensoriale, e da esso emerge, come dimostrato dagli studi di Piaget, il pensiero razionale nel corso di diversi anni di vita. La dialettica del pensiero immaginario sta però nel fatto che esso è non solo ricezione, ma anche proiezione di immagini sul mondo; il che diviene tanto più evidente, quanto più noi passiamo dal bambino allíadulto, al poeta, allíartista, che parlano di sé e del mondo anzitutto per immagini. Rifletteremo in un ultimo capitolo del nostro saggio sulla differenza fra immagine e simbolo. Nella realtà della mente le due esperienze si sovrappongono largamente. Per comprendere il presente dobbiamo avere un modello del passato. Nella nostra ipotesi, che ricostruisce la filogenesi sulla base dellíontogenesi, il pensiero immaginario è nato nella mente umana primitiva con il tradursi di immagini sensoriali provenienti dal mondo esterno in un mondo interno simbolico caratterizzato non più dallíattività del cosmo, ma dallíattività dellíIo. Questíultima si manifestava, sin dai primordi della storia, come proiezione delle immagini interne sullíambiente: così ad es. nella creazione dei miti, così anche nelle prime opere díarte 40.000 anni fa, nelle pitture e incisioni rupestri che raffigurano non solo le forme, ma anche e talora in modo perfino schematico, protosimbolico, i movimenti degli animali. Il surrealismo di talune immagini, la incipiente astrazione delle forme (per cui ad es. come ci dice Denis Vialou (1992) la figura dellíanimale veniva scissa e astratta dal suo fondo naturale) era connesso al pensiero arcaico (magico) di poter agire sulle cose, sugli aspetti della realtà che sovrastavano líuomo, tecnicamente e scientificamente ancora debole, mediante la manipolazione mentale delle immagini. Nel rito (Mircea Eliade) líacqua ad es. veniva sparsa sui campi nella speranza di provocare così la pioggia, il fuoco veniva acceso anche per così ripetere e conservare il movimento del sole. Nel nostro modello, la trasformazione obbiettiva del mondo attraverso la strumentalità umana era simultaneamente costellata dalla trasformazione obiettiva del mondo nella creazione dellíimmagine di esso, in quanto questíultima non è solo percezione, è creazione dellíIo e della sua enorme forza potenziale contenuta nellíideazione. Abbiamo già scoperto questo pensiero nello studio del sogno, che sembra infatti ricapitolare in sé lo sviluppo dellíesistenza umana. La creatività dellíimmagine non è ritrovabile solo nel mondo antico. Proprio in quello contemporaneo noi osserviamo forme di espressione pittorica e scultorea che si distinguono profondamente da quelle dei secoli precedenti perché si servono di immagini staccate dalla percezione di quelle reali, costruite interiormente, espressioni dellíattività dellíIo che (come ebbe a dire lo psicoanalista critico dellíarte Kris) distrugge il mondo per proiettare su di esso un altro mondo proprio. A differenza del pensiero razionale, che nasce nel continuo paragone fra la percezione e la riflessione, líIo e il Non-Io, líipotesi e líesperimento, il pensiero immaginario attinge agli strati profondi dellíaffettività e dellíInconscio; tantíè che conosciamo artisti i quali, come i nostri pazienti, ci dicono di non progettare le loro opere díarte, di non conoscere a priori verso dove líopera iniziata andrà a sfociare. È possibile razionalizzare tutto ciò che noi esprimiamo come pensiero immaginario? In altri termini, il pensiero razionale è la più alta vetta della mente? E, viceversa, quello immaginario è sempre una regressione, una cifra da decifrare, uníattività mentale vicina al sogno e allíinfanzia, cioè agli stati arcaici della mente? Non sembra. Una gran parte del pensiero umano, dallíantichità ad oggi, dai mistici agli psicologi, ad es. da S. Gregorio Magno fino a Jung è di diversa opinione. Jung ci dice che il "simbolo esprime qualcosa in più di quel che la sua traduzione razionale potrebbe dirci [Ö] Se líanimo indaga il simbolo, viene condotto verso rappresentazioni che stanno al di là della comprensione della ragione" (1964). S. Gregorio Magno, a sua volta, parlando dellíelevazione mistica dellíanima, afferma: "ut anima, gratia spiritus afflata, per figuras