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Recensione di

Sulla soglia della psicoanalisi. Freud e la follia infantile.

Torino: Bollati Boringhieri, 2007

di Carlo Bonomi.

Autore della recensione

Cesare Romano

Sulla soglia della psicoanalisi è il titolo dell’ultimo libro di Carlo Bonomi, edito da Bollati Boringhieri, ma è bene avvisare fin dall’inizio il lettore che si accingerà a leggere questa avvincente storia delle origini della psicoanalisi, ricca di osservazioni fino ad oggi inedite, che l’autore non rimarrà timidamente sulla soglia della psicoanalisi, ad osservare ciò che da quella prospettiva si offre allo sguardo. Bonomi varcherà ben presto e con audacia quella soglia per scovare quei recessi che la storiografia psicoanalitica ufficiale ha sempre conosciuto ma ha sempre tenuto accuratamente nascosti ai lettori profani. Il sottotitolo del libro, Freud e la follia infantile, ci introduce direttamente in una di queste stanze segrete che sono state fin dall’inizio tenute celate dalla poderosa opera agiografica di Ernest Jones sulla vita e l’opera di Freud, e dagli storici che ne hanno seguito le orme. Ma anche in quelle opere che si sono preoccupate più della verità storica che della costruzione di una mitologia, troviamo ben pochi riferimenti che ci portino a collegare l’attività del primo Freud neurologo con una clientela infantile. Tutto ciò che il lettore profano conosce riguardo ad un qualche interesse teorico di Freud per le malattie nervose infantili riguarda il suo scritto sulle paralisi cerebrali infantili, al quale per sua stessa ammissione all’amico Fliess si dedicò sempre malvolentieri, e per quanto riguarda la sua pratica clinica conosciamo la sua analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), che non fu una vera analisi infantile poiché Freud la condusse per interposta persona del padre. Per ciò che riguarda una vera attività pediatrica di Freud come neurologo o addirittura come psicoterapeuta non vi sono dati ufficiali al riguardo. Bonomi ricostruisce questo percorso pediatrico di Freud da Parigi, a Berlino e poi a Vienna. Se è noto che Freud a Parigi seguì le lezioni di Charcot alla Salpêtrière, è meno noto però che egli venne a contatto anche con tutta una letteratura che si occupava degli abusi sessuali ai bambini e aveva seguito con molto interesse le lezioni di Brouardel alla Morge e assistito all’autopsia di qualche bambino deceduto in seguito a violenza sessuale. Finito il soggiorno parigino, Freud si reca a Berlino, dove, "nel policlinico di Adolf Baginsky, che Freud frequenta nelle quattro settimane del suo soggiorno a Berlino, avviene il suo incontro più significativo con la teoria sessuale" (p. 89). Qui Freud verrà iniziato, come dirà alla fidanzata Martha, ai segreti delle malattie infantili, ed è qui che concepirà l’idea di estendere il suo interesse alla clientela infantile quando, aprendo a Vienna il suo ambulatorio privato il giorno di Pasqua del 1886, "incluse "il trattamento delle malattie nervose infantili" tra le sue prestazioni mediche" (p. 173). Rientrato a Vienna, Freud accettò l’incarico di direttore del reparto delle malattie nervose dell’Ospedale Infantile di Vienna che Max Kassowitz gli offrì ancor prima della sua partenza per Parigi.

Una parte di questo materiale deriva dalle ricerche di Masson (1984), ma Bonomi aveva richiamato l’attenzione sull’attività pediatrica di Freud già in un articolo pubblicato in inglese nel 1994 e successivamente in un articolo comparso quattro anni dopo sulla rivista Psicoterapia e scienze umane.

Il merito di Bonomi è quello di collegare questi dati storici poco conosciuti dell’attività pediatrica di Freud con la nascita della psicoanalisi e con la costruzione di alcuni concetti chiave della teoria freudiana, a partire dalla teoria della seduzione fino al concetto di castrazione che ha, come vedremo tra poco, antecedenti storici altrettanto ben radicati nelle prime esperienze cliniche di Freud.

La ricostruzione storica di Bonomi è di ampio respiro, e prende le mosse dalla crescente visibilità che assume l’infanzia nel discorso medico del XVIII e XIX secolo. Se un tempo il bambino era anche rappresentato figurativamente come un adulto in miniatura ( come nel famoso quadro di Velazquez, Las Meniñas), nel corso del XIX secolo si va sempre più organizzando una nuova visibilità del bambino che preluderà ad una specificità dell’infanzia che culminerà nella fioritura di tutta una psicologia infantile rispetto alla quale l’opera di Freud sarà in parte in continuità e in parte rappresenterà una rottura rispetto a questa nuova visione dell’infanzia.

