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Giorgio Aceto (con Paola Tacelli), La maschera allo specchio. Stratigrafia dell’anima,Canova, Treviso 2005, Prefazione di Luigi F. Agnati, Postfazione di Lorenzo Braccasi, pp. 402, 20 Euro

Recensione di Marco Ercolani.

[ Presentiamo al lettore questo libro, scritto da Giorgio Aceto in collaborazione con Paola Tacelli, sia attraverso una recensione sia attraverso la pubblicazione — gentilmente concessa dall’editore — della Prefazione e della Postfazione. Giorgio Aceto è psichiatra, psicoterapeuta, psicoanalista e poeta. Paola Tacelli è psicoanalista, con alle spalle una formazione in antropologia culturale e in etnopsicoanalisi ]

Le due maschere identiche, raffigurate sulla copertina del libro, sono un’unica maschera riprodotta specularmente: una si riflette nell’altra, una contrasta l’altra, ma sono esattamente complementari. Anche nell’attribuzione: Apollo oppure Dioniso?

La maschera allo specchio è un libro dove "la scienza delle illusioni", il movimento metamorfico e incantatorio delle maschere, non si scinde mai dalla pietas illuminista e dalla lucidità disincantata della terapia analitica. L’autore, fin dall’inizio, sperimenta il territorio borderline e non rassicurante di una psicoanalisi che non spiega le strategie dell’arte e di un’arte che non ripudia gli strumenti della psicoanalisi. Nel primo capitolo troviamo descritto uno dei concetti cardine del libro: quello di atopia. Si distingue tra l’utopia — che "annulla il luogo stesso delle origini psichiche poiché è motivato da una pretesa di megalomania che confligge radicalmente con la realtà" — e l’atopia, che "designa l’atto dello spostarsi sperimentalmente altrove senza annullare il punto di partenza, senza cancellare le radici dell’esperienza e con essa il senso ultimo dell’identità personale".

Aceto, indagando le metafore della maschera e dello specchio, ci propone, con radicale chiarezza, l’atopia come modello del nostro precario abitare il limite tra realtà e follia. L’equilibrio fra le mascheredell’evento artistico e le strategie della relazione analitica è, per l’autore, tutto da inventare, in un gioco incessante di trasmutazioni e di rimandi, dove dominerà l’etica dell’ascolto, la capacità di percepire la ricchezza degli eventi psicopatologici e artistici come un magma da esplorare, sia con gli strumenti della ragione sia con quelli della non-ragione.

Evidenzia quindi come ricchezza e non come difetto la "scienza del limite", descritta da Nietszche, attraverso le parole di una soprano dodicenne, di nome Church: "Se voglio tirare fuori tutto il senso di un brano, mi devo in un certo modo astrarre dal luogo, e cercare un centro dentro di me, su cui appoggiare la voce perché vibri nel modo giusto, secondo il colore della musica… E in mezzo a tutto questo problema dei suoni c’è poi il fattore basilare dell’emozione che devi provare, se vuoi comunicare emozione. Allo stesso tempo, se ti coinvolgi troppo, perdi il controllo. Cantare, insomma per me è come essere un’altra persona". Le parole di Church ci spiegano, più di molti trattati filosofici, come, per essere in grado di emozionare, bisogna saper controllare l’emozione. Questo vale tanto per l’opera di un artista quanto per la sofferenza di un paziente. Un artista troppo commosso non ci offrirà delle opere che possano emozionarci, proprio perché manca la necessaria distanza. Céchov, per descrivere l’incantesimo di un plenilunio, parla dei riflessi di un pezzo di vetro sotto la luna. Allo stesso modo un paziente, per sopportare i suoi sintomi, deve controllare il dolore che li mette alla luce.

