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IX
Congresso Nazionale della Società Italiana
di Psicopatologia
(SOPSI)
RUOLO CENTRALE DELLA PSICHIATRIA IN MEDICINA Roma.
Hotel Hilton Cavalieri
24 febbraio - 28 Febbraio 2004 |
IL CONGRESSO ON LINE - REPORT ED INTERVISTE ESCLUSIVE
DALLE SALE CONGRESSUALI
QUINTA GIORNATA - VENERDI'
27 FEBBRAIO 2003
I REPORT DALLE SALE CONGRESSUALI
Incontro con L’ On. Maria Burani Procaccini.
In una sala abbastanza piena e in un clima a tratti un po’ teso si e’ svolto un incontro con l’On. Maria Burani Procaccini, relatrice di uno dei disegni di legge che si propone di riformare la legge 180.
Apre i lavori il Dott. Messina, che ha contribuito ad organizzare l’ incontro, poi il Dott. Picano, che ha aiutato la parlamentare nella stesura del disegno di legge, egli sottolinea come non voglia essere un testo ideologico ma un testo che cerca di dare delle risposte a dei problemi, osserva come i cittadini piu’ poveri finiscono per essere esclusi dalle cure per la depressione, da questa ed altre osservazioni nasce un’ idea che e’ stata recepita nel disegno di legge, l’ idea cioe’ di strutture differenziate per le varie psicopatologie, tra le quali anche la depressione post partum che oggi non riceve un’ assistenza adeguata.
Accenna all’ introduzione di una norma per una valutazione psichiatrica obbligatoria di 4 ore, al TSO prolungato e a finanziamenti speciali ai medici di famiglia che accettino di collaborare col DSM.
Segue l’ intervento dell’ On.Burani Procaccini, ribadisce che il testo di legge e’ attualmente depositato in commissione ed e’ possibile che diventi il testo base per la discussione.
Da quando e’ nata la prima bozza del disegno di legge sono passati circa 2 anni e mezzo, in parte il testo e’ stato fatto decantare perche’ all’ inizio si era sollevato un forte dissenso ideologico. La legge 180 aveva ormai 25 anni e lasciava scoperti alcuni punti, inoltre i progetti obiettivo rivolti alla salute mentale, pur avendo lo scopo di integrare le lacune della 180 finivano per restare sulla carta.
Il testo si intitola “norme in materia di prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie psichiche”, il mondo e’ in progress e anche la malattia. E’ stato un testo aperto, sulla depressione si sono ascoltate le associazioni di malati, e c’ e’ stata un’ indagine conoscitiva che poi e’ stata in parte integrata nel testo. Dopo che il testo base sara’ votato dalla commissione si potranno fare gli emendamenti e a quel punto, tramite i parlamentari di riferimento, gli psichiatri potranno far valere le proprie opinioni.
Ogni legge puo’ essere elaborata bene, questa non vuole essere una legge ideologica.
L’ Onorevole lamenta al riguardo il fatto che talvolta e’ stata fatta oggetto di attacchi personali in internet, dice a un pubblico di psichiatri che se si desidera che qualcosa migliori dopo 25 anni ( e non che cambi) bisogna lavorarci insieme per arrivare non a un testo perfetto, che non esiste, ma al migliore dei testi possibili.
Segue l’ intervento dell’ On. Moroni, nel frattempo arrivata in sala, nel suo intervento sottolinea come si tratti di un tema complicato da un punto di vista storico, culturale e politico, crede comunque che dopo 20 anni anche la migliore legge vada cambiata.
Non vuole discutere in questa sede se e quanto sia stata applicata la 180, forse e’ stata sottofinanziata, i progetti obiettivo hanno il limite di non essere leggi e pertanto possono non venire applicati. Ritiene che bisogna rinnovare l’ approccio per quanto riguarda la psichiatria e la sanita’, ponendo al centro il malato e la gestione del malato comporta la gestione della sua famiglia. Anche lei ha fatto una proposta di legge, sentendo sia i professionisti che le famiglie dei malati, su alcuni punti diverge dalla proposta Burani Procaccini, per esempio non ritiene che sia il caso di dare incentivi al medico di base.
Segue uno spazio per interventi e domande da parte del pubblico in sala.
Prof. Bollorino: Non si puo’ immaginare che i professionisti della salute mentale si confrontino col legislatore ogni 6 mesi, e’ troppo poco. Ci vuole una pausa, forse si puo’ discutere ancora un po’, si possono organizzare dei forum su pol-it, sono in preparazione, saranno quanti gli articoli della legge, in cui gli psichiatri potranno confrontarsi, chiedo allora alla parte politica di leggere tali forum. Chiedo di ascoltare Bruno Orsini quando racconta della gestazione della 180, e del suo inserimento nel contesto della 833.
Prof. Rapisarda: Una divisione puo avere 30 letti, perche’ fare un tabu’ dei 15 letti, spesso le malattie durano a lungo, il professore vuole portare il grido di dolore della Sicilia, ricordare il problema dell’ ingresso dell’universita’ nella assistenza con un impegno maggiore, si domanda perche’ sia stata abbandonata la libera docenza. Come gli psichiatri furono gli alfieri della 833 oggi devono essere gli alfieri di un rinnovato rapporto universita’ ospedale.
Prof. ssa Costa: Ritiene che sia importante la formazione permanente, esiste una specificita’ delle cure, ha una sezione per i DCA ed e’ risentita che i direttori di azienda ospedaliera possano imporle il ricovero di pazienti agitati, la specificita’ della cura e’ importante e sara’ contenta se ci saranno posti letto specifici per la depressione.
Dott. Corrieri, da Grosseto: trova interessante la separazione dei percorsi di trattamento, pero’ e’ preoccupano di separare anche i terapeuti, la salute mentale degli psichiatri e’ importante perche’ alcuni finiscono per curare sempre lo stesso tipo di pazienti e alla fine non ce la fanno piu’.
Dott. Sacripanti: Esprime il desiderio che ASO e TSO, visto che coinvolgono diverse figure professionali e designano percorsi amministrativi complessi vengano semplificati dalla nuova legge.
Prof. Furlan: Nel suo intervento, piu’ volte interrotto dagli applausi dei presenti, sottolinea che ha chiuso il piu’ grosso manicomio italiano, ed e’ preoccupato che una legge specifica per la psichiatria possa finire per alienare di nuovo i medici che si occupano di salute mentale; non avverte il bisogno di TSO prolungati, e su questo passaggio viene contestato dai rappresentanti delle associazioni dei familiari presenti in sala, fa presente che ritiene che non e’ attraverso una legge che si risolve il problema delle famiglie, sa che e’ importante sollevare le famiglie dei malati e fa presente che su questo punto nel suo DSM il dialogo coi rappresentanti delle famiglie e il loro inserimento a pieno titolo nell’ organizzazione degli interventi sono da tempo una realta’.