quam Deum vidaet". "Per "figuras", attraverso le immagini dunque, líanima arriva a Dio. Possiamo allora, viceversa, ritenere che líimmaginario rappresenti la vetta più alta dellíattività mentale? Neanche. Tutto lo sforzo storico del pensiero umano è stato quello dellíastrazione, dalle tracce dei documenti dei popoli primitivi fino alla odierna conquista razionale del cosmo. Dallí"Homo faber" allí"Homo sapiens". Dobbiamo allora concludere: non questo o quel tipo di pensiero, ma la profondità dellíesperire umano in esso è ciò che decide dellíaltezza mentale. Il pensiero razionale in cerca della verità può condurre allí"Imago", e questa reciprocamente ricondurre allíastratto, come nel celebre sogno del chimico Kekulè, che dopo aver invano indagato durante la veglia la struttura molecolare del carbonio, la scopri in sogno, vedendo i 6 atomi che la compongono danzare dandosi le mani in un esagono. Un laureando, che deve scrivere una dissertazione su un testo di Hegel, non riusciva a comprenderne un passaggio. Dopo avere invano riflettuto tutto il giorno sul significato ascoso, egli sogna la notte successiva di incontrare Hegel in persona e di chiedergli cosa egli avesse voluto dire in quella pagina del libro. Del sogno, che è la traduzione della ricerca mentale in una forma di pensiero figurativo, non rimane alcuna traccia nella memoria. Tuttavia, líindomani, rileggendo quel testo, il nostro paziente ricorda improvvisamente il sogno dimenticato; ossia, egli non ricorda la risposta datagli da Hegel, ma invece comprende subito il significato delle righe prima per lui incomprensibili. Noi potremmo qui domandarci come mai il pensiero onirico, che è così povero di logica in confronto a quello ben articolato della veglia, fornisce tuttavia al nostro dormiente quella acutezza concettuale che gli si rivela il giorno dopo rileggendo quel testo di Hegel? Se stiamo attenti al caso, il sogno non ha fornito alcuna struttura logica al pensiero logico della veglia; Hegel non ha spiegato nel sogno il significato ascoso. È invece occorsa la cosa seguente: allo sforzo mentale si è aggiunta la forza del pensiero figurativo, líimmagine, potente dellíincontro con Hegel stesso, e ciò non come una debole fantasia da sveglio, ma come realtà figurativa. Ecco come la "regressione" allíimmagine è sfociata in una "progressione" al concetto. Definizione di simbolo Uníimmagine è simbolica non per il semplice fatto di significare qualcosa. Uníimmagine mnemonica rappresenta ad esempio un passato, ma non ne è ancora il simbolo; essa lo diviene quando in quel dettaglio del passato è sottinteso tutto un arco di tempo che si svolge intorno ad esso. Più genericamente: líimmagine diviene simbolica quando la figura esprime anche dati non esplicitamente contenuti in essa, ma da essa evocati per un rapporto di simmetria parziale. Questíultima significa che due immagini diverse hanno un segmento semantico comune, che permette allíuna (il significante, il simbolo) di essere usata al posto dellíaltra. Uníimmagine può essere, anziché il simbolo, solo il segno di uníaltra. Quando noi diciamo ad es. che le viole sono un segno della primavera che viene, noi esprimiamo un rapporto di temporalità fra lo sbocciare di quel fiore e líinclinazione dellíorbita solare. Il segno è indipendente dalla convenzione culturale. Se noi invece diciamo che la rosa rossa è un simbolo dellíamore, noi usiamo nella nostra cultura un aspetto di essa (la bellezza e il colore fiammante) per significare un movimento dellíanimo caratterizzato anchíesso dalla bellezza e dallíintensità. È interessante notare a questo proposito che studi matematici (Benedetti,1988) hanno potuto appurare una diversa struttura matematica di simbolo e segno. Il simbolo che mette una serie di immagini in rapporto di significati líuna con líaltra, che coglie elementi comuni ad immagini diverse organizzandole in relazioni semantiche, sviluppando così líimmagine dellíimmagine, aumenta enormemente lo spazio mentale dellíesperienza possibile, aggiunge alla percezione e alla rappresentazione líelemento creativo della metafora, dellíallegoria, dellíanalogia. Posso accennare a tre dimensioni fondamentali