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Consulta altri articoli on-line di Morris Eagle:
- La svolta post-moderna in psicoanalisi 
- Una valutazione critica delle attuali concettualizzazioni su transfert e controtransfert
- Carenze di sviluppo e conflitto dinamico 

Psicoterapia e Scienze Umane, 1991, XXV, 1: 33-46

I CAMBIAMENTI CLINICI E TEORICI IN PSICOANALISI:
DAI CONFLITTI AI DEFICIT E DAI DESIDERI AI BISOGNI

Morris N. Eagle
Derner Institute, Adelphi University, Garden City, N.Y. 11530, USA

(Relazione letta al gruppo di Psicoterapia e Scienze Umane di Bologna il 20-5-1989. Traduzione di Paolo Migone)

Indice:
INTRODUZIONE
CONFLITTO O DEFICIT?
DESIDERI O BISOGNI?
INSIGHT O COMPRENSIONE EMPATICA?
RIASSUNTO
BIBLIOGRAFIA


Negli ultimi anni abbiamo assistito a molto fermento nella pratica e nella teoria della psicoanalisi, in particolare nella teoria. Le aree di fermento riguardano le teorie dello sviluppo psicologico, della patologia, e della terapia. In Nord America vi è un comprensibile interesse per le categorie diagnostiche, recentemente "scoperte", dei disturbi borderline e narcisistici, e una forte tendenza a comprendere queste condizioni dal punto di vista della teoria delle relazioni oggettuali e della psicologia del Sé. Sembra che vi sia un convegno sulla psicologia del Sé ogni quindici giorni, e all'Istituto psicoanalitico a cui sono affiliato, e che conosco meglio, vi è un forte contingente di psicologi del Sé.

Un buon modo per comprendere la natura di una disciplina è ripercorrerne i cambiamenti e capire come essi avvengono. Tenendo presente questo, ecco alcune delle domande a cui voglio cercare di rispondere oggi: Quale è la natura di quello che sembra quasi un "cambiamento di paradigma" della psicoanalisi contemporanea? Come può essere caratterizzato? 

Questi cambiamenti rappresentano un progresso, o invece possono essere meglio concepiti come oscillazioni di un pendolo, mode passeggere, ed espressione di più vasti cambiamenti sociali? Nonostante la frequenza nella letteratura psicoanalitica di termini come "progressi", "ampliamenti di orizzonte", e persino "scoperte sensazionali" agli americani piacciono molto termini come "scoperte sensazionali" che prove abbiamo che i recenti cambiamenti teorici e clinici rappresentino di fatto dei progressi? In altre parole, che prove abbiamo che la storia della psicoanalisi sia stata segnata da un continuo progresso piuttosto che da mode relative a cambiamenti sociali? E che ragione abbiamo di credere che un continuo progresso è quello che ci riserva il futuro alla psicoanalisi?

Lasciatemi ora descrivere alcune caratteristiche specifiche dei recenti cambiamenti clinici e teorici a cui mi riferisco:

  1. vi è un chiaro viraggio dal tradizionale modello della psicopatologia basato sul conflitto, verso una psicologia del deficit, dei difetti, e degli arresti dello sviluppo. Inizialmente, questo viraggio era limitato ad una patologia presumibilmente più severa, ma nella letteratura recente si trova una chiara tendenza a concettualizzare una vasta gamma di patologie nei termini di deficit, difetti, e arresti dello sviluppo. Ad esempio, nei suoi primi lavori Kohut (1971) propose quello che nel mio libro (Eagle, 1984) io chiamo modello bifattoriale, in cui la teoria tradizionale viene applicata ai cosiddetti "conflitti strutturali" nevrotici, e la Psicologia del Sé ai difetti del Sé. Negli ultimi lavori comunque Kohut (1984) e altri psicologi del Sé tendono a concettualizzare sempre di più tutta la patologia nei termini di difetti del Sé, con poco o nessun spazio per i conflitti intrapsichici; 

  2. parallelamente al viraggio di enfasi dai conflitti ai deficit, vi è un viraggio dai desideri ai bisogni. Kohut sostiene che il concepire la patologia e le sue espressioni transferali nei termini di desideri infantili sessuali ed aggressivi comporta l'imposizione sul paziente di una "moralità adulta" che tende a criticare e a disapprovare, mentre la comprensione del paziente nei termini di bisogni originati da difetti del Sé tende ad essere più empatica e terapeutica; 