Se i primi alienisti, soprattutto Esquirol con il Trattato delle malattie mentali del 1838, avevano assimilato l’infanzia alla follia e organizzato il trattamento morale della follia alla stregua di una enorme impresa pedagogica, in seguito si assisterà ad una svolta che "non si basa sui "fatti" ma su una nuova teoria della mente infantile che finisce per creare i nuovi fatti" (Bonomi, p. 60). Mentre all’inizio del secolo si considerava l’infanzia esente da passioni, ora "per la prima volta si riesce a immaginare che un dolore intenso può permanere a lungo nella mente del bambino" (p. 60). Se i primi alienisti poterono accedere a questa idea di una sensibilità specifica del bambino ancora tramite l’idea dell’ereditarietà e, come dice Morel, delle "predisposizioni organiche viziose tramandate ai figli dai genitori" (p. 63), Freud dal canto suo "convertirà lo schema tipico della degenerazione progressiva nell’idea che i figli di genitori perversi si ammalano psichicamente non tanto per la trasmissione ereditaria ma per gli abusi sessuali che essi compiono sui figli" (p. 63). In questi anni va prendendo forma l’osservazione sistematica del bambino e la nuova psicologia e ci si avvierà alla costruzione di una teoria della mente infantile: "negli ultimi anni dell’Ottocento si profila un’impresa nuova, eccitante e socialmente stimata: leggere l’animo dei bambini" (p. 68). Sul finire del secolo si comincerà a parlare di follia infantile e si giunge alla convinzione che il bambino non è quell’essere esente da passioni che si era creduto, ma è invece "naturalmente perverso", come dirà Compayré nel 1896. Qui vale la pena citare direttamente le parole dell’autore, il quale comincia a sfatare uno dei tanti miti della storiografia psicoanalitica, quello di un Freud "scopritore" di una nuova visione dell’infanzia e svincolato dal pensiero medico del suo tempo. "Si noti per inciso che, stando al racconto canonico della nascita della psicoanalisi, Freud giungerà a rompere con l’idea "convenzionale" dell’innocenza infantile e a compiere la sua grandiosa scoperta che il bambino è "naturalmente perverso", soltanto un anno dopo, alla fine del 1897, scoperta che sarà poi ripetutamente celebrata da Ernest Jones e Kurt Eissler in testa come il frutto coraggioso della sua autoanalisi! Non è forse straordinario che generazioni di psicoanalisti si siano tramandati questa leggenda?" (p. 69).

In questo scorcio di secolo il "male" viene di nuovo incluso nella rappresentazione sociale del bambino, viene avanzata l’equazione tra suggestionabilità ed educabilità, nasce tutta una ortopedia mentale e una attenzione sempre più ossessiva verso i comportamenti sessuali del bambino che culminerà nella grande campagna medica contro la masturbazione come causa principale della follia infantile.

"Tutti questi temi - dice Bonomi — confluiscono nell’opera di Freud fino a formarne una serie di fili che, presi uno per uno, rimangono ben riconoscibili, e che però combinandosi danno vita ad una trama nuova. Ma qui dobbiamo segnalare un duplice errore in cui la riflessione storico-critica sulla psicoanalisi è ripetutamente caduta: dapprima ha cercato di presentare l’azione compiuta da Freud come una "scoperta" (vuoi dell’inconscio, vuoi della sessualità infantile, o altro), ma ogni volta che qualcuno andava a verificare il contenuto specifico di tale scoperta, confrontandolo con le idee dell’epoca, si trovava, per così dire, a mani vuote, dato che quelle stesse idee erano moneta corrente. E a questo punto Freud è apparso come un autore il cui pensiero era avvolto nelle metafore della sua epoca, ma entrambe queste formulazioni non riescono a catturare la specificità dell’inventore della psicoanalisi. E’ chiaro, né potrebbe essere altrimenti, che egli si nutre delle idee del suo tempo" (p.73). Sarà lo stesso Freud a riconoscere il suo debito con la propria epoca in una lettera a Fliess del 5 novembre 1897, e proprio in relazione alla psicologia del bambino: "E’ interessante che ora la letteratura dia tanta importanza alla psicologia del bambino […] Così si rimane sempre figli del proprio tempo, anche con le idee che riteniamo più personali".