Aceto, con la fattiva collaborazione di Paola Tacelli, mostra simultaneamente la necessità di essere se stessi e la necessità di "essere un altro", ripercorrendo gli eteronimi di Pessoa o i monologhi dell’Enrico IV pirandelliano. Una "per-sona", secondo l’etimologia latina, si fa "per-suonare" da mille voci possibili, da una molteplicità di pulsioni contraddittorie. L’uomo non è mai una monade assoluta o abiterebbe solo il piccolo terreno del suo io, incapace di vivere l’avventura dell’immaginazione. Deve cercare sempre il suo altrove, cosciente che non potrà essere la psicotica terra di Utopia, il paradiso che ingoia ogni conflitto, ma la molteplice terra di Atopia, che fa dei conflitti un terreno lavico, ora solido e ora gassoso, in continua metamorfosi.

Pur trattando argomenti psicoanalitici e mitici, La maschera allo specchio non vuole semplificare e divulgare i temi trattati, ma arricchirli e complicarli, grazie a una vera "selva" di citazioni. Che, in questo contesto, non sono simbolo di una morta erudizione ma viva necessità fisiologica di trovare compagni, vivi e morti, in questa felice avventura tra maschera e specchio, tra individuazione dell’uomo e suo sdoppiamento nei regni della maschera e dell’ombra.

In questo gioco fra nascosto e rivelato il libro ci consente di avvicinarci alla penultima maschera - la più sottile, la più scorticata - quella che ci permette di essere "quasi noi stessi" e ci fa abitare il nostro fertile squilibrio senza gli eccessi dell’emozione e i semplicismi della ragione. Aceto suggerisce che il narcisismo dell’artista e le certezze dello psicoanalista non possono mai essere soddisfatte, in quanto per l’uno si prospettano le "colonne d’Ercole" della psicoanalisi e per il secondo il "mare magnum" dell’immaginazione. Questo felice inappagamento è alla radice del libro, che potrebbe deludere tanto lo psicoanalista, per eccesso di exempla artistici, quanto l’artista, per eccesso di coscienza analitica. È proprio questo, invece, il suo valore e la sua cifra: non arretrare di fronte alla disperante, fecondissima ambivalenza, che costringe l’io a guardare l’abisso del non-io e a "ri-flettere" in modi diversi questa vertigine.

MARCO ERCOLANI

Scrittore, psichiatra e psicoanalista

PREFAZIONE DI LUIGI AGNATI

Sempre l’uomo si interrogherà su se stesso. Si porrà le antiche, e pur sempre nuove domande sulla direzione del proprio cammino, sugli ostacoli che incontrerà lungo questo accidentato percorso, ostacoli che sono sia imposti dai condizionamenti biologici sia che scaturiti dalle relazioni che intrattiene con i compagni di viaggio. Sempre creerà nuovi miti o interpreterà in una nuova chiave i vecchi miti, ben sapendo che questi lo aiutano a dare una direzione al suo cammino e a superarne gli ostacoli: infine, a dare un significato alla sua esistenza.

La maschera allo specchio è una pregnante ricognizione sull’uomo poiché esplora alcuni tratti salienti dei suoi percorsi mentali e delle inerenti produzioni culturali nel loro divenire storico. E le metafore della maschera e dello specchio, coinvolte in una serrata dialettica reciproca, bene si prestano allo svolgimento di un discorso che diviene un convincente metadiscorso psicoanalitico e filosofico.

L’intenzione è di indagare sulle potenzialità e sugli attributi della conoscenza proprio nello specchio della nostra stessa facoltà di conoscere. È un lavorare ai limiti e sui limiti del pensiero, sia per rendere manifesto quanto la maschera esistenziale occulta sia per comprendere quanto esibisce. È un rintracciare eziologie e moventi emozionali, un seguire percorsi e trame delle sperimentazioni di vita, un rintracciare il significato di quanto altrimenti può apparire privo di senso al fine di individuare almeno alcuni tratti salienti del volto della persona, ossia il Sé autentico. Così l’attenzione per la patologia psichica non è funzionale soltanto all’esigenza terapeutica, ma consente altresì di cogliere aspetti che sono presenti in ognuno di noi, sia pure in forme meno eclatanti. Cosa che ancora una volta ci ricorda, se pure ve ne fosse necessità, l’evidente "unità psichica del genere umano".