  3. per quanto riguarda il processo terapeutico, c'è stato un viraggio che implica una diminuzione di importanza dell'interpretazione e dell'insight, e un aumento di importanza del ruolo della comprensione empatica e della relazione paziente terapeuta. Kohut (1984) dice esplicitamente che l'insight non è curativo, e che la comprensione empatica da parte dell'analista e altri fattori associati (come le frustrazioni ottimali e il riconoscere i propri errori) sono gli ingredienti curativi nel trattamento psicoanalitico; 

  4. inoltre, sempre riguardo al processo terapeutico, vi è stato un chiaro viraggio nella stessa definizione e concezione di concetti chiave come transfert, controtransfert, e neutralità analitica. Ad esempio Gill (1982) ha ridefinito il concetto di transfert in modo tale che è diventato sostanzialmente sovrapponibile alla relazione terapeutica. E in certi ambienti la ridefinizione del controtransfert come equivalente a tutte le risposte emotive da parte dell'analista ha dato al termine un significato che è all'opposto di quello inteso da Freud (1925).

  5. Infine, un'altra caratteristica dei recenti viraggi clinici e teorici è la tendenza a concettualizzare il cambiamento e il processo terapeutico non in termini di insight, consapevolezza, e risoluzione del conflitto, ma nei termini di una ripresa del normale sviluppo, e di metafore (sebbene esse siano spesso comprese letteralmente piuttosto che solo come metafore) come la riparazione di difetti del Sé e la costruzione di strutture psichiche.

Come possiamo spiegarci questi cambiamenti radicali cambiamenti che hanno modificato la faccia stessa, e potremmo dire il cuore stesso, della psicoanalisi? Rappresentano realmente progressi, avanzamenti, ampliamenti di orizzonte, scoperte sensazionali? In caso contrario, cosa rappresentano? È cambiata la patologia? In caso contrario, perché viene concettualizzata così diversamente che in passato? Una terapia condotta secondo le concezioni attuali è più efficace ed appropriata? Non posso discutere qui tutti questi problemi. Lasciatemi comunque trattare brevemente alcuni di essi.

Conflitto o deficit?

Incomincio col viraggio da una psicologia del conflitto a una psicologia dei deficit, difetti, e arresti dello sviluppo. Prima di affrontare questo problema più a fondo, voglio fare una considerazione storica. Mi sembra ironico, e persino divertente, notare che nelle sue forme generali questo viraggio dal conflitto interiore ai difetti o deficit strutturali rappresenta un ritorno al pensiero prepsicoanalitico di Charcot e Janet. Esso cioè ripercorre all'incontrario il cammino storico compiuto per passare da una prospettiva prepsicoanalitica a una prospettiva psicoanalitica. Anche se i dettagli eziologici differiscono, le linee generali e la logica sono gli stessi. Invece dei difetti della personalità e dei fallimenti integrativi come prodotto di debolezza costituzionale, i difetti del Sé sono ora visti come il prodotto di fallimenti genitoriali traumatici. Quella che comunque rimane la stessa è la concezione della patologia nei termini di debolezza strutturale e deficit.

Storicamente e concettualmente, la vera nascita della psicoanalisi è la sostituzione da parte di Freud della idea centrale di deficit e di debolezza integrativa, con l'idea del conflitto interiore e dell'estromissione da parte del soggetto di contenuti mentali inaccettabili alla coscienza. Secondo la storia psicoanalitica ufficiale, prevalsero le concezioni più corrette e valide di Freud, e le più statiche concezioni prepsicoanalitiche di Janet e dei suoi seguaci furono relegate alla cenere della storia. Ebbene, non proprio. Queste idee ora riappaiono camuffate in abiti nuovi, senza naturalmente che vengano riconosciute le loro radici storiche. Una delle domande che ci possiamo porre è in che modo una psicologia del deficit, reminiscenza della psicologia prepsicoanalitica di Janet, possa essere una teoria psicoanalitica.

