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"i Fogli di ORISS"

Rivista semestrale. Direttore responsabile: Piero Coppo. Capo redattore: Salvatore Inglese — N. 15/16 (numero doppio), 2001, Cooperativa Colibrì, Paderno Dugnano (Milano)

 

 

La rivista semestrale "i Fogli di ORISS" (promossa dall’Associazione no profit Organizzazione Interdisciplinare Sviluppo e Salute) continua le sue pubblicazioni. L’ultimo volume — un numero doppio (15/16), ora in libreria — è in gran parte dedicato al tema del corpo.

La rivista, che ha iniziato le sue pubblicazioni nel 1990, è nata da un gruppo di ricerca e azione che da anni si dedica a "luoghi e lingue di confine tra antropologia, psicologia, medicina e psichiatria". Essa è particolarmente attenta alle aree dell’antropologia medica, dell’etnopsichiatria, dell’etnopsicologia, della psichiatria e della psicologia di comunità.

A partire dal 1997 sono usciti numeri tematici dedicati al disagio della globalizzazione (numero 7/8, il cui Editoriale, Elementi per un Manifesto, dichiarava gli intenti e le opzioni metodologiche della redazione), ai rapporti tra psicopatologia e postmodernità (numero 9, che tratta il rapporto tra culture e disturbi dell’alimentazione), alle psicoterapie "culturali" (numero 10, con contributi di R. Prince, T. Nathan, P. Watzlawich, S. Kakar, S. Grof e altri), ai rapporti tra dominio e salute (numero 11/12, che tratta anche dei disturbi post-traumatici e da stress), ai nessi tra stati di trance, visioni e identità (numero 13/14, che tra l’altro comprende la prima parte di un testo inedito in italiano di Georges Devereux sulla rinuncia all’identità come difesa contro l’annientamento) ed infine, con l’ultimo numero, alle problematiche del corpo.

Gli indici dei singoli numeri sono consultabili sul sito di ORISS, www.oriss.org. Abbonamenti e arretrati possono essere richiesti all’editore: Cooperativa Colibrì, via Coti Zelati 49, 20037 Paderno Dugnano (MI), Fax 0299042815, email colibri2000@libero.it

L’ultimo numero, dunque, dedica la sua sezione centrale al tema del corpo. Il contributo di S. Allovio (Fabbricazione e riparazione del corpo tra culti degli antenati e culti dei discendenti) tratta dei processi culturali di costruzione delle persone (la cosiddetta antropopoiesi) e delle logiche tecniche che permettono di intervenire per costruire o riparare l’essere umano, nei limiti della sua plasticità. Dopo alcuni accenni a dati provenienti dalle discipline etnologiche ed etnopsichiatriche, l’Autore si rivolge alla cultura dominante in Occidente, e all’ossessione della perenizzazione della plasticità del corpo: la vita diventa "materia plasmabile, diventa una materia plastica e elastica: legislatori e genetisti la tirano fin dentro l’embrione, esperti di trapianti d’organi la dilatano frammentata su corpi che a loro volta vedono prolungata la propria esistenza in una grandiosa feticizzazione della vita." L’ipocondria, la fobia della morte, della dissoluzione e della putrefazione (che invece è considerata, in altri contesti, processo trasformativo che permette il passaggio allo status di antenato) motivano il ricorso a pratiche conservative (come la criogenia) di cui l’Autore esplora analogie e diversità con altre pratiche, adottate in altri tempi e oggi anche altrove.

In un articolo dedicato a L’esperienza del corpo nel Candomblé, la giovane sociologa brasiliana Rosamaria Susanna Barbàra racconta (dall’interno della sua esperienza) la connessione corpo-danza-musica-salute come si esprime nei rituali del sistema afro-brasiliano del candomblé. Dopo una descrizione generale del sistema, visto in particolare dal punto di vista delle manifestazioni corporee, del corpo che danza, e del corpo che riceve la divinità e vive la possessione, l’Autrice confronta il concetto del corpo in Occidente con la teoria propria al sistema del candomblé. Dalle sue osservazioni si coglie la distanza che separa le due concezioni. La Barbàra si addentra poi nei particolari tecnici che caratterizzano il rapporto col corpo, e il suo particolare accudimento, in quel contesto; e l’importanza, e i significati, delle varie parti: la testa, il ventre, il piede destro e quello sinistro, ciascuna in connessione con un repertorio di dèi, funzioni, attributi, analogie. Ne emerge una funzione di riorganizzazione del corpo, corpo biologico, ma anche supporto di relazione con le altre dimensioni, visibili e invisibili, dell’esistente: "Il processo mistico-religioso inizia con un processo di ampliamento delle percezioni e di educazione a queste ultime. Durante questo percorso, chiamato indottrinamento, il corpo impara a percepire e organizzare le percezioni sensoriali per poter ri-orientarsi nel mondo e nella vita." Il sistema afro-brasiliano del candomblé appare qui come un caso specifico delle tecniche di antropopoiesi di cui trattava anche l’articolo precedente.

