"IL REO E IL FOLLE": EMBRIOGENESI DI UNA RIVISTA
Il titolo della rivista è nato quasi contemporaneamente all'idea di rompere il silenzio sulla trasgressione. Non che non si parli di questo tema: ne parla smodatamente e brutalmente la cronaca, senza mai un ripensamento, senza mai soffermarsi sulle sottostanti trame. Tenta di metterla in scena il cinema, con maggiore o minore tatto, con gusto o volgarità, in maniera chiaroveggente o acefala. La letteratura di successo coglie la deflagrazione silenziosa che sbriciola rapporti minati dalla malattia trasgressiva. Eppure coloro che di questo problema si occupano, o dovrebbero occuparsi, tacciono, lasciando a dei portavoce, a dei passacarte, a dei portaborse il diritto di esprimere opinioni vacue e di prendere decisioni pazzesche. Chi, dunque, si occupa o dovrebbe occuparsi di questo problema?
Certamente le persone che lavorano, a qualsiasi titolo, nei luoghi che lo distillano: gli psichiatri, le forze dell'ordine, l'apparato giudiziario, il sistema penitenziario, ma anche gli insegnanti e i medici in genere: quelle figure cui è ancora riconosciuta una responsabilità sociale. E' per sentire l'opinione di costoro su quanto conoscono bene, perché si trovi il modo, il tempo e il piacere di passare dall'azione al respiro teorico, perché si riesca a comunicare, che questa pubblicazione esce.
Non solo. Il reo e il folle intende provocare, intorno al tema della trasgressione, un fervore intellettuale non minato dai noiosi pregiudizi conformisti che si nascondono dietro la pretesa di una seduzione anticonvenzionale al grido di "liberiamo tutti". E ancora, e soprattutto, è con il pubblico giovane, con quanti sono immersi loro malgrado nel dilagare del problema, e non vogliono esserne travolti, che Il reo e il folle vorrebbe parlare.
A verificare la tenuta di questo titolo, trasgressivo quanto basta, fu un personaggio d'eccezione: un bambino di otto anni capitò dove si scarabocchiava con un pastello bianco su cartoncino nero il primo abbozzo di copertina. Era un bambino bilingue, con un italiano relativamente povero. Commentò: "Non si dice: "Il reo e il folle", ma "Il reo è il folle"...". Altri non meno significativi calembours furono poi trovati, quali "Il re o il folle", "Il re o il reo", "Il reo è in folle" e si giunse alla conclusione che un titolo così dissacratorio dopo tante ipocrisie eufemistiche, così forte e pieno di mordente, soprattutto così sovradeterminato e immaginifico, in una copertina costruita sulla falsariga dei titoli di testa di una pellicola cinematografica, con quel bianco che sfonda un nero appena ravvivato da sbaffi di colore, era un titolo adatto ai tempi e al tema.
Il concepimento
Il reo e il folle è frutto di un concepimento necessario e insieme di un connubio incestuoso, di una passione a fuoco lento e della fretta di concludere, del bisogno di dire e del dovere di fare, dell'aspirazione a una responsabilità sostenibile e del desiderio di non cadere in facili pregiudizi, del proposito di dare voce a esperienze ricche ma mute, e della decisione di non sottoscrivere proteste gridate ma sterili.
Lavorare nelle strutture penitenziarie indica chiaramente allo psichiatra le origini del suo discorso. Quando la giustizia accettò la 'proposta di matrimonio' della medicina, bramosa di curare coloro che la prima puniva, nacque, proprio nei luoghi di pena, la psichiatria, per consentire l'abbandono della pura nemesi sociale, senza rischiare l'indifferenza abulica. Il reo e il folle si muove a partire da queste origini, intende anzi essere la creatura di queste ritrovate origini.
La embriogenesi
Embrione è ciò che comincia a prendere forma. Il reo e il folle è un'opera in embrione. I suoi abbozzi embrionari stanno germogliando per dare vita ai diversi organi e apparati che ne costituiranno la struttura dinamica.
