"BASTA CHE FUNZIONI" (Wathever works, Woody Allen, 2008) di Rossella Valdrè
"E' questa in fondo la gioia d'amore, quando esiste: sentirci giustificati di esistere"
(J.P. Sartre, 1983)
Che dire ancora, di questo "Whatever works", di cui gia' tanto si e' letto sulle critiche dei giornali? Non c'e' niente da dire: bisogna solo goderselo.
Gli appassionati di Woody Allen vi ritroveranno tutti i suoi temi, e perdippiu' giocati registicamente alla sua maniera (pare infatti che abbia ritirato fuori una sceneggiatura scritta nel 1970), e quindi: il Caso - prima di tutto - che s'incapriccia con le nostre vite; l'amore, che non ci salva dalla morte ma ce la fa momentaneamente dimenticare, l'America, detestata nei suoi stereotipi nazionalisti ma sempre, e direi in modo struggente, amata in New York, l'Arte e la vita che entrano una nell'altra, in una sorta di osmosi salvifica. Vi ritroveranno echi di molti suoi film precendenti: dalle gag dei primi Prendi i soldi e scappa, all'illusione del cinema che entra nello spettatore de La rosa purpurea del Cairo, alle molte situazioni di coppie con impossibili differenze di eta', da Manhattan in poi, al personaggio rabbioso e desolato di Harry a pezzi....
Gli appassionati di cinema vedranno evocate atmosfere alla "Nata ieri" e al cinema americano degli anni '50 e '60, quello degli attici su Manhattan e delle pellicce di ermellino che Allen tanto adora, la New York, come lui stesso ha detto, dei suoi sogni di bambino quando la ammirava dalla sponda di Brooklyn.
Ma nel testo, semplice e complesso allo stesso tempo, di questa commedia ironica e fulminante, si trovano anche latenti riferimenti a Philip Roth, a tutto quell'humus culturale newyorkese di cui solo Woody Allen ha saputo essere il vero cantore contemporaneo, cosi' come Fellini ci ha lasciato in eredita' la Via Veneto della Dolce Vita e Pasolini l'odore delle borgate. O perlomeno, questo e molto altro ancora ha evocato in me.
Testo dunque intellettuale ma non intellettualistico, denso di fulminei riferimenti culturali che si bruciano, pero', nell'istante della battuta, o persino della gag. Si ride, si pensa se si vuole, ci si riconosce nei pasticci dei personaggi.
E' una vera festa della parola e del motto di spirito.
Boris Yellnikoff, ex professore di fisica alla Columbia University, ebreo nativo del Bronx, e' un vecchio brontolone amareggiato dalla vita, divorziato dalla moglie, che trascorre le sue giornate nell'angusto appartamento del Greenwich a fare sermoni agli amici su quanto la vita sia deludente e cattiva, la gente insopportabile, e la morte l'unica certezza, lo spettro che inesorabile avanza a rendere inutili, vani e patetici i nostri sforzi. Si considera un genio a cu e' mancato un passo dal Nobel, misantropo e solitario scandisce la vita di rituali anti-ansia e si destreggia tra il panico notturno e l'ipocondria, destinato com'e' a vivere visto che e' sopravissuto ad un pregresso, e forse maldestro, tentativo di suicidio. Una sera rientrando a casa incontra Melody, una ragazza che gli chiede aiuto, in fuga da una famiglia bigotta del Missisippi dove la madre la voleva incoronare reginetta di bellezza, e dove l'aspettava un futuro da profondo sud americano. Melody e' del tutto ignorante, ma guarda al mondo con fiducia e simpatia. Non conosce niente di niente, prende alla lettera tutto quello che Boris le dice in quanto incapace d'astrazione ("ho visto l'abisso" dice lui dopo un incubo mentre lei guarda la tivu', "non preoccuparti, cambiamo canale", risponde lei), ma si infila nella sua casa e nella sua vita, diventandogli indispensabile.
Tra i due nasce uno scambio fruttuoso per entrambi: Melody cresce, impara a pensare, e si innamorera' di un altro, un giovane adatto a lei. Boris si addolcisce, prende cura del suo aspetto, e tentando nuovamente il sucidio quando viene lasciato da Melody, va a cadere addosso a una simpatica medium che sembrava non aspettare altro che l'incontro con lui. La vicenda e' deliziata dall'arrivo dei genitori di Melody, prima la madre abbandonata dal marito, poi il padre che sulle prime e' li' a chiedere perdono, ma che in seguito, nel teatro umano di New York dove ciascuno sembra poter accedere al proprio Se' nascosto, scoprono in effetti le loro vere nature. La simpatica mamma diventa un'artista bohemienne e va a convivere in un menage a trois, mentre il padre amante delle armi e fervente devoto puo' finalmente concedersi la sua, un tempo respinta, omosessualita'.
