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Alberto Basso (diretta da), Storia della musica, I-II-III vol.(di Alberto Basso), IV volume (di Stefano A.E. Leoni, Carlo Benzi, Andrea Lanza, Maurizio Franco e Franco Fabbri) Utet, Torino 2004

Alberto Basso (Torino, 1931), musicologo, è stato docente di Storia della Musica presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino dal 1961 al 1974 e direttore della biblioteca della stessa istituzione dal 1975 al 1993. Ha ricoperto il ruolo di presidente della Società Italiana di Musicologia e attualmente presiede l’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte. Dal 1982 è membro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nel 2004 ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Università Autonoma di Barcellona. Tra le sue pubblicazioni si ricordano in particolare L’età di Bach e di Haendel (Torino); Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach (Torino), tradotto in varie lingue, L’invenzione della gioia. Musica e massoneria nell’età dei Lumi (Milano), I Mozart in Italia. Cronistoria dei viaggi, documenti, lettere, dizionario dei luoghi e delle persone (Roma). Ha diretto importanti opere, tra cui per la UTET, La Musica. Enciclopedia storica e dizionario, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti e Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale. Nel 2007, in occasione del suo 75° compleanno, è stato pubblicato il volume in suo onore "Musica se extendit ad omnia", a cura di Rosy Moffa e Sabrina Saccomani.

La Storia della Musica curata da Alberto Basso, strutturata in quattro volumi più uno di Cronologia Musicale, si pone, come lo stesso studioso tiene a sottolineare, lungo il tracciato segnato dall’imponente Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, uscito fra il 1983 e il 1988 e articolato in due parti (Il Lessico, quattro volumi; Le Biografie, otto volumi). Interamente dedicata alla musica occidentale, questa sintesi di storia della musica si colloca quale utile e pratico strumento di lavoro per studiosi e studenti e come piacevole lettura e fonte di informazioni per i musicofili e i non esperti.

I primi tre volumi (storia della musica fino alla fine dell’Ottocento) sono approntati per intero da Basso, per non rischiare, egli sostiene, di incorrere, come può accadere a opere affidate a più autori, in "disfunzioni organiche" e in "un’esposizione dei fatti – ma anche delle opinioni – sconnessa e contraddittoria e tale da pregiudicare l’interpretazione e persino la lettura stessa del quadro generale". Il suo impegno "in prima persona" nello stendere quello che appare chiaramente come uno studio coerente e omogeneo è un atto di coraggio. Senza gettare via le periodizzazioni tradizionali, sfida l’idea di "vasta sintesi" attualmente tanto temuta in alcuni aggiornati ambienti musicologici. Un lavoro che rispetto al quarto volume, scritto a più mani pur se sotto la sua direzione, si presenta "distinto e autonomo anche sotto il profilo formale". Nel terzo volume, quindi, sono collocati l’intero apparato bibliografico e l’indice dei nomi.

Il primo volume, riguardante la storia della musica dall’Antichità al Barocco (Italia, Francia), è suddiviso in tre parti (Il Medioevo cristiano; Il Rinascimento; L’Età del Barocco) precedute da una Presentazione e dai Preliminari (Le ragioni della storia; Origini della musica: realtà o illusione?; La musica del popolo ebraico; La musica dei Greci; Etruschi e Latini).

L’autore usufruisce in parte e sapientemente, oltre che degli studi dei più accreditati musicologi, dei risultati delle ricerche che hanno portato alla stesura del DEUMM, senza riassumere, per ragioni di agilità di approccio da parte dei lettori, quanto riportato in un altro suo rilevante lavoro, il dizionario I Titoli e i Personaggi, a cui egli stesso rimanda. Correzioni e aggiornamenti rispetto ai lavori precedenti rendono quindi questa recente Storia della musica una sicura fonte di consultazione e uno strumento indispensabile in ogni biblioteca musicale.