Zattini: E’ la presidentessa dell’ ARA, afferma che attualmente il TSO finisce per essere fatto in casa, bisogna avere il coraggio di fare qualche cambiamento alla legge, occorre curare i malati di mente ma anche la loro famiglia, perche’ la famiglia impazzita non e’ piu’ in grado di prendersi cura del parente malato.
Andretta: Porta la voce della sua fondazione, la Mario Lugni, che ha lo scopo di aiutare ogni malato di mente, si propone di far avere all’ onorevole Burani una relazione con le attivita’ che praticano come fondazione.
Covino: E’ un membro dell’ ARA, afferma che le esigenze di familiari e pazienti devono essere soddisfatte ora, ci vogliono cure adeguate e in tempi ragionevoli.
Dott. Bensi: Fa presente che a Torino, dove lavora, le depressioni post- partum sono gia’ oggi oggetto di trattamento finalizzato, senza che ci sia uno specifico articolo di legge, chiede chiarimenti per il TSO di pazienti intossicati.
Dott. Parisi: pone il problema della necessita’ di definire degli indicatori di esito e non solo indicatori economici nel valutare le cure e le strutture della cura.
Dott. Petrini da Roma: fa presente che non sono state interpellate adeguatamente le associazioni sindacali, non solo degli psichiatri, ma anche dei medici di base e della guardia medica che poi tali norme potrebbero trovarsi ad applicare, si chiede come si possa inserire il discorso dell’ incentivo economico all’interno del contratto dei medici di base, osserva che una legge finisce per avere ripercussione su tante altre e quindi tali aspetti andrebbero organizzati con calma.
Dott. Vania, da Palermo: osserva come comunque nella legge le procedure per i TSO finiscono per mantenere aspetti ambigui.
Replica ai vari interventi l’ On. Burani Procaccini: va bene il forum ma l’iter della legge non puo’ ormai essere sospeso, cerchera’ di fare in modo che ci sia un tempo di riflessione per produrre un numero adeguato di emendamenti su cui lavorare, fa presente che l’ integrazione con l’uniiversita’ e’ prevista dal disegno di legge, spera di poter lavorare proficuamente con le associazioni dei parenti, fa presente che la legge cerca di semplificare le procedure per il TSO, al Prof. Furlan osserva che il territorio da lui gestito e’ un’ isola felice ma assicura che in altre parti d’ Italia le cose vanno diversamente.
Infine gli indicatori di esito: nella legge non ci sono perche’ faranno parte del regolamento di attuazione.
Con questo si chiude l’ incontro, ci sia consentita una sola osservazione:
ci sembra che questa legge cerca di dare una risposta a esigenze manifestate soprattutto dalle associazioni delle famiglie dei malati, ma gia’ oggi e senza una legge speciale ci sono DSM piu’ o meno sensibili al dialogo e alla collaborazione con le associazioni di malati e familiari, in questo senso la realta’ italiana e’ molto variegata, si dice che non vuole essere una legge ideologica ma bisogna prendere atto che quanto un servizio funzioni e quanto sia aperto al dialogo col territorio in cui opera, dipende non da norme di legge ma dalla capacita’ e dalla creativita’ dei singoli, pensare che una legge possa da sola influenzare tale variabile ci pare francamente un po’ ideologico e temiamo deludera’ le aspettative, anche legittime e giuste, di chi la sostiene.
Simposio: L’ansia di separazione dopo l’infanzia: significato psico(pato)logico e rapporti con altri disturbi di Asse I
Apre la sessione il Prof. A. Troisi occupandosi di Ansia di separazione nell’infanzia (CSA) e stili di attaccamento adulto in pazienti con diagnosi di asse I, presentando uno studio condotto su tre gruppi di ricerca in USA, Australia ed Italia, condotto con la Structured Clinical Interview for Separation Anxiety.
La problematica centrale e’ l’ipotesi della continuita’: la tematica e’ stata studiata nei bambini ma si vuole cercare quale e’ la continuita’ del fenomeno sperimentato nell’infanzia e in eta’ adulta.
I pazienti classificati nella categoria dell’ Ansia di Separazione nell’adulto (ASA) dovrebbero aver sperimentato livelli della stessa piu’ alti nell’infanzia e nell’adolescenza, infatti la misura retrospettiva dei sintomi di ansia e di separazione nell’infanzia e nell’adolescenza correla con la misura dei sintomi di ansia nell’eta’ adulta.
Lo status nosografico dell’ASA e’ complesso: essa puo’ essere sintomo all’interno di una sindrome, puo’ far parte di un tratto di personalita’, puo’ essere una sindrome in se’. Abbiamo una sovrapposizione di tre diverse entita’ nosologiche distinguibili tra loro. Tutto cio’ rimanda al Costrutto dell’Attaccamento (Bowlby), in particolare all’Attaccamento insicuro come elemento di tratto che media la continuita’ tra CSA e ASA.
I pazienti con attaccamento sicuro hanno riportato livelli di ASA piu’ bassi, si e’ visto inoltre che anche un atteggiamento distanziante ha un legane con l’ansia di separazione.
Segue l’intervento della Dott.ssa K. Shear (Pittsburgh, USA), che approfondisce il tema dell’Ansia di Separazione in eta’ adulta. Il disagio e’ la risposta biocomportamentale del bimbo normale alla separazione dalla madre. Compare a circa quattro mesi e perdura fino ai diciotto mesi, per poi scomparire nel bimbo normale. Se pero’ tale condizione persiste fino ai cinque anni si puo’ inquadrare secondo il DSM IV nei disturbi d’ansia da separazione infantile.
Nell’eta’ adulta puo’ non essere presente oppure puo’ ripresentarsi come ansia di separazione, e rientra nel disturbo d’ansia del DSM IV.
In riferimento ai quattro tipi di attaccamento (Sicuro, Distanziante, Ansioso-preoccupato ed Evitante),l’Ansia di separazione e’ collegata all’attaccamento insicuro, e ,dopo l’infanzia, all’attaccamento ansioso-preoccupato.
