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Paolo Bernardini, Una sfinge senza enigmi. Aspetti figure e momenti di vita, cultura e civiltà dagli Stati Uniti contemporanei. Prefazione di Sergio Romano, Le Lettere, Firenze 2001, pp. 164, Ä 12,91.

Il fascino che l’America ha esercitato sui viaggiatori italiani è sempre stato forte, anche prima che le grandi migrazioni di massa dell’ultimo scorcio dell’Ottocento facessero aumentare in modo deciso le descrizioni scritte, edite ed inedite, del nuovo continente, poi cresciute continuamente a partire dal secolo passato. Il problema, ed il limite, per numerose descrizioni occasionali e non sistematiche degli Stati Uniti, è che spesso lo scrittore si rivolge ad un pubblico condizionato da un numero di stereotipi e preconcetti altissimo. E, spesso, questi cerca di compiacere tale pubblico, servendogli un’America in salsa ketchup, preconfezionata e pre-condita, fatta di grandiosità superficiali, e di grandiosa superficialità, di cowboys e di donne grassissime o ossessionate dalla forma, di grandi macchine e grandi autostrade, di scarsità di acume e sensibilità, e di abbondanza di beni materiali.

L’America qui presentata risulta ad un lettore italiano, ma anche ad un lettore europeo, o australiano, ci sembra di poter dire, del tutto inedita, singolare, molto ‘europea’ e allo stesso tempo estremamente originale. E’ un piccolo libro pieno di episodi preziosi. Si parla di piccoli musei di provincia e di grandi (ma ignote ai non specialisti) università ed istituzioni di ricerca. Si parla di personaggi celebrati in tutto il mondo, come Washington e Jefferson, ma cercando di coglierli nella loro dimensione ‘americana’, e nel modo in cui, per ricorrenze diverse, li celebrano e vi riflettono gli Americani stessi. Si parla di grandi uomini di scienza, come Albert Hirschman, ancora vivi, e di comunità religiose che sopravvivono solo sotto la bandiera a stelle e strisce, come gli Hutteriti, ancora legati alla loro storia centroeuropea, cinquecentesca, e capaci di riprodurre le loro comunità e tutta la vita raccolta intorno ad esse, nel contesto del paese tecnologicamente più avanzato del mondo. Si parla infine, leggendoli con grande originalità, di film come Summer of Sam di Spike Lee, o il testamento di Kubrick, Eyes Wide Shut.

Sono ventisei capitoletti, densi, e scritti in stile molto vivace e rapsodico, giornalistico. Una serie di saggi composti tra il 1998 ed il 1999, sul finire dell’èra Clinton (ma si fa appena un fugace cenno all’affaire Lewinski, per fortuna) quando gli USA erano veramente al vertice, al picco della potenza economica, dopo dieci anni o quasi di crescita ininterrotta, ed esponenziale. La recessione di cui ora, all’inizio del 2002, ampiamente si parla, e che si fa davvero sentire in modo grave, era ancora appena un’ombra, paventata, ma non ancora concreta. Per cui si poteva davvero studiare le forme prese dalla ‘realizzazione’ dell’American Dream, a partire dal punto prospettico dell’autore, studioso ospite presso un Paradiso della ricerca come l’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey, l’istituto che ospitò, tra gli altri grandi nomi, l’anziano Einstein, e gli inventori del primo microprocessore del mondo.

Anche se non appare mai esplicitamente, l’idea al fondo del libro mi pare essere quella di una ricerca, per microtentativi, assaggi e approcci solo apparentemente casuali, del rapporto, sottile e spesso non riconosciuto, tra America ed Europa, soprattutto dal punto di vista culturale. Ovvero, come alcune figure (Jefferson, Hirschman, e numerosi altri), ora del tutto americane, si rapportano al modello europeo, originario: a questo proposito è interessante la disamina critica che l’autore fa del librone panegirico (per l’Occidente) di Landes sulla ricchezza e la povertà delle nazioni, da poco disponibile anche in Italiano. Quanto di europeo c’è in figure di intellettuali, poeti e uomini politici, in istituzioni come la Brandeis University, l’ Institute di Princeton e vari musei, e quanto invece c’è di autoctono, di propriamente unico, di veramente ‘americano’? E cosa significa essere davvero ‘americano’? Come si può definire un’identità senza porsi in confronto con il modello principale, quello europeo? Il libro non offre risposte. Più che altro fornisce schizzi interessanti, e non è un caso che lo studio del rapporto Europa-America sia proprio il tema dell’ultimo saggio, dedicato a Eyes Wide Shut di Kubrick, dove la problematica è assai importante.

Un libro breve ma denso, molto leggibile, scritto con uno stile particolare, che alterna il periodo breve a quello più ‘accademico’, che può anche essere visto come una guida molto particolare all’America contemporanea, per chi voglia uscire dai soliti itinerari, e visitare Atlantic City, Princeton, Waltham, Providence, il Colorado del Sud, il Museo sul VietNam del New Jersey, I giardini Huntington a San Marino in California, o anche, rimanendo in percorsi più consueti, il Museo di Storia Ebraica appena nato a New York, la New York Historical Society, la residenza di Thomas Jefferson a Monticello, in Virginia, e la città di Philadelphia, qui ritratta in un bellissimo chiaroscuro, tra decadenza e speranza di un futuro migliore, degno almeno in parte del suo gran passato.

 

Mark Pratt

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