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Psicoterapia e Scienze Umane, 1998, XXXII, 3: 5-13

L'epidemia della normalità: dagherrotipo del nuovo che avanza

Pier Francesco Galli
Direttore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

(Relazione letta al Convegno Internazionale New trends in schizophrenia - Ten years later,  Bologna,  8 aprile 1998)

Dieci anni fa, al precedente convegno, con il titolo "Efficienza, efficacia, produttività: quale futuro per la psicoterapia" ero intervenuto sulla relazione del collega statunitense Gunderson, densa di analisi sui risultati dei trattamenti psicoterapeutici dei pazienti psicotici. Avevo disegnato uno scenario a mio avviso prevedibile per l'assetto futuro della questione che allora si poneva e il Prof. Rinaldi che presiedeva la sessione volle simpaticamente indicarmi come futurologo.
Come dissi già dieci anni fa, confermo ancora oggi che su molte cose non mi fa piacere avere ragione, e il problema della psicoterapia è una di quelle.
L'organizzazione della sofferenza mentale, all'interno della quale si colloca la psicoterapia, sta subendo una deriva scientistica come valore di efficienza, difficile da misurare nelle sue conseguenze. L'accelerazione di alcuni processi supera le previsioni che feci a suo tempo  e la situazione italiana della quale mi occuperò oggi, presenta caratteristiche particolari, connaturate alla storia specifica della nostra psichiatria, che ritengo opportuno riassumere nel breve spazio di questa relazione. Innanzi tutto le ragioni del titolo che ho scelto "L'epidemia della normalità: dagherrotipo del nuovo che avanza"
Tesi come educazione degli affetti, pillola della felicità e simili, che dominano oggi nell'accoppiata tra i media e il successo d'immagine di qualche testimone di lusso, ci propongono la dimensione esistenziale sconvolgente del normotipo del nuovo che avanza, nella forma del pensiero positivo, trionfante caricatura dell'entusiasmo positivistico ottocentesco che ho voluto simboleggiare nei dagherrotipi, dando un colore livido, tragicamente irridente a quelle vecchie foto severe verso le quali avevamo reverenza e affetto. L'entusiasmo sociale dei Comte o dei Lombroso, verso i destini meravigliosi che la religione scientifica assegnava all'umanità, il culmine spettacolare del ballo Excelsior, la pace assicurata, finita miseramente nel vortice della prima guerra mondiale, con la "crisi assoluta delle scienze" (testo del nostro Banfi del 1917, da non dimenticare) costrinsero ad una profonda e sofferta revisione epistemologica nella quale trovò radici la psichiatria fenomenologica. Oggi che la mistica della scientificità invade la categoria della speranza, quella che Ortega y Gasset aveva chiamato, nella "Ribellione delle masse", barbarie dello specialismo affligge la nostra quotidianità. Ben venga, affermava il filosofo spagnolo, l'approfondimento scientifico di dettagli del sapere. Il fatto è che lo scienziato, come figura sociale, a partenza dal suo piccolo dettaglio, ci ammannisce la propria visione del mondo, trionfante nell'area della propaganda. E da questo punto di vista é un idiota di lusso che ci propone epistemologie povere e riduttive.

Cambio linguaggio ed entro nel merito della descrizione di campo, che sintetizzo nelle linee essenziali.

Area della propaganda: è il terreno nel quale si aggrega la gestione ideologica della psichiatria. In Italia la debolezza di base della identità psichiatrica (inutile rifarne la storia: a conti fatti, ho passato mezzo secolo nel campo e l'altro mezzo l'ho potuto ricostruire) costituisce un ventre molle con elevata possibilità di penetrazione di linguaggi estranei. Negli anni settanta e fino alla metà degli anni ottanta, linguaggi non mediati della politica. Dalla metà degli anni ottanta, linguaggi e stereotipi economicistici. Vediamo allora cos'è accaduto nel nostro campo:

Aziendalizzazione: ha comportato il ritorno alla situazione dell'Ottocento del passaggio della linea di comando agli amministrativi. I tecnici diventano dirigenti dell'azienda. Gli obiettivi li stabilisce l'azienda. Questo ha comportato la cooptazione di un certo numero di dirigenti tecnici nella linea di comando aziendale, con una spinta notevole alla trasformazione in amministrativi, ivi compresa l'acquisizione dei linguaggi. Questo fenomeno riguarda la sanità in generale e si accompagna alla verticalizzazione della linea di comando. Come sappiamo, ciò comporta un aumento dell'incidenza della personalità del capo sul funzionamento dell'organizzazione. Vediamo allora la specificità nell'ambito psichiatrico, prendendo in esame quattro fattori.