A parte i problemi delle radici storiche, cioè la questione se una pura psicologia del deficit sia una psicologia psicoanalitica, vi sono altri problemi di fondo che devono essere considerati. Uno di questi problemi è se sia legittima una dicotomia tra difetti dello sviluppo e conflitto interiore, e se una eccessiva enfasi al deficit fino alla esclusione o minimizzazione del conflitto non sia regressiva e impedisca una più piena comprensione clinica o teorica. Ho argomentato contro una tale dicotomia altrove (Eagle, 1984), e non voglio ripetere qui i dettagli di quella tesi. 
Voglio comunque ripetere alcune delle osservazioni principali. Una di queste è che i difetti e i conflitti non rappresentano alternative dicotomiche o opposte, ma differenti prospettive complementari sulla patologia. Così, persino nella teoria classica, fissazioni a diversi stadi psicosessuali sono, in modo importante, sia arresti dello sviluppo che fonte di conflitti interiori. Un'altra importante osservazione è che traumi e deprivazioni che producono difetti e arresti dello sviluppo tendono a generare anche conflitti. Così, una persona deprivata di amore e cura diventa conflittualizzata in aree coinvolte nel dare e ricevere amore. Una concezione della patologia basata semplicemente sul deficit può essere descritta come un modello di "deficienza compensazione", in cui si suppone che i traumi e i difetti dello sviluppo siano compensati da esperienze terapeutiche adulte. Questa visione della patologia e del trattamento mi colpisce come ipersemplificata e non realistica. lo ho suggerito che una immagine più fedele degli effetti di traumi e deprivazioni è ritratta dall'idea di una reazione allergica alla medesima "sostanza" della quale una persona era stata deprivata (Eagle, 1977, e in stampa). È come se qualcuno deprivato di amore e cura diventasse con più probabilità allergico alla medesima cosa della quale era stato deprivato. Queste reazioni complesse e conflittuali che si hanno verso il trauma e la deprivazione sono proprio quelle che rendono il processo terapeutico molto più difficile e complesso di quanto non sia semplicemente la compensazione o correzione di carenze precoci.

Soprattutto, un modello della patologia basato sul difetto o sul danno, particolarmente quando l'idea del danno è reificata e compresa letteralmente piuttosto che metaforicamente, sottovaluta il grado con cui l'esperienza di se stessi come danneggiati può rappresentare un significato inconscio che, almeno in parte, costituisce una formazione di compromesso e un modo (regressivo) per risolvere un conflitto. Come nota Mitchell (1988), considerarsi difettosi o danneggiati significa sentirsi interamente come vittime passive e non riuscire a riconoscere la possibilità che si coltivi e si perpetui il senso di danno come uno stile di vita, come una organizzazione del Sé, e come un modo di rapportarci agli altri. Accettare il senso di danno di un paziente semplicemente come un riflesso letterale di un reale difetto del Sé o di una debolezza strutturale vuol dire, come sottolinea Levine (1979), confermare le peggiori paure del paziente (e qualche volta, aggiungerei, i suoi desideri), e precludere la possibilità di una esplorazione psicoanalitica di quel senso di danno il suo significato psichico inconscio e gli scopi e le funzioni psichiche a cui serve. In questo modo non tratta il senso di danno come un sintomo che, come ogni altro sintomo, deve essere esplorato e compreso nei termini del ruolo giocato nella struttura caratteriale del paziente, nella sua economia psichica, e nel suo stile di relazione con gli altri e col mondo.

Dovrebbe essere chiaro che il problema non è se e fino a che misura uno è, di fatto, danneggiato o difettoso - ognuno è "danneggiato" in un qualche modo e in una certa misura - ma, qualunque sia il reale grado di difetto, l'utilizzo psicodinamico che viene fatto del senso di danno. Secondo me, è l'esplorazione di questa psicodinamica quella che costituisce la prospettiva psicoanalitica. Altri approcci che correggono, riparano, e gestiscono pretesi difetti possono anche essere terapeuticamente efficaci. Ma non vedo in che modo essi possano essere compresi come approcci psicoanalitici.