La copertina
La copertina è il volto della rivista, il suo modo di presentarsi.
Il folle imprigionato nella 'o' di reo indica il rischio che la colpa catturi il disagio in maniera insensibile. E' un titolo 'clinico', cucito sulla clinica della trasgressione. I calambours giocati su piccole variazioni del testo -Il reo è il folle e Il re o il folle- raddoppiano il senso del legame tra sofferenza e condotte antisociali. Se l'espressione 'il reo è il folle' può essere intesa come una indebita estensione del concetto di disagio a tutti gli autori di reato, questa dilatazione sottende nondimeno la possibilità che il folle possa soccorrere il reo, contribuendo, la regolazione della cura del folle reo, alla evoluzione stessa del concetto di pena, alla sua progressiva individualizzazione. Lo scambio tra re e reo che dà luogo all'altro gioco di parole -'il re o il folle'- deriva da quella contiguità fonetica tra re e reo, cui fa da controcanto una etimologia incerta e comunque disomogenea. Re deriva dal latino rex, parola di origine indoeuropea che rintracciamo nel celtico, nell'italico, nell'indiano, come termine relativo alla religione e al diritto.
Il latino rego e il greco oregw (stendere una linea retta) rinviano a una figura sacerdotale, colui che traccia i limiti della città e determina le regole del diritto. Reo deriva dal latino reus, parola dall'etimo incerto, che gli antichi proponevano come derivante da res -> re-m -> reu-m, nel senso di colui di cui si discute la causa. Se il re traccia i limiti della città e stabilisce le regole, reo è chi quelli e queste infrange. D'altra parte è pur vero che re può diventare il disadattato-sciamano di cui parla Pirsig nel suo Lila, il ribelle sprezzante che impara a far buon uso di un suo "talento marginale" e coglie in anticipo la nuova sorgente di bene e male.
Il tatuaggio
D'altra parte sotto il titolo compare la silhoutte irriverente che faceva bella mostra di sé sul braccio tatuato di un detenuto. Rovesciandola, la gorgiera potrebbe diventare una corona, la corona di un re. E' Michel Tournier che sottolinea la convivenza tra tatuaggio e fedeltà. Il carcere, abitato da un esercito di tatuati che considerano l'infamia una colpa imperdonabile, conferma questa propsettiva. Il nostro tatuaggio bifronte mostra pertanto la convivenza tra follia trasgressiva e fedeltà e per essere un tatuaggio, e per essere un segno contraddittorio.
La figuretta che abbiamo scelto ha un altro pregio: evoca l'idea di folletto. Al folle di cui parliamo serve un folletto: un terapeuta agile, capace di cogliere le occasioni e di tenere le fila di un discorso, un terpeuta in grado di muoversi tra il re, che le regole stabilisce, e il reo, che quelle medesime infrange, senza pregiudizi positivi o negativi, che compaia al momento opportuno e si sottragga quando non serve, un terapeuta che riconosca il carattere multiforme e puntiforme della domanda, che non si scoraggi di fronte a un essere composito e unico che lo chiama ad occupare un posto impossibile.
I colori e la composizione
Solo scorrendo i titoli di testa di una pellicola cinematografica o prendendo tra le mani un libro d'arte, capita di essere catturati dalla forza di quel nero che il bianco 'sfonda', come il gesso una lavagna, rallegrato da sbaffi di colore. Poiché tra gli scopi c'era quello di imaginare, nel senso di rappresentare qualcosa, la formula di chi abitualmente dà una immagine di qualcosa, di chi fa cinema ad esempio, è stata imitata. Sulla copertina di ogni numero comparirà una coppia di colori stabilmente abbinati tra di loro, secondo il precetto vangoghiano, che stabiliva la necessità, in ogni composizione pittorica, della contemporanea presenza di un colore fondamentale e della mescolanza degli altri due. Ecco il perché del verde e del rosso in questo primo numero, che diventeranno giallo e viola nel secondo e blu e arancio nel terzo.