Se anche per Freud, come osserva Bonomi, "l’infanzia rappresenta il terreno di passaggio dal primitivismo alla civiltà", tuttavia "quello che per gli altri autori era una progressiva spoliazione dei caratteri primitivi, nell’opera di Freud risulterà una meta impossibile da raggiungere, come attesta il continuo ritornare nei sogni, nei lapsus, nelle azioni mancate, nei sintomi nevrotici, di ciò che viene soppresso" (p.73).

Con la "teoria della seduzione" Freud costruisce il primo modello del funzionamento mentale infantile in risposta a quei traumi sessuali precoci che aveva imparato a conoscere nel suo viaggio di studio a Parigi e che la letteratura medica francese rubricava come "attentati al pudore". Egli tuttavia perverrà a "riconoscere l’ambivalenza e il conflitto nell’animo infantile" soltanto con la svolta teorica del complesso edipico. "Il nesso tra infanzia, perversione e nevrosi verrà così a rappresentare la chiave di volta della sua opera; ma anche qui dobbiamo ribadire che non è Freud a inventare questo nesso" (p.74). Bonomi osserva acutamente che "la costruzione di un’immagine carica di qualità "sessuali" e "perverse" dell’infanzia è una parte essenziale del percorso verso la costruzione di una immagine psicologica del bambino" (p. 75), ma "questo patomorfismo, prima ancora che a Freud, appartiene al suo tempo. Da questo punto di vista il problema vero è quello di capire che cosa avviene nell’opera di Freud dello spazio mentale del suo tempo" (p.75). Lo stesso Freud ha contribuito a mettere fuori rotta i suoi biografi e a tramandare il mito che sia stata la psicanalisi a scoprire la sessualità infantile affermando nel saggio Le resistenze alla psicoanalisi (1924): "La psicoanalisi ha messo la parola fine alla bella favola dell’asessualità dell’infanzia" (OSF, 10, 56).

Questo ampio e circostanziato preambolo storico-critico ci introduce in quella zona d’ombra nella quale si colloca più propriamente la nascita della psicoanalisi e sulla quale la storiografia psicoanalitica ufficiale ha mantenuto fino ad ora il silenzio. Si tratta, in sostanza, di dieci anni dell’attività professionale di Freud che sono stati espunti da ogni storiografia psicoanalitica e durante i quali Freud ha lavorato come neurologo con una clientela prevalentemente infantile presso un ospedale pubblico di Vienna. Come ho già accennato, Bonomi aveva iniziato a colmare questa inaccettabile lacuna storiografica più di dieci anni orsono, e ora nel secondo capitolo del suo volume raccoglie in una cinquantina di pagine dense e appassionanti lo sfondo reale dal quale emerge la psicoanalisi, che non è la storia tramandata da Jones di un pioniere isolato in rotta con le idee del suo tempo, ma invece quella di un neurologo che si trova pienamente inserito nella cultura medica del suo tempo, che si troverà a lavorare per dieci anni con bambini sofferenti di disturbi nervosi che saranno probabilmente i suoi primi e anonimi pazienti isterici, che condividerà con il suo tempo idee e pregiudizi sulla masturbazione infantile, che si incontrerà per la prima volta con la realtà sommersa degli abusi sessuali all’infanzia, con la teoria dei riflessi che egli stesso condividerà per lungo tempo anche a causa dell’ambivalente influsso che ebbe su di lui la lunga amicizia con l’otorinolaringoiatra berlinese Wilhelm Fliess, che assisterà a quello scempio diffuso su larga scala di genitali prevalentemente femminili, ma non solo, quale rimedio organico dell’isteria prima di arrivare a proporre una cura psichica per il male femminile del suo secolo, e ad interventi di castrazione maschile e femminile prima che egli sia in grado di proporre la castrazione come evento simbolico.

