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CHE COSA CI FA UNO PSICOANALISTA IN UN EX MANICOMIO ?
di
Cosimo Schinaia ( Genova) A Piero Leonardi e Dario De Martis
LA GARANZIA DI NARRABILITA'
Se nel libro "Il paese degli specchi" si sosteneva la necessità di ristoricizzare, sottintendendo l'aspetto ricostruttivo della donazione di senso a vicende esistenziali che parevano fuori da qualunque contesto spaziale e temporale, io credo che rispetto a vent'anni fa il problema centrale sia quello di costruire storie narrabili, racconti, in cui il paziente e il suo curante possano riconoscersi. Se il ricostruire rimanda all'ideale dell'Io, un po' come il guarire, il narrare rimanda alla relazione d'oggetto, un po' come il curare.
La narrabilità di un'esistenza attraverso il lavoro di scambio nel gruppo terapeutico, la costruzione di una trama possibile e via via condivisibile dal paziente sono le condizioni perchè il termine ristoricizzazione abbia un valore non solo archeologico, ma di inserimento in uno spazio-tempo esterno di un proprio spazio-tempo interno; poichè ogni narrazione è anche una conversazione, all'interno della quale è sempre presente un interlocutore, vengono a costruirsi le fondamenta per la determinazione di un campo intersoggettivo . Anche nella storia dell' Uomo dei lupi, Freud trasforma una sua associazione fatta nell'hic et nunc della relazione in un ricordo del paziente e così una supposizione diventa parte del di lui passato. Solo in questo modo la ricostruzione dell'episodio riesce a recuperare i temi centrali della storia dell'Uomo dei lupi, ovvero la scena primaria e la minaccia di castrazione. Ogni ricostruzione che è una verità narrativa (Spence, 1982) può avere una funzione curativa.
Si dovrebbe pensare che ogni stesura di un racconto, comportando uno sforzo di organizzazione narrativa che plasma il passato del paziente, come creazione del presente nel momento della raccolta dei dati anamnestici, finisce con il diventare essa stessa il passato. Si viene a creare una verità narrativa (quella del racconto anamnestico) che finisce per confondersi con la verità storica (quella legata alla vita del paziente ) (Spence, 1982), e diviene unica testimonianza della sua esistenza.
La storia di un paziente da tanti anni ricoverato in un ex manicomio, così come emerge dalla raccolta dei dati anamnestici si costituisce come un testo che, per le sue peculiarità di linguaggio stereotipato e centrato su un' esposizione medicalistica, appare destituito delle connotazioni di tempo e di identità e, pertanto, non possiede quelle caratteristiche di "tessuto" (Barthes, 1973), all'interno del quale dovrebbero esserci generatività e creatività.
Anche all'interno di quel linguaggio arido esistono tuttavia tracce di comunicazione, sorta di errori che lasciano trapelare segni di umanità, abbozzi di attenzione; l'atto dello scrivere l'anamnesi non è pertanto un evento neutrale, ma si costituisce come una più o meno volontaria traduzione del testo del mondo del paziente. L'uso errato di un participio, un neologismo con vaghe assonanze dialettali, l'omissione di una parola che rende il testo contemporaneamente incomprensibile e leggibile con diverse interpretazioni come il messaggio della Pizia, un Mario che diventa Maria, un lapsus calami o, più in generale, un allentamento o una cesura o un intoppo o uno scarto d'accelerazione nel ritmo sintattico, possono illuminarci su brandelli di una storia non trascritta, su impressioni del compilante che non si materializzano nella parola scritta, ma che aspettano di essere svelate da una lettura non preconcetta e liberamente impuntuale. (Schinaia e coll., 1994)
La storia effettiva a cui si può arrivare da storie non raccontate e represse può assumere le connotazioni di un'esperienza vicariante, là dove c'è assenza di storia; non si tratta di un'operazione che va a costituire ex novo l'identità del paziente, ma di un tentativo di restituirgli la possibilità di riappropriarsi di quanto potrebbe essere suo.
Esiste una relazione fra narrazione, attività cognitive, impegnate in quello che è stato definito il flusso di coscienza, e la memoria, la cui attivazione potrebbe essere utilizzata nel lavoro di riabilitazione dei pazienti cronici. Poter alimentare operazioni di pensabilità di una rappresentazione che prima era inaccessibile alla coscienza, farle evolvere attraverso micro-operazioni autobiografiche o para-autobiografiche vuol dire creare le basi per operazioni di narrabilità, esistendo un rapporto dialettico fra rappresentazione, elaborazione mentale e narrazione. (Meterangelis, 1998)
E' ipotizzabile la costituzione di un campo dinamico strutturato da una relazione bipersonale che ha luogo in un tempo attuale: è il tempo della rinarrazione della comune esperienza paziente-terapeuta nella quale il personaggio-paziente può acquisire senso (semantizzarsi per Lotman, 1970), se vengono valorizzati gli elementi anamnestici a cui finora sono state sottratte le implicazioni semantiche. In questo lavoro il terapeuta è assimilabile a un lettore che, nella decifrazione del testo, mette in atto processi di memorizzazione e costruzione: l'atto di rimembrare suggerisce etimologicamente il rimettere insieme "membra e lembi dispersi" (Chasseguet-Smirgel, 1986) come principio di un lavoro ricostruttivo rivolto al mondo interno frantumato dello psicotico, al quale il contesto narrativo si offre come un "primario contenitore" (Gaburri, 1987), in opposizione alla "contenzione" dell'istituzione, che ha fissato la frantumazione in una dimensione atemporale.
L'impulso a riparare un mondo a pezzi riporta alle osservazioni di Hanna Segal (1991): "...la percezione che il suo mondo è a pezzi...porta alla necessità per l'artista di ricreare qualcosa che è sentito essere un mondo completamente umano". Il lavoro del terapeuta con il paziente e quello dell'artista con la propria opera sembrano accomunati dall'aspetto della riparazione, che consiste nel "lasciare andare l'oggetto." (Segal, 1991)
Per tessere una narrazione è di continuo necessario sopprimere un insieme di storie possibili, per dar modo a quelle prevalenti e più significative di prender corpo e sviluppo. Ferro (1996) per storie prevalenti e più significative intende quelle che derivando dal transfert e dagli elementi beta del campo, consentono e attivano il massimo di trasformazione narrativa. In fondo è la concatenazione di successivi vertici narrativi che consente il definirsi di un racconto.
La garanzia di narrabilità di storie possibili, di miti, la cui trama possa contenere il paziente, all'interno dell'èquipe terapeutica è la condizione per operazioni di significazione trasformativa, che modificando la visione del paziente, modificano anche i vissuti degli operatori e permettono quello che Ferro (1996) chiama "il ricordo di esperienze nuove".
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