Il mio giudizio su questo libro è che si tratta di un ottimo lavoro, quale raramente capita di trovare nel troppo che si pubblica oggi in Friuli. La ricostruzione degli avvenimenti è accurata, meticolosa, ordinata; lanalisi della diagnosi di isteria - come esplicazione di fenomeni psichici, come modello negativo di comportamento, come riflessione sul femminile, come paradigma dellalleanza tra potere politico e potere medico - approfondita e stimolante; la biografia intellettuale di Fernando Franzolini, quale ogni biografato o biografando aspirerebbe ad avere; la ricostruzione della vita paesana, in quello scorcio di Ottocento, ricca di dettagli inediti.
Tuttavia, lautrice palesa più volte la sua scontentezza: i limiti della sua ricerca sono i limiti della documentazione, peraltro spremuta mirabilmente e fino allultima goccia; ed altra documentazione, al momento in cui il libro è stato scritto, non cera.
Così alcune domande restano senza risposta. Perché scoppiò quest"epidemia"? Da che cosa era sostanziata? Che cosa intendevano dire, e a chi, quelle donne? Perché lo dicevano così?
Credo che allautrice e a tutti noi piacerebbe ottenere queste risposte. Io, naturalmente, non le ho. Ma credo che, se volessimo saperne di più, sarebbe necessario abbandonare la via diritta e imboccare le vie storte, affrontare i malipassi, e mettersi in malasmans.
1. Questo libro racconta un"epidemia di istero-demonopatia" che - a Verzegnis, tra il 1878 e il 1879 - colpì chi dice 15, chi 19, chi 20, chi 40 donne. È dunque un libro "di donne"; ma i suoi protagonisti sono quasi soltanto uomini.
Uomini che fanno il maestro, come Antonio Marzona; oppure il sindaco, come Antonio Billiani. Uomini che fanno i preti (onnipresenti): preti-giornalisti - eterodossi come Vogrig, ortodossi come De Bonniot; preti-preti, protagonisti di più o meno miserevoli litigi di bottega, come il parroco DOrlando, o il parroco Chiabai; preti-detective prudenti e coinvolti, come don Giacomo Paschini o don Antonio Deotto. Uomini che fanno il commissario distrettuale, il prefetto, il deputato, come Pietro Boschetti, Mario Carletti, Giacomo Orsetti; o il presidenti del Consiglio, come Agostino Depretis. Uomini che fanno il medico, come Carlo Del Moro, Antonio Magrini, Giuseppe Chiap - su su, fino ai luminari indiscussi, come Charcot. E, naturalmente, lui, il milzmann, lovariotomo, il divulgatore positivo, lineffabile Fernando Franzolini.
E tutti gli uomini di cui si parla in questo libro, a loro volta parlano instancabilmente di donne: del corpo della donna, del suo mitologico utero errante, delle ovaie starters di parossismi e di acquietamenti, delle minori dimensioni del suo cervello, che ne postulano la sottomissione e il disordine; della normalità e dellanormalità della sua condizione; dellangelo del focolare e della baldracca da bordello.
Ma di quelle donne, attorno alle quali si incentrano i loro ragionamenti ed i loro pensieri, non sappiamo quasi nulla. E ciò non per singolare distrazione dellautrice, ma perché proprio questo fu listeria nellOttocento: un discorso che gli uomini facevano sulle donne (discorsi vischiosi ed estremamente tenaci, che ho sentito ripetere ancora durante la mia infanzia: "Le donne ragionano con lutero" - diceva il parroco a noi chierichetti, schierati per la funzione di maggio).
Io credo che sia necessario e doveroso restituire a quelle donne una biografia, una data di nascita e di morte, dei legami famigliari e un contorno parentale, una disavventura economica e una lettera ai (o dei) figli, un attestato di "miserabilità" o un passaporto per emigrare, una fotografia ed una lapide - affinché ritornino ad essere quello che erano (o almeno lombra di quello che erano): a Margherita Vidusson e a Maria Da Pozzo, a Caterina Fior e a Caterina Deotto, a Maria Marzona, a Lucia Chialina, e alla bella e ispirata Veronica Paschini.