E’ stata considerata l’ansia di separazione dopo una perdita: si riscontra un’alta frequenza di Ansia di separazione nell’adulto in pazienti che hanno subito un Lutto traumatico (categoria non presente nel DSM IV).
Da uno studio di 145 pazienti con Ansia di separazione presentata solo in eta’ adulta, si e’ rilevato che il 68% di questi soffriva di ansia di separazione infantile, piu’ comune nelle donne, giovani, single, con basso grado di istruzione.
Si e’ riscontrata associazione con il Disturbo d’ansia, e non dell’umore, con il suicidio e le idee suicidarie, insieme ad una correlazione con la perdita della Fede in seguito alla perdita dell’oggetto.
Mentre lo sviluppo piu’ comune dell’Ansia da separazione nel bambino e’ l’Ansia da separazione nell’adulto.
E’ ora il turno del prof. R. Rossi sul tema “Separazione: l’ora di tutti”:
“Nec cum te nec sine te vivere possum”: la separazione e’ un problema umano in generale, e ne sono testimonianza i versi di Dante, quando si occupa di Abbandono, Ritorno e Nostalgia. Il percorso tematico continua seguendo idealmente Freud: “La Transitorieta’” (o caducita’) nella concezione di Pericle e Freud: il vero problema della guerra e’ la separazione, la perdita di contatto con le persone amate. Proseguendo il nostro viaggio attraverso l’opera freudiana, in “Lutto e Melancolia” si affrontano: Perdita d’oggetto, Recupero via narcisismo, Introiezione, Oggetto Interno, Se’ composto da pezzi d’oggetto perduto, Identita’ come vestito d’Arlecchino, Perdita e separazione come base d’identita’, Noi siamo i nostri morti. Proseguendo con 2Inibizione, Sintomo e Angoscia”: Ogni sentimento e’ conosciuto prima, Ricerca dell’ansia originaria, Esperienza della nascita.
La vita e’ un susseguirsi di perdite inevitabili dalla nascita alla morte, il progredire e’ una continua perdita.
Sul tema dell’analisi terminabile e interminabile, ci si chiede perche’ la libido e’ vischiosa, essendo la vischiosita’ un non-senso biologico. Si considera l’arcaicita’ e l’entita’ della perdita, l’istinto di morte, Empedocle e il dualismo dell’istinto , il paradosso dell’istinto di morte: la morte non e’ obbligatoria.
Nell’Arte vediamo che il trovare e’ in realta’ un ritrovare. Consideriamo la condizione perfetta e gli equivalenti nelle varie eta’ della vita: soddisfazione infantile, insoddisfazione dell’adulto, tendere ad una meta impossibile.
Nell’infanzia si assiste al graduale declino dell’onnipotenza, fino alla condizione dell’adulto “orfano”;nell’ adolescenza si ha il tradimento del corpo, il cambio di statuto dell’amore (dalla pretesa, alla richiesta, allo scambio), lo scacco del narcisismo, l’aggressivita’ barbarica non sublimata; nell’adulto abbiamo la depressione come statuto della vita emotiva, e paradossalmente una micromaniacalita’ della norma, esplicata in una negazione continua della perdita ( “in melancholia veritas”); nella senilita’ infine c’e’ l’inevitabilita’ della negazione (Edipo a Colono). Si conclude percio’ con l’invito a conoscere i limiti dell’intervento, a non tormentare con un eccesso di consapevolezza la’ dove e’ necessaria un minimo di negazione.
Il simposio viene chiuso dall’intervento del Dott. Pini sull’ansia di separazione nell’infanzia ed in eta’ adulta in pazienti con Disturbo Bipolare. Finora e’ stata accordata poca attenzione al fatto che il disturbo d’ansia di separazione (DAS) possa persistere o presentarsi in eta’ adulta. Il DAS in questi casi si caratterizza per la presenza da parte dell’individuo di marcati livelli d’ansia alla separazione da figure significative, paura che i propri cari possano essere in pericolo e un intenso desiderio di tornare a casa in situazioni di allontanamento. Si possono anche osservare elevate comorbidita’, come gravi sintomi d’ansia, compreso attacchi di panico, e sintomi depressivi che denotano una marcata reattivita’ ed instabilita’ affettiva. L’obiettivo dello studio presentato e’ confrontare i livelli d’ansia di separazione nell’infanzia ed in eta’ adulta valutati retrospettivamente in pazienti con disturbo bipolare a confronto con pazienti con altre diagnosi psichiatriche e con un gruppo di controllo.
Vengono valutati 97 individui con disturbi di asse I e 15 controlli. Sono stati applicati tre strumenti di valutazione dell’ansia di separazione: la Structured Clinical Interview for Separation Anxiety Symptoms nell’infanzia (SCI-SAS-Ch) e in eta’ adulta (SCI-SAS-Ad), la Separation Anxiety Symptoms Inventory (SASI) e l’Adult Separation Anxiety Checklist (ASA-CL).
I risultati dello studio indicano che sintomi d’ansia di separazione, sia nell’infanzia che in eta’ adulta, sono piu’ frequenti nei pazienti con disturbo bipolare che in pazienti con disturbo di panico o depressione. La presenza di comorbidita’ tra disturbo bipolare e disturbo di panico e’ associata ad una maggior gravita’ di ansia di separazione in eta’ adulta, mentre la comorbidita’ con disturbo d’ansia sociale e’ associata a livelli significativamente piu’ elevati di ansia di separazione nell’infanzia.
Simposio Tematico “Disturbi della Condotta Alimentare”
In tale simposio vengono apportati contributi di tre differenti ambiti di lavoro, quello romano di F. Montecchi, quello dell’equipe di Ancona e di Bari.
Il Prof. Montecchi ha presentato una relazione nella quale ha preso in esame la realta’ dei disturbi della condotta alimentare in eta’ evolutiva. Il servizio di cui si occupa, infatti, prevede l’invio di pazienti di eta’ compresa tra zero e diciotto anni. Sono diversi i quadri clinici che giungono all’osservazione: disturbo da alimentazione selettiva, anoressia del lattante, anoressia del secondo trimestre, pseudo-anoressia nervosa del fanciullo, anoressia nervosa della prepuberta’ e della puberta’, bulimia nervosa. I pazienti sono di sesso femminile nel 90% dei casi e la fascia di eta’ piu’ rappresentata e’ quella compresa tra 13 e 16 anni.
Le manifestazioni patologiche sono indicative di problematiche familiari od individuali antiche, come ad esempio una precoce alterazione della relazione con la madre, anche durante la gravidanza, che potrebbe essere letta come eccessivo controllo sul bambino. Il disturbo dell’alimentazione si presenta come una sorta di “vestito indossato” dal disagio, per cui cibo e corpo non sono il problema principale.