Mi sembra che uno dei fattori sottostanti alla dicotomia conflitto deficit sia l'implicita assunzione che una psicologia del conflitto è necessariamente limitata al modello tradizionale del conflitto Io Es. Quindi, abbandonando la teoria delle pulsioni di Freud, l'assunto implicito fu quello di abbandonare del tutto l'importanza del conflitto interiore. Quella che non fu considerata a sufficienza fu l'idea che la gente può essere conflittualizzata tanto per i desideri e i bisogni di cui si occupano gli psicologi del Sé e i teorici delle relazioni oggettuali, quanto per i desideri sessuali e aggressivi enfatizzati dalla teoria classica.

Desideri o bisogni?

Lasciatemi ora fare un breve esame del viraggio di enfasi dai desideri ai bisogni. Dovrebbe essere evidente che esso è parallelo al viraggio di enfasi dai conflitti ai difetti. Kohut cioè crede che i desideri siano qualcosa per i quali si è in conflitto, mentre i bisogni sono generati da difetti, da "strutture difettose responsabili di un funzionamento difettoso" (Kohut, 1984, p. 86). Secondo Kohut, le interpretazioni della teoria tradizionale sul comportamento, concepito come resistenza contro l'abbandono di desideri infantili e come "l'aggrapparsi a piaceri pulsionali del passato che devono essere contrastati dal principio di realtà", riflettono una "moralità adulta" e sono percepite dal paziente come "ipercritiche e disapprovanti", mentre le interpretazioni della psicologia del Sé nei termini di bisogni generati da strutture difettose evitano moralismi e sono "di rafforzamento per lo sviluppo" (1984, pp. 9091). In breve, Kohut distingue la psicologia del Sé dalla teoria psicoanalitica tradizionale in parte sulla base del fatto che quest'ultima interpreta i comportamenti transferali e le fantasie del paziente nei termini di desideri infantili che devono in definitiva essere abbandonati, mentre la psicologia del Sé interpreta i comportamenti transferali del paziente in termini di bisogni che devono essere capiti dal terapeuta e in parte soddisfatti. Ad esempio, il paziente forma rapporti oggetto Sé arcaici non perché lui poi non abbandonerà il desiderio di gratificare i desideri infantili, ma perché i suoi difetti del Sé non gli lasciano alternative. Come dice Friedman (1986), secondo Kohut "il paziente non soffre per scelta (from a preferred state), ma per costrizione (from a stunted state)" (p. 345). O, per dirla in altro modo, i pazienti non ricercano mai scopi "malati" con una qualche attrazione intrinseca, ma piuttosto sono costretti a perseguire certi scopi arcaici a causa di traumi o difetti. Si assume che quando saranno corretti i difetti del Sé e saranno acquisite le capacità funzionali mancanti, il paziente semplicemente non avrà più bisogno di mantenere rapporti oggetto-Sé arcaici.

Basch (1986) riassume questo processo dicendo che

attraverso l'interpretazione, prima del bisogno (cioè di essere perfettamente rispecchiato c/o di fondersi con una figura idealizzata) e poi dell'origine del bisogno, l'analista offre un legame empatico piuttosto che un legame basato sul soddisfacimento del desiderio del paziente di rivivere il passato sotto circostanze più favorevoli (p. 411).

Mi sembra ed è esplicito nel passaggio citato da Basch che nonostante le esplicite affermazioni di Kohut anche lui parla di desideri del paziente piuttosto che di bisogni. O almeno, persino nel resoconto di Kohut non vi è una chiara distinzione tra desideri e bisogni. Lasciatemi tornare sull'affermazione di Basch. Perché Basch si riferisce sia ai desideri che ai bisogni? Se, a causa di traumi precoci e conseguenti difetti del Sé, si ha bisogno di essere perfettamente rispecchiati o di fondersi con una figura idealizzata, perché introdurre l'idea di un desiderio "che il passato sia rivissuto sotto circostanze più favorevoli"? Perché un perfetto rispecchiamento e una indisturbata idealizzazione non potrebbero costituire il passato rivissuto sotto circostanze più favorevoli? 

In altre parole, i pretesi bisogni di essere perfettamente rispecchiato e di fondersi con una figura idealizzata non sono sostanzialmente equivalenti a un desiderio che il passato sia rivissuto sotto circostanze più favorevoli? In breve, le fantasie di essere perfettamente rispecchiato e di fondersi con una figura idealizzata sono meglio comprese non come bisogni reali, ma come "bisogni percepiti" che, in certi contesti, si possono considerare come psicologicamente equivalenti a desideri. Queste fantasie sono cioè comprese meglio come desideri legati alla convinzione (largamente inconscia) che solo se essi sono gratificati è possibile evitare terribili minacce alla integrità e alla coesione del Sé.