E alle altre, cui sarà necessario restituire persino il nome: ad esempio, alle 17 poverette caricate sul carro dei carabinieri e internate allOspedale di Udine nellaprile 1879.
Ciò si può fare, oggi che gli archivi di prefettura, provincia, ospedale civile, ospedale psichiatrico sono finalmente a disposizione degli studiosi.
Ciò si può fare, meglio ancora, utilizzando i procedimenti della demografia storica - non la demografia storica quantitativa, sulla quale già esistono rilievi anche dettagliati e anche per Verzegnis (in parte pubblicati, in parte inediti) - ma con i metodi della demografia storica qualitativa, con la ricostruzione delle famiglie, con i profili biografici. Ciò permetterebbe anche di sfatare uno dei luoghi comuni su cui Franzolini costruì la sua diagnosi, dato anchesso tenace e vischioso, inverificato ma minacciosamente incombente: la frequenza dei matrimoni fra parenti - da cui discenderebbero quei tralignamenti della razza - che invece tutte le indagini sinora fatte escludono categoricamente.
2. I riti, le consuetudini, le "credenze" di una persona, o di un gruppo di persone, sono un complesso sitema di simboli e di rappresentazioni da decifrare, sono un "sistema di pensiero" da decodificare, coerente (o incoerente), in via di disfacimento o di ri-costruzione, che ha già sopportato la perdita della significanza, o - al contrario - la mantiene ancora intatta e perspicua. Analizziamo due brevi passi.
Il primo è unaffermazione di Franzolini: "Il sistema nervoso, tenuto solo in attività, procaccia a sé quasi esclusivamente gli elementi nutritivi che il sangue fornisce, e aggiunge per tal guisa un certo predominio materiale alla propria predominanza funzionale: i centri senzienti rinforzano davvantaggio lazione loro, reagendo con intensità morbosa sui centri motori ed intellettuali" (sono parole in libertà, che oggi nessun neurologo sottoscriverebbe).
Il secondo è ancora di Franzolini, ma riferito ad un "gagliardo accesso" isterico di una di quelle donne, Lucia Chialina: "Se eccitata da interrogazioni, parlava in terza persona, concitata e con sgarbo, dando nozioni sul diavolo che diceva di tenersi in corpo, cui designava lappellativo di Sior Tita e che diceva venuto dai pressi di Cividale, ove aveva da mesi abbandonato analogo domicilio per entrare nel suo corpo".
Ambedue queste affermazioni rimandano a credenze da decifrare - a credenze "culte", quella di Franzolini; a credenze popolari, quella di Lucia Chialina.
Il "sistema di pensiero" di Franzolini che non è oggettivo, ed eternamente valido, ma al contrario strettamente legato al suo tempo, alla sua cultura e perfino ai suoi personali pregiudizi - è stato decodificato splendidamente, nei capitoli terzo e quarto del libro di Luciana Borsatti.
Ma: e il "sistema di pensiero" di quelle donne? (poiché anche loro ne avevano uno). Ho letto su Verzegnis tutto quello che si poteva leggere. Il materiale etnografico è inconsistente: cinque favole in tutto e una raccoltina di proverbi. Urge recuperare il patrimonio di racconti, detti, di fatti tramandati, prima che esso definitivamente sprofondi. Certo, il "Sior Tita di Cividale" che abitava Lucia Chialina si può recuperare attraverso lanalisi della narrativa popolare di altre zone limitrofe.
Asmodeo, Bose, Bello, Lucio Bello, Lucibello; e poi: Boborosso, Barba Sucon, Barba Cosson, Barba Burù, Bècul, Maracut, Maruf, Boòtin, Badalic, Mitis, Micul, Galafar... sono i nomi dei diavoli che abitano gli innumeri personaggi che li invocano a un incrocio di sentieri, che con lui hanno rapporti sessuali, incubi o succubi, che con lui stringono un patto (giovinezza, o salute, o soldi contro lanima): il patto è scritto, col sangue del dito o del mestruo, talvolta il viglietto si conserva. E una volta giunti al malpasso, il diavolo non ti abbandona più. E i sintomi?