Basso sottolinea nella Presentazione la diversità nell’impostazione dei suoi tre volumi rispetto alle tradizioni storiografiche, dato che in essi si trattano anche argomenti solitamente "trascurati dalle grandi storie della musica". Qualche esempio può rendere l’idea della scrupolosità con cui quest’opera è stata stesa. Trattando del Medioevo cristiano l’autore distingue accuratamente tra i vari canti delle chiese orientali, dando anche spazio al canto copto e a quello etiopico; ripercorrendo le tappe del cammino del canto della Chiesa latina di Roma si superano i limiti medievali e si arriva all’età contemporanea con il Concilio Vaticano II, fornendo così un sintetico quadro complessivo dello sviluppo liturgico ("il canto gregoriano –scrive l’autore- è sì essenzialmente un prodotto dell’età medievale, ma non esclusivamente: le sue radici si collocano nella prima fase dell’età imperiale romana e le sue propaggini ultime si estendono sino a noi. Il gregoriano, in altre parole, non è solo musica del passato, ma anche musica contemporanea e, pertanto, il discorso su questa altissima manifestazione della pietas cristiana non potrà essere formulato se non considerandone la sua espressione storica totale, il suo completo sviluppo"). Nella seconda parte del volume, destinata al Rinascimento, nel capitolo dedicato alla musica strumentale figurano paragrafi dedicati alle intavolature, agli strumenti a tastiera, alla letteratura cembalo-organistica, alle musiche per liuto; uno spazio rilevante è dato da Basso alla musica della Riforma riprendendo in parte quanto già riportato con dovizia di particolari nella voce Corale che egli stesso ha curato per Il Lessico del DEUMM.

Il volume offre inoltre al lettore tabelle riepilogative e chiarificatrici e un apparato iconografico ben curato e non banale. Un prospetto delle danze dalla tarda età medievale a tutto il Seicento con specificati origine, epoca, affinità, genere, ritmo e tempo è tra quei preziosi strumenti esplicativi che in alcune storie della musica vengono erroneamente evitati per timore di cadere nell’ovvio.

Nei Preliminari Basso sottolinea come la storia sia anche "ricerca, investigazione" nondimeno "misurazione degli eventi e dei fatti, per amore dell’ordine, della precisione e delle proporzioni".

Se l’opera d’arte (da non ritenere obbligatoriamente un capolavoro) è da intendere oltre che come prodotto "del genio individuale" anche come risultato della storia, per Basso occorre che essa sia "misurata" nella dimensione temporale e in quella spaziale. Si tratta quindi di un resoconto di fatti, di idee e di aspetti tecnici musicali che mette nella giusta luce e non esclude anche l’approfondimento di problemi spinosi oggetto da sempre di controversie musicologiche. Prendendo le distanze dalle dibattute questioni di metodo, con modestia l’autore sottolinea tuttavia: "Tenterò di registrare compendiosamente [...] la "memoria" [...] che degli eventi, delle manifestazioni musicali più importanti a noi è giunta"

Nel paragrafo dedicato all’inestricabile problema delle origini della musica ("inerte oggetto della storia non vissuta ma inventata", problema "di natura meramente speculativa" in particolare per la sua "vocazione a scavalcare il dato dell’esperienza" e la "spiccata tendenza alla contemplazione") lo studioso spiega i motivi per i quali ha preferito non dedicare spazio all’etnomusicologia con il fatto che i "settori della ricerca etnomusicologica intrattengono rapporti assai fragili con la storia della musica della civiltà detta "occidentale": la precedono, l’affiancano, la sfiorano ma non l’attraversano, non ne violano i confini, non ne penetrano i territori". Basso si prefigge dunque un duplice intento: evitare che la materia rischi di sfuggirgli dalle mani "tanto essa è vasta" e sottrarsi all’obbligo di "condensare questo immenso materiale in poche proposizioni, stendendo un ridicolo reticolato di formulette incomprensibili e ignorando totalmente il contesto culturale (e ogni altro aspetto delle singole civiltà) in cui ciascun sistema musicale s’inserisce".

