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MANIFESTO CONGRESSO

X Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI)
LA PSICHIATRIA CHE CAMBIA IN UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

Roma.
Hotel Hilton Cavalieri
22 febbraio - 26 Febbraio 2005

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IL CONGRESSO ON LINE

TERZA GIORNATA - GIOVEDI' 24 FEBBRAIO 2005
REPORT DALLE SALE CONGRESSUALI

Terzo giorno del Congresso SOPSI.
Alcune annotazioni a meta' del cammino:
- l'organizzazione mi pare come sempre inappuntabile: l'equipe del Prof. Pancheri offre ai congressisti un panorama veramente variegato, stimolante di contenuti scientifici, che copre praticamente tutti gli aspetti della nostra professione e delle tematiche ad essa collegate
- si ha l'impressione che rispetto alla scorso anno ci sia piu' o meno la stessa gente, nonostante la "stretta creditizia" annunciata nei mesi scorsi dagli sponsor in tema di "inviti ai congressi"
- mi pare veramente ottima e di livello qualitativo alto la scelta di "separare" il momento dei corsi ECM dal resto degli eventi congressuali.. certo si tratta di fare delle levatacce.

LETTURA MAGISTRALE: D. J. Kupfer SUICIDIO E USO DEGLI ANTIDEPRESSIVI
Kupfer nella sua apprezzatissima lettura magistrale si sofferma in primo luogo a ricordare il forte impatto del suicidio come causa di mortalita’ in generale e in particolare nei disturbi depressivi, infatti (WHO 2000) si contano nel mondo 1.000.000 di suicidi all’anno, pari ad una mortalita’ superiore a quella legata a guerre, incidenti, catastrofi naturali.
La maggioranza di questi casi e’ legata a disturbi depressivi. Nell’ambito dei pazienti con disturbo bipolare il suicidio rappresenta la più comune causa di morte. Per quel che riguarda la relazione fra suicidio e uso di antidepressivi, in pazienti adolescenti e nei bambini, Kupfer ricorda quanto recentemente successo negli USA e in UK, in seguito a pressioni politiche, all’influenza dei media. CSM May 2003 in UK: il gruppo di esperti conclude considerando gli SSRI non sicuri nei soggetti con età inferiore ai 18 anni e con la raccomandazione di un attento monitoraggio del paziente nelle prime fasi del trattamento farmacologico antidepressivo, le linee guida uscite nel Dicembre 2004 in UK riportano l’indicazione di trattare con antidepressivi in associazione a psicoterapia i pazienti con depressione grave, mentre nei casi di depressione lieve o moderata psicoterapia e terapia farmacoterapia (SSRI) devono essere considerate di pari efficacia ed essere offerte in alternativa fra di loro.
In USA la FDA nel Novembre 2004, dopo revisione di tutti i dati di letteratura, conclude per un aumento dell’incidenza di pensieri e comportamenti suicidari in adolescenti e bambini con Disturbo Depressivo Maggiore e con altri disturbi psichiatrici in relazione all’assunzione di farmaci antidepressivi. Kupfer propone pero’ alcuni approfondimenti metodologici e cita numerosi studi rigorosi che mostrano al contrario un’assenza di associazione fra uso di antidepressivi e suicidio e una diminuzione del rischio con gli SSRI. Lo studio TADS (JAMA 2004) condotto su adolescenti depressi dimostra inoltre che l’efficacia della terapia con soli antidepressivi o con associazione fra antidepressivi e psicoterapia e’ decisamente superiore a quella con sola psicoterapia o placebo.
I dati degli studi devono essere clinicamente significativi, con entita’ dell’effetto misurato statisticamente significativo, a tal proposito indici importanti da conoscere sono costituiti dall’ NNT (indice relativo all’efficacia clinica: quanti pazienti devo trattare con farmaco A per avere risultato che non avrei con il farmaco B) e dall’NNH (indice analogo relativo agli effetti avversi). Le conclusioni sono che la depressione deve essere diagnosticata e trattata visto il notevole rischio di suicidio, che del resto puo’ e deve essere prevenuto, e la necessita’ di un monitoraggio attento del paziente da parte dei sanitari, ma anche con la collaborazione dei familiari.