I sintomi di Margherita Vidusson sono - secondo Franzolini - "bolo isterico, gastralgie intercorrenti, appetiti capricciosi, melanconie e pianti senza motivo, qualche deliquio di tanto in tanto".
Ma ecco: "Andera una fantata di disevot agns. A leva jù in taviela cul mus. Ma una femina - una stria - ai à fat di motu: la fantata a à vût un travâs di sanc. A veva di lâ in taviela a fâ penons: ben, a no è stada buina di fâ nuja... A torna a cjasa: nuja mangjâ. Né cha mangjava né cha durmiva...".
Si tratta degli stessi sintomi cui sono stati dati nomi differenti, oppure si tratta di un adeguamento al modello: per esprimere il disagio della possessione e dello stregamento, ci si deve comportare così? E i gesti?
Quei contorcimenti, quegli strepiti, quelle smanie, quegli ululati e voci di bestie, quelle bestemmie e sconcezze al rintocco delle campane, con cui le donne esprimevano il loro disagio e il loro dolore, donde derivavano, come erano stati appresi, quale sequenza rispettavano (se ne rispettavano una)?
Qui da noi, fino alla prima guerra mondiale certamente (ma anche dopo), i riti funebri - dalla vestizione del morto, alla veglia, al corteo, al banchetto - erano costantemente accompagnati da donne (las vaiotas) che avevano il compito di piangere ritualmente lo scomparso. Las vaiotas si strappavano i capelli, si graffiavano il volto, si battevano il petto, si contorcevano, prorompevano in urla e grida, cantilenavano gli elogi del defunto Innumerevoli divieti ecclesiastici testimoniano la persistenza di questa usanza. "Settimo: che li morti non si pianghino... in Chiesa, perché con loro ululati gridi disturbino li sacerdoti..." (1605). "Mulieres in agenda Mortuorum in ecclesijs ipsis clamant, vana et indecentia verba proferentes. Dum pulsantur campanae pro defunctis quaedam mulieres continuo signant cadavera, imponendo in manibus Defunctorum candelam denario affixo..." (1606). E davvero numerosi altri esempi.
"Con loro ululati gridi"; "Vana et indecentia verba"; "Dum pulsantur campanae"...Forse, è proprio dalle donne deputate allespressione del dolore rituale che le "isterodemonopatiche" di Verzegnis avevano imparato ad esprimere il loro dolore privato (o qualunque cosa fosse ciò che dovevano esprimere). E forse - più che in termini di "contagio", come ebbe a "diagnosticare" il dottor Franzolini - il numero via via crescente (?) di donne implicate, va letto in termini di com-passione, di com-pianto, di con-divisione, in un villaggio in cui veniva condiviso tutto, dalla terra al lavoro (las comugnas e i plovits), dallonore allidentità, dove bambini e giovani (la mularìa e la gioventût, si noti il nome collettivo) erano il futuro del paese, non della singola famiglia, come i morti (i nestis muarts) ne erano il passato e la radice.
3. Noi apprendiamo le credenze di Lucia Chialina dagli scritti di Franzolini, e non viceversa. Chiunque abbia lavorato sui processi dellInquisizione sa che non si possono ricavare direttamente le credenze o le idee di luterani, libertini, benandanti, streghe dai verbali di quei processi. E necessario oltrepassare (e squarciare) il filtro costituito dalla cultura giuridica, dal sistema procedurale, dallurgenza politica, dalla curiosità e simpatia o dallincomprensione e disprezzo degli inquisitori.
La relazione di Franzolini va considerata, ad ogni effetto, come un documento storico, da trattare con tutte le cautele con cui leggiamo i processi inquisitoriali; in più, il filtro è spesso, opaco, apodittico, conchiuso; sulle credenze popolari si può ricavarne solo quanto la Borsatti ne ha ricavato.
