Del dibattito, gramo e di corridoio, sul passaggio dell'assistenza sanitaria nelle carceri al Servizio Sanitario Nazionale, dibattito che la stampa ignora o tratta come un argomento per pochi e distratti lettori, non si è ancora levata una voce a segnalare il carattere europeo. Già, perché qualcuno con la pretesa di avere aperto nuove strade, altri con il terrore di vedersi chiusi tragitti senza dazio, molti sono coloro che sembrano presentare la cosa come una trovata all'italiana, misto di intuizione e improvvisazione, di coraggio e negligenza. Eppure del tema si discute in maniera animata a livello di Organizzazione Mondiale della Sanità e di governi europei da non poco tempo, tanto è vero che alcuni Paesi si sono dati soluzioni che non risultano avere prodotto danno alla sicurezza dei loro istituti di pena. In Polonia, ad esempio, mentre l'assistenza sanitaria di base è rimasta un appannaggio del Ministero della Giustizia, l'assistenza di secondo livello è attualmente gestita dal Ministero della Sanità. Lo stesso accadrà in Gran Bretagna tra non molto. In Francia e in Norvegia tutto il settore sanitario è passato sotto l'amministrazione della Sanità Pubblica. E allora, la miopia che ci affligge è frutto di ignoranza o malafede? Non resta che informare, per sopprimere la prima eventuale causa e per rassicurare al tempo stesso il cittadino rispetto al paventato rischio dell'operazione in corso e alla sua convenienza.
Il modello italiano è quello della sperimentazione a macchia di leopardo. Dapprima il passaggio ha avuto luogo, a livello nazionale, per due settori -le tossicodipendenze e la prevenzione- dei quali il primo era già di competenza del Servizio Sanitario e il secondo è talmente vasto e poco definito anche fuori delle mura del carcere, da indurre a ritenere il suo ingresso nel difficile universo strutturale dei reclusori un fatto puramente formale, almeno nella fase di avvio e di conoscenza dei problemi (va ricordato come le Aziende Sanitarie svolgano da molti anni compiti di controllo nel settore igienico all'interno delle carceri). E' quindi prevista una successiva fase di sperimentazione, della durata di un anno, nella quale l'assistenza sanitaria tutta dovrebbe passare al Ministero della Sanità negli istituti di pena di almeno tre Regioni italiane: Toscana, Lazio e Puglia. Risulta che la Lombardia abbia avanzato la propria candidatura a patto che sia assegnato allo scopo uno specifico budget, non previsto però dal D.L. 230/99.
Se la ragione condivisa che ha sostenuto la scelta legislativa è quella di un diritto alla salute omogeneo per i cittadini di ogni condizione, lo slogan che dovrebbe mettere tutti d'accordo è ‘maggiore salute, maggiore sicurezza', affermazione che ribalta i timori avanzati dalle fazioni che intravedono nell'avvento del Servizio Sanitario Nazionale un pericolo destabilizzante, anziché cogliere la potenziale epifania dialettica all'interno di un sistema troppo autoreferenziale e i vantaggi di un adeguamento della risposta a una delle domande calde del carcere: quella di salute. L'O.M.S. dal 1996 ha suddiviso in tre grandi aree tale domanda: infettivologica, tossicofilica, psicopatologica (i dati inglesi più recenti parlano di disturbi schizofrenici o di psicosi maniaco-depressive nel 10% dei detenuti in attesa di giudizio e nell'8 % dei definitivi, e di disturbi di personalità nel 75% dei detenuti in attesa di giudizio e nel 68 % dei definitivi: percentuali a dir poco impressionanti!). La nostra situazione non si discosta granché da questa e la prima ricerca nel settore, che presto sarà avviata nelle strutture penitenziarie fiorentine, lo dimostrerà. Se tali e tanto gravi e complesse sono le esigenze del mondo penitenziario, tentare di soddisfarle in maniera opportuna, coordinata e organica ridurrà il rischio di loro gestioni che complicano le impasses intra moenia, senza peraltro fornire alla Magistratura di Sorveglianza quel contributo rassicurante che ridurrebbe il rischio di soluzioni meramente cartolari, e comunque non fondate su una relazione terapeutica e su progetti riabilitativi adeguati, nella concessione di benefici a detenuti non sempre in piena salute psichica.
Va inoltre osservato come la tendenziale territorializzazione della pena che accompagnerebbe, ad esempio, un serio progetto di salute mentale all'interno dei reclusori, potrebbe venire incontro di fatto alle aspirazioni federalistiche in un ambito, quello penitenziario appunto, finora trattato come uno dei più centralizzati e quindi meno legati alle specifiche realtà.
Nel numero in uscita della rivista Il reo e il folle, dal titolo Mens sana in... carcere sano, saranno stampati documenti di rilievo concernenti l'attualità del passaggio di cui qui parliamo. Abbiamo deciso di anticipare la pubblicazione di alcuni scritti in questo sito, ritenendo importante dare al tema la massima diffusione e aprire sul medesimo un necessario dibattito.