del simbolo nella evoluzione della mente umana: la dimensione fantasmatica, che corrisponde alla creazione di un secondo universo esistente soltanto nella nostra mente; la dimensione cognitiva, per cui líemergere del simbolo nella preistoria, nella mente ancora mancante di una conoscenza approfondita delle concatenazioni causali degli eventi equivaleva al loro legarsi mentale in certe corrispondenze figurative e forniva così la prima chiave per una comprensione olistica dellíuniverso; e la dimensione affettiva, che permetteva attraverso i grandi simboli dellíesistenza (ad es. metafisici) líelaborazione del dolore della vita, il quale nellí"Homo sapiens" aumentava in proporzione con la complessità crescente della psiche e delle funzioni sociali.Noi dobbiamo renderci conto del fatto che anche il pensiero astratto è nato agli albori della cultura (e in particolare della scrittura) come pensiero figurativo. Le parole scritte erano ancora immagini visive delle cose da esse denominate, ideogrammi che col passare dei secoli, per ovvii motivi di praticità, venivano sempre più abbreviati, schematizzati, fino a divenire non più rappresentazioni di oggetti, ma denominazioni di essi. Facciamo líesempio dellíacqua. Originariamente líindicazione era, nellíantichissimo linguaggio sumerico, la rappresentazione dinamica dellíacqua: un insieme di due linee curve, che ben raffigurano il movimento ondoso. Poi si aveva uníinclinazione della figura di 90 gradi e infine, nel corso dei secoli, nello sviluppo della scrittura "cuneiforme", líindicazione si trasformava in un segnale grafico corrispondente alla nostra A; sigla che non ha nulla a che vedere con il termine latino di aqua, ma che lascia intravedere, a chi la conosce, la figura originaria. Questi segnali grafici e verbali sono "simboli"? Così li chiamano i neurofisiologi, i quali danno importanza alla corteccia prefrontale (che nellíuomo ha subìto uno sviluppo enorme rispetto agli animali più evoluti) per la loro formazione. Essi hanno tuttavia perduto, a differenza dei simboli analogici, qualsiasi relazione immaginaria, solo originariamente presente, con gli oggetti da loro denominati. Possiamo chiamarli simboli denominativi. In psicologia è più opportuno restringere líarea del simbolo a quello analogico; se è anche vero che líintera nomenclatura è, nel senso più vasto della parola, simbolica, è altrettanto vero allora che il simbolico si estende allíintero pensiero razionale, venendosi così a perdere líutilità del termine di simbolo, ossia la sua acutezza nel delimitare la parte dal tutto. La nostra mente non è in grado di rendersi conto della enorme complessità della vita psichica. Questa rimane largamente incosciente, e sono in particolare le immagini incoscienti, come osservato da Jung, a concorrere nella formazione dei simboli, integrandosi ai contenuti mentali. Da ciò risulta non solo líimpossibilità di una completa riduzione razionale del simbolo; ma anche il fatto che i grandi simboli umani (ad es. quelli espressi dallíarte) pronunziano non solo líinconscio degli autori, ma partecipano anche delle proiezioni degli ascoltatori, degli spettatori, per cui líopera díarte acquista un significato esistenziale che può anche essere diverso da quello implicito allíatto della creazione. Ecco perché le grandi opere díarte non sono mai interpretate definitivamente e ogni nuova generazione legge se stessa in essa, ne scopre un volto ascoso, che è spesso il proprio volto3. Ciò ha importanza particolare nella psichiatria e nella psicoterapia: il modo di comprendere un delirio, uníallucinazione, una figurazione simbolica della coscienza è spesso frutto della "dualità terapeutica" che si stabilisce nel colloquio con il sofferente ed è obbiettiva solo nel senso che la soggettività del terapeuta partecipi sufficientemente alla creazione di "soggetti transizionali" che promuovono, sotto forma di una "psicopatologia progressiva" lo sviluppo dellíoggetto della terapia. Patologia psicotica del simbolo La psicopatologia della simbolizzazione è di grande interesse per la psichiatria, perché una caratteristica di una grave malattia mentale, la schizofrenia, è quella di