(A cura di F. Fiscella)

PLENARIA:La diagnosi che cambia (G. Pertugi, L. Bellodi, A. Bertolino)
“Al momento attuale e’ sempre piu’ forte l’esigenza di inserire il percorso diagnostico in una modalita’ che permetta di conoscere in modo approfondito il paziente”, ricorda il moderatore Prof. E. Aguglia, rifacendosi alla “diagnosi per penetrazione” di Minkowski. Un altro aspetto fondamentale e’ cogliere in che misura anche la modalita’ espressiva sta cambiando, ad es. riguardo alla problematica dei disturbi sottosoglia e della comorbilita’. Su questo s’inserisce il primo intervento del Prof. G. Perugi sui “Modelli di spettro in psichiatria”.
Il relatore inizia ricordando il grande significato dei criteri diagnostici e delle interviste strutturate nate grazie ai sistemi diagnostici categoriali (DSM e ICD), in quanto hanno portato una produzione scientifica sterminata e affidabile, ma non si deve dimenticare che una diagnosi fortemente riproducibile non sempre e valida. Infatti si pongono i problemi relativi a sovrapposizione dei criteri, bassa stabilita’ diagnostica nel tempo (soprattutto nei disturbi d’ansia e dell’umore) e patologie sottosoglia. Le ragioni di cio’ si possono rintracciare nell’assenza di markers biologici, nella difficolta’ a tradurre in criteri operativi alcuni vissuti psicopatologici (mania, paranoia…), nel fatto che gran parte del procedimento diagnostico e’ inferenziale e che la valutazione di gravita’ e’ un atto clinico che risente delle variabili di contesto. Un approccio in grado di ovviare ad alcuni di questi limiti e’ rappresentato dal modello di spettro, che coniuga il modello categoriale e quello dimensionale riconducendo al concetto fisico dello spettro della luce solare (distinzioni apparentemente qualitative derivate da un continuum quantitativo).
Dopo un breve cenno ai tentativi di proporre modelli di spettro nella storia della psichiatria, il relatore si sofferma sullo spettro bipolare. All’interno di questo s’inserisce il problema della comorbilita’, che e’ la regola e non l’eccezione, tanto che la maggior parte dei pazienti si rivolgono al medico non per il disturbo dell’umore, ma per un altro di quelli associati. Inoltre si presenta il problema della diagnosi retrospettiva dell’ipomania, nelle sue 2 componenti, quella “sunny”, eccitativa e che e’ talvolta difficile differenziare dalla normalita’ e quella “dark”, maggiormente legata agli aspetti di impulsivita’ e disinibizione comportamentale. Al di la’ degli aspetti affettivi si presentano anche oscillazioni in altri ambiti, per esempio dell’ossessivita’, come espressione dell’inibizione della volonta’ e dell’impulsivita’ come espressione della disinibizione. Quindi lo spettro bipolare ha a che fare con sensitivita’, ansia e comportamenti ossessivi. Il nucleo e’ un’instabilita’ temperamentale su cui certe varabili (ambientali, genetiche, ecc.) indirizzano la manifestazione della malattia. Conseguentemente abbiamo implicazioni pratiche del modello di spettro che si ripercuotono sugli aspetti clinico fenomenologici, familiari, farmacologici e psicoterapici.
Segue l’intervento della Prof. L. Bellodi dal titolo “Complessita’ e psicopatologia”, che parte da un excursus storico sul concetto di psicopatologia. Si inizia da Jaspers, per il quale e’ “quella terra di mezzo verso la quale avanzano da due lati opposti le scienze della mente e quelle della psiche” e per il quale “delle concatenazioni causali tra psichico e somatico possiamo conoscere gli anelli terminali”. Si prosegue con Minkowski che ricorda di “evitare qualsiasi confusione e commistione [della psicopatologia] con la fisiologia e la biologia” fino a concludere con l’attuale DSM. Per andare oltre il dualismo mente/cervello propria della tradizione filosofica, la moderna psicopatologia ha la possibilita’ di fare propri gli strumenti impiegati dalla scienza cognitiva in una visione del cervello/mente come sistema dinamico, aperto, complesso e non lineare, le cui componenti sono identificabili separatamente solo a livello anatomico e in cui il tutto “funziona” nell’integrazione.