Dopo aver brevemente descritto le caratteristiche salienti dei singoli quadri clinici, il relatore si e’ soffermato su quelli che si presentano durante l’adolescenza, con riflessioni in merito alla centralita’ della tematica corporea. A questo riguardo ha precisato che esiste un corpo rappresentato (“mi vedo grassa”) ed un corpo percepito (“sento i miei organi che sono lenti”) e che l’anoressica tende a diminuirlo attraverso una restrizione dell’apporto calorico. Il cibo appare pericoloso perche’ capace di trasformare il corpo e, ugualmente, perche’ sebbene intensamente desiderato, la sua assunzione determina sentimenti di colpa e quindi, in ultima analisi, lo fa diventare nuovamente un elemento di pericolo. La bulimia nervosa e’ un disturbo alimentare in evoluzione, nel senso che mentre alcuni anni fa i casi che giungevano all’osservazione erano solo una bassa percentuale degli invii, attualmente la casistica e’ in aumento e riguarda soggetti con esordio piu’ precoce.
Nella parte conclusiva del suo intervento il prof. Montecchi ha proposto i dati di una recente ricerca di confronto tra un campione degli anni 1991-1994 ed uno attuale; dal confronto emerge una diminuzione di casi inquadrabili come disturbi psicotici, mentre i quadri di tipo depressivo sono in aumento, cosi’ come la percentuale di soggetti di sesso maschile affetti da disturbi dell’alimentazione.
Nella conclusione il relatore ha sottolineato come questi quadri patologici non evolvono necessariamente verso un DCA dell’adulto e si avvalgono di scelte terapeutiche peculiari e diverse rispetto ai disturbi della condotta alimentare negli adulti.
La dott.ssa Simoncini ha presentato una relazione relativa all’esperienza della terapia di gruppo con pazienti affetti da DCA. Sebbene le pazienti facciano il loro ingresso nella terapia perche’ anoressiche o bulimiche, il focus del trattamento non e’ il rapporto con il cino, ma questo e’ letto come simbolo di problematiche piu’ profonde.
Caratteristiche peculiari dei soggetti affetti da DCA (come ad esempio la difficolta’ del rapporto interpersonale e la problematica narcisistica) rendono particolarmente difficile la terapia di gruppo. Le difese psichiche e l’ambivalenza affettiva dimostrano una fragilita’ dell’identita’, protetta attraverso maschere e “stampelle”, che vanno rispettate mentre si fornisce uno spazio di accoglienza all’identita’ presentata, cioe’ quella che prevede il sintomo. La difficolta’ piu’ grande che emerge in questi casi e’ il bisogno di mantenere una stabilita’ e di aggregarsi a cio’ che e’ simile, che e’ comune. La ricerca di cio’ che e’ identico rimanda alla concettualizzazione uroborica, cioe’ alla ricerca della condizione della totalita’, della completezza. Il riferimento e’ al grembo uterino che accoglie e protegge dalla responsabilita’, dalla fatica, dal dubbio, dalla scelta; e’ una sorta di situazione paradisiaca cui e’ impossibile fare ritorno. Il percorso terapeutico si propone, allora, come evoluzione verso la differenziazione e l’individuazione: per crescere occorre emanciparsi dalla fusionalita’, distanziarsi, distinguersi, delimitarsi, ma cio’ evoca sentimenti di paura. Il rischio e’ anche quello dell’ipertrofia della coscienza, con la rimozione degli aspetti affettivi, l’eccesso di razionalita’e dell’aspetto intellettuale (che rimanda al paterno, come se si passasse da un opposto all’altro senza possibilita’ dei equilibrio).
Nella terapia di gruppo con pazienti affetti da DCA si osservano, quindi, la fragilita’ dell’Io, problematiche inerenti al Super-Io, difficolta’ nel trovare la giusta distanza per evitare vissuti di invasivita’, dipendenza e abbandono. Il gruppo, comunque, si pone come un luogo protettivo (sorta di materno uroborico) e che puo’ favorire la crescita e l’emancipazione, sebbene appaia particolare rispetto ad altri gruppi psicoterapeutici (risulta difficile, ad esempio, l’analisi dei sogni perche’ essi vengono ritenuti materiale meno importante rispetto alle questioni incentrate sulle calorie e sul corpo).
Il prof. Borsetti ha presentato un intervento dal titolo “Percorso motivazionale tra informazione e terapia”. La terapia, in questo ambito, deve porsi come punto di arrivo, vista la difficolta’ di “portare” queste ragazze ad un percorso di cura a causa della loro scarsa consapevolezza, dell’alterata focalizzazione del problema, di elementi complusivi o di egosintonicita’, dell’onnipotenza manifestata nei confronti della terapia o, al contrario, della negazione delle possibilita’ della stessa.
In questa prospettiva appaiono quindi fondamentali gli interventi che centrano il focus sulla motivazione. Il relatore ha proposto alcune riflessioni sugli interventi motivazionali dapprima riferendosi ai modelli teorici classici (Prochaska e Di Clemente), quindi alla possibilita’ di applicarli nell’ambito nosografico preso in esame.
Le tecniche motivazionali (dapprima quelle classiche, quindi una loro revisione improntata al modello di Pichon Riviere) sono state utilizzate nel trattamento dei DCA presso la struttura di Ancona della quale il relatore si occupa. I risultati dell’applicazione del “nuovo modello” sembrano positivi, anche se i dati si riferiscono ad un periodo piuttosto breve (due anni).