non sapere distinguere bene fra il simbolo e la rappresentazione della cosa. Per chiarire questo concetto ricorriamo ad un esempio, ed osserviamo anzitutto il fatto normale, prima di quello patologico. Nel nostro esempio líacqua nel sacramento del battesimo è un simbolo, perché líacqua versata sulla fronte del bimbo che diviene cristiano non è lo Spirito Santo, ma ha in comune con esso una qualità, líazione purificatrice. Lo Spirito divino lava la colpa originale come líacqua lava lo sporco; líimmagine concreta dellíacqua rimanda a quella astratta dello spirito; per cui leggiamo nel Vangelo: "nisi qui renatus fuerit et aqua et Spiritu Sancto non potest introire in Regnum Dei " (Giov. III, 5). Nel momento in cui la mente ritiene invece che il significante (Lacan) è identico al significato (e non semplicemente lo raffigura, evocandone così la presenza) e che esso significante aderisce semanticamente al significato senza líappercezione delle differenze fra le due immagini, delle parti che nella simmetria solo parziale non sono comuni, allora si ha, con líidentificazione completa dei due termini di paragone, líalterazione psicotica del simbolo; ossia un tentativo di avvicinamento estremo, che non conosce più la stupenda vicinanza cognitiva del simbolo vero e cancella questo proprio attraverso la sua stessa ipertrofia: come nel caso della paziente schizofrenica, che rifiuta di bere acqua, fino quasi a morire di sete, perché "líacqua è la madre", è cioè identica alla propria madre venefica e soffocante. Líacqua come prima sorgente della vita nel grembo degli oceani o in quello della madre (il liquido amniotico) potrebbe essere benissimo il simbolo della madre; ma non già il segno di essa.Abbiamo visto sopra come il segno è indice di causalità e non di sola analogia. Possiamo allora dire che la nostra paziente usa il simbolo come se esso fosse un segno. Nellíinterpretazione segnaletica del simbolo la mente malata pretende stabilire talora un rapporto fisico con la cosa indicata. Così, un malato altamente insicuro si sente meglio solo quando siede su una panca di legno, che converge su di lui un fluido magnetico, "perché la sua donna si chiama signora Legnano". Un piccolissimo frammento in comune fra líimmagine della donna e quella della panca, e ciò è la parola "legno", basta perché uníimmagine si sovrapponga allíaltra; e precisamente in modo tale, che líuna immagine, la panca, non è solo simbolo dellíaltra, ma segno causale della presenza dellíaltra, in quanto il paziente sedendo sul legno si sente virilizzato come sedendo sulla sua donna. Alla base di tale psicopatologia cíè un deterioramento dellíimmagine del proprio Sé e della sua simbolizzazione, per cui il Sé sofferente perde la sua autonomia di fronte al mondo e si confonde con esso. Líimmagine del Sé, che si forma normalmente già nelle prime settimane di vita (Stern,1985) si costituisce soprattutto nellíinterazione con la madre (Mahler) si costituisce quindi come "schema corporeo (Schilder, Jacobson) e costituisce, in uno stadio della vita ancora incosciente, un "protosimbolo" (Benedetti). Da esso nasce, nel secondo anno di vita, il simbolo di Sé, ossia líIo, e così il nome con cui siamo stati chiamati, in cui ciascuna si riconosce. Il nome è anzitutto líimmagine del bimbo ha la madre, líesistenza del bimbo nel pensiero della madre, pensandolo lo simboleggia e dà uníanima ad esso "il paziente psicotico vede ciò che non è stato simboleggiato come un oggetto concreto" (Tommasina). Tuttavia, noi non sappiamo, mai abbastanza in quali casi le cose stanno così e cosa avviene nellíarcano della vita post -natale fra madre e bimbo. Forse, non lo sapremo mai sufficientemente, ma è il modello psicostorico che nellíambito della dualità psicoterapeutica stimola i grandi movimenti della psiche. Certa è la psicopatologia: la perdita patologica della immagine del proprio Sé nella malattia (osservabile nel vissuto psicotico della spersonalizzazione (Bleuler,1911) induce il paziente adulto ad una continua ricerca di simboli di Sé nel mondo circostante, che pertanto diviene, nel delirio di riferimento, un continuo specchio aberrante del Sé. Dato inoltre che