Il cervello e’ un sistema dinamico aperto nel senso che scambia informazioni, energia, materia, con l’ambiente esterno ed e’ da esso influenzato, in questo modo produce quali proprieta’ emergenti la coscienza e l’attivita’ psichica, ma anche gli elementi disfunzionali patologici. Le regole del mondo lineare non sembrano applicabili al mondo della fisiologia, in cui, invece, ci si inoltra nella dimensione della complessita’, del caos e della matematica non lineare. Quello che oggi forse piu’ si avvicina al modello del cervello e’ quello delle “reti ricorrenti di autoapprendimento” caratterizzate dal una complessita’ evolutiva. La proposta e’ quella di una psicopatologia funzionale in rapporto ad informazioni e variabili neuropsicologiche.
Chiude la sessione plenaria il Prof. A. Bertolino, affrontando il tema dei correlati biologici dei disturbi psichiatrici, uno dei punti della working agenda del DSM V, con particolare riferimento agli elementi genetici. In questo campo non e’ stato finora possibile identificare singoli fattori associati a specifiche patologie, ma all’interno del grande impegno profuso in tal senso si e’ trovata una modalita’ di approccio che inizia a mostrare la sua efficacia. Gli studi di fenotipo intermedio si occupano di analizzare variabili neurobiologiche e neuropsicologiche associate ad una patologia e, successivamente di identificare i geni associati a tale variabile.
In particolare, nello studio della schizofrenia, sono stati valutati la riduzione del P50 e i deficit di Working Memory, entrambi presenti sia in pazienti che in familiari sani. Nell’ambito dei deficit di Working Memory sono stati identificati sia i gruppi di neuroni implicati (localizzati nella corteccia prefrontale), sia il ruolo centrale del metabolismo della dopamina da parte di una COMT dotata di polimorfismo funzionale. Il gene che codifica per questo enzima e’ stato successivamente identificato e si e’ visto che gli antipsicotici atipici migliorano la performance in termini di working memory dei pazienti con und determinato fenotipo COMT.
Questi studi genetici dovrebbero fornire informazioni utili per comprendere meglio sia la variabilita’ d’espressione del quadro clinico, sia la risposta alle terapie farmacologiche.
(a cura di M. Fenocchio, W. Natta)

Simposio tematico parallelo: La depressione mascherata: una diagnosi che cambia
Apre i lavori l’ intervento del Prof. Romolo Rossi con un intervento sulla depressione mascherata. Se c’e’, bisogna smascherarla. Tra esempi di depressione mascherata in letteratura e nel mito antico: Anna Karenina, che “sedotta e abbandonata” , persa per sempre la possibilita’ di soddisfare le sue istanze di dipendenza si suicida; Madame Bovary che soddisfa gli aspetti anaclitici con la sua condotta sessuale, sempre insoddisfatta di quello che possiede, alla fine commette un suicidio con arsenico, se fosse la moglie di un medico oggi i giornali intitolerebbero “moglie di un medico si suicida con psicofarmaci” perche’ lei i sali di arsenico li ha acquistati in farmacia.
E infine Aiace, il piu’ forte ma non il piu’ astuto degli eroi omerici, vigoroso, potente, ma con una autostima che sotto la apparente grandezza nasconde una fragilita’ narcisistica, e quando non riesce ad avere le armi di Achille perche’ l’ astuto Odisseo lo supera si toglie la vita.
L’accidia e’ un peccato capitale, sintetizzabile come una sorta di insoddisfazione per le cose materiali che porta a non ricercare le cose spirituali, dall’ accidia, alla insoddisfazione, noia, scontento, sono tutti modi di indicare una sorta di depressione mascherata?
