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Un bilancio a distanza di vent'anni. Intervista a Nicola Lalli
a cura di Annalina Ferrante


Psichiatria, psicoterapia e formazione dello psichiatra

D. - Come si può affrontare allora ed eventualmente prevenire, se ne è parlato per molti anni, il disturbo mentale?

R. - Fare prevenzione significa anche e soprattutto individuare quegli aspetti culturali che tendono a negare la malattia mentale o a vederla dove non c'è. Vedi, per fare un esempio attualissimo, il problema depressione di cui tanto si discute. Un disturbo sul quale non c'è chiarezza e spesso si parla di depressione in senso patologico là dove invece si evidenziano elementi che non hanno nulla a che fare con un disturbo psichiatrico. Ci sono state numerose trasmissioni televisive in questo senso. E purtroppo la gente ci crede e assume farmaci con la complicità dei medici.

A monte , comunque, c'è un'altra cosa importantissima che va sottolineata e che nessuno dice ovvero la scissione che la nostra cultura fa tra psichiatria e psicoterapia. Fare psichiatria significa dare parola al sintomo e trasformarlo nell'espressione evidente di un disturbo complessivo della struttura psichica dell'uomo. La malattia mentale non è una una malattia organica.
E' noto che, con i progressi delle ricerche sul cervello, del sistema nervoso e aggiungerei della genetica, è in atto un pesante tentativo di rileggere il disturbo mentale in senso neurobiologico, nonostante la separazione tra neurologia e psichiatria avvenuta più di vent'anni fa e che sembrava segnare una nuova dignità della psichiatria destinata a occuparsi della malattia mentale in modo autonomo. Un orientamento favorito dal fallimento della teoria freudiana e in generale della cultura psicoanalitica che evidentemente non ha saputo sviluppare una teoria sulla realtà psichica e soprattutto sulla fisiologia dell'inconscio.

Tornando alla sua domanda, quindi, ritengo che fare prevenzione significa prima di tutto avere un apparato teorico di studio del disturbo psichico, quindi una capacità diagnostica che riconosca i segni premonitori prima ancora che il disturbo si evidenzi e infine una prassi terapeutica adeguata.

Per fare diagnosi e terapia è necessario non solo saper distinguere tra sanità e malattia, sapere come funziona una persona sana perchè solo in questo modo si può capire la malattia mentale, ma soprattutto riconoscere che la cura passa attraverso la dimensione personale dello psichiatra, principale strumento terapeutico nel rapporto con il paziente.

D. - Quando parla di dimensione personale dello psichiatra, che cosa intende? Si riferisce anche alla formazione?

R. - La formazione personale è importantissima proprio per quello che dicevo: il rapporto psicoterapeutico passa attraverso il rapporto interumano che si stabilisce tra lo psicoterapeuta e il paziente. Una formazione adeguata comprende inevitabilmente una ricerca su se stessi, sulla teoria, sulla psicopatologia, sulla clinica. Una ricerca continua, interminabile, perchè interminabile è la ricerca, non già la terapia come sosteneva Freud. Un'analisi interminabile è l'esemplificazione ante litteram della filosofia della 180: l'incurabilità e quindi al massimo l'assistenza a vita.

Da un punto di vista istituzionale, universitario, la situazione, per quanto riguarda la formazione, non aiuta molto. Trovo molto importante però la riforma degli studi di medicina perchè ritengo che la prima formazione sia medica prima ancora che psichiatrica. Il medico di base è il primo filtro per la prevenzione di un possibile disagio psichico. E' il primo che può individuare il paziente a rischio prima ancora che arrivi alla fase clinica.

In questi utlimi tempi, almeno per quanto riguarda la Facoltà di Medicina dell'Università “La Sapienza” di Roma, è in atto un tentativo di cambiare profondamente la didattica pur con notevole resistenza da parte di molti docenti. Proporre una didattica interattiva vuol dire principalmente insegnare a piccoli gruppi, in modo integrato, con la possibilità per lo studente di poter stabilire con il docente un rapporto valido che diventa poi la matrice fondante un sano e globale rapporto del futuro medico con il paziente. Quindi ci si propone di formare e non solo informare.

Attualmente, debbo dire, é in atto un salutare colpo di schiena da parte degli universitari che hanno cominciato a rivendicare e riprendersi la didattica. Sicuramente é un primo passo positivo, anche se ci vorrà molto tempo per cominciare a vedere un cambiamento sostanziale. Se il tempo per fare é breve (e nel campo della formazione medica e della psichiatria è durato troppo a lungo, per lo meno dalla fine degli aspetti positivi, durati purtroppo pochissimo, del ‘68), i tempi per costruire sono lunghi.

Ovviamente bisogna che questo clima arrivi anche nelle scuole di specializzazione, mi riferisco soprattutto a quelle di Psichiatria, per evitare che rimangano il luogo della dissociazione e del “tutto è uguale a tutto”, ovvero della mancanza di un metodo critico. Comunque non bisogna dimenticare che un medico che voglia fare lo psichiatra è pur sempre una persona che ha in media 28-30 anni. Quindi in grado, se vuole, di guardarsi intorno e cercare il meglio senza chiudersi nel suo orticello privato.


La legge Basaglia e lo stato attuale della psichiatria

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