G. Curatola compie un’analisi di “Possibilita’ e limiti del trattamento integrato dei DCA”, in quanto se ne occupa presso l’ambulatorio dedicato ai DCA della Clinica Endocrinologica (collegata alla Clinica Psichiatrica) di Ancona. In un articolo, seppur non recentissimo, di Rott e Fonagy, viene messo in evidenza come il gruppo dei pazienti con DCA sia altamente eterogeneo; si ritrova, infatti, una grande variabilita’ della sintomatologia dei pazienti e un alto tasso di comorbilita’ per l’asse I e II, per quest’ultimo specie disturbi di personalita’ gravi. Tale eterogeneita’richiede pertanto un percorso diagnostico complesso, che dev’essere assai accurato e di tipo multidisciplinare, in quanto implica la valutazione di comorbidita’ psichiatrica, caratterizzazione di tipo psicopatologico e definizione del danno da malnutrizione. L’obiettivo del lavoro integrato dell’equipe terapeutica (nutrizionista, psichiatra e psicoterapeuta) e’ di rendere possibile, quindi stabile, ed infine efficace, l’intervento psicoterapeutico, soprattutto se a lungo termine e mirato a dinamiche profonde. In tal senso, la Tustin ritiene prezioso l’aiuto dei pediatri e degli psichiatri, in un’ottica di collaborazione, per mantenere il setting e potersi concentrare sul materiale controtransferale. Nella presa in carico di tali soggetti e’ fondamentale l’accoglienza ed il rispetto dei tempi necessari alla paziente, per renderla in grado di tollerare gli interventi e far si’ che diventi soggetto della terapia e non l’oggetto di essa. Il lavoro dell’equipe terapeutica e’ pertanto particolarmente intenso e risulta ottimizzato nel momento in cui si costruisce una rete specifica di curanti, il cui contesto organizzativo dev’essere stabile, che sia in grado di mostrare alla paziente ed ai suoi familiari una modalita’ relazionale differente da quella finora da loro conosciuta e fornire la possibilita’ di “aprirsi uno spazio mentale” (Resnik), per potere sentirsi e pensarsi, che qui spesso e’ diminuito o ingombro del pensiero ossessivo del cibo/corpo o del vuoto. L’integrazione, da strategia, diviene quindi una risorsa terapeutica da mettere in gioco.
In ultimo interviene P. De Giacomo che tratta gli “Interventi efficaci nei DCA”, ponendo l’accento sulla necessita’ usare nei confronti di pazienti e loro familiari un atteggiamento forte e direttivo, al fine di ottenere dei risultati tangibili ed efficaci anche con terapie brevi. Partendo dall’osservazione della dinamica familiare di questi pazienti (per lo piu’ si tratta di ragazze), che vede uno stretto rapporto di simbiosi fra madre e figlia e scarse relazioni, invece, con il padre, l’intervento attuato dalla sua equipe mira ad avvicinare alla paziente il padre ed allentare i contatti con la madre. Uno strumento che in base alla loro esperienza si e’ rivelato assai efficace e’ la prescrizione di un viaggio di quattro settimane di padre e figlia. Espone poi quelli che sono i dettami da seguire durante una prima visita: innanzi tutto e’ buona norma convocare l’intero nucleo familiare, che viene invitato a sedersi secondo una disposizione preordinata (i due genitori in prima fila ai due estremi della scrivania del medico, la paziente ed eventuali fratelli in seconda fila) che ad un certo punto della seduta viene variata (madre e figlia si scambiano di posto). Si deve compiere un’adeguata e completa raccolta delle informazioni, esplicitare la serieta’ del disturbo del comportamento alimentare da cui e’ affetta la paziente e quindi passare alla stipula del contratto terapeutico, quello che De Giacomo definisce il ”patto col diavolo”. Qualora vi siano titubanze da parte della paziente o della stessa famiglia, mette in atto la personale strategia della “scatola vuota”, che consiste nel comunicare loro, provocatoriamente, di avere pronta la soluzione al problema che li ha condotti li’, ma di non ritenerli ancora sufficientemente maturi da potergliela comunicare. In tal modo spera di riuscire a suscitare in loro una grande curiosita’ e desiderio di conoscere ed affidarsi alla “cura miracolosa”, ottenendone la fiducia e l’aderenza alle cure che andra’ a proporre loro. I passi successivi consistono nella visita vera e propria della paziente nella medicherai, con la partecipazione del padre anziche’ della madre, e nella prescrizione, fin dalla prima visita, del viaggio con il padre. Si debbono poi fornire dettami molto precisi riguardo la consumazione del pasto agli orari consueti, insieme ai genitori (preferibilmente il padre che deve osservare le modalita’ d’approccio al cibo), le modificazioni da attuare nel contesto ambientale, le regole da seguire pedissequamente, le strategie da effettuare, per esempio, in caso di desiderio di abbuffarsi. Conclude ribadendo la necessita’ di un intervento autoritario e specificamente mirato, come da lui spiegato nel libro scritto insieme ai suoi collaboratori “Ottimizzazione della visita psichiatrica”.
Simposio tematico “Ruolo degli atipici nel DOC e nel disturbo del controllo degli impulsi”.
Apre i lavori la relazione del Prof. Ravizza con una panoramica sul trattamento del DOC con i serotoninergici, tale tipo di trattamento risulta insoddisfacente in almeno il 50% dei casi, per cui si tende ad aggiungere in terapia un antipsicotico atipico, con tale tipo di augmentation la risposta sale a circa il 75% dei pazienti.
E’ interessante notare come l’ uso degli atipici in monoterapia nel DOC risulta invece insoddisfacente, provocando anzi talvolta un peggioramento dei sintomi.
Diverso il discorso per quanto riguarda l’ uso degli atipici nei disturbi del controllo degli impulsi, dal disturbo di Tourette alla tricotillomania al gioco d’ azzardo patologico, dove il loro uso in monoterapia sembra dare risultati positivi.
Il Dott. Albert propone un intervento in cui sottolinea, tra i vari problemi che riguardano la terapia del DOC, l’ osservazione che anche un tempo di osservazione di 12 settimane risulta accettabile per definire un DOC resistente al trattamento con serotoninergici in monoterapia, tuttavia se si prolunga il tempo di osservazione a 6 mesi si trova che qualche responder in piu’ si trova.
Presenta poi i risultati di un lavoro in cui pazienti che avevano richiesto una terapia con serotoninergici e atipici per il controllo del DOC sospendevano l’ uso dell’ antipsicotico dopo qualche tempo, in genere per scelta del paziente a causa degli effetti collaterali del farmaco; si e’ visto che in tali casi spesso si assisteva, in tempi abbastanza brevi, ad una ricaduta sintomatologica.
L’ intervento del Dott. Mungai presenta un lavoro del gruppo della Prof.ssa Marazziti sull’ uso dell’olanzapina e del risperidone nel DOC, con entrambi i farmaci hanno registrato un miglioramento della sintomatologia, da notare che molti dei pazienti arruolati nello studio presentavano una comorbilita’ per disturbi dell’ umore, sia mono che bipolari.