Bonomi osserva che Freud "partecipa al mondo della pediatria in un periodo di grandi e veloci trasformazioni; per noi è importante che, come neurologo, egli doveva occuparsi di tutte le malattie dei nervi, compresa l’isteria infantile, che in quegli anni era costantemente associata alla sessualità infantile" (p. 84). Sebbene Bonomi metta in luce che persino il sogno di Irma, il sogno paradigmatico della psicoanalisi, riporta all’esperienza pediatrica di Freud, cosa che è sfuggita probabilmente non solo ai profani, egli è costretto a concludere che "il lavoro di Freud con i bambini non è mai stato incluso fra le esperienze rilevanti per la nascita della psicoanalisi. Questa sconcertante negligenza non sembra essere estranea al desiderio del fondatore della psicoanalisi, dato che nei suoi testi i riferimenti al lavoro con i bambini sono pochi e distorti. In quegli anni, in cui l’isteria era considerata una malattia sessuale, dal suo reparto passavano ogni anno molti casi di isteria infantile, ciò nonostante, quando dovrà raccontare come era nata la psicoanalisi, egli scriverà che le sue idee sulla sessualità infantile erano derivate unicamente dalle analisi sugli adulti, in quanto gli era mancata "l’opportunità di compiere le sue osservazioni direttamente sui bambini"" (pp. 84-85). Dunque lo stesso Freud fu il primo a voler occultare e dimenticare dieci anni di esperienze neuro-pediatriche. Si tratta, osserva Bonomi, di una "reticenza che lascia tanto più perplessi quanto più entra in risonanza con i crescenti dubbi che, dagli anni settanta, sono sorti tra gli studiosi in merito alla scoperta freudiana della sessualità infantile" (p. 85), che più che una scoperta freudiana fu una scoperta del suo secolo. "Insomma Freud descrive se stesso come l’unico che accetta di portare la "responsabilità" di certe idee "scellerate" che pure facevano parte del senso comune" (p. 87). Bonomi osserva acutamente che la scoperta della sessualità da parte di Freud aveva a che fare con "qualcosa in cui si riflettono le dissociazioni del senso comune" (p. 87). Inoltre l’autore mostra le iniziali contraddizioni di Freud su questo tema, poiché, all’inizio egli "aveva preso sistematicamente posizione contro l’etiologia sessuale" (p. 88).

Nelle quattro settimane che Freud trascorse nel policlinico berlinese del pediatra Adolf Baginsky avvenne "il suo incontro più significativo con la teoria sessuale" (p. 89) Baginsky "era noto per essere il principale sostenitore delle cause sessuali dell’isteria nei bambini" (p. 91) e considerava la masturbazione infantile come la conseguenza di stimolazioni esterne e della seduzione da parte degli adulti, nonché come l’origine di una serie di disturbi nervosi e deviazioni dello sviluppo infantile. Baginsky, attento agli aspetti sociali ed epidemiologici delle malattie infantili, considerava la masturbazione "un male che si diffondeva attraverso la seduzione e il contagio" (p. 92). Bonomi osserva che "dieci anni dopo il suo tirocinio con Baginsky, Freud avrebbe dato vita alla cosiddetta teoria della seduzione" (p. 92), e giustamente si chiede perché "presentando pubblicamente la sua teoria nel 1896 non disse di essere stato messo sulla sua strada molti anni prima da Baginsky? Ecco una domanda da aggiungere alla già corposa lista degli interrogativi" (p. 93).

Leggendo questo saggio abbiamo la chiara impressione che molte delle storie della psicoanalisi che sono state pubblicate anche di recente manchino dello spessore storico-critico dell’opera di Bonomi e si riducano a pure cronache, talvolta persino frettolose e lacunose, coma ad es. il recente libro di Dominique Bourdin, Cento anni di psicoanalisi. Da Freud ai giorni nostri, Dedalo 2007, che liquida la teoria della seduzione in dieci righe, o il presuntuoso volume di Jean-Michel Quinodoz, Leggere Freud, Borla 2005, che, prendendo in considerazione l’intera opera freudiana anche con rimandi agli sviluppi posteriori, dimentica stranamente di citare tra i primi scritti di Freud Etiologia dell’isteria. Diventa sempre più difficile classificare opere come queste come opere di storiografia psicoanalitica. Soprattutto si ha la sensazione che questi autori non si pongano domande e non abbiano dubbi, e diano tutto per scontato, sicché anche il lettore è condotto ad assimilare acriticamente una cronaca psicoanalitica che descrive la psicoanalisi come una scienza nata nella mente di un uomo chiuso nel suo studio in Berggasse 19. Gli unici saggi che in questo panorama meritano seria considerazione e apprezzamento sono il volume di Speziale-Bagliacca, Freud messo a fuoco, pubblicato sempre da Bollati Boringhieri nel 2002, e il recente volume di Eli Zaretsky, I misteri dell’anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi, edito da Feltrinelli nel 2006.