Il disegno geometrico che compare sulla copertina verde e che racchiude il tema del numero -tutti i numeri avranno carattere monotematico- è la maniera giocosa di illustrare la quadratura del cerchio. Se infatti conciliare cura e pena costitutisce una sfida forse presuntuosa, l'intera nostra iniziativa è una sfida etica al misconoscimento del degrado psichico, relegato in una cronaca costantemente stupefatta e instupidita.
Riflessioni sul tema
Il reo e il folle è una pubblicazione quadrimestrale; ogni numero si svilupperà su un tema prevalente e questa parte della rivista conterrà le riflessioni sull'argomento scelto, rappresentando quindi la corteccia degli emisferi, che 'riflette' nella sua zona sensitiva e in quella motoria, così come avviene per l'homunculus di Penfield, la percezione del tema e le risposte operative.
Le rubriche
Questioni di spazio
Questa rubrica rappresenta l'involucro cutaneo, il 'contenitore' del corpo in formazione.
Trattare il tema dello spazio -spazio della cura, spazio della pena- è una necessità per chi ha in genere lavorato in luoghi meravigliosi e squallidi al tempo stesso, dalla prodigiosa impalcatura, ma abbrutiti da una anestesia estetica mortificante; forse anche perché in questi luoghi si incontrano persone oltremodo sensibili al colore e agli spazi; indubbiamente perché il restauro della propria persona non è estraneo alla ristrutturazione del proprio habitat. Conversari
Questa rubrica è 'la lingua', quella protrusa dal folle-re sul volto della rivista, che segnala l'ostacolo e insieme la possibile ironia che ne consente il superamento, e la lingua parlata, che permette, se vi è consuetudine o compatibilità di stile, di scoprire insieme qualcosa.
Commentari
Commentari significa considerare accuratamente, meditare, ragionare, commentare. E' l'apparato digerente, che rumina, secerne, separa e trasforma, consentendo l'assimilazione delle parti utili. Questa rubrica conterrà pertanto commenti formulati dall'esterno o a posteriori sullo sviluppo del tema. Un esterno che attraversa comunque il corpo della trattazione, cui è visceralmente legato.
A rebours
A rebours è lo sguardo volto all'indietro, è la memoria di occasioni da non disperdere. Raccoglie interventi significativi sugli argomenti che interessano la rivista.
Imaginare
Imaginare nel senso di rappresentare, di dare un'immagine di qualcosa: questa rubrica costituisce le mani del nostro organismo. Mani all'opera, tese a ricostruire una rappresentazione per immagini del tema, sfruttando, un po' come accade nel gioco e nella creazione artistica, gli oggetti a disposizione.
Il punto di vista
Questa rubrica è in un certo senso l'apparato visivo dell'embrione. L'obiettivo sulla malattia trasgressiva non può essere costituito dalla pretesa di obiettività e di univocità. E' la clinica che ci insegna come gli sguardi molteplici, gli aggiustamenti continui del focus, il confronto tra le diverse prospettive costituiscano elementi essenziali per com-prendere e per curare.
La clinica del diritto
E', questa rubrica, l'apparato scheletrico e l'apparato locomotore del sistema composito che va formandosi. Il diritto e la stazione eretta rinviano alla norma come impalcatura della convivenza civile; il diritto e il dirigersi ricordano la neccessità di mettersi in moto: in questo caso della clinica verso il diritto, per esprimere un'opinione, clinica appunto, circa la norma alla prova dei fatti; il diritto e il dare una direzione rammentano la possibilità di una disamina critica della norma, qualora questa si lasci curare -anche in tal senso va intesa l'espressione 'la clinica del diritto'- da chi detta norma usa e talvolta subisce.
Del mito e della favola l'arca
Questa parte è l'apparato respiratorio, il respiro antico e impercettibile, che pure vive in noi e ci fa vivere, che richiamiamo per il piacere di avvertirne il regolare e semplice soffio.
Anticipazioni
E' l'orecchio teso a cogliere i suggerimenti e le proposte.