La ragione per cui Kohut concepisce i desideri di essere perfettamente rispecchiato e di fondersi con una figura idealizzata come bisogni piuttosto che desideri è la sua assunzione implicita che il solo tipo di desideri che si possono avere sono i desideri infantili sessuali ed aggressivi che Freud enfatizzò nella teoria delle pulsioni. Quindi sembra che, abbandonando la teoria delle pulsioni, egli creda di dover respingere anche il ruolo dei desideri, e di dover concepire un'enfasi sui desideri infantili come equivalente all'imposizione ai pazienti di una "moralità adulta" che in quanto tale è "ipercritica e disapprovante". Quindi, il comprendere i pazienti come persone che rispondono a bisogni generati da strutture difettose piuttosto che a desideri motivati da un attaccamento a "piaceri infantili del passato" viene ritenuto di per sé più empatico e accettante.

Prima di tutto, non sono d'accordo con Kohut sul fatto che comprendere il comportamento di qualcuno come derivato da desideri infantili sia necessariamente e in se stesso moralistico e ipercritico. Né accetto le limitate opzioni offerte da Kohut e precisamente, un'immagine del paziente come un bambino viziato o come una creatura difettosa. Non sono affatto sicuro che una cosa sia chiaramente preferibile all'altra. L'immagine di un bambino viziato può essere moralistica e ipercritica, ma l'immagine di una creatura difettosa è degradante e condiscendente. In ogni caso, per Kohut ci sono solo queste due opzioni, perché lui non lascia spazio alla possibilità che vi siano altri desideri infantili oltre a quelli sessuali ed aggressivi. Come ho detto, cosa è il desiderio di essere perfettamente rispecchiato e di rivivere il passato sotto circostanze più favorevoli se non un desiderio infantile? Cosa è il desiderio di fondersi con una figura idealizzata se non un desiderio infantile? E che dire dei desideri collegati alla dipendenza e all'attaccamento? 

Inoltre, per tornare per un momento al problema della supposta dicotomia conflitto deficit, questi desideri sono inscindibili dai conflitti che hanno a che fare con simbiosi e separazione, dipendenza e indipendenza, intimità e isolamento, e così via. Certamente essi non sono puri e semplici bisogni che, se soddisfatti, risultano in un normale e tranquillo sviluppo una concezione dello sviluppo che Mitchell (1988) descrive come "botanica", molto simile alla crescita di una pianta alla quale si dia sufficiente luce ed acqua.

Comunque, il principale problema legato a una concezione della patologia (e della terapia) limitata a bisogni da soddisfare, e che esclude il ruolo di desideri che vengono perseguiti, è che essa maschera e ignora il ruolo critico delle strategie attive del paziente nell'organizzare uno stile di vita e una attiva fedeltà a quello stile di vita particolarmente quando quelle strategie e fedeltà sono rivissute nel transfert. Spesso le persone si aggrappano ostinatamente e rimangono fedeli a modalità di relazione che provocano a loro una gran quantità di dolore e sofferenza. Di fatto, il dolore può servire come un importante veicolo di intenso attaccamento. Chiunque abbia lavorato con donne maltrattate, ad esempio, sa che una frequente risposta alla domanda sul perché la donna ritorna sempre di nuovo alla relazione maltrattante e a suo marito è 'lo amo". E non è raro trovare che la donna maltrattata stia dalla parte del marito contro un estraneo quando lei teme una minaccia alla relazione. Similmente, una comune osservazione clinica è che molti bambini maltrattati si aggrappano in modo persino più intenso e straziante ai loro genitori maltrattanti. Si osserva lo stesso fenomeno in una serie di studi su animali che spesso rispondono al maltrattamento del loro padrone mostrando un attaccamento uguale o persino rafforzato (vedi ad esempio Fisher, 1955, per il maltrattamento di cani; Harlow & Harlow, 1971, per il maltrattamento di scimmie; Ratner, 1976, per il maltrattamento di uccelli). Come Harlow & Harlow (1971) affermano, "invece di produrre una nevrosi sperimentale abbiamo raggiunto una tecnica per aumentare l'attaccamento materno" (p. 206).