Il concetto di depressione mascherata viene puntualizzato negli anni 60-70, sono anche gli anni della scoperta dell’ imipramina e dei primi successi della farmacologia psichiatrica.
Il concetto di depressione mascherata non viene pero’ confermato dalla classificazione DSM. L’impostazione del DSM, che prevede di fare diagnosi categoriale di una condizione di malattia quando sono soddisfatti un determinato numero di items prevede poi la possibilita di diagnosticare una malattia sottosoglia cioe’ con un numero di items insufficiente, tale modo di fare finisce percio’ per essere confusivo e nel complesso contraddittorio.
L’ intervento del Prof. Pancheri affronta l’ argomento della depressione mascherata nel suo inquadramento nosografico degli anni 60-70, dove di tale patologia e’ stata in particolare sottolineata la sua caratteristica presenza di somatizzazioni. Da qualche anno sono presenti in letteratura una serie di studi per valutare l’ associazione tra patologie come la fibromialgia e la depressione, che risulta significativa.
Un altro elemento da considerare e’ la elevata familiarita’ per alessitimia e disturbi dell’ umore in pazienti con somatizzazioni.
Depone per un’ indipendenza nosografica della depressione mascherata anche il fatto che si osserva una periodicita’ della sintomatologia somatoforme nel corso circadiano e nel corso del tempo e la risposta positiva ad un trattamento con farmaci antidepressivi.
Conclude i lavori il Prof. Mauri il quale puntualizza il problema dei sintomi somatici in queste depressioni mascherate,rappresentati piu’ frequentemente da dolori,lombari,cefalee e sintomigestrointestinali.Questo comporta l’intensa partecipazione non soltanto delle competenze psichiatriche ,ma anche dei medici di famiglia e di diverse aree specialistiche.Si calcola all’incirca ogni anno una stima di 20 milioni di visite annue per dolori lombari presso medici di famiglia e specialisti.
È evidente per tanto, l’enorme sforzo socioeconomico che il sistema sanitario deve annualmente affrontare per questi pazienti ,i quali pur ricevendo talora un’opportuna terapia antidepressiva ,presentano sintomi residui fisici che compromettono notevolmente la qualità della vita quotidiana.Sono pertanto pazienti difficile da gestire. Si è cercato di trovare una necessaria e adeguata terapia in modo tale da risolvere il problema dei sintomi fisici residui :i primi farmaci utilizzati sono stati gli antidepressivi triciclici,ma gli effetti collaterali e la persistenza di dolori fisici ne ha limitato l’utilizzo,in seguito sono stati impegati gli SSRI con scarsa efficacia tranne in alcuni casi di miglioramenti con Fluoxetina. I migliori risultati terapeutici sono invece stati ottenuti con l’impiego di farmaci antidepressivi duali(SNRI),in particolare con la Venlafaxina,l’unica che ha permesso un buon controllo nel tempo sia dei disturbi dell’umore sia nel miglioramento di sintomi somatici generali.
Quest’aspetto e' difatti confermato dal fatto che le vie serotoninergiche e noradrenergiche rientrano nel controllo della modulazione del dolore,pertanto con la Venlafaxina abbiamo un controllo sia dei sintomi legati al disturbi dell’umore sia dei sintomi somatici con la realizzazione di un miglioramento complessivo della qualita’ di vita.
(a cura di E.D’Angelo , G.Sciaccaluga)

Simposio tematico parallelo: Psichiatria e religione L. S. Filippi, V. Rapisarda, L. Ancona
Apre il simposio il Prof. L. S. Filippi, che parla dei differenti tipi di religiosita’ e delle loro basi psicodinamiche. Inizialmente si affronta il concetto di religiosita’, intesa come dimensione della personalita’, al pari di quella biologica o sociale. Citando Allport, il relatore distingue tra una religiosita’ intrinseca, che consdiera la religione un fine, valido in se stesso, e una religiosita’ estrinseca, che considera la religione un mezzo per raggiungere fini spirituali e di benessere psichico. Queste due religiosita’, spesso coesistono in misura variabile nell'individuo, determinando diverse modalita’ di espressione delle quali il relatore presenta e commenta in chiave psicodinamica le piu’ frequenti. La religiosita’ magica si fonda sulla credenza che determinati oggetti o atti possano allontanare i mali o risolvere i problemi ed e’ una forma di religiosita’ che allevia la sofferenza dei soggetti con tratti ossessivi della personalita’.
