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ORGANIZZAZIONE DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA INTERNA nell'ambito del progetto di Riordino della medicina penitenziaria

di cui al D.L. 230/99

Gemma Brandi

Psichiatra psicoanalista

Consulente Psichiatra del Ministero della Giustizia

Coordinatore del Gruppo di Lavoro Giustizia e Psichiatria dell'Azienda Sanitaria di Firenze

[per conto dell'Azienda Sanitaria di Firenze]

PREMESSA

Il Dipartimento di Salute Mentale (D.S.M.) dell'Azienda Sanitaria (A.S.) di Firenze -consapevole della gravità crescente del problema psichiatrico penitenziario per avere ricoverato nell'ultimo decennio, all'interno dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (S.P.D.C.), un numero sempre maggiore di detenuti affetti da disturbi psicopatologici seri, inviati a norma degli artt. 73 e 286 c.p.p., ovvero su disposizione della Magistratura di Sorveglianza, o ancora in base all'art. 17 D.P.R. 431/76 in situazioni di ‘assoluta urgenza', spesso piantonati e talora con proposta di Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.)- in adempimento delle disposizioni del D.L. 230/99, sentiti la Direzione, i responsabili dell'Area Sanitaria e gli psichiatri del N.C.P. di Sollicciano, ha cercato di tracciare un quadro approfondito dell'assistenza psichiatrica in detto istituto e di formulare proposte operative.

D'altra parte il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), con lettera circolare 577373/3 Giugno 1999, riconosce largamente "l'accresciuto rilievo che ha assunto il disagio psichico in carcere, anche in relazione alla presenza di un numero elevato di soggetti multiproblematici", così come sottolinea "l'esigenza di realizzare un servizio sanitario specialistico strutturato con sufficiente autonomia rispetto al servizio medico generico".

Poiché il problema, per la prima volta ufficialmente riconosciuto, non risulta essere stato in precedenza analizzato da un punto di vista epidemiologico, mancano dati nazionali attendibili. Uno studio effettuato a Sollicciano dal Servizio Psichiatrico Interno -unica esperienza del genere nel Paese, attivata nel 1990 in tale struttura- mostra un quadro già all'epoca allarmante in relazione alla qualità e alla quantità del disagio psichico recluso, che non sembra avere specifiche prerogative rispetto a quello disperso sul territorio, ma si presenta piuttosto come un distillato dei casi complicati da gestire all'esterno.

E' vero altresì che, la necessità di "interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale", la si ritrova nel testo del D.L. 230/99, con una voce a sé tra i compiti che il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) sarà tenuto ad assicurare, "in particolare, ai detenuti e agli internati".

Con queste premesse l'assistenza psichiatrica sembra uscire dalla posizione indistinta finora tenuta all'interno dei Servizi Specialistici Penitenziari, mentre viene colta la necessità di dare, alla domanda psicopatologica detenuta, risposte che tengano conto dei tempi e delle forme che quella domanda esige per non riversarsi copiosamente sul momento ospedaliero della cura e per non tradursi in un regime di urgenza permanente, senza vantaggio alcuno per la salute della persona sofferente. Poiché, infatti, accade all'esterno che i bisogni psichiatrici che in carcere si concentrano -quelli dei pazienti multiproblematici e/o con necessità sociali complesse- quando l'esigenza di contenere il disagio diventa improrogabile e le altre risposte tardano a venire, transitino, vanamente e creando difficoltà, per i S.P.D.C., è essenziale dare queste risposte nei luoghi di pena.

La ‘domiciliazione' della cura, esigenza prioritaria del carcere e ambizione progressivamente più sentita da parte dei Servizi Territoriali, si scontra, peraltro, con una evidenza non trascurabile: se è vero che la cura della malattia fisica nel penitenziario può presentare dei problemi, ma non richiede modificazioni radicali dei principi stessi su cui tale cura si fonda, curare in carcere la psiche di un uomo rappresenta una contraddizione in termini e fa vacillare l'ossatura del trattamento psichiatrico.

Merita porre l'accento, infine, su due aspetti peculiari, almeno sotto il profilo psichiatrico, del N.C.P. di Sollicciano.

L'istituto, da una parte individuato come sede di speciali prestazioni sanitarie e quindi destinazione di reclusi bisognosi di quelle terapie fisiche, a causa dell'esistenza di un Servizio Psichiatrico Interno sembra essere diventato una delle mete preferite dall'Autorità Giudiziaria (A.G.) e dal D.A.P. per l'invio di pazienti psichiatrici particolarmente difficili da gestire altrove. E' auspicabile che, la creazione in tutti gli istituti di pena italiani di un Servizio Psichiatrico a norma della Circolare 577373/99, eviti in futuro al N.C.P. di Sollicciano il compito di fronteggiare questa onerosa esigenza.

Qui sono ubicate, inoltre, l'unica Casa di Cura e Custodia (C.C.C.) Femminile italiana e una Sezione per Minorate Psichiche (M.P.). La prima ha una sua sede, ma risulta mancare dell'idoneo intervento interdisciplinare; la seconda è stata appoggiata alla prima, benché le ospiti non siano internate ma detenute, e fruisce dello stesso modulo assistenziale.

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