Si sa che spesso i pazienti in modo attivo, anche se inconsciamente, tentano di evocare e ripetere queste modalità di relazione nel transfert. Mi sembra che un punto di vista che concettualizza queste modalità ripetitive patologiche unicamente nei termini di "strutture difettose responsabili di un funzionamento difettoso", o di arresti indotti meccanicamente da traumi e fallimenti precoci, non rende giustizia del fatto che i pazienti ricercano attivamente certe modalità di relazione, rimangono ostinatamente fedeli ad esse, e resistono dall'abbandonarle. Le modalità di comportamento patologico ripetitive non sono semplicemente espressioni passive di difetti e arresti, ma sono attivi stili di vita, modi di relazione e di soddisfare i propri bisogni. I difetti forse sono adatti a spiegare cosa una persona "non può fare"; essi servono meno a rendere conto di quello che una persona fa, incluse le strategie e i modi per farlo. Ignorare o minimizzare l'importanza di strategie attive e di fedeltà altamente motivate nella vita del paziente e nel trattamento vuol dire, secondo me, abbandonare gli insight e le prospettive fondamentali che distinsero il pensiero psicoanalitico da quello prepsicoanalitico.

L'idea che i legami arcaici non sono più ricercati una volta che sono stati riparati i difetti del Sé perché essi non sono e non furono mai inerentemente gratificanti o appetibili sembra a me in contraddizione con molti fenomeni clinici e con certe realtà del comportamento, delle motivazioni, e della natura dell'uomo. Se non altro, certe fantasie e desideri arcaici come i desideri di unione simbiotica sono gratificanti in quanto tali, e probabilmente universali e duraturi, sebbene espressi in modi diversi in diversi stadi della vita (vedi Silverman, Lachmann & Milich, 1982). Essi non hanno bisogno di essere generati solo da strutture difettose.

Infine, le persone irretite e fissate in legami arcaici spesso sono intensamente fedeli a coloro a cui sono legate (o, più precisamente, alla loro immagine interiorizzata). Per molte di queste persone, liberarsi da tali legami equivale inconsciamente a tradire l'altro e a sperimentare l'intensa colpa che comporta quello che da loro viene percepito come un tradimento. Per tali persone e sospetto che questo è caratteristico di tutti i legami arcaici una relativa libertà da legami arcaici e lo stabilirsi di rapporti più soddisfacenti e maturi non è semplicemente questione di riparare strutture difettose (assumendo che si abbia una chiara idea di cosa quest'ultima cosa. voglia dire), ma implica passioni e sentimenti molto profondi fedeltà primitive, tradimenti, sensi di colpa, fantasie tutte cose non facilmente eliminabili.

Insight o comprensione empatica?

Voglio ora parlare del viraggio dalla tradizionale enfasi sull'interpretazione e sull'insight come principali veicoli terapeutici, a un'enfasi al potere curativo della comprensione empatica dello stato esperienziale del paziente. Lasciatemi cominciare col dire che nel mio lavoro clinico e di supervisione sono stato colpito dalla importanza terapeutica di quello che gli psicologi del Sé chiamano atteggiamento empatico, e dalla frequente necessità per alcuni pazienti di periodi di comprensione empatica senza ulteriori interpretazioni esplicative. Infatti, credo che uno dei principali contributi tecnici di Kohut sia stato quello di ricordarci l'importanza dell'atteggiamento empatico, per contrastare la pesantezza, la freddezza, il distacco emotivo, l'eccessiva intellettualizzazione, e altre distorsioni e caricature dell'atteggiamento analitico in generale e della neutralità analitica in particolare. Detto questo, comunque, si devono sollevare certe questioni teoriche e cliniche riguardo all'importanza straordinaria e quasi esclusiva data alla comprensione empatica.