Non si tratta quindi di scartare una musica ‘bassa’ per una ‘alta’, dato che nel IV volume Basso apre la storia della musica occidentale al jazz e alla popular music, facendoli coesistere in un unico concetto di ‘cultura’. Si tratta dell’impossibilità di condensare sinteticamente una complessa varietà di produzione musicale in poche pagine avvalendosi di inadeguati mezzi di lavoro. Una scelta accuratamente ponderata, quindi, che evita di incappare in letture etnocentriche e affida l’esposizione della musica ‘altra’ e la riflessione su di essa a chi detiene gli adeguati strumenti di analisi, proprio nel momento in cui (in una Europa che, pur non dovendo trascurare la propria storia fatta di preziose conquiste, non è più unità di misura del mondo) un certo pensiero musicologico europeo si scopre saggiamente inadeguato.

L’utilità di questa Storia della Musica nel suo insieme, fra i generi di pubblicazione che si consultano ma che in questo caso è preferibile leggere, deve essere riconosciuta da chiunque creda con l’autore che la musica sia "una manifestazione della cultura e quindi dell’intelligenza critica", alla cui "costituzione presiede la più sottile e raffinata delle organizzazioni che il pensiero si dà".

Il quarto volume della Storia della Musica diretta da Alberto Basso, affidato a più studiosi e suddiviso in quattro parti, cui segue un’accurata bibliografia, si occupa del passaggio dall’Otto al Novecento e in particolare dei fenomeni musicali del XX secolo. Evitata la problematica etnomusicologica con valide motivazioni chiarite nei Preliminari del primo volume (si veda la scheda critica relativa), si addentra nell’intricata e spinosa questione novecentesca concentrando l’attenzione sulla compresenza nell’ambito della musica occidentale di produzione "alta" ed espressioni musicali come il jazz e la popular music.

La prima parte, che partendo dalla Dissoluzione del Romanticismo conclude con il Modernismo in America, si costituisce di tredici capitoli affidati a Carlo Benzi e Stefano A.E. Leoni e si apre con le riflessioni di quest’ultimo, nella concisa Premessa, riguardo al taglio utilizzato per la stesura del volume: "accanto ai profili relativi ai grandi compositori del primo Novecento, si è voluto indagare e soffermarsi, talvolta abbastanza lungamente, con il rischio talora di squilibri, su autori e movimenti solitamente considerati secondari o minori". I grandi musicisti non sono trattati in termini prettamente biografici (è sottinteso che la loro vicenda artistica e personale è da reperire innanzitutto nel DEUMM) ma sono comunque molto presenti. Affiancare ad essi autori "che hanno sviluppato un particolare e onestissimo rapporto con la Storia prima ancora che con la Memoria" e una prospettiva storica di fenomeni musicali apparentemente marginali significa essere in linea con uno degli obiettivi che lo studioso dichiara di voler raggiungere: rapportare correttamente le grandi personalità della musica al terreno "dal quale esse presero senz’altro nutrimento". I criteri che stanno alla base di questo prodotto editoriale non ambiscono dunque a mettere ancora più in luce personalità artistiche già ampiamente studiate, ma a rischiarare "la civiltà, quella reale, [che] è più ancora civiltà del terreno", dell’humus vivificante, "della massiva mole che costituisce la parte nascosta dell’iceberg-cultura", quella "civiltà della musica" che Stefano A.E. Leoni definisce "lavoro".

La parte seconda del volume inizia con la Ricostruzione nel dopoguerra e giunge all’Avanguardia post-seriale in Europa 1965-80. Organizzata in sei capitoli e curata da Andrea Lanza e Stefano A.E. Leoni (che però si limita in questa sezione del testo a occuparsi dell’impegnativo capitolo sulle Avanguardie negli Stati Uniti), ripercorre le tappe salienti della musica occidentale del secondo Novecento: riannoda i fili e ricostruisce la trama del tessuto connettivo che è alla base di una ‘musica d’arte’ legata indissolubilmente, nella teorie estetiche e nelle scelte compositive, ai mutamenti politici, alla comparsa della società di massa, all’emarginazione della figura del musicista.