a percezione degli aspetti positivi del proprio Sé soffrono anzitutto, allora i surrogati speculari della realtà esterna sono tutti, più o meno, negativi. Il vissuto di un "Sé invariabile" (Peciccia), che ciascuno di noi realizza inconsciamente e che ci protegge delle influenze esterne, manca al paziente psicotico, il quale si sente violentato da quella stessa realtà che egli disperatamente ricerca, e che, per la trasformazione dei simboli in segni, agisce su di lui determinandolo interiormente con una magica causalità. Il disturbo della simbolizzazione nella schizofrenia, che oggi è allo studio della psichiatria, e a cui io e il collega Peciccia ci siamo dedicati nel corso degli ultimi anni, va riconosciuto come oggetto storico della ricerca psicologica anche in contesti di pensiero, che non fanno riferimento diretto al simbolo.Il primo, ad affrontare il problema, pur con un vocabolario del tutto diverso, è stato Freud. Pur senza parlare affatto di simbolo, ma occupandosi invece della Libido, Freud ha lumeggiato il processo psicopatologico per cui líinfermo confonde il suo Sé con il non Sé, confonde il pensiero con la materia, il proprio Io con aspetti concreti del corpo, ossia col non-io. Così, Freud descriveva ad es. la paziente psicotica, che volendo dire come il suo fidanzato infedele le avesse stravolto la testa, affermava che i propri occhi non stavano più al loro posto nel capo: "er hatte ihr die Augen verdeht", le aveva girato gli occhi. Freud concettualizzava il fenomeno della confusione fra Sé interno e Sé esterno, fra líimmagine psichica della vista e la rappresentazione corporea degli occhi (ossia, diremo noi, la perdita del simbolo della visione spirituale) con il suo assunto, che la Libido in questa malattia viene dissociata dallíoggetto e rifluisce alla rappresentazione verbale di esso, la quale aumenta così di spessore; la parola diviene la cosa, non è più, diremmo noi, un simbolo della cosa. Seguendo un modello concettuale diverso, non più riferito alla Libido, ma già alla struttura dellíIo, un allievo di Freud, Federn, ipotizzava che la confusione fra Io e non-Io fosse causata da una erosione e dissociazione, da una perdita dei "confini dellíIo"-confini esterni, nel qual caso il soggetto si confonde con líoggetto, e confini interni, che delimitano líIo dallíEs, per cui emergono alla coscienza stati psichici arcaici ("stati arcaici dellíIo"). Ancora una volta, dunque, era il rapporto fra Sé e non Sé che stava al centro dellíindagine del fenomeno denominato da Bleuler "spersonalizzazione", il terzo sintomo della triade fondamentale. Mentre Federn riteneva che le rappresentazioni oggettuali attraversassero i confini dellíIo per una perdita di questi, Melanie Klein ipotizzava uníespulsione attiva di essi in seguito ad un meccanismo difensivo, la proiezione paranoide. Ad questa seguiva líidentificazione del soggetto con quelle parti del mondo divenute sedi degli oggetti interni, la "identificazione proiettiva" di Rosenfeld, un allievo della Klein. Noi abbiamo qui osservato che i fenomeni proiettivi psicotici non sono solo provocati dal bisogno di espellere gli oggetti cattivi, o di proteggere quelli buoni minacciati di distruzione interna ed affidati perciò al mondo esterno; ma che essi sono anche ed essenzialmente funzione della relazione simbiotica con il mondo; relazione simbiotica per la prima volta scoperta dalla Mahler, che ebbe a descrivere molte psicosi infantili o come conseguenza di una simbiosi protratta o di una regressione dellíIo alla fase di simbiosi con la madre. I fenomeni simbiotici non sono però necessariamente psicotici. Essi sono stati studiati ad esempio nelle neurosi narcisistiche da Kohut, il quale ebbe a forgiare il concetto di oggetto-Sé per denominare rappresentazioni che intendono contemporaneamente sé e líoggetto. A che cosa è dovuta, allora, la qualità psicotica della simbiosi? Noi abbiamo osservato, che mentre la simbiosi neurotica corrisponde ad eccessivi bisogni simbiotici della coppia, ove ciascun partner ritrova la sua identità solo nel rapporto identificatorio con líaltro, la simbiosi psicotica è fondamentalmente negativa per il paziente, che