Dopo oltre cento anni dalla nascita della psicoanalisi, e dopo il significativo contributo che ha portato alla nostra cultura, stupisce che essa debba ancora confrontarsi con critiche infondate e pregiudiziali, quando non debba addirittura giustificare la propria stessa esistenza. Ma poi lo stupore svanisce se consideriamo come in tutte le discipline scientifiche ogni singolo atto conoscitivo debba scontrarsi dialetticamente con altri approcci e confutare il sapere già codificato. Solo così è possibile un vero progresso. E per di più, nello specifico, appare inoppugnabile la considerazione opportunamente ripresa da La Rochefoucauld: "A sollevare tante questioni contro le riflessioni che svelano il cuore dell’uomo, è la paura di esserne smascherati".

Aceto si è avvalso della valida collaborazione di Paola Tacelli, che, dato il loro lungo e operoso sodalizio, non ha circoscritto l’apporto creativo alle sole pagine firmate. Insieme, come dichiarano, hanno raccolto tematiche e spunti di riflessione "dai rispettivi diari di bordo ... di vita e di analisi", utilizzando con disinvolta padronanza un ricco strumentario. Infatti, alla abituale ottica clinica e metapsicologica, che spazia sugli apporti più significativi delle varie correnti psicoanalitiche, hanno affiancato epistemologia, gnoseologia, semiologia, e si sono avvalsi dell’ausilio di mitologia ed etnologia, di letteratura e poesia.

La forma espositiva prescelta è la divagazione, adatta a veicolare quella modalità descrittiva che già Freud ha indicato come la più idonea per compiere esplorazioni nelle profondità dell’interiore, e che qui spesso raggiunge un livello letterario. Tale forma narrativa asistematica appare la più consona, anzi quella necessaria non solo a comunicare la ricerca ma anche alla ricerca stessa. In quanto idonea a seguire gli sviluppi del sentire e del pensare nelle loro molteplici articolazioni. Una essenziale struttura architettonica sorregge il declinarsi della narrazione attraverso i sette capitoli, tutti strutturati in sette paragrafi eccetto l’ultimo, che con i suoi sei paragrafi evidenzia la consapevolezza del non finito. In quanto ogni opera non può mai considerarsi conclusa, poiché non può proporsi come esaustiva, ma, soltanto e sempre, alludere, indicare, proporre. Ad altri il "testimone" per procedere oltre. E, in primis, il lettore stesso potrà accedere al "teatro catottrico della riflessione" per tentare in proprio di comprendere e rappresentare il cosmo interiore e quanto ci circonda.

Tanti sono gli intrecci, i ritmi, le suggestioni. Dalla loro tessitura emergono interrogativi, ipotesi di ricerca, conoscenze. Questa opera si autodefinisce un labirinto in quanto anche nella forma rispecchia il dedalo della mente, ovvero quello che per gli antichi era il "labirinto della vita". Ed è esperienza che potrei definire "formativa" il lasciarci condurre sino dal capitolo Sulla soglia per i suoi percorsi, passo dopo passo, trovando una coerenza metodologica nell’affrontare il "mistero quotidiano" e gli "estremi lidi del Sé", acquisendo nuove prospettive cognitive al di là dello spaesamento nell’atopia. Cioè dopo aver posto noi stessi sul limite, "al confine fra due mondi, l’interiore e l’esteriore", per poi sperimentare "la dimensione del limite nel cuore della consapevolezza di noi stessi". Ma, viceversa, se vogliamo orientarci pragmaticamente nel cogliere i contenuti ci soccorre il filo di Arianna dell’indice analitico, così esauriente da costituire un vero e proprio indice tematico.

L’approccio gnoseologico parte dalla disamina delle diadi natura e cultura, realtà e verità, realismo e relativismo. Considerazioni sull’etica della scienza si coniugano con l’indagine sulla problematicità della conoscenza, sul ruolo fondamentale di memoria e intuizione nella creatività scientifica e artistica. Valutando la psicoanalisi da un vertice sia epistemologico sia clinico, Aceto focalizza la figura dell’analista tanto nell’assetto emotivo e motivazionale quanto nelle funzioni e competenze. Nella ricorrente osservazione dello sviluppo psichico presta particolare attenzione alla funzione genitoriale, alla semiosi e alla rappresentazione del corpo proprio. Molti sono gli spunti che trae poi dalla psicopatologia, ove è più evidente il conflitto tra pulsioni di amore e di morte. E interessa, non solo per l’originalità, la sua insistenza sulla necessità di sviluppare la "capacità di disilluderci" per arginare le pericolose pretese megalomaniche e idealizzanti.