Sette capitoli costituiscono la terza parte, affidata per intero a Maurizio Franco e dedicata al jazz. Nelle Premesse, in merito alla storiografia di tale fenomeno musicale, lo studioso denuncia innanzitutto come la lettura storica sia stata spesso compiuta in base a una "logica dalla quale non è esente la problematica razziale" perché portata avanti "soprattutto da studiosi ed esperti di cultura direttamente o indirettamente europea". Essi hanno spesso tracciato un processo evolutivo che ha portato a considerare gli anni iniziali del jazz come uno stadio primordiale lungo un tragitto verso il suo accreditamento presso la ‘musica d’arte’. Per diverso tempo, proprio quest’ultima è stata presa come termine di paragone per la vicenda jazzistica, la quale si è trovata ad essere valutata sulla base delle dinamiche tipiche di una musica ad essa lontana (nonostante i travasi dal jazz al colto e viceversa) avvalendosi di parametri di analisi inadeguati.

Secondo l’autore, che auspica un processo di legittimazione del jazz come fenomeno di ‘cultura’ incentrata sull’esperienza musicale anziché sull’opera d’arte, i recenti progressi avviati in campo storiografico, dopo aver assolto al compito di formulare una estetica appropriata a tale musica (ridefinendo le categorie stilistiche che negli anni "ne hanno ingabbiato il percorso artistico"), dovrebbero portare a non dubitare più dell’opportunità di pensare ad essa come a un "genere" musicale "colto" ("genere" innanzitutto perché "provvisto di una storia autonoma"; "colto" da intendersi col significato ampliato che di tale termine dà Maurizio Franco, includendovi ogni fenomeno "che richiede un insieme complesso di competenze per essere realizzato").

L’ultima parte del volume è dedicata alla popular music. Affidata a Franco Fabbri, è suddivisa in quattro capitoli che vanno dalle origini all’industria della musica nel mondo post-coloniale e post-comunista, passando per il rock’n’roll, Sanremo, Woodstock, gli chansonniers e la canzone politica e d’autore. Ripercorrendo le fasi di sviluppo musicale che nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento portano dalla dicotomia "musica colta/musica popolare" alla tricotomia "musica colta/musica d’intrattenimento/musica popolare" e più recentemente all’accettazione in ambito musicologico del concetto di popular music, l’autore traccia un quadro dettagliato di un genere musicale con "origini e radici in ampi strati sociali" (fornito su vasta scala, attraverso i mezzi dell’industria, ad ascoltatori con esigenze culturali differenti) che dovrebbe essere sottratto ai giudizi di valore estetico tradizionali, fondati su un modello unico di fruitore, ormai da tempo entrato in crisi. Un genere musicale che, in quanto legato ai mezzi di comunicazione di massa e ai processi promozionali del ceto imprenditoriale, pur accendendo animosi dibattiti e roventi polemiche in ambito accademico, è importante analizzare o indipendentemente dal suo valore artistico o a costo di mettere in discussione il sistema di valutazione estetica della musicologia storica. Si tratta, infatti, di esperienze musicali, che rientrando nel quotidiano e quindi avendo implicazioni di natura politica, impongono alla musicologia intera, senza frammentazioni di settori e di saperi, di confrontarsi con esse.

Appare dunque superfluo rimarcare il valore di questo volume della Storia della Musica diretta da Alberto Basso. Le singole ricostruzioni storiche in esso contenute meriterebbero da sole un’ampia trattazione che, però, non perda mai di vista il fine per cui sono state approntate: un unico studio omogeneo, utile, pratico, destinato a un’utenza di esperti, studenti, musicofili e anche semplici curiosi.

Lara Sonja Uras

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