si esperisce come dissolto nellíaltro, e che esperisce líaltro, anche completamente al di fuori di una partnership, anche completamente anonimo, come una minaccia alla integrità e continuità del suo Sé, che egli non riesce appunto a separare dallíaltro. Da cui líipotesi, maturata nella ricerca comune di Peciccia e mia, che al paziente, manca il simbolo del Sé, manca, secondo la metafora proposta da Peciccia, quella rappresentazione anche inconscia del proprio Sé, che analogamente alla membrana cellulare protegge la struttura interna nello scambio, altrimenti nocivo, con líambiente e permette al soggetto umano la percezione di un "Sé invariante" nella interazione affettiva con chi altrimenti influenza eccessivamente il soggetto stesso (delirio di influenzamento e, infine, di persecuzione). Quanti pazienti si sentono influenzati, determinati, spiati, osservati, contaminati dagli altri, fino al punto di non sapere più chi essi siano! Da qui il ritiro autistico, da qui il delirio, che ci appare come un tentativo di sistematizzare entro un mondo interiore quellíinsieme di relazioni col mondo esteriore, che altrimenti diviene caotico. La ricostruzione delirante rimane spesso minacciosa, ma per lo meno non è più caotica, è al contrario di una limpidezza pseudologica ove il paziente diviene, da vittima inerme, il "deus ex machina" sia della sua vita personale come anche del destino del mondo. Anche il nostro è solo un modello, come quello di Freud, o quello di Federn, o della Klein, o della Mahler. Modelli psicodinamici sono legittimi solo nella misura in cui essi riescono a fornirci per così dire delle carte topografiche, su cui noi impostiamo le nostre strategie psichiatriche e psicoterapeutiche. V. IL LINGUAGGIO FIGURATIVO E PITTOGRAFICO IN PSICOTERAPIA Il linguaggio figurativo, che inizia già nellíambito del sogno e che dello spazio intersoggettivo può estendersi a quello interpersonale della veglia, è stato particolarmente studiato da me e dai miei collaboratori (Peciccia) nella psicoterapia di quelle gravi sofferenze psichiche che sono le malattie mentali o stanno ai loro margini - ove i canali di una sufficiente comunicazione verbale sono spesso impervi. Alcuni vantaggi di tale linguaggio vanno sottolineati: un primo è che la transazione di ordine immaginario permette líaccesso a malati che per motivi di profonda insicurezza si difendono dal rapporto verbale o da questo si sentono influenzati nel loro pensiero. Líimmagine non solo esprime, ma anche vela poeticamente, laddove il concetto mette a nudo e viene talora percepito come un "bisturi psicologico". Inoltre il terapeuta, che nella comunicazione "regredisce" anche lui allíimmaginario e al simbolico, viene percepito dal paziente come una figura vicariante del proprio Sé e non come un osservatore estraneo. Il secondo vantaggio è che il soggetto attraverso il linguaggio pittografico è messo talora in grado di percepire parti di Sé che sul piano verbale sono rimosse dalla coscienza. Il "canale" dallíinconscio allíautoconsapevolezza è talora aperto quando quello del pensiero verbale è ostruito. Il terzo vantaggio è che il linguaggio pittografico, in cui due partner si esprimono successivamente e contemporaneamente, stimola maggiormente líinconscio dei due interlocutori e permette espressioni figurative di stati díanimo solo simbolizzabili e non formulabili in astratto. Il terapeuta fa uníesperienza simmetrica a quella del suo paziente, anche lui si accorge di percezioni del proprio Sé e di quello altrui rimastegli fin allora nascoste. Vi sono infine dei casi in psicoterapia, ove il pensiero figurativo si svolge nella mente del paziente indipendentemente dal suo pensiero razionale. Ad esempio egli descrive la sua situazione diversamente a parole e per immagini. Confrontato con tale dissociazione, il paziente ci dice di aver avuto la sensazione, come se una mano estranea avesse tracciato la figura. Sono questi a casi, ove il pensiero verbale è ancora inibito o limitato da certe resistenze, che vengono superate dal pensiero figurativo, poiché le figure da esso risultanti non implicano una riorganizzazione della sua identità sociale richiesta dal