Chiude infine i lavori l’ intervento del Prof. Pallanti con un lavoro diretto sul controllo neuroimaging di pazienti in terapia con serotoninergici e risperidone per DOC. Si sono osservati effetti del risperidone sull’ attivita’ metabolica del giro cingolato e dello striato, da sottolineare il fatto che oltre ai miglioramenti nella sintomatologia ossessiva e compulsiva in tali pazienti si e’ osservato pure un miglioramento al Baratt impulsivity total score, tale miglioramento dell’ impulsivita’ riapre il problema dello spettro ossessivo-compulsivo-impulsivo, che probabilmente verra’ preso in considerazione nelle revisioni del DSM future.
Simposio tematico: esordio dei disturbi psichiatrici in eta’ adolescenziale
Apre i lavori l’intervento di S. Pini che illustra le caratteristiche epidemiologiche e cliniche del Disturbo Bipolare in eta’ adolescenziale, che presenta in questa fase della vita una prevalenza ed una incidenza simile se non superiore a quelle osservabili nell’adulto. Vengono individuate tre diverse tipologie di Disturbo Bipolare (con fenotipo tipico, con fenotipo tipico a cicli rapidi, con broad fenotipo). Tale broad fenotipo risulta particolarmente frequente in eta’ adolescenziale e rappresenta un quadro clinico caratterizzato da estrema labilita’ dell’umore, fino alle cosiddette tempeste affettive, irritabilita’, rabbia, aggressività’, aspetti tipo ADHD. Al fine di evitare risultati incompleti e talvolta contraddittori viene valorizzata una ottica longitudinale, con valutazioni retrospettive e prospettiche dei sintomi e del loro decorso. L’evoluzione verso forme di disturbo bipolare franco nell’adulto risulta rara nel caso dei quadri diagnostici subsindromici, frequente nel caso di quadri bipolari tipici. Viene messo inoltre in evidenza l’aspetto della comorbidita’ psichiatrica, piu’ frequente nelle forme bipolari ad esordio precoce rispetto a quelle dell’adulto; in tali casi si rilevano disordini coesistenti od overlapping di sintomi, si associano diagnosi di abuso di sostanze, ansia, disturbi di personalita’, anoressia/bulimia; addirittura la compresenza di comorbidita’ ansiosa e bulimia, insieme al sesso femminile possone essere considerati come forti fattori predittivi di esordio precoce del disturbo bipolare. Vengono poi presi in esame i casi di ipomania e mania in tali soggetti giovani ed i relativi pattern di comorbidita’ (drugs abuse, eating disorders, attacchi di panico, associati frequentemente ad un elevato grado di impairment sul piano cognitivo); di tali episodi viene poi valutata la durata media (spesso minore rispetto agli episodi dell’adulto) e la correlazione con la frequenza di tentativi suicidari. In conclusione si individuano criteri utili a fornire indicazioni rispetto alla possibile evoluzione di tali quadri precocemente diagnosticati (recessione o ricorrenza), rispetto alla qualita’ del decorso della malattia ed al confronto con l’andamento clinico nei caso di diagnosi di disturbo unipolare.
L’intervento di C. Ruggerini consente poi una serie di riflessioni in tema nosografico, sulla base della descrizione di una casistica clinica sull’esordio dei disturbi d’ansia in eta’ adolescenziale. Vengono esaminati soggetti in eta’ adolescenziale in osservazione presso l’ambulatorio di neuropsichiatria infantile o presso il centro per i disturbi d’ansia e depressivi dell’universita’ di Modena. Gli inquadramenti diagnostici vengono formulati sulla base dei criteri DSM-IV o tramite strumenti psicometrici standandardizzati. L’ansia risulta essere un costrutto multidimensionale che si esprime sulla base di sintomi somatici, comportamentali e cognitivi, l’eziopatogenesi e’ multifattoriale, l’ansia patologica viene distinta da quella normale sulla base di criteri cronologico-statistici e quantitativi. L’esame di tale casistica consente di cogliere l’intera gamma di espressioni dei disturbi d’ansia e di valutare il grado di esaustivita’ dei sistemi classificatori utilizzati, evidenziando la significativa necessita’ di una stretta collaborazione operativa tra metodi della psichiatria dell’infanzia e quelli della psichiatria dell’adulto.
Conclude i lavori l’intervento di M. Meduri che, sulla base di uno studio tratto da un’esperienza clinica di trattamento psicofarmacologico di un gruppo di giovani soggetti con disfunzionamento socio-lavorativo e positivita’ per i sintomi di base, approfondisce il tema centrale della diagnosi precoce della schizofrenia, nell’ottica di una auspicabile modificazione dell’evoluzione della storia naturale della malattia. I criteri diagnostici DSM hanno il difetto di scotomizzare la fase prodromica, che puo’ essere recuperata tramite l’utilizzo di altri criteri, quali quelli dei sintomi di base. Questi risultano centrali nel questionario proposto dalla scuola di Bonn. Dallo studio di Klosterkotter si rileva come la presenza di positivita’ per i sintomi di base in pazienti con sindrome prodromica coincidano con una elevata percentuale di evoluzione verso il disturbo schizofrenico.
L’utilizzo di tests neuropsicologici specifici, capaci di valutare il grado di compromissione delle funzioni prefrontali esecutive, evidenzia la centralita’ del disturbo neurocognitivo nell’andamento del disturbo schizofrenico e la necessita’ di ricercare nuovi endofenotipi clinici, con una correlazione diretta rispetto alle attuali ricerche sul piano genetico, alla ricerca di nuove frontiere sul piano terapeutico.
SIMPOSIO TEMATICO. LA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA INTEGRATA (PPI): METODO PER IL SUPERAMENTO DELLA SCISSIONE MENTE-CORPO IN PSICHIATRIA.
Basi metodologiche della Psicoterapia Psicodinamica Integrata. G. Lago. La PPI e’ una tecnica che i relatori di questo simposio stanno sviluppando nel DSM ASL Roma D. Appare riduttivo restringere il concetto di psicoterapia al solo intervento basato sulla parola e percio’ occorre inquadrare l’azione terapeutica in una visione unitaria che comprenda la mente e il corpo.
Del resto il termine “psicodinamico” e’ obsoleto in quanto si riferisce alla fluttuazione di un’energia psichica assolutamente non dimostrata. Tuttavia, nonostante si sia consapevoli dell’appartenenza del termine a un concetto vitalistico di energia, si mantiene la denominazione per il riferimento storico al corpus teorico della psicoanalisi e in questa accezione esso viene utilizzato in questa sede.
Integrare vuol dire completare, sia attraverso un impianto culturale unitario, sia attraverso una prassi omogenea, l’intervento psichiatrico che si vuole definire “psicoterapia psicodinamica”, condividendo l’orientamento di Gabbard il quale si richiama a una psichiatria psicodinamica.