Ben diversa la lettura del libro di Bonomi, che conduce il lettore a condividere con lui interrogativi e dubbi, a indispettirsi e scandalizzarsi per le menzogne, le ipocrisie e i silenzi che ancora coprono molti aspetti della nascita della psicoanalisi, e che conduce il lettore a condividere con lui un atteggiamento critico. Così, ad esempio, proprio sul tema della seduzione, che molte storie della psicoanalisi hanno riportato acriticamente come il più clamoroso ripensamento di Freud che avrebbe inaugurato il periodo veramente psicoanalitico del suo pensiero, Bonomi, anziché seguire questa versione ufficialmente consolidata, ci invita ad una riflessione critica e ci dice che "la domanda che dobbiamo porci non è perché Freud "abbandona la teoria del trauma reale, ma al contrario perché non ci riesce, che cos’è che lo frena, perché non percorre fino in fondo la strada che pure ha imboccato fin dal 1893" (p. 39). Così ancora, sul tema della masturbazione, Bonomi mostra "come persino Freud sia rimasto prigioniero della convinzione che la masturbazione fosse causa di danni organici" (p. 94). Nell’ambito di questa "grande paura" che ha ossessionato l’Occidente per quasi due secoli, "inizia a evidenziarsi il nesso tra isteria, infanzia e masturbazione" (p. 95), quantomeno nel senso che la masturbazione infantile determinerebbe una predisposizione all’isteria.

Con la nascita della teoria dei riflessi che spiegava vari sintomi somatici come derivanti dall’azione a distanza, per via riflessa, dell’irritazione degli organi genitali, la masturbazione era considerata non solo come atto involontario e compulsivo, ma anche come effetto delle "azioni perverse compiute dai genitori sui figli" (p. 99).

Poiché la teoria dei riflessi non riconosceva alcuna differenza, ai fini dell’effetto patogeno, tra una irritazione genitale impersonale o prodotta intenzionalmente da un adulto, "la lotta contro la masturbazione che attraversa tutto l’Ottocento era, simultaneamente, una lotta contro l’abuso sessuale" (p. 100). Questo è un dato importante che testimonia come l’abuso sessuale infantile fosse una realtà ampiamente riconosciuta già nella seconda metà dell’Ottocento prima di diventare, secondo molti cronisti psicoanalitici, il fantasma fondatore della psicoanalisi. Uno storico di indiscutibile valore, come Michel Foucault, parlando della crociata contro la masturbazione nel corso del XIX secolo afferma che "la causa di masturbazione più frequentemente invocata nella crociata è la seduzione, la seduzione da parte dell’adulto: la colpa viene dall’esterno […] per lo più, sono le istigazioni involontarie e imprudenti dei genitori o degli educatori, durante le cure e le pratiche igieniche […] Si tratta anche delle eccitazioni volontarie (e stavolta più perverse che imprudenti) provocate dalle nutrici quando vogliono far addormentare i bambini. E’ la seduzione pura e semplice da parte dei domestici, dei precettori, dei professori. La campagna contro la masturbazione si orienta molto presto, possiamo dire sin dall’inizio, contro la seduzione sessuale dei bambini da parte degli adulti e soprattutto da parte dell’ambiente circostante. Vale a dire a opera di tutti gli individui che, all’epoca, costituiscono le figure statutarie della famiglia. Il domestico, la governante, il precettore, lo zio, la zia, i cugini e così via […] L’origine della masturbazione, insomma, è il desiderio degli adulti per i bambini".

Ma poiché il fulcro patogeno rimane la masturbazione, nel momento in cui si stabilisce il nesso tra masturbazione infantile ed isteria si assisterà al dilagare di una serie di trattamenti chirurgici pelvici (clitoridectomia, ovariectomia, infibulazione) che porteranno a gravi mutilazioni genitali delle donne e delle bambine. "Gli anni in cui Freud compie il suo viaggio a Parigi e Berlino - ci informa Bonomi — sono anni decisivi per il diffondersi della castrazione […] La nascita della psicoanalisi viene cioè a coincidere cronologicamente con la massima espansione dei trattamenti chirurgici dell’isteria (per lo meno in Europa, perché negli Stati Uniti la loro espansione continuerà ancora a lungo). Come è possibile — si chiede Bonomi — che non vi sia un solo testo di psicoanalisi che faccia riferimento a questo stato delle cose?" (pp. 103-4).

Fortunatamente Bonomi ristabilisce una equità storica che non eravamo abituati a conoscere nella storiografia psicoanalitica e non lascia tregua al lettore catturando la sua attenzione con rivelazioni sempre più sconcertanti. Ci siamo appena ripresi dalla rivelazione che in una gran parte dei casi di isteria la terapia veniva attuata mediante la castrazione delle donna, terapia nella quale si intrecciano intenzioni terapeutiche e sadismo punitivo attraverso la ritraumatizzazione genitale della donna, che veniamo messi dinanzi alla consapevolezza che è proprio dalle contraddizioni aperte da questi trattamenti che trarrà origine la psicoanalisi. "Le contraddizioni che abitano il sapere medico sembrano addensarsi attorno a questo punto fino a provocare uno squarcio sul terreno delle certezze dell’uomo di fine Ottocento, ed è da questo squarcio che si originerà la psicoanalisi al centro della psicoanalisi vi sarà infatti, fin dall’inizio, il problema della ripetizione del trauma nella terapia, la questione cruciale della ritraumatizzazione. Anche qui la psicoanalisi non s’inventa proprio niente, ma entra direttamente nelle contraddizioni profonde che agitano il senso comune, promuovendone una gestione più consapevole" (p. 105).