  • 1. Obiettivo iniziale: risparmio, che diventa misura di capacità. Questo ha reso difficile e conflittuale la progettazione in termini di investimenti economici, per cui la gabbia finanziaria tiene raramente conto del costo del danno emergente su tempi medio-lunghi, privilegiando il puro risparmio finanziario a breve termine; 

  • 2. Orientamento prevalente verso l'aumento dei sistemi di controllo e del lavoro sugli organigrammi: politica vetero-aziendale ma più rispondente ad una antropologia burocratico-amministrativa.  

È chiaro che una eventuale personalità ossessiva in posizione dirigenziale avrà timore di tutto quanto sfugga al controllo in quanto lo vivrà come minaccia narcisistica che lo porterà ad irrigidire ed aumentare i sistemi di controllo in quanto lo vivrà come minaccia narcisistica, con conseguente circolo vizioso e difficoltà di attivare meccanismi di delega non fittizi. Nei settori della sanità a maggiore contenuto tecnico-procedurale, la conflittualità è minore e più facilmente riducibile, per lo meno su tempi medi. In psichiatria la sicurezza degli strumenti procedurali è minima, i processi di decisione si svolgono in percentuale maggiore nell'area del  consenso informale e il comando concreto può essere esercitato soltanto tramite complicati processi di identificazione. L'ipotesi di controllare la conflittualità tramite ordini di servizio e procedure resta una pia illusione che determina una miscela particolarmente esplosiva. Su questo punto, si innescano altri due fattori. La sicurezza tecnico-procedurale di altri settori della medicina fa si che il riferimento di competenza dei dirigenti tecnici, più formalizzabile, mantenga il riferimento identificatorio con l'operatività dei singoli settori a tutti i livelli. Lo stesso lavoro in équipe, più parcellizzato nelle singole mansioni, non mette in crisi la linea d'autorità e favorisce una migliore distribuzione del carico individuale di responsabilità che riguardano comunque singoli aspetti del procedimento piuttosto che la persona. In psichiatria la questione è diversa: l'insicurezza decisionale, nell'ambito della quale comunque bisogna "fare", é una connotazione specifica del lavoro: pertanto la propaganda della pseudo-sicurezza dei protocolli trasforma una caratteristica del lavoro in sofferenza del lavoratore. Anziché addestrare alla tolleranza dell'insicurezza e all'importanza della risposta consensuale come strategia specifica del processo di intervento, si finisce con l'organizzare una costante minaccia all'autostima del lavoratore. Su questo punto, chiunque può chiedersi quale sia oggi lo spazio residuale per un vero lavoro d'équipe. In ogni caso, l'aumento della gestione residenziale (centri diurni, comunità) incrementa la relazione con la quotidianità di vita piuttosto che con i sintomi. 
Gli operatori del campo fanno i conti concreti con i protocollo-resistenti. Questo pone in primo piano la questione interpersonale come ineludibile e quindi il problema della psicoterapia, sul quale tornerò tra poco. Indico ancora due fenomeni con le relative contraddizioni: a differenza delle altre medicine, la cooptazione della leadership nella dirigenza amministrativa ha provocato in molti casi lo scollamento completo dalla operatività del campo, con conseguente diminuzione delle identificazioni reciproche. Questo pone degli interrogativi rispetto alla questione del comando reale sui processi, affidato comunque di fatto alle linee decisionali della base. Quindi, per gli psichiatri, alla dirigenza di primo livello. D'altra parte la dirigenza di secondo livello ottiene il comando per "gentile concessione", deve cambiare identità e molto spesso non riesce a gestire la ricerca di consenso rispetto ai propri dipendenti. La forbice tende ad allargarsi, perché un chirurgo sa benissimo che se smette di operare scompare dal mercato, mentre nel nostro campo esiste il valore aggiunto della rappresentanza pubblica. Di fatto, nei convegni, interviste, commissioni, la psichiatria è rappresentata prevalentemente da chi è fuori dal processo di lavorazione. Anche in questo congresso, l'angolo del lavoratore sono le comunicazioni previste domattina. Tornando alla propaganda, ogni azienda investe sull'immagine: questo spiega il finanziamento ad un convegnistica spesso trionfalistica, con titoli aulici del tipo: "Condizione umana, lettura del giornale nel centro diurno e promozione della salute mentale", con tanto di prolusioni e ritualismi congressuali che un tempo speravamo scomparsi. Torna una liturgia nella quale compaiono dizioni come "Lezione magistrale". In un recente convegno addirittura la dizione era in latino: "Lectio magistralis". 
Il grottesco degli orpelli mi ha fatto parlare, in altra sede, di "epistemologia della mutua" e dire: la salute mentale è stata promossa: occupiamoci dei bocciati.
In questo quadro appena delineato e che può essere certamente molto più articolato, affronto per linee indicative la "questione psicoterapia".
Anche in questo campo, è forte la spinta verso quello specialismo che faceva inorridire Manfred Bleuler. In Italia, la farsa e il sistema di falsificazione innescati dalla legge 56/89 stanno producendo danni facilmente osservabili. Nel contempo, la professionalità psicologica non ha più accesso ai servizi sanitari pubblici se non per pochissime unità. Nessuno di noi che per primi, con Benedetti, tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta ci occupavamo dei trattamenti psicoterapeutici di psicotici ha mai ritenuto che fosse di per sé il sistema di cura. Era però e rimane l'esperienza psichiatrica in grado di produrre tecniche di intervento, ivi compreso il lavoro in équipe, che implementano l'attrezzatura mentale per affrontare l'imprevisto della singolarità della sofferenza. Tecniche, non tecnicismi. Si può dire la stessa cosa delle pedagogie trionfanti?
Gli apparati teorici delle sicurezze, tipo la fantasia della tecnica classica sono stati sottoposti a profonde revisioni. Questo non per intelligenza attiva dei professionisti ma per la potenza della patologia. Da questo punto di vista, quella che può essere sembrata una critica pessimistica assume valore di speranza per l'incidenza che avrà sulla direzione dei processi di cambiamento l'irriducibilità dell'interpersonale in psichiatria. Si possono a mio avviso prevedere, nel futuro sviluppo, la accentuazione tanto della crisi di leadership che della crisi dei sistemi di coordinamento e controllo, e quindi la crisi burocratica. Ciò comporterà la necessità di ricomporre molte disarmonie e contraddizioni rivedendo i processi di ricerca della decisionalità consensuale. Non so se avrò la possibilità di riparlarne tra dieci anni, non presentando lucidi ma restando lucido. 