La visione integrata strutturale proposta sottolinea l’importanza attribuita da Bion al protomentale, vale a dire l’ambito nel quale si svolgono processi che richiedono una trasformazione mentale (una mentalizzazione) per diventare pensiero e quindi parola. Potrebbe essere anche l’ambito della memoria implicita o procedurale, oggetto di studio delle neuroscienze.
La metodologia generale s’inscrive all’interno di una visione binoculare con il farmaco che ha una valenza terapeutica indirizzata al protomentale che puo’ essere influenzato quindi dal farmaco stesso ma anche da una relazione terapeutica, attraverso la trasformazione prima in pensiero inconscio e poi in pensiero verbale. La somministrazione del farmaco fa parte di quella che si potrebbe definire “trasversalita’ della relazione”. L’intervento e’ ordinato su tre livelli: 1) protomentale; 2) pensiero inconscio; 3) pensiero verbale.
Basi neurobiologiche della Psicoterapia Psicodinamica Integrata. A. Balbi. Per Bowlby il neonato ricerca uno stato fisico di sicurezza, mediato da istanze biologiche su cui solo successivamente si aggiunge uno stato affettivo di natura psicologica, quando si siano messi in atto quei movimenti trasformativi specie-specifici che portano alla formazione del pensiero, innanzitutto quello inconscio. Questa concezione contraddice il punto di vista si Fairbarn secondo cui il neonato ricerca primariamente l’oggetto. La necessita’ di considerare le basi neurobiologiche della psicoterapia psicodinamica integrata e’ quindi riconducibile al punto di partenza dello sviluppo emozionale e relazionale che prevede la permanenza determinante del livello protomentale per almeno i primi due anni di vita. La quota protomentale si assottiglia man mano che procede la mentalizzazione, fino a ridursi a una costante di base.
La mente e’ il risultato dell’esperienza, ossia dell’incontro della struttura plastica neuronale con l’ambiente. Dall’interazione con l’ambiente derivano le cosiddette “reti neurali”, ovvero pattern di neuroni attivati da uno stimolo esterno. E’ ormai dimostrato che la stimolazione ambientale e’ in grado di indurre l’aumento del neuroni e non solo l’aumento del numero di connessioni. E’ stata individuata un’intera nuova classe di cellule nervose, i “neuroni specchio”, scoperti da Gallese e Rizzoletti dell’Universita’ di Parma. I neuroni specchio potrebbero essere la chiave per comprendere la formazione del linguaggio, la capacita’ di condividere sentimenti, l’empatia, la socialita’.
Il protomentale e’ innanzitutto un livello-affettivo non verbale. La memoria procedurale o implicita che fissa gli elementi del protomentale e’ detta anche “memoria emotiva”, con sede in alcune aree dell’amigdala o dei nuclei della base e nella corteccia motoria (“memoria comportamentale”), oppure nella corteccia percettiva (“memoria percettiva”).
Il processo di mentalizzazione trasforma il protomentale in pensiero inconscio composto da immagini e rappresentazioni di se’ e dell’altro da se’.
Applicazioni della psicoterapia psicodinamica integrata. P. Petrini. Il dispositivo di cura della PPI prevede una variabilita’ assoluta per quanto riguarda il dispositivo spaziale, potendo svolgersi in ambiente clinico pubblico o privato o in ambiente non clinico.
La posizione paziente-psicoterapeuta e’ sempre vis-à-vis.
Occorre distinguere fra trattamento e psicoterapia. Il primo prevede una certa passività unilaterale e puo’ svolgersi solo negli ambienti clinici destinati all’acuzie. La seconda invece si basa su un accordo che prevede la reciproca contrattualita’ dei due partecipanti alla relazione, perche’ conditio sine qua non di una PPI e’ la richiesta o la necessita’ del paziente.
L’applicazione del metodo non puo’ che scaturire da una opportuna diagnosi.
Si possono stabilire dei livelli di intervento che richiedono l’uso degli strumenti piu’ adatti. L’intervento va regolato tenendo conto dei tre livelli: protomentale, pensiero inconscio, pensiero simbolico. Condizione fondamentale perche’ la PPI si svolga e’ la valutazione e successiva riduzione del protomentale in eccesso. L’integrazione si articola secondo tre fasi successive di lunghezza relativa alla gravita’: I fase, supportiva; II fase, interpretativa; III fase (facoltativa), a prevalenza formativa (acquisizione di capacita’ adattive all’ambiente).
Prendendo il caso dei disturbi di personalita’, e nella fattispecie il Disturbo Borderline di Personalita’, la carenza di mentalizzazione conduce alla mancata trasformazione di elementi emozionali e affettivi (gli elementi beta di Bion) in immagini interne di se’ e dell’altro da se’, procurando deformazione del pensiero (innanzitutto inconscio) a vari livelli. Il soggetto avverte allora un eccesso di stimoli emozionali. Nella I fase, supportiva, si tenta di costruire la relazione proponendo una nuova base affettiva di attaccamento attraverso empatia, atteggiamento flessibile, distanza ottimale, apertura e autenticita’ dell’intervento. Il consentire il contenimento dei comportamenti rende possibile l’integrazione con gli psicofarmaci, fungendo da contenitore delle proiezioni, da Io ausiliario, posporre l’interpretazione di sogni e fantasie.
Nella II fase interpretativa si mettono a confronto i vissuti consci, si pongono limiti e regole interpretative prevalentemente nel qui e ora e si usano i sogni per valutare il pensiero inconscio, con una progressiva riduzione dell’eventuale trattamento farmacologico fino a conclusione ed eventuale inserimento in psicoterapia psicodinamica di gruppo.
La III fase, formativa, e’ una fase di consolidamento, da attuare su richiesta del paziente o come aggiunta all’intervento individuale. E’ necessario ricontrattare con il paziente l’impegno in un lavoro che richiede la disponibilita’ della condivisione in gruppo dei problemi. Il trattamento farmacologico puo’ coesistere senza alterare il settino. Occorre contare sulla capacita’ di accettare la fase interpretativa.