Bonomi si chiede se fossero queste pratiche cruente sui genitali infantili quei "segreti delle malattie dei bambini" che Freud non ebbe il coraggio di rivelare alla fidanzata. E’ probabile, perché, conclude l’autore, "tutto sembra indicare che al tempo del tirocinio di Freud l’operazione [la circoncisione] fosse parte integrante delle misure utilizzate da Baginsky nelle malattie dei nervi nei bambini" (p. 109). Che Freud, del resto, fosse informato sul tema della castrazione lo deduciamo da una lettera a Fliess del 24 settembre 1900 nella quale consiglia all’amico berlinese la lettura del libro di K. Rieger, autore non certo favorevole alla psicoanalisi, che aveva definito una "psichiatria da vecchie comari", dal titolo Die Kastration in rechtlicher, sozialer und vitaler Hinsicht betrachtet (La castrazione considerata sotto l’aspetto giuridico, sociale e vitale). Dunque il tema della castrazione era noto a Freud non solo attraverso la mitologia, che tra l’altro aveva interpretato erroneamente, ma anche attraverso le opere scientifiche del tempo e la pratica medica del suo secolo. "L’incontro di Freud con la castrazione nel corso del suo tirocinio pediatrico spiegherebbe - secondo Bonomi - la sua iniziale avversione all’etiologia sessuale, nonché le lacune, reticenze e ambiguità che si addensano attorno alla sua partecipazione al mondo dei pediatri." (p. 110). Bonomi ci fa comprendere come questo "non detto" relativo alla castrazione reale con la quale Freud si incontrò in quegli anni ritorni costantemente nelle sue opere successive. "Freud non parlò mai della pratica della castrazione delle donne nevrotiche e delle sue varianti infantili, come se fosse un tabù; eppure, attraverso la sua opera, egli non farà altro che parlare di questa cosa non detta" (p. 110).

Ora è arrivato il momento di abbandonare per un po’ il lettore, il quale troverà da solo le più stimolanti suggestioni nel libro di Bonomi. Mi premeva inquadrare lo spessore culturale e documentario di questa storia delle origini della psicoanalisi e il tema del tutto nuovo delle relazioni e frequentazioni di Freud con la cultura e l’ambiente pediatrico del suo tempo, che pone l’origine della psicoanalisi in una luce completamente nuova e su uno sfondo ben più complesso di quello tramandatoci dalla maggior parte delle cronache psicoanalitiche. Sintetizzando in poche parole, Bonomi mostra come l’emergere del paradigma psicologico relativo all’infanzia comporti anche lo spostamento dell’attenzione dal trauma reale all’idea della suggestionabilità infantile. Qualche anno più tardi, lo stesso spostamento dal trauma reale al mondo delle fantasie isteriche ad opera di Freud, con la rinuncia alla teoria della seduzione, verrà salutato come l’atto di nascita della psicoanalisi.

Il tema del trauma è ancora oggi talmente controverso, nonostante l’ampia opera di rivalutazione della figura di Ferenczi e della sua continuazione della teoria traumatica freudiana dovuta in Italia allo stesso Carlo Bonomi assieme a Franco Borgogno, che come ha detto recentemente Bohleber nella bella relazione al XLV Congresso dell’IPA di Berlino nel 2007, "Considerare la realtà effettuale esterna è stato spesso interpretato come attacco alla realtà psichica e all’importanza dell’inconscio. Tale atteggiamento si è manifestato nel modo più chiaro nell’interpretazione dell’abuso sessuale". Bonomi non manca di affrontare anche tale aspetto che è all’origine di tante controversie non ancora sopite, e lo fa in una pungente polemica affidata alle ultime pagine del libro, quelle Note e frammenti che io consiglio al lettore di leggere invece come introduzione, poiché in quella trentina di pagine che non sono frammenti sparsi ma una sintesi organica e coerente è contenuta tutta la vis polemica e la critica costruttiva di Bonomi non solo verso le teorie freudiane ma anche, tra le righe, verso chi se ne fa acriticamente paladino. Bonomi osserva che "la scoperta della realtà psichica è stata eretta […] a scusa per continuare a ignorare la realtà. Basti pensare a come Ernest Jones, l’uomo che per oltre trent’anni è stata la massima autorità psicoanalitica, ha presentato la svolta del 1897 nel primo volume della vita ed opere di Freud: "Bisognava mettere da parte i desideri incestuosi dei genitori verso i figli come pure gli eventuali atti del genere, e occuparsi invece del reperto, generale nei bambini, di desideri incestuosi verso i genitori e in modo caratteristico verso il genitore del sesso opposto". E’ da non credere: Jones raccomanda di ignorare gli atti incestuosi dei genitori, per occuparsi unicamente delle fantasie delle figlie!" (p. 250). Non dobbiamo pensare che la meraviglia e lo sdegno di Bonomi (qualità intellettuali che si incontrano sempre più raramente) siano rivolte solo al passato e alla storiografia di quegli anni, perché, dice Bonomi, più che Freud "il problema riguarda i suoi seguaci e il modo in cui il movimento ha funzionato, premiando l’allineamento e le doti burocratiche al posto dell’originalità e del coraggio" (p 250), e questa è una di quelle ragioni per la quale le teorie innovative di Ferenczi sul trauma sono state così a lungo non solo ignorate ma volutamente messe al bando.

