"FAHRENHEIT 9/11" , un film di Michael Moore
di Rossella Valdre'
Si e gia detto e scritto moltissimo sul premiato e discusso "Fahrenheit 9/11", lultimo film-documentario di Michael Moore, vincitore a sorpresa della Palma DOro allultimo Festival di Cannes.
Tuttavia. nonostante si vada a vederlo sapendo gia di cosa tratta e quale sia la tesi politica (per meglio dire, etico-socialpolitica) che il regista sostiene, nonostante quindi la relativa mancanza di novita e di sorpresa e il nostro stato mentale gia saturo, per cosi dire, il film di Moore risulta comunque sorprendente. Per la sua intelligenza, per il suo ritmo, per lintensita umana del suo sguardo, per il suo tema scottante, per lattualita e, in certi momenti, per lironia e persino per la grazia con cui tratta una vicenda storica ancora sotto i nostri occhi. So di esprimere unopinione personale, naturalmente.
Non credo che, tra sostenitori e contrari, ci si mettera mai daccordo: e un film che necessariamente divide.
E noto che Michael Moore sostiene alcune tesi di fondo che costituiscono lasse portante del film. Rivediamole: la prima e che Bush vinse le elezioni grazie a brogli elettorali; la seconda (quella centrale) e che esistano e siano esistiti contatti e collusioni pesanti tra la famiglia Bin Laden e il governo presieduto da Bush, prima padre poi figlio, allo scopo di ottenere il controllo sulla produzione globale di petrolio; la terza e che lopinione pubblica americana e stata falsamene informata, ingannata, e soprattutto resa vulnerabile da una campagna mediatica mirante a creare panico, confusiva attraverso messaggi contradditori e subdolamente manipolata. Tesi collaterali, ma conseguenti a queste, vedono nella vendita di armamenti un fattore decisivo nella politica dei neoconservatori al potere, cosi come lo smantellamento della gia esigua spesa sociale e il danno che tutta questa amministrazione ha fatto e fa quotidianamente sui piu poveri, cioe su chi e pressocche costretto a mandare i figli in guerra perche non riesce a farli studiare e quasi a mantenerli.
Tutto questo ed e un vero merito del film e documentato da riprese che riportano fatti, interviste, denuncie, racconti di testimoni e di giornalisti, una massa di materiale che difficilmente avremmo avuto modo di vedere diversamente, attraverso linformazione corrente. Come ha scritto Natalia Aspesi, Michael Moore ci inchioda alla poltrona e ci costringe a collegare luna cosa con laltra, un avvenimento col successivo, una iniziativa con le sue conseguenze, ribaltando completamente lo stile imperante nelle televisioni, e in qualche misura anche nella carta stampata, in cui si rincorre la novita e il sensazionale, e per fare questo non importa che le notizie siano collegate secondo un senso logico e storico, ma ci appaiono sullo schermo frantumate, schiacciate sulloggi, bidimensionali. La rincorsa del sensazionale e del forte a tutti i costi, premia forse laudience, ma non la ricerca della verita.
Chi non ha apprezzato il film, accusa Moore di manipolazione e semplificazione, sostenendo che le commissioni di inchiesta non vedrebbero confermati i dati circa la fuga di sauditi dagli Stati Uniti dopo l11 Settembre (che e laccusa piu scabrosa del film), e che i brogli elettorali non sarebbero risultati tali ad un secondo esame (non e altrettanto chiaro da dove abbiano derivato queste poche notizie che smonterebbero tutta la complessa, in realta, architettura del film).
Altre voci relativamente critiche, come quella di Massimo Cacciari apparsa su La Repubblica alcuni giorni or sono, sottolineano il pericolo del grottesco e dellironia come strumento che finisce per non toccare le coscienze in profondita, limitandosi a divertire e stimolare, ma che un cineasta brillante e padrone del mezzo documentaristico come Moore poteva spingersi piu a fondo, permettersi cioe una vera denuncia sociale affinando lattendibilita dei documenti e riducendo cosi limpatto semplificante e ideologico.
Sulle prime, ho condiviso questa lettura. La satira puo stancare, personalmente la trovo sovente volgare (quella televisiva, almeno), ci aiuta a distrarci dal problema e il giorno dopo e tutto dimenticato.