Perciò, ancora una volta, dobbiamo rivolgerci ad un altro tipo di documento, anchesso difficile da maneggiare: la memoria orale degli avvenimenti.
La memoria orale è stata poco tentata almeno qui a Verzegnis: so che esistono testimonianze, raccolte quando ancora era possibile farlo (nellottobre 1985), dalla signora Alba Marzona a Villa e dal signor Giacomo Deotto a Chiaicis. Nel 1980 gli scolari hanno intervistato Santa Vidussoni, sposata Deotto, che allora aveva 65 anni: "Di mia mamma... ho molti ricordi e ciò che mi è ben vivo nella mente... sono i racconti di persone indemoniate che parlavano lingue straniere in chiesa, al momento della consacrazione. Noi sorelle non volevamo crederle, ma lei ci diceva di credere, perché di quei fatti strani era stata testimone oculare".
Sono ricordi di ricordi, relitti di obliterazioni. Ma dagli "scarti" possono venire talora sorprendenti illuminazioni. Al centro di questo, ad esempio, ci sono "le persone ... che parlavano lingue straniere in chiesa", e la meraviglia stava nel farlo in chiesa, "al momento della consacrazione", perché nel quotidiano quei bambini già mescolavano al loro dialetto i termini tecnici dei boscaioli, fornaciai, muratori bavaresi, ungheresi, rumeni, già dicevano bauf! e blec e scinas e befèl e lasinpon...
Né dobbiamo farci intimidire dai metodi inusuali, dagli accostamenti spregiudicati, dalla comparazione delle omologie, dallanalisi delle metafore, derivabili dai procedimenti più raffinati della psicologia; o - più rozzamente, come me - dalle estensioni analogiche dellesperienza.
Se ciascuno di noi è stato preda della "possessione amorosa", se ciascuno di noi è stato abitato (con gaudio o con dolore, con rimorso o con rancore) dalla presenza di chi non è più qui o di chi non cè più, perché non ammettere che anche Margherita Vidusson o Lucia Chialina siano state possedute, si siano trovate abitate dalla presenza (o dallassenza) di qualcuno? I nomi che oggi io do, che a quel tempo loro dettero, a queste presenze sono soltanto dettagli: hanno a che fare col mio impianto razionalistico, col loro impianto mitico.
A chissà quanti tra noi, accade di parlare "da soli", ad alta voce. A me succede, talvolta, quando guido. Ma in realtà, io non parlo "da solo": io discuto con un interlocutore che non siede accanto a me, ma che ho appena lasciato ancora addormentato a letto, o che mi ha lasciato per sempre in cimitero, o che ho cancellato dalla mia vita e, improvvisamente riemerso, torna a dirmi le sue ragioni su un fatto ormai lontano, su un diverbio concluso...
Che differenza cè con Maria Da Pozzo o con Veronica Paschini? Certo, io so che quel parlare "ad alta voce" non è vero colloquio, che quellinterlocutore non è reale, e che sta dentro di me. Ma, appunto: "dentro".
La differenza sembrerebbe questa: è "normale" ritenere quellinterlocutore irreale, collocarlo nel mio cervello; è "patologico" ritenerlo reale e collocarlo nel mio cuore o nel mio ventre.
Ma quanto irreale, e quanto invece reale, se mi fa parlare ad alta voce e gesticolare e rischiare un incidente?
Ben poco separa un razionale e mediamente equilibrato medico dellanno 2002 da una donna di Verzegnis di centoventanni fa.
