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Paolo Bernardini, La veglia della ragione, Edizioni Biografiche, Rovagnate 2002, pp. 96, Ill., 20 Euro.

Diario filosofico, scritto durante un'esperienza di studio, lavoro, ricerca fra Stati Uniti e Australia, La veglia della ragione si distingue per la sua capacità di inframmezzare l'ammirazione di paesaggi bucolici con penetranti riflessioni introspettive, la descrizione dell'incombente grandiosità delle metropoli con l'analisi di un mondo dai confini sempre più ampi.

Lo scritto si apre con una breve premessa sul senso del "diario filosofico, genere che sembra trovare nuovi spazi, tra l'esperienza esistenziale e quella razionale, tra lo spiazzamento geografico e quello mentale, in una specie di etilismo cronico, che, individualmente, altro non è che il riflesso di una vita mutata, dove i confini si sono dilatati, e le frontiere aperte" (p. 9). La dilatazione dei confini, geografici e mentali, emerge già nelle prime pagine dell'opera, per rivelarsi appieno nel succedersi di luoghi, sensazioni e pensieri che accompagnano l'autore, nel suo peregrinare su è giù per gli Stati Uniti. Un peregrinare che non ha nulla del mito beat di un on the road nell'abbandono, e che risulta piuttosto segnato dalla costante attenzione a questioni che interessano l'Italia e il pianeta, il mondo della cultura e l'universo della politica.

Trova dunque spazio l'appropriata denuncia di un malcostume che segna il nostro Paese da troppi anni, concretizzandosi, sempre più spesso, in disdicevoli compromessi fra le maggioranze e le opposizioni di turno, a esclusivo vantaggio di una classe politica sempre più isolata. E trova spazio la riflessione sulle miserie, non solo materiali ma anche e soprattutto psichiche, in cui si sforza di sopravvivere l'umanità contemporanea, sempre più sottomessa all'instabile andamento dei mercati.

Come la "storia lacrimosa" di un'Italia che ama offrire all'estero stereotipi ormai aviti, e come la società italiana afflitta da un imperversante individualismo, che ha prodotto drammi come la pluriennale crisi della natalità, così anche la cultura italiana è messa sotto accusa per l'attuale incapacità di produrre fenomeni realmente innovativi, al di là dei fasti di un passato scomparso e forse mai esistito.

E non solo il mondo della cultura italiano si attira gli strali di Bernardini. La bellezza ridotta a imperativo, l'orrore innalzato a strumento di attrazione delle masse, le imposizioni di un political correct che, negli ultimi anni, ha provocato l'ipocrita demonizzazione di un hobbismo in realtà imperante, sono come asfissianti mostri per chi voglia tener desta la propria capacità critica, per chi voglia appunto praticare la veglia della ragione. Ma il necessario sollievo è offerto da graditi incontri, come quello con Alberth Hirschman, o da libri che rivelano nuove e preziose verità e consentono di vivere un'esistenza parallela alla prolissità del reale, e ancora dall'eccitazione provocata nella mente da un film geniale come The Matrix, o dalla rilettura di autori capaci di "risvegliare le ipersensibilità assopite, costrette al sonno dal super-io che vigila per la nostra sopravvivenza, in un mondo immensamente difficile" (p. 41).

Un mondo immensamente difficile, che Bernardini affronta con fiera lucidità, rintracciando il senso di termini ormai entrati nella vulgata post-moderna. Fra le sue osservazioni si distinguono, dunque, le critiche a un'Europa incapace di sottrarsi alla "imbarazzante tutela americana" (p. 70), nonché le chiarissime analisi della globalizzazione, "accelerazione spaventosa, dovuta alla tecnologia, dei processi che Engels e Marx descrivevano, pensando erroneamente di averne intuito teleologicamente la fine" (p. 80). Accelerazione spaventosa che, oltre alle diverse brutture del presente, potrà ancora generare (così ci auguriamo) nuovi diari filosofici, nuovi affascinanti resoconti di viaggi in un mondo sempre più piccolo, e in un animo umano sempre più insondabile nei suoi più oscuri recessi.

Diego Lucci

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