Perché è così importante sentirsi capiti e percepire la comprensione empatica dell'analista? In che modo ciò porta alla riparazione dei difetti del Sé e alla costruzione di strutture psichiche? Si possono dire molte cose nel tentare di rispondere a queste domande, e non ho tempo per dirle tutte. Voglio comunque fare alcune osservazioni. Mi sembra che si può capire la straordinaria importanza che Kohut assegna alla comprensione empatica quando ci si rende conto che per Kohut il rispecchiamento empatico è considerato un bisogno universale dello sviluppo il cui adeguato soddisfacimento viene ritenuto necessario per la formazione di un Sé coeso. Quindi, il fornire un rispecchiamento empatico può essere concepito come il venire incontro a vitali bisogni maturativi non soddisfatti il che, a sua volta, facilita la ripresa dello sviluppo e il rafforzamento del Sé. Kohut può non dire tutto ciò esplicitamente, ma èchiaramente implicito nella logica delle sue formulazioni.

Poco fa, discutendo il ruolo maturativo dato al rispecchiamento empatico, naturalmente mi riferivo implicitamente alla teoria eziologica di Kohut. E qui abbiamo un altro netto viraggio nella teoria psicoanalitica da un'enfasi sulla realtà psichica interiore a un'enfasi sul ruolo dei traumi e dei fallimenti ambientali reali. È come se lo storico passaggio di Freud dalla teoria della seduzione alle fantasie fosse stato invertito. Nonostante alcune affermazioni di Kohut in senso contrario, la sua teoria eziologica è basata sull'assunto di reali fallimenti traumatici genitoriali. Di fatto, egli specula che questi errori genitoriali, che producono difetti del Sé nei bambini, sono essi stessi un prodotto di difetti del Sé genitoriali (ma non sembra rendersi conto che questa linea di ragionamento comporta una regressione infinita). Si trova una simile enfasi sui fallimenti genitoriali reali anche nella teoria delle relazioni oggettuali di Fairbairn (1952), con l'importanza da lui data agli "oggetti cattivi" e alle "situazioni di oggetti cattivi".

In Nordamerica vi è stata una oscillazione del pendolo tale che la tradizionale enfasi freudiana sui desideri, fantasie, e significati intrapsichici viene presa in alcuni ambienti come equivalente al dare la colpa alla "vittima", e quindi è respinta in favore del mettere in luce supposti abusi ed errori genitoriali. Le posizioni sugli effetti del maltrattamento ai bambini, inclusa la violenza sessuale, in Nordamerica rappresentano un espressione di questa tendenza, e hanno influenzato il pensiero psicoanalitico.
Vi sono altri aspetti dei cambiamenti clinici e teorici nella psicoanalisi che potremmo esaminare se vi fosse tempo sufficiente: ad esempio, l'interesse per le cosiddette condizioni preedipiche; le concezioni del transfert e del controtransfert, che, come notato prima, sono radicalmente cambiate; un rifiorire di interesse nello sviluppo infantile e nelle interazioni madre bambino, come emerge ad esempio nel lavoro di Stern (1985) e Emde (Emde & Robinson, 1979) e così via. Dobbiamo comunque fermarci qui e chiederci: dove porta tutto ciò per quanto riguarda il futuro della psicoanalisi? lo ho suggerito che alcuni aspetti centrali della psicologia del Sé costituiscono un ritorno al pensiero prepsicoanalitico di figure come Janet e la sua scuola la quale, il che è abbastanza interessante, sotto la etichetta di "neo-
dissociazionismo" ha visto una specie di revival fuori dai circoli psicoanalitici (ad esempio Hillgard, 1977). Non penso che si possano legittimamente descrivere questi sviluppi come progressi nella teoria e accumulo di conoscenze, per non parlare di scoperte sensazionali. Piuttosto, come ho suggerito altrove (Eagle, 1987), essi rappresentano oscillazioni di un pendolo e mode passeggere che sono esse stesse espressione di più vaste forze culturali e sociali che può essere difficile specificare ora in parte perché vi siamo ancora troppo immersi.