L’idea di trauma psichico, osserva Bonomi, si impone inizialmente ancora in connessione con la chirurgia genitale, alla quale viene riconosciuto un effetto terapeutico non più diretto ma in virtù della paura che produce, dello shock psichico che ne deriva. Vi è quasi una utilizzazione omeopatica del trauma come rimedio per controbilanciare quei traumi patogeni che hanno prodotto il sintomo nevrotico. In questo senso Bonomi potrà dire che "la psicoterapia è l’erede delle operazioni chirurgiche" (p.124), e del resto Freud stesso usò ripetutamente la metafora chirurgica per riferirsi alla psicoterapia. Tuttavia "nessuno di questi medici era interessato a sapere di che cosa aveva veramente paura il paziente. E’ soltanto nell’ambito delle terapie derivate dall’ipnotismo che si aprono alcune finestre in questa direzione, con l’indagine sugli incidenti che hanno generato la paura e con il riconoscimento della sensibilizzazione del paziente alla persona dell’ipnotista […] Eppure il giovane Freud, al quale capita di affacciarsi sulla scena terapeutica nel breve momento in cui si apre la finestra sulla paura, è l’unico di questi autori (con l’eccezione forse di Janet) che invece di usare la psicoterapia per aumentare l’efficacia dei trattamenti fisici, la usa per entrare nel mondo delle paure del paziente a partire dai suoi "traumi" […] E’ l’inizio della più straordinaria indagine sulla paura mai tentata dall’uomo" (p.126). Si chiude qui il secondo capitolo del libro di Bonomi dedicato al tema della "paura" e si apre il terzo capitolo intitolato "dolore" e dedicato alla ricostruzione della storia del trauma psichico.

Nelle quaranta pagine dedicate al trauma Bonomi riscrive e amalgama saggi precedenti e altrettanto belli dedicati alla storia del trauma, e ne ripercorre il costituirsi dal concetto di "irritazione spinale" e successivamente della cosiddetta railway-spine syndrome fino alla nascita del concetto di trauma psichico, e alla sua dissoluzione ad opera del paradigma ideogenetico, che farà entrare in crisi profonda il concetto di trauma portando Freud ad abbandonare la teoria della seduzione o del trauma reale. Su questo tema ancora oggi così dibattuto Bonomi assume una posizione altamente equilibrata superando quelle dicotomie faziose che continuano a persistere sul tema del trauma e della seduzione reale. "Siamo immersi in una tradizione - osserva Bonomi — che ci ha abituato a leggere l’opera di Freud a partire dall’abbandono della teoria del trauma reale del 1897, indipendentemente che si giudichi questa svolta una conquista straordinaria o un imperdonabile errore […] Questa polarizzazione ha però impedito di vedere l’inesauribile contraddittorio che […] scorre all’interno dell’opera di Freud" (p. 153). Nonostante Freud abbia rinnegato la teoria del trauma reale "l’idea di trauma continuerà a riaffiorare nel suo discorso senza mai riuscire ad essere del tutto assimilata o eliminata" (p. 156).