Nella religiosita’ trionfale si verifica uno spostamento su Dio dei problemi preedipici ed edipici irrisolti, con un'intensita’ del vissuto religioso inversamente proporzionale all'entita’ dello spostamento. La religiosita’ dubbiosa, con i dubbi e le paure che tormentano il soggetto, riproduce sintomi propri del disturbo ossessivo compulsivo. La religiosita’ formalista si caratterizza per un'osservanza formale delle regole e un forte isolamento della carica emotiva della religione. Nella religiosita’ moralista che esaspera in termini persecutori la morale, sono presenti modalita’ difensive tipo razionalizzazione. Infine, la religiosita’ trionfalista mostra residui di onnipotenza infantile e/o difesa maniacale in un quadro depressivo di fondo. Dopo un breve riferimento alle differenze tra fanatismo, fondamentalismo ed integralismo, si accenna ad una forma piu’ matura di religiosita’ propria del soggetto che, grazie ad un'organizzazione dell'Io forte ed armoniosa, e’ capace di far fronte all'insicurezza ed ai rischi impliciti in una fede religiosa.
Segue l’intervento del Prof. V. Rapisarda che lega la diminuzione della manifestazione dei deliri mistici nel mondo occidentale con l’aumentata indifferenza religiosa rilevata nel periodo post-moderno. Questa minor rilevanza della sfera religiosa condizionerebbe in modo patoplastico il contenuto dei deliri. A prova di cio’ viene presentato uno studio decennale (1994-2004) che valuta la riduzione dei deliri mistici nella popolazione ricoverata in tale periodo; viene inoltre presentato un esemplificativo caso clinico.
Accenna poi al diffondersi delle sette religiose (soprattutto in Nord America) in risposta ad un’insopprimibile esigenza umana di religione; sette queste non certo estranee alla presenza di soggetti che manifestano deliri religiosi interpretabili come una varieta’ di deliri megalomanici. Conclude ricordando la necessita’ di non confondere un’autentica religiosita’ con manifestazioni pseudomistiche di isteria, delirio e paranoia. Conclude, con un doppio intervento il Prof. L. Ancona (che si fa anche portavoce del Prof. P. Bria che non ha potuto presentarsi al congresso).
Inizia esponendo i rapporti intercorrenti tra psicoanalisi e religione (paradigmaticamente quella Cristiana Cattolica) descrivendo, citando Freud, tre fasi susseguitesi nella storia: la prima vede la religione attaccata dalla psicoanalisi, la seconda distingue la religione autentica dalla nevrotica e la terza, quella attuale, considera religione e psicoanalisi unite in una collaborazione che propone la religione come ricevente di germi di comprensione e di vita da parte della psicoanalisi. Tre sono gli esempi a servizio di questo pensiero: lo spazio transizionale di Winnicott e’ lo spazio in cui si manifesta il rapporto tra Dio ed il credente; la similitudine tra pensieri vaganti nello spazio – pensatore pronto a coglierli o disinteressarsene (concetto bioniano-foulkesiano) e Spirito Santo – uomo che Lo accoglie o rifiuta; in ultimo il rendere conscio l’inconscio della psicoanalisi che puo’ cogliere le ipocrisie e le contraddizioni che possono pervadere la vita di religione.
L’ultima parte, come gia’ detto nuovamente esposta dal Prof. L. Ancona, basandosi sulle riflessioni di I. M. Blanco che nel 1974, utilizzando il dispositivo bi-logico con cui ha rivisitato l’impianto teorico dell’inconscio freudiano, arriva a concepire che le fantasie di autodeificazione e deicidio, che si collocano all’origine del pensare e della scoperta dell’altro da se’ (separazione del bambino dalla madre), sono una difesa da ansie di annientamento che configurano i vissuti piu’ primitivi in cui la mente si trova immersa. Di qui la clinica del narcisismo per come si manifesta soprattutto nel delirio megalomanico.