L’articolo di V. Bellia, Danzamovimentoterapia, il corpo di un’anima migrante, continua in questa direzione e tratta della pratica e teoria della danzamovimentoterapia. Il "corpo professionale" dei danzamovimentoterapeuti è, seondo Bellia, il corpo di un’anima migrante: molti che praticano questa disciplina sono infatti stranieri, vengono da altrove. La disciplina "piace agli utenti, piace agli operatori, viene sempre meglio accolta — o, persino, sempre più richiesta — dalle istituzioni." A volte per promuovere, sollecitare, veicolare cambiamento e trasformazione; più spesso, nei circuiti riabilitativi, come intrattenimento o fattore di normalizzazione. L’Autore traccia la storia della disciplina e delle sue matrici psichiatrica, psicodinamica e artistica.; ne descrive la teoria e la tecnica; e infine le indicazioni e gli usi. Conclude con alcune osservazioni sull’esperienza in corso nei servizi dell’ASL catanese, dove da un paio d’anni è stato avviato un training di formazione; ma iniziative analoghe sono in corso in scuole e in altri contesti istituzionali. "La prospettiva della promozione del benessere, scrive Bellia, non è un tuffo nel desolante anonimato della new age, bensi il lavoro delicato di passare dalla clinica alla comunità, di studiare i dispositivi per restituire linguaggi antichi ai processi di auto-formazione della cittadinanza."

Infine, nell’articolo di G. Siegabattel (Luci nella notte a Little Italy. Alcune note su diritti, scelte politiche e pratiche sociali nell’area della prostituzione) il fenomeno della prostituzione italiana viene analizzato, in rapporto soprattutto al ruolo che vi giocano donne straniere. Le caratteristiche generali del sistema che le gestisce, le caratteristiche delle donne, le loro modalità di esercizio e le reazioni che il fenomeno suscita in Italia vengono brevemente descritte. Un capitolo viene dedicato agli approcci alla prostituzione in altri paesi: dove proibizionismo, regolamentarismo e abolizionismo si mescolano variamente. Una sintesi degli interventi sul territorio, dei dati sulle caratteristiche medie dei clienti, e un tentativo di leggere il ruolo delle "operatrici del sesso" nel contesto dei grandi fenomeni economici e sociali che sottendono le dinamiche migratorie conclude l’articolo, corredato di una interessante bibliografia.

Si conclude qui la sezione centrale della rivista, quella tematica. Le altre sezioni (Etnopsichiatrie; Umanitario; Fondamentali; Mondi; S/Fogli; Laboratori) contengono vari articoli e contributi, recensioni e commenti a Convegni e ad altri eventi. Sono da segnalare, in particolare, i due articoli sull’ideologia umanitaria (M. Deriu e B. Hours), la seconda parte del fondamentale testo di G. Devereux sulla rinuncia all’identità, i due articoli su sistemi altri (L. Xodo su un culto di possessione bambara in Mali, I. Baldini e F. Basse sulle pratiche dei guaritori tradizionali senegalesi relative alla cura della "follia").

L’evoluzione negli anni della rivista permette di affermare che essa occupa uno spazio inedito nel lavoro inter-disciplinare in Italia, e lo occupa in condizione di totale autonomia e libertà di ricerca e discorso, non essendo vincolata a nessun ambito disciplinare o istituzionale particolare. L’interesse che suscita e la vitalità delle sue fonti sono anche dimostrati dalla sua sussistenza in un settore dove molte altre riviste hanno avuto un’esistenza effimera. I vari cambiamenti avvenuti nel tempo nel Comitato di redazione (diretto ora da Salvatore Inglese) non hanno inficiato la continuità dell’approccio di cui "i Fogli di ORISS" sono l’espressione. Non va dimenticato il fatto che il direttore responsabile, Piero Coppo (medico e psichiatra), è attualmente una delle figure più rappresentative della nuova etnopsichiatria italiana. Il Board dei Consulenti dimostra la varietà dei collegamenti della rivista con altri studiosi e con altri livelli istituzionali, tutti cruciali, che occupano in Italia e nel mondo posizioni per molti versi analoghe.

L’augurio è che le pubblicazioni continuino e che vengano superate le difficoltà organizzative che limitano la distribuzione (e quindi la reperibilità) e la puntualità della rivista.

MARCO RIZZA

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