Comunque, la chiave di lettura del mio intervento è in una battuta raccontatami qualche giorno fa da una collega di Firenze: l'ottimista ritiene di vivere nel migliore mondo possibile: il pessimista lo sa. Muoversi senza le illusioni della propaganda è un preciso ingrediente di intervento per il lavoratore.

Dieci anni fa conclusi l'intervento con una frase di Franco Fornari, dal forte impatto etico. Chiudo l'intervento di oggi con un brano della relazione su "Psichiatria e psicoterapia" svolta dal Prof. Benedetti al primo corso di aggiornamento su "Problemi di psicoterapia" organizzato dal Gruppo Milanese per lo sviluppo della psicoterapia nel dicembre del 1962 a Milano. Gruppo fondato da Berta Neumann, Mara Selvini Palazzoli e da me. Era la prima uscita pubblica di Benedetti che riprendeva il lavoro, dopo il grave intervento operatorio che aveva dovuto subire. Il Prof. Volterra, che ringrazio ancora una volta per avermi invitato, era presente e può ricordarlo:

"Riassumiamo: o la psicoterapia consiste e viene intesa come un particolare metodo di cura che viene proposto in clinica con lo scopo di vedere se, e in quale misura, esso regge il confronto con altri metodi di cura, e allora psichiatria e psicoterapia vivono spesso in una opposizione dialettica; oppure la psicoterapia é quel luogo della psichiatria ove questa vuole darsi ragione, nel proprio ambito e nel modo più chiaro, dell'essenza e delle forme delle relazioni umane: allora psichiatria e psicoterapia sono sempre fondamentalmente d'accordo, anche quando la riflessione va oltre la dialettica della contraddizione creatrice. Allora il nostro essere ed esistere con il malato viene riconosciuto come il fondamento e tutto sta, per principio,  nella situazione psicoterapica alla quale anche la clinica appartiene."


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