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3. E' scontato riconoscere che nella determinazione del contesto storicoattuale, entro il quale il bambino acquisisce identità e configurazionerappresentativa, non operano solo gli elementi della nuova epistemologiapromossa dai media, ma anche altri fattori, che sarebbe opportuno prenderein considerazione: fattori sociali, culturali, demografici. Qui intendo far cenno solo a questi ultimi, chiamando in causa i problemiposti (e mai sufficientemente indagati) dal rapidissimo affermarsi, neipaesi dell'occidente postindustriale, di nuove abitudini procreative. Anche limitando l'ottica al nostro paese è evidente che nel giro di pochegenerazioni si è passati da un regime demografico caratterizzato daun'elevata natalità ad uno caratterizzato da una natalità notevolmentebassa, addirittura inferiore - come è a tutti noto - alla soglia delrimpiazzo. Non possiamo non chiederci quali siano le conseguenze ideologiche di questarivoluzione radicale nei comportamenti collettivi e come esse sianosupportate e ulteriormente articolate dalle conseguenze di un altrofenomeno ugualmente vistoso, vale a dire l'allungamento della vita media. Non sarebbe sufficiente, allora, parlare di invecchiamento della società edi progressiva scomparsa dell'infanzia. Occorrerà anche confrontarsi con latrasformazione dell'idea di bambino della quale tali processi (materiali eideologici) sono ad un tempo fattore di generazione ed effetto. Esserebambino dentro una società mediamente giovane (il secolo scorso) o matura (la prima metà di questo secolo) è cosa diversa dall'essere bambino dentrouna società mediamente anziana (questo fine di secolo). La stessa identità di "minore" va oggi assumendo una configurazioneoriginale e complessa, anche in ordine allo stile e ai contenuti di unanuova progettualità pedagogica. Per definire lo spazio di tale trasformazione sarà sufficiente riflettereattorno ad un cambiamento drastico sopravvenuto sul terreno delletecnologie e dei dispositivi (nel senso di Foucault) di "costruzione delsé" del bambino. Il carico di aspettative di riuscita educativa di cui igenitori si fanno portatori tende oggi ad essere distribuito non più su unapluralità di soggetti-figli, come era in un contesto di natalità elevata,ma, per così dire, sul "pezzo unico". In questo contesto, così diverso daquello al quale fanno riferimento le idee purtuttavia correnti e condivisein fatto di psiche infantile, ogni figlio è inteso come (e subiscel'immagine di) figlio unico. Associando questo elemento "ideologico",caratterizzato da forti aspettative pedagogiche, al contesto storico di unasocietà dominata dalle logiche della produttività e dell'efficienza, e alprocesso di nuclearizzazione della famiglia, si può avere una prima stima(e nello stesso individuare una prima spiegazione) del cumulo di elementiansiogeni che l'adulto prova, oggi, nei confronti del singolo bambino e cheinevitabilmente riversa su di lui (e sul suo ambiente primario diriferimento, caratterizzato dall'azione del media). Il teatro contemporaneo della riproduzione individuale e sociale mette inscena, dunque, un bambino vincolato al paradigma dell'eccezionalità: unbambino eccezionale, insomma, che è tale (o inteso come tale) sia perché ladecisione di metterlo al mondo è vissuta come eccezione rispetto ad unascelta di non generazione che oggi si tende a considerare normale(esattamente come era normale, ieri, la scelta di generarlo, ed eccezionalequella contraria), sia perché l'investimento su questa scelta in un certosenso anomala chiede di essere garantito da un'alta, quasi eccezionale,probabilità di riuscita. In altri termini, quell'unico pezzo, che tanto è costato, sul pianopsicologico, a chi l'ha realizzato, dev'essere un "pezzo buono", appagantee ripagante. Di qui la quantità e l'eterogeneità delle attese di realizzazione, tutte dilivello qualitativo elevato, che soprattutto i genitori ma sullo sfondoanche i parenti e gli adulti pedagogicamente impegnati (dagli amici agliinsegnanti) riversano su quel pezzo unico. Di qui, ancora, l'isolamentomateriale e psicologico che lo stesso bambino e i suoi custodi vivonodirettamente sulla loro pelle, isolamento che riflette un atteggiamentocollettivo caratterizzato da un notevole carico di preoccupazione neiconfronti dell'infanzia. Di qui, anche, l'aggressività esercitata neiconfronti di quanto (i media soprattutto) mette in discussione una simileprospettiva d'azione. 3.1 Come sosteneva in tempi non sospetti Ariés, la detronizzazione delbambino è un catalizzatore corposo e denso della fase storica che stiamovivendo: esso si inscrive nella trasformazione profonda dei regimiistintuali e delle pratiche educative, e dà alimento a rappresentazionisegnate da ideologie negative. "Dagli anni '60 in poi la riduzionedemografica non risponde più alle medesime motivazioni" della denatalitàdegli anni '30: quella muoveva dallo scopo di ottenere "una famigliafelice", questa non è più "child oriented". "Questi indizi non significanoche si torni ad epoche di indifferenza. Un limite della sensibilità è statovarcato troppo di recente e troppo a fondo perché sia possibile unaregressione". Ma qualcosa, inevitabilmente, si è rotto. Corriamo il rischio"che nella società di domani il posto del bambino non sia più quello cheera nell'Ottocento: il re potrebbe venir detronizzato e il bambino nonconcentrare più su di sé, come è avvenuto per uno o due secoli, tuttol'amore e la speranza del mondo" (Ariés, 431-442). L'ansia che la collettività esprime riguardo l'autorealizzazione e lariuscita del singolo bambino esprime la lacerante contraddizione tra questedue istanze di eccezionalità: quella statistica e quella qualitativa.
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