(a cura di L. Adriano, M. Fenocchio, W. Natta, F. Tombesi)

Simposio tematico parallelo: al di la’ della psicofarmacoterapia: i fattori terapeutici nel lavoro istituzionale.
Apre i lavori la relazione del prof. P. Politi incentrata sui fattori di trasformazione e di empasse nell’istituzione e nei gruppi curanti.
Il relatore ricorda alcune riflessioni di Balint che individua nella figura stessa del medico il farmaco piu’ utilizzato in medicina generale, inoltre per questa importante medicina sembra non esistere alcuna “farmacologia” e non di rado il rapporto medico-paziente puo’ diventare difficile, infelice o anche spiacevole. Viene riportata quindi una frase di Justin che evidenzia come nel lavoro istituzionale le cose si complicano ulteriormente rendendosi necessario un gruppo di lavoro ben integrato e maturo in tutte le sue componenti.
La fornitura di una funzione “sufficientemente buona” dell’equipe curante, che riecheggia il concetto winnicottiano, dipende da molti fattori, al fine di utilizzare al meglio gli elementi del lavoro istituzionale dotati di una potenzialita’ curativa positiva, sembra essenziale il continuo sforzo di mantenimento di una “temperatura costante” del contenitore istituzione. Da un efficace esempio clinico riguardante uno spaccato del lavoro di reparto in un lunedi’ mattina, descritto come un momento di “tappo” istituzionale, si desume come nel “quotidiano aziendale” i fattori di crescita e di empasse possono coesistere. Si rileva inoltre come sia possibile, tramite un adeguato lavoro di equipe, capace di sfruttare anche le cose straordinarie che avvengono negli “interstizi istituzionali” descritti da Boccanegra, superare tali empasse e produrre degli effetti positivi e di cura per il paziente.
Tale buon lavoro di gruppo sembra possibile a patto di mantenere una funzione attiva ed un assetto equilibrato di funzionamento dell’equipe, attraverso il ridimensionamento delle aspettative onnipotenti o colonizzatrici del gruppo attuabile sul versante interno, attraverso il temperamento delle onnipotenze e ipocrisie manageriali sul versante esterno. Questo lavoro sembra quindi essenziale per scongiurare il rischio di un ripiegamento depressivo del singolo e del gruppo di fronte alle difficolta’ del lavoro istituzionale e per consentire la raccolta dei frammenti e delle immagini dei pazienti tramite gli interventi degli operatori che consentano il definirsi di uno spazio virtuale nel quale comincino a sedimentare dei profili possibili come proposte e ipotesi che orienteranno nel comporre la pensabilita’ del volto del paziente. Di fronte ad un elenco dei principali fattori di empasse (rigidita’, persecutorieta’, sovrabbondanza di elementi scissionali, esaustivita’ arrogante, eccessi di parole) e di quelli di crescita (flessibilita’, tolleranza, dinamicita’, capacita’ di reverie e di silenzio) arrivano le raccomandazioni finali. L’importanza di una profonda interiorizzazione del setting (ogni intervento va attuato in una cornice di riferimento), dell’attenzione alle dinamiche transferali (scoraggiando transfert individuali e favorendo il transfert con l’istituzione), dell’ascolto costante da parte dell’equipe, al fine di seguire l’indicazione di Bion: “making the best of a bad job”.
Prosegue la discussione la Prof.ssa E. Rasore che parla della relazione tra aspetti organizzativi e fattori terapeutici nell’attivita’ di un reparto psichiatrico aperto.
In particolare la relazione pone l’accento sul fatto che nell’ambito organizzativo possono esistere modalita’ organizzative con anche un significato vagamente terapeutico. Il modello orgnanizzativo ruota attorno alle figure del medico specializzando e del medico strutturato come coppia operativa, lo specializzando con funzioni di ascolto, holding ed accudimento fisico (secondo un codice piu’ “materno”), la figura dello strutturato, con una dimensione piu’ normativa, decisionale e piu’ vicina ad un codice “paterno”.