Dopo aver visto il film, ho cambiato idea. Luso dellironia e non del grottesco, ad ogni modo e presente a tratti nel film, ma non lo connota come un lavoro ironico tout court; non si ride, si sorride amaramente. Non ci si diverte, non ci si dimentica la tragedia (ne quella dell11 Settembre, ne quella irachena, ne quella del popolo americano cosi diviso in due schieramenti); lironia che pervade il film e unironia triste, che sottolinea il contrasto enorme tra decisioni cosi importanti da cambiare il destino del mondo e lottusita dellamministrazione che quelle decisioni prende.
Il vero protagonista del film, tuttavia, non e la tesi che sostiene; non sarebbe cosi originale, in quanto non e lunico ne il primo a sostenere che lamicizia con i potenti sauditi per il petrolio e la lobby delle armi siano i veri registi della guerra allIraq; cosi come non e il primo a mettere il dito sulle incongruenze delle dichiarazioni rilasciate, sulle supposte menzogne circa le armi di distruzione di massa, e via dicendo. No.
Il vero protagonista, il tocco di classe di Moore e la macchina da presa ferma per qualche minuto sulla faccia attonita di Bush mentre in visita ad una scuola elementare legge ai bambini Le tre caprette e, quando gli riferiscono allorecchio Signor Presidente, la Nazione e stata attaccata subito dopo lattacco del primo aereo l11 Settembre, egli resta impassibile e con lo sguardo indementito e vitreo, privo di ogni qualsivoglia espressione umana
riprende a leggere Le tre caprette. La voce narrante di Moore ipotizza cosa avra mai pensato (se avra pensato) il Presidente in quei minuti davanti allamena classe di bimbi americani, mentre il faccione in primo piano del povero burattinaio diventato burattino risulta cosi goffo e patetico da muovere persino una certa simpatia. Alcuni commentatori da New York, pur non apprezzando il film, riconoscono che e servito se non certo a modificare lopinione pubblica americana rispetto al voto, almeno ad introdurre elementi di autocritica da parte dellamministrazione Bush, ne ha scalfito limmagine vincente e intoccabile e ha consentito che linformazione circolasse maggiormente.
Credo si debba inoltre fare un doveroso distinguo tra lopinione pubblica europea e quella americana. Per il gusto e lopinionismo europeo, il film appare in alcuni tratti, in effetti, ipersemplificato, ideologico e semplicistico, e cio spiega i commenti non troppo favorevoli espressi in questi giorni da giornalisti non certo schierati con Bush, quali il gia menzionato Cacciari, Pericoli, Teodori e altri (con leccezione di Furio Colombo). Ma non altrettanto si puo dire dellopinione pubblica non tanto newyorkese quanto quella dellaltra America, lAmerica che Moore cosi bene rappresenta del Michigam, delle zone depresse e a bassissimo tasso di istruzione (la bellissima scena di Flynt vale per tutte), lAmerica dove si legge il quotidiano locale quando va bene e si sa quello che interessa la propria piccola comunita e niente altro, lAmerica che non sa cosa dove sia Cannes e non ha mai letto il New York Times o lWashington Post e difende col fucile la sua bottega e la sua aiuola.
Al cuore di questa America, se ci arriva, il documentario di Moore puo apparire tuttaltro che scontato e risaputo come appare ai nostri intellettuali che-sanno-gia-tutto, e proprio la sua voluta semplicita di montaggio e certi suoi facili effetti emozionali possono essere compresi da un vasto pubblico abitualmente estromesso dallinformazione colta e politically correct.
La semplificazione sembra voluta ai fini di raggiungere un pubblico diversamente non raggiungibile, in quanto Michael Moore sa fare eccome i documentari, anche seri, come era stato con "Bowling a Colombine", apprezzatissimo in Europa ma considerato delite negli Stati Uniti (tanto da essere poi tradotto in film vero e proprio dal raffinato Guy Von Sant nel bellissimo "Elephant").
Come ha scritto il New York Times, "Fahrenheit 9/11" va preso cosi come, non cercando in esso un manifesto di chissa quale partito o movimento, ma come espressione ed opinione libera del suo stesso autore, il simpatico ciccione che si aggira con la sua piccola troupe per le strade dAmerica a fare domande scomode e intriganti. E con questo spirito che egli ci regala i momenti migliori del film (oltre al gia citato sguardo vacuo di Bush di fronte al disastro), vale a dire la desolazione di una vasta parte dAmerica dove lui stesso e nato, lo spaesamento dei soldati americani che sentono musica sui carri armati, il reclutamento di nuove reclute fatto promettendo agli adolescenti poveri e negri che "entrando nei marines si puo diventare ricchi e famosi", le contraddizioni di un Paese che e grande anche nonostante queste stesse contraddizioni.
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