4. Cè naturalmente, e resta, il problema del potere. Giustamente, il sottotitolo di questo libro recita: "Superstizione e scienza medica". Così Franzolini definiva la popolazione di Verzegnis: "patentemente credula, superstiziosa, immaginosa nel senso meno lusinghiero dellespressione
lungi assai dallo svincolarsi dalle pastoie di una crassa ignoranza e di false credenze religiose". Superstizione è il termine con cui il vincitore designa la fede dello sconfitto, che lo sconfitto ancora si ostina a praticare. Dopo Costantino, sono superstizioni tutti i riti e i miti non cristiani. Pier Paolo Vergerio, convertito alla Riforma, pubblica decine di libelli contro le superstizioni papiste. I Conquistadores chiamano superstizioni i riti incaici o aztechi. I padri giansenisti illuminati conducono una lotta senza quartiere contro le sregolate devozioni del popolo cristiano, le superstizioni, appunto: bastino i nomi di Muratori e di Pietro Verri. Gli scientisti positivi dellOttocento Franzolini compreso - bollano di superstizione lintera pratica religiosa. Ma gli psichiatri psicodinamici di oggi non ho dubbi certamente pensano che le credenze e le pratiche di Franzolini e di Charcot fossero superstizione (oppure tra galantuomini non ci urta?).
Dietro la pratica psichiatrica odierna cè un consensus scientifico e una legge dello Stato. Ma anche accanto e dietro le stupidaggini che Franzolini diceva con tanta sicumera, cerano tuttintera la Società di Freniatria (plaudente), i carabinieri, il delegato distrettuale, il prefetto, il ministro. Dietro quelle donne, non cera altro che una piccola disarmata comunità alpina.
Bisognerà ripensare a questo ogni volta che ascolteremo quelle voci, turgide e roboanti, che affermano che in Italia la "malattia mentale" è stata abolita per legge, e propongono - come misura di comune buonsenso, violentato da ideologi estremisti - la (contro)riforma della legge Basaglia e la riapertura dei manicomi (oltre che dei casini, beneinteso): semmai, per legge, è stato abolito il legame tra il "compasso-di-Weber" di Franzolini e le manette dei carabinieri, tra la camicia di forza e il timbro del delegato distrettuale, o prefetto, o ministro, che ne costituivano il braccio operativo e la mente ispiratrice.
Ma di questo, ovviamente, cè da andar fieri; e quelle recisioni sono semmai da moltiplicare.
5. E rimane il problema della "medicalizzazione", cioè della progressiva annessione di ogni atto o fase della vita umana, dalla nascita alla morte al dolore (ogni tipo di dolore), alla "scienza" e alla "competenza" del medico - peggio, allintervento del medico - che era cominciata con la "Polizia Medica" di Johann Peter Frank, si era estesa con la scienza positiva, e impera tuttora. La "scienza" e la "competenza" si sono fondate e si fondano su ipotesi transeunti; ma, al contrario, gli interventi sono ben permanenti.
Luciana Borsatti racconta dettagliatamente che Franzolini (e altri con lui) curava le "frenosi isteriche" con lasportazione delle ovaie; e questa mania di interventi mutilanti fondati su ipotesi indimostrate, indimostrabili, o dimostrabilmente sbagliate, è proseguita per molto tempo, e prosegue a tuttoggi: si pensi a quella vera ecatombe di tonsille infantili cadute tra il 1955 e il 1970, nella prospettiva di eradicare il R.A.A.; oppure al tentativo di introdurre in Italia lappendicectomia preventiva (siccome prima o poi lappendice si infiamma, tanto vale toglierla subito); si pensi alla voga delle lobotomie prefrontali o degli elettroshock; si pensi alla MBD, che avrebbe dovuto "spiegare" i bambini iperattivi, e giustificare il valium con cui li si rimpinzava; fino alle episiotomie che oggi si praticano alla grande.
Io - ma credo tutti noi - preferisco di gran lunga i rimedi popolari (un buon esorcismo magari, forse inefficace ma certo innocuo), ai rimedi proposti ed attuati da Franzolini. Preferisco una prudenza molto simile allimmobilità; e andar dal medico il meno possibile.
6. Come vedete, non ho raccontato per esteso il lavoro di Luciana Borsatti. Ho però esplorato gli interstizi del suo libro, di cui le siamo tutti grati. Vorrei che le pagine che lautrice ci ha regalato impregnassero - e poi partorissero - laltro libro che già contengono: non è forse il miglior destino dei libri quello di procreare altri libri?
Allora, forse, il dittico ci restituirà la storia totale: la sola che - ci illudiamo potrebbe soddisfarci.