Questo modello “genitoriale” puo’ modularsi flessibilmente a seconda delle esigenze del singolo paziente. In questo panorama non puo’ essere trascurato il ruolo del personale infermieristico, portatore di emozioni naturali vicine agli aspetti terapeutici del comune buon senso.
Esistono poi altri aspetti organizzativi legati agli orari di permesso di uscita dal reparto e dall’Ospedale (permessi) che vengono usati (anch’essi) come “tests” di realta’ per valutare eventuali miglioramenti dei pazienti. Di fronte poi a comportamenti, che pur connessi alla psicopatologia, rappresentano un’ evidente infrazione delle regole, esiste, oltre alla possibilita’ di ricorrere ad autorita’ esterne prossime a quelle della vita di Comunita’, la possibilita’ di attuare funzioni normative da parte dei curanti atte a sancire e ridurre i comportamenti impropri allo scopo di fornire al paziente l’esperienza di un limite all’interno del quale esprimere le proprie modalita’ relazionali.
Gli aspetti organizzativi proposti possono quindi rappresentare, secondo gli Autori, una sorta di “setting-scenario” potenzialmente favorente il processo terapeutico.
Il prof. Fornaro osserva come l’aumentata disponibilità di farmaci antidepressivi sicuri ed efficaci, unitamente alla diminuzione di atteggiamenti e messaggi antifarmacoterapeutici, se da un lato permettono il trattamento dei Disturbi dell’Umore e d’Ansia a livello ambulatoriale anche da parte di medici di Medicina Generale e specialisti non psichiatri, dall’altra espongono al rischio di “malpractice”, anche in conseguenza di inadeguatezza nella valutazione diagnostica (comorbidità psichiatrica e non psichiatrica) e nella gestione dei trattamenti terapeutici (impiego dei farmaci quanto a dosaggi, tipo di antidepressivi e durata del trattamento). Gli autori osservano inoltre che la larga diffusione dei Disturbi dell’Umore e d’Ansia, ancora oggi spesso minimizzati e considerati come “normali reazioni psicologiche”, e il frequente ricorrere di condizioni socio-familiari che possono precludere interventi di tipo ambulatoriale, comportano frequentemente il ricovero in ambito psichiatrico di pazienti con tali disturbi, soprattutto quando si propongono nelle loro espressioni cliniche più complicate.
La seconda parte della relazione, presentata dalla Prof.ssa Cardinale, pone l’attenzione sul problema dei trattamenti integrati in Psichiatria del paziente ricoverato, intesi come il superamento di opposti riduzionismi psicodinamici e biologico-farmacoterapeutici (in realtà di difficile attuazione). Gli autori individuano nel reparto un luogo di possibili riedizioni dinamiche perverse irrisolte che spingono il paziente a ritornarvi dentro più volte, un luogo promiscuo in cui il paziente si trova a contatto sia con il sé sia con l’altro da sé (persone, malati, infermieri, medici sia di sesso maschile che femminile). Il reparto, inteso come “setting istituzionale”, può essere inadeguato e causa di effetti collaterali negativi perché frammentato, non in grado di far funzionare bene le persone del gruppo, carente di scambi reciproci di comunicazione, ricco di conflittualità interpersonali.
Il rischio è che questo setting da inadeguato diventi patologico, soprattutto quando il lavoro in reparto può essere visto a volte come un intervento, rischioso se scarsamente consapevole, di tipo psicoterapico “abortivo” che non trova sintonia con i tempi del ricovero, per cui il paziente può trovarsi in preda ad angosce abbandoniche scarsamente gestibili e può tornare a cercare una sorta di “seduta successiva” (problema del transfert istituzionale).