discorso. Talora una confrontazione troppo rapida può allora indurre il paziente a chiudersi nelle sue resistenze, rifiutando líespressione figurativa. Ma la meditazione comune della figura apre sempre più i canali fra figurazione e riflessione, fino a quando il paziente non scopre da se stesso i nessi impliciti alla sua sofferenza. RIASSUNTO: Attraverso una disanima di fenomeni sia neurofisiologici che psicologici, e con riferimento sia alla recente ricerca neuropsicologica sia alle nostre esperienze di psicoterapia, specie con pazienti psicotici, si rileva la grande importanza del pensiero figurativo nella genesi della mente e nella strutturazione della comunicazione. Benedetti, C. (1988): Annahmen zu einer axiomatischen Verstandnis von Zeichen und Symbol. In G. Benedetti, U. Rauchfleisch) Welt der Symbole, Vanderhoeck, Gottingen, 1988. Benedetti, G. (1988): Das Symbol in der Psychopathologie und in der Psychotherapie der Schizophrenie. In, ibidem pag. 214-224. Benedetti, G. (1998): Botschaft der Traume, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen. Bleuler, E. (1911) Dementia Praecox oder die Gruppe der Schizophrenien. In B. Aschaffenburg (a cura di), Handbuch der Psychiatrie, Leipzig/Wien, Deuticke. Cajal, Santiago Ramon, in G. D. Fischbach (1992) Mente e Cervello, Milano, Le Scienze. Crick, F. and Mitchison, G. 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(1986), Brain and Psyche: The Biology of the Unconscious, New York, Garden City. 1 È qui che si innesta la meravigliosa capacità sostitutiva del nostro cervello nel campo delle immagini, quando una data categoria di esse è preclusa da danno cerebrale. Nel suo libro L 'uomo che scambiò sua moglie con un cappello 'uomo che scambiò sua moglie con un cappello Oliver Sacks ci descrive un paziente affetto da agnosia visiva che non poteva riconoscere i suoi studenti mentre questi stavano seduti, ma subito li riconosceva se essi si muovevano, perché realizzava "la musica dei corpi". In "Vedere voci" Sacks ci descrive la capacità acutissima di sviluppare l'esperienza visiva in assenza di quella acustica in soggetti sordi.2 Un problema che qui insorge viene formulato da Crick e Koch (1992): "(SIGMA)se è possibile essere coscienti di più di un oggetto nello stesso tempo. Se tutti gli attributi di due o più oggetti fossero rappresentati da neuroni che scaricano rapidamente, potrebbero essere confusi". Von Der Malsburg ha qui proposto che i neuroni associati con qualsiasi oggetto si attivino tutti in sincronia (nella misura, cioè, che i loro tempi di scarica siano correlati, ma fuori sincronia rispetto a quelli che rappresentano altri oggetti. Non è escluso che con quest 'ordine di pensiero ci muoviamo verso una parziale comprensione della confusione psicotica delle immagini.3 Questo è visibile in un tipo di simbolizzazione che è particolarmente proprio della nostra epoca. Per esporre brevemente questo concetto dirò che due forme classiche di simbolizzazione del passato; una è l 'immagine concreta esistente in natura, che rimanda ad un'altra astratta (ad es. l'acqua che lava come simbolo dello Spirito che purifica); l'altra è l'immagine non esistente in natura, ma strutturate secondo immagini reali, di cui il simbolo, componendole assieme, condensa le qualità (ad es. il "drago" rappresentato nella porta di Ischtar a Babilonia e ora al museo Pergamon di Berlino ha gli artigli dell'aquila, le zampe del leone, il collo e la testa di quel che potremmo oggi chiamare un dinosauro, la coda eretta come un serpente; esso è un simbolo che raccoglie in sé tutta la forza animale di un progetto fantastico. Nelle arti figurative del nostro secolo appare una terza forma di simbolizzazione, appena accennata in epoche precedenti, ove la forma concreta, simbolizzante, è un neologismo figurativo, che può simboleggiare qualsiasi cosa o nulla a secondo della mente che la medita. Siamo di fronte alla ricerca di una libertà di simbolizzazione, che mostra una evoluzione del pensiero umano verso orizzonti che non ci sono noti.Vai al sito ufficiale della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
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