Nella psicoanalisi vi sono anche alcuni fattori che hanno avuto un ruolo nel produrre i cambiamenti che ho descritto. Ad esempio, la psicologia del Sé e la teoria delle relazioni oggettuali hanno fatto eco alla diffusa insoddisfazione con la teoria e la pratica psicoanalitiche tradizionali. La psicologia del Sé permise, a coloro che erano insoddisfatti, di seguire i propri sentimenti e intuizioni riguardo alla teoria e alla terapia pur rimanendo bona fide psicoanalisti, come indicato dal loro rimanere membri degli istituti psicoanalitici tradizionali a tutti gli effetti. Questi sentimenti e intuizioni avevano soprattutto a che fare, credo, con la loro convinzione emotiva ed intellettuale, basata sulla propria esperienza personale e terapeutica, che il bisogno degli altri è primario e potente, e che la vita delle persone è plasmata non in funzione delle vicissitudini della gratificazione pulsionale, ma in funzione dei rapporti interpersonali e delle relazioni oggettuali interiorizzate.

Le vere ragioni per l'allontanamento dai conflitti e dai desideri, e l'attuale interesse per i difetti e i bisogni, non sono comunque interamente chiare. Si può speculare sulla mutata natura della patologia, sui cambiamenti nell'allevamento dei bambini e nella struttura familiare, e sui cambiamenti nei più vasti modelli socio economici. Certamente, un fattore importante è il rifiuto della teoria delle pulsioni di Freud che, come sapete, è stato il punto di partenza di ogni maggiore sviluppo clinico e teorico in psicoanalisi. E a questo riguardo, gli attuali sviluppi della psicologia del Sé e della terapia delle relazioni oggettuali non sono diversi. Comunque, nel respingere la teoria delle pulsioni o qualunque altro aspetto della teoria psicoanalitica, la tendenza storica è stata quella di enfatizzare le critiche legittime, gli insight e le genuine ma limitate prospettive, e i parziali correttivi, formulando teorie che pretendono di essere complete; ognuna di queste teorie è caratterizzata dalla propria concezione dell'eziologia, dal suo esercito di fedeli seguaci e difensori, dal nome del suo fondatore o di una figura dominante, e spesso dai propri istituti di training. Non sono affatto sicuro che ciò possa far parte di discipline che si vantano di basarsi su fondamenti empirici e razionali, e che sono contrassegnate da uno stabile accumulo di conoscenze e progressi nella teoria.

Mi sembra che al momento e in futuro non abbiamo bisogno di nuove ulteriori teorie comprensive della patologia e del trattamento in competizione l'una con l'altra per l'accaparramento di fedeli seguaci, ma piuttosto di sforzi integrati basati su prove longitudinali, insight e formulazioni da una varietà di fonti più vasta possibile. Come minimo, io proporrei di smettere di proporre teorie eziologiche della patologia basate principalmente o esclusivamente sul trattamento di pazienti adulti. Ma tutto ciò è l'inizio di un'altra storia, ed è ora di finire questa.

Riassunto: L'autore prende in esame alcuni cambiamenti clinici e teorici avvenuti in psicoanalisi negli ultimi anni, e si chiede se essi rappresentino un cambiamento di paradigma della psicoanalisi contemporanea o non piuttosto mode passeggere che riflettono più vaste trasformazioni socioculturali. I cambiamenti presi in esame sono i seguenti: 1) da un modello della patologia basato sul conflitto, a un modello basato sul deficit o arresto dello sviluppo; 2) dai desideri ai bisogni; 3) da un modello del processo terapeutico basato sul ruolo dell'interpretazione e dell'insight, a un modello basato sulla comprensione empatica e sull'importanza del rapporto paziente terapeuta. L'autore prende in esame in modo critico prevalentemente la "Psicologia del Sé" di Kohut, e conclude, tra le altre cose, che molti dei recenti cambiamenti della psicoanalisi rischiano di rappresentare un ritorno al pensiero prepsicoanalitico di Charcot e Janet.

Summary: The author analyzes some clinical and theoretical changes that occurred in the psychoanalytic field in recent years, and wonders if they constitute a change of paradigni in contemporary psychoanalysis, or temporary shifts reflecting wider sociocultural factors. The changes taken into consideration are the following: 1) from a model of pathology based on conflict, to a model based on deficit or developmental arrest; 2) from wishes to needs; 3) from a model of the therapeutic process based on the roles of interpretation and insight, to a model based on empathic understanding and on the importance of patient therapist relationship. The author examines particularly Kohut's self psychology, and concludes, among other things, that some recent changes within psychoanaly sis risk to represent a return to the prepsychoanalytic ideas of Charcot and Janet.

Bibliografia

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