Chiude la sessione l’intervento del prof . F. Gabrielli che parla della gestione e terapia del Disturbo Borderline di Personalita’ in ambito istituzionale. La relazione presenta un’analisi di tipo epidemiologico sui ricoveri effettuati nell’arco di sette anni e mezzo nella Clinica Psichiatrica dell’Universita’ di Genova. Vengono presi in considerazione i fattori piu’ frequentemente associati con l’evoluzione favorevole o meno del disturbo, i problemi diagnostici di piu’ frequente riscontro (come la doppia diagnosi, la necessita’ di differire la diagnosi per i pazienti adolescenti, il riscontro di variazioni della sintomatologia in eta’ matura o avanzata, il frequente overlapping con altre diagnosi di Disturbo di Personalita’), la complessita’ della relazione terapeutica con il paziente borderline grave fino ai rischi del costituirsi di una “patologia seconda” nello staff dei curanti, particolari aspetti terapeutici (il ruolo del ricovero nella costituzione di un adeguato settino, il rischio di accettare la richiesta urgente di presa in carico da parte del paziente senza una adeguata valutazione preliminare, l’importanza della capacita’ di contenimento e di attesa, senza dover necessariamente “correre dietro al paziente”, e gestendo adeguatamente i frequenti passaggi dalla dimensione psicoterapica a quella di “clinical management”.
(a cura di G. Bergamino)
Serata di presentazione del libro:Lavorare in psichiatria Manuale per gli operatori della salute mentale A cura di Carmelo Conforto, Luigi Ferrannini Antonio Maria Ferro e Giovanni Giusto Bollati Boringhieri editore

Apre la serata il Prof. Scapicchio, con una riflessione sul titolo del libro: lavorare in psichiatria, il termine lavoro puo’ sembrare pesante, in effetti anche l’ etimologia della parola e l’ uso che ne facevano gli antichi, a cominciare da Cicerone richiama una condizione di angustia, fatica, un procedere con pena; lavorare stanca, verrebbe da dire con Pavese, allora la parola lavoro potrebbe richiamare alla fatica che ci e’ richiesta per stare vicino al malato psichico nella nostra professione; in tal senso scrivere di psichiatria ponendo come primo elemento la fatica necessaria diviene una proposta culturale in un certo senso dirompente.
Psichiatra faber dunque, e il dott. Ferro ricorda in proposito il tema della bottega della psichiatria, argomento a lui caro, idea che e’ stata di recente ripresa ad esempio a Nocera Inferiore, riprende Scapicchio, dove la ristrutturazione della struttura del vecchio manicomio criminale ha permesso di creare una dimensione architettonica in cui e’ possibile vedere lo psichiatra mentre lavora, permettendo un cambiamento dell’ ambiente in cui lo psichiatra opera, che non e’ piu’ in tal modo una sorta di claustrum in cui vengono prese decisioni ma una bottega aperta sulla via dove e’ possibile vedere l’ artigiano psichiatra faber al lavoro.
Ma apertura e integrazione del lavorare psichiatrico non sono sempre facili da realizzarsi, ricorda il Prof. Petrella, l’ appesantimento del carico amministrativo e burocratico rendono sempre piu’ esiguo il tempo a disposizione per un lavoro coi colleghi, sia tra psichiatri che tra psichiatri e altri colleghi medici, come i medici di base, per cui trovare il tempo per momenti di interazione, un esempio sono i gruppi Balint finira’ per diventare in futuro di sempre piu’ difficile realizzazione effettiva.
Ancora una considerazione del Prof. Scapicchio: il libro e’ dedicato agli operatori della salute mentale ma e’ utile anche per chi si avvicina a questa materia, senza pretendere di ricavarne una visione unitaria, anzi ne ricavera’ una visione multiforme, sfaccettata, complessa; tema, questo della complessita’ in psichiatria che d’ altronde e’ emerso con una certa forza in questo congresso.

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COLLABORAZIONI

Dato l'alto numero degli avvenimenti congressuali che ogni anno vengono organizzati in Italia e nel mondo sarebbe oltremodo gradita la collaborazione dei lettori nella segnalazione "tempestiva" di congressi e convegni che così potranno trovare spazio di presentazione nelle pagine della rubrica.
Il materiale concernente il programma congressuale e la sua presentazione scientico-organizzativa puo' essere mandato via posta elettronica possibilmente in formato WORD per un suo rapido trasferimento online

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