Per indicare la centralità e l’attualità della ricerca compiuta — ma che dimostra tuttavia di essere sempre in fieri — ho accennato ai temi che mi paiono più significativi tra i molti che animano queste pagine. Al lettore ripeto ancora l’invito a compiervi una propria, personale ricognizione.

LUIGI F. AGNATI

Cattedra di Fisiologia Umana - Università di Modena

Department of Neuroscience - Karolinska Institutet - Stockholm

 

POSTFAZIONE DI LORENZO BRACCESI

Se il lettore — raccogliendo l’invito prefatorio di Luigi Agnati — deve compiere "una propria personale ricognizione" attraverso le pagine de La maschera allo specchio, il lettore antichista può, in postfazione, concedersi anche un’osservazione impertinente, cioè non pertinente.

La psicoanalisi ha compiuto i suoi cento anni; c’è chi pone in discussione i suoi fondamenti, se non addirittura la validità della sua esistenza, e c’è chi — come l’autore di questo libro — ne difende strenuamente la sua perenne vitalità, applicandone la sua lezione ex professo e attraverso la propria quotidiana esperienza di terapeuta. Orbene, anche coloro che si peritano di mettere in crisi il modello freudiano della psicanalisi, non ne mettono in crisi gli archetipi di riferimento, che sono mutuati dal grande mito greco. Perché? Probabilmente perché la significanza o il messaggio di questi archetipi va oltre la strumentalizzazione ‘etichettatoria’ operatane da Freud, e quindi perché essi rappresentano, in se stessi, dei modelli assoluti. Ne consegue — e il paradosso, come dimostra anche questo libro, può essere solo apparente, può essere solo dovuto alla rifrangenza della maschera nello specchio — che gli archetipi del mito non sono stati piegati a ‘etichettare’ le esperienze del terapeuta, ma che è stato quest’ultimo ad adattarsi (o a rimanere schiacciato?) dalla loro significanza. Se così fosse, se ne potrebbe concludere in una divagante postfazione che i reali maestri di Freud siano stati i grandi tragici greci, che hanno utilizzato e riplasmato i miti in funzione di gallerie di personaggi esteriorizzanti l’anima umana. Freud ne avrebbe solo offerto una lettura — o rivisitazione — psicanalitica, la prima e l’assoluta. Una lettura, però, lontana spazi siderali da quella operata dalla critica letteraria di impostazione psicanalitica che ha riletto i tragici greci sulla base di Freud: cioè i modelli alla luce dei parametri fissati dall’allievo.

Orbene (perché no?), vorrei proporre al lettore di questo libro di rileggere il teatro greco attraverso le suggestioni e le rifrangenze psicoanalitiche offerte dalle pagine di Giorgio Aceto. Nella nostra società sono morti per sempre i riferimenti al ‘classico’ che dominavano in letteratura, in arte, in politica, in medicina, fino alla seconda guerra mondiale quale appannaggio o prerogativa della borghesia colta della vecchia Europa. Una delle poche eredità del ‘classico’ che oggi ancora sopravvive è, appunto, quella della terminologia psicoanalitica. Ma potrebbe essere un’eredità non epidermica se da una nomenclatura di comodo il lettore riapprodasse agli archetipi o agli stereotipi che ne hanno indotto l’uso: cioè, ai modelli propostici dai tragici greci. Nella rifrangenza dello specchio, per liberarsi dalle maschere post-moderne che l’opprimono, il lettore potrebbe così riapprodare al ‘classico’ e dal ‘classico’ rituffarsi nei misteri del labirinto umano attraverso i meandri segreti di questo libro, che ne diverrebbe così un proprio libro segreto.

LORENZO BRACCESI

Dipartimento di Scienze dell’Antichità - Università di Padova

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