Happy end per tutti, dunque; siamo nella commedia americana della migliore tradizione. Nessuna riflessione psicoanalitica mi viene alla penna su questo film, se non per dire che e' tutto, trasversalmente, pervaso di psicoanalisi.
Che cosa ci salva, alla fin fine? Il Caso, dice Allen, assolutamente il Caso in questo universo insensato (ricordate il professore di 'Io e Annie'?), dove siamo gettati cosi', per pura casualita'. Ma anche l'intelligenza, la consapevolezza, e il rapporto amoroso, ossia quella possibilita' di contatto con l'altro - l'altro che contiene sempre i nostri aspetti rimossi e scissi, le nostre parti esiliate, rigettate - senza il quale la vita e' si', sempre possibile, ma logorata dalla rabbia e dal risentimento.
Basta che funzioni. Tutte le contraddizioni sono possibili e accettabili, anzi smettono di essere tali nella misura in cui comprendiamo che in ciascuno c'e' tutto, siamo cosi' irriducibilmente scissi, fatti di piu' mattoncini differenti che c'e' in noi l''etero e l'omosessuale, la madre di famiglia e la femme fatale, l'ingenuita' e la misantropia. Il falso mito dell'identita' come baluardo contro le incertezze, si sgretola sotto i nostri occhi. New York e' quella zolla di terra, fortunata e miracolosa, dove tutti questi pezzi di umano possono disvelarsi, incontrarsi e separarsi, una sorta di set della contemporaneita' dove tutto si ritrova infine, tutto si tiene.
Ci sara' qualcosa di autobiografico, in quel bisogno consolatorio che l'uomo anziano ha di una donna giovane come vivacizzazione necessaria a non sentire la morte? Lontano da ogni vizio, a me pare, dove la differenza di eta' e' in funzione del potere, qui direi assume tutta la sua delicata tinta edipica. La ragazza ha davvero bisogno di un padre, diverso da quel fanatico che ha in realta', di uno che le faccia da insegnante nella vita, che le spieghi come funzionano le cose e si ponga come modello di una possibile identificazione, cosi' come l'uomo anziano, il vecchio ex professore che ormai usa la cultura come arma contro di se', ha bisogno di trasferire il suo sapere in un giovane, di renderlo vivo attraverso il passaggio ad un'altra generazione. Si prendono cura l'uno dell'altro; e' la magia del padre che diventa partner, della figlia che diventa amante.
Ma tutto questo e' velato come un soffio, in questo film.
Il pessimismo di Woody Allen lascia qui il posto ad una speranza: l'incontro con l'altro-da-se' ci puo' cambiare, puo' ridurre il nostro risentimento, non ci preserva dalla morte ma ci rende, forse, meno assillati, meno vulnerabili. L'altro, in fondo inconoscibile per definizione, ci e' necessario perche' contiene parti di noi, aspetti indesiderati che gli collochiamo inconsciamente dentro, per cui ne abbiamo bisogno anche per poterlo odiare, per poterlo sfuggire e per poterlo desiderare. Il rapporto con l'alterita' resta il nodo, qui giocato in commedia, intorno a cui ruota la comedie umane. Il sentimento amoroso, che tanto sta a cuore al regista, non e' la panacea a tutti i mali, ma si profila (insieme all'arte, all'arte che entra nella vita e vi si confonde) come l'unico balsamo possibile.
Prendendo le distanze da ogni idealizzazione, da ogni pedagogia, da ogni "dover essere" e da ogni mito identitario - vere rovine, queste si', del nostro tempo - l'incontro amoroso e' buono in se' quando ci consente di esprimerci, quando (misteriosamente, alla fin fine) in fondo funziona.
Basta che funzioni, e' proprio cosi'.
Valorizzazione adulta non tanto di un mero concretismo empirico (funziona, quindi vale), ma di quello specifico stile che ogni coppia, quando e' fortunata, riesce ad inventare, quell'abito fatto su misura che pur collocandosi al di fuori degli schemi e degli stereotipi, procura quel po' di felicita' possibile.
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Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante
sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante
della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche
alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo
lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in
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