Avevo promesso di abbandonare il lettore perché fosse lui stesso a decidere di intraprendere questa avvincente lettura e invece mi accorgo che, mentre io stesso rileggo questo libro per la recensione, non riesco a privare il lettore di quegli aspetti che ritengo delle vere rivelazioni per la storiografia psicoanalitica, ma lo farò ancora per poco per non dilungarmi eccessivamente e per non togliere del tutto al lettore il piacere della scoperta. La dissoluzione del trauma ci porta sul percorso della castrazione e poi si incrocia con la strada di Edipo. "Da questo momento in poi questa storia tipica, identificata con la leggenda di Edipo, viene assunta a schema unificatore delle storie di vita reali […] e la castrazione diventa il nuovo simbolo universale della sofferenza […] E’ difficile capire fino a che punto Freud sia consapevole che questa scelta equivale ad ammettere che raccogliere, mettere insieme e raccontare la storia di una vita senza ricorrere a un mito è impossibile […] Il bisogno di ricostruire una storia clinica particolare richiamandosi a un prototipo universale raggiunge il suo apice con il caso dell’uomo dei lupi […] E’ in questo contesto che Freud postula l’esistenza di una serie di traumi primordiali tramandati ai posteri in forma di fantasia (la seduzione, il coito tra i genitori, l’evirazione), così che, ritoccando e completando i ricordi con la fantasia, il bambino non fa altro che colmare "le lacune della verità individuale con la verità preistorica" […] C’è certamente qualcosa di grandioso in questo tentativo di fondare il senso della vita in un mito, riconducendo il mito a "fatti" realmente accaduti; tuttavia la ricaduta sul piano della clinica è disastrosa, dato che, saturando le lacune con schemi precostituiti, diventa difficile ascoltare questo paziente qui e ora. Fra l’altro la conseguenza paradossale di questa prospettiva è che subire o meno un trauma non fa alcuna differenza, poiché le "idee patogene" che le esperienze traumatiche infantili possono generare, sono già presenti nel patrimonio ereditario della mente in forma di "fantasmi originari"" (p.163).

L’ultimo capitolo, intitolato "Cosmogonia", affronta il problema della castrazione a partire dalle sue origini mitiche fino al suo significato simbolico. In un paragrafo dedicato a "Freud psicoterapeuta infantile" Bonomi rintraccia nelle opere di Freud una serie di testimonianze di una attività psicoterapeutica con bambini e giovani adolescenti che era fino ad oggi sfuggita a chi non si era posto nell’ottica che dieci anni di attività pediatrica svolta "esattamente negli anni in cui prende forma la psicoanalisi" (p. 173) non potessero non aver lasciato una qualche testimonianza nell’opera di Freud. Il filo della castrazione che percorre questo capitolo è intrecciato non solo con l’opera teorica di Freud ma anche con i suoi personali complessi nevrotici dei quali Bonomi ci svela la trama nascosta che traspare fin nelle sue ultime opere, offrendoci una originale rilettura del saggio di Freud su L’uomo Mosè e la religione monoteistica.

Chiude questa preziosa monografia un’appendice di Note e frammenti che in realtà tali non sono, poiché ripercorrono tutti i temi affrontati nei quattro capitoli del libro senza ripetizioni, ma continuando ad offrire nuove prospettive e spunti critici sull’origine della teoria psicoanalitica e sulla sua evoluzione.

Come Foucault aveva affermato che la teoria psicoanalitica dell’incesto aveva potuto essere accettata dalla famiglia borghese perché il pericolo era stato collocato nel desiderio del bambino, così, a proposito della castrazione, Bonomi dirà: "Se Freud non avesse trasformato qualcosa di così penosamente vero e reale in un "mito", chi mai lo avrebbe ascoltato?" (p. 249).

Per concludere, il saggio di Bonomi si presenta come la più lucida, rigorosa e coraggiosa opera nel panorama della storiografia psicoanalitica degli ultimi anni; un’opera destinata non solo agli specialisti del settore, ma anche a tutti quei lettori che, dotati di spirito critico e stanchi di leggere pagine noiose di cronisti che non sanno che cosa significhi scrivere la storia delle idee, vogliono accostarsi finalmente ad una vera storia delle origini della psicoanalisi, una storia che non parla solo del suo fondatore, delle sue personali idiosincrasie e della sua nevrosi, ma che colloca l’origine della psicoanalisi e il suo fondatore nello Zeitgeist della sua epoca, che rintraccia lo stretto legame tra le sue teorie e le sue revisioni con la cultura e la pratica medica del suo tempo. Un merito indiscusso del libro di Bonomi è di avere scritto un nuovo capitolo della storia della psicoanalisi che non potrà d’ora in poi più essere ignorato: lo stretto legame tra la nascita della psicoanalisi, la teoria e la pratica pediatrica di fine Ottocento e dieci anni di pratica neuropediatrica dello stesso Freud che erano stati fino ad ora occultati non solo dalla storiografia psicoanalitica, ma dallo stesso fondatore della psicoanalisi.

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