Prevenire: l’impiego attivo dei farmaci nel Disturbo d’Ansia e Depressivi. M. Biondi. E’ dimostrato da alcuni dati che nel DOC, sia dopo terapia cognitivo-comportamentale che dopo fluoxetina diminuisce il metabolismo del glucosio nel nucleo caudato. Inoltre, sia dopo terapia cognitiva che dopo sertralina , si hanno modificazioni del metabolismo del triptofano a livello di corteccia prefrontale dorso-laterale che suggeriscono una aumentata sintesi locale di serotonina. Per cui la psicoterapia sembra poter “mettere a posto” la diminuzione dei circuiti serotoninergici e psicoterapia e farmaci devono essere utilizzati insieme e no uno contro l’altro. Il prof. Biondi a tal proposito sta conducendo da alcuni anni uno studio che mette a confronto persone che hanno assunto solo farmaci antiossessivi e pazienti che ricevono un trattamento integrato (a orientamento cognitivo-comportamentale). Andando a vedere l’esito a distanza (mesi e anni) si rileva che chi ha assunto solo farmaci presenta un elevato tasso di ricadute, mentre chi ha fatto la psicoterapia in coda alla terapia farmacologia ha una significativa riduzione della frequenza delle ricadute. La farmacoterapia consente altri interventi (per esempio la psicoterapia breve), nuovi adattamenti alla realta’ e risposte costruttive permanenti. Inoltre spesso aiuta a salvaguardare la rete affettiva interpersonale e familiare, contribuisce a ridurre la sofferenza, permettento un’assunzione “attiva” dei farmaci, cioe’ un’assunzione che poggia sul principio dell’apprendimento e dello sfruttamento dell’azione del farmaco per il lavoro terapeutico. Oggi sappiamo che l’apprendimento ha un’azione plastica sul cervello, produce cioè una ricircuitazione. La gente deve “imparare” mentre fa la terapia e il medico deve sapere manipolare cio’ che il paziente impara durante l’assunzione del farmaco. Si puo’ dunque dire che la psicoterapia deve percio’ combinare la dose di conoscenza e di farmaco, perche’ il fare cambia il cervello e cambia l’immagine di se’.
LA PSICOPATOLOGIA DELLE FASI PRODROMICHE E PRECLINICHE DELLA SCHIZOFRENIA: ASPETTI BIOLOGICI E FENOMENOLOGICI
Quali sono le possibilita’ di caratterizzare le fasi evolutive dei disturbi psicotici? Con questa affascinante domanda si apre il simposio, con la relazione del dott. K. Vogeley, psichiatra che si interessa di neuroscienze cognitive. Vogeley si occupa della “Teoria della mente”, che si propone di predire e spiegare il comportamento delle persone : si attribuiscono caratteristiche della propria mente agli altri per tentare di comprendere il pensiero altrui. Questa teoria puo’ essere utile per capire le motivazioni dei sintomi schizofrenici e risalire alle cause neuropsicologiche. Sono stati effettuati degli studi per verificare le modificazioni delle regioni cerebrali coinvolte nella psicopatologia. Esperimenti di “Functional Imaging” hanno dimostrato che determinate zone del cervello sono ossigenate in maniera diversa quando l’imput viene trasmesso alla corteccia. I pazienti schizofrenici hanno un’attivazione invertita rispetto ai soggetti normali. Con questo metodo si puo’ capire cosa accade durante un processo cognitivo e i cambiamenti che occorrono a seconda che il pensiero venga percepito come proprio o che venga attribuito ad altri. Lo sviluppo ulteriore di queste tecniche potra’ in futuro essere d’aiuto per individuare le fasi prodromiche della schizofrenia.
Il secondo relatore e’ M. Ballerini il quale afferma che malgrado un secolo di ricerche, il fenotipo schizofrenico rimane nebuloso. Abbiamo i sintomi psicotici, ma questo e’ aspecifico e poco utile dal punto di vista diagnostico.
Qual e’ il lato oscuro della schizofrenia? Per scoprirlo e’ necessario cambiare prospettiva, abbandonando l’analisi formale dei sintomi psicotici che possono essere considerati solo come indicatori di gravita’…E’ necessario spostarsi su qualcosa che viene prima del sintomo. L’idea della schizofrenia che si abbatte sul soggetto normale in maniera improvvisa non e’ piu’ valida. La schizofrenia viene da lontano, parte da disturbi che trovano radici nell’area cognitivo-comportamentale. Ballerini afferma che esistono cinque dimensioni utili per definire le strutture di senso psicologico-esistenziale.
-Disturbi neuropsicologici
-Disturbi del neurosviluppo
-Disturbi del se’
-Disturbi socioemozionali
-Disfunzioni sociali
La dissocialita’ e’ il lato oscuro della schizofrenia, e ne caratterizza il periodo premorboso. L’analisi dell’esperienza, e l’analisi del soggetto interessato sono fondamentali in questo senso. Gli schizofrenici sono staccati dall’armonia del contatto con il mondo sociale, sono chiusi in un mondo privato. Si ha la deriva ontologica della soggettivita’ arrivando fino all’autismo. Gli schizofrenici hanno difficolta’ a cogliere l’empatia altrui e tentano di compensare con l’ipercognitivita’.
La mente umana e’ sociale nella sua natura, quando questo viene meno c’e’ una deriva semantica di quel registro di simboli e significati condivisi da tutti noi, con solipsismo e distorsione della conoscenza sociale.
La dottoressa O. Gambini presenta una revisione della letteratura riguardante il periodo premorboso e prodromico dell’evoluzione della patologia schizofrenica, passando da Jaspers ( coscienza dell’Io,identira’ dell’Io, attivita’ dell’Io) a Kretschmer (temperamenti associati alla tipologia costituzionale), Bleuler (con il concetto di “spaltung”)e Minkowski ,per finire con Bini e Bozzi e la loro teoria di predisposizione alla schizofrenia.
L’ultimo intervento e’ quello del dottor L. Janiri, incentrato sul concetto di anedonia, ovvero l’incapacita’ di provare, ricavare piacere dalle cose piacevoli. E’ il sentimento della mancanza di sentimento che produce effetti paradossali come l’impossibilita’’ di essere tristi e il senso di colpa per la stessa impossibilita’’, e’ una “colpa ontologica”, uno svuotamento pulsionale. Green definiva l’anedonia come”funzione disoggettivante verso lo stesso processo oggettivante”. Callieri:”Scacco della donazione di senso”. Janiri prosegue con l’anedonia nella dipendenza da stimolanti. Nel periodo di astinenza c’e’ depressione, anedonia e craving. L’osservazione di tale condizione porta alla conclusione che l’anedonia e’ compatibile con una intensa capacita’ oppositiva, anche se rivolta ad un unico oggetto. Anche nella depressione e nella distimia con ritiro sociale si ha una forte componente anedonica.
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