ABUSIAMO DELL'ABUSO?
Gemma Brandi
Psichiatra psicoanalista
Consulente Psichiatra del Ministero della Giustizia
Viviamo un'era pedofilofobica e tossicofilofobica. Tutte le nostre energie positive sembrano orientate a combattere quelli che vengono presentati come i due mali di fine millennio: la seduzione maligna che mina l'innocenza infantile e la droga. Eppure si tratta di luoghi antichi come il mondo, che a ogni latitudine e in tutte le epoche hanno avuto uno spazio coltivato, consentito o contrastato. Penso con gratitudine all'amico omosessuale che, proprio facendo cenno per la prima volta alle perturbanti attenzioni mostrate, per lui bambino, da una figura significativa, si interrogava a proposito della crociata anti-pedofilica lanciata durante l'estate, osservando: "Forse qualcuno intende abolire la libidine
Ma questa è sempre esistita e sempre esisterà
"
Sta di fatto che la parola abuso evoca quasi inevitabilmente le due fobie sopra segnalate. Si finisce per abusare di un termine denso, riducendolo a due sole accezioni, mentre molteplici sono i luoghi dell'abuso, diverse le debolezze che sembrano provocarlo. E ancora, il sentimento dell'abuso dipende dal punto di vista: la stessa circostanza induce talora le parti a stimarsi ciascuna vittima della prevaricazione e a indicarne l'artefice nell'altra. Sembra non sussistere una oggettività dell'abuso, si impone piuttosto la vicendevolezza del vissuto.
Di fronte allo scalpore e agli anatemi senza appello di questa fine millennio, di fronte al riduzionismo di un concetto che viene in tal modo privato di respiro e potenzialità dialettica, abbiamo ritenuto di aprire la rivista a contributi disparati sull'argomento.
L'ABUSO che scorgo oggi è quello che si perpetra nell'inganno della pubblica opinione, ora omettendo ora enfatizzando. Di fronte al libro-confessione dell'uomo che, per riscattare la propria libertà, per uscire dalla schiavitù omertosa della vittima, descrive gli abusi sessuali subiti anche e in primis ad opera dei genitori, come definire se non abusatore dell'innocenza collettiva chi risponde affermativamente alla proposta di pubblicazione a patto che dal testo sia espunta la denuncia contro la famiglia, di cui risulta ancora oggi intollerabile mettere in dubbio la credibilità, vuoi pure la singola credibilità? E' noto come sia soprattutto di cose autentiche che si nutre qualsiasi tentativo di aiuto nel settore della violenza subita da piccoli. Lo dice con chiarezza Cristina Pucci nel suo articolo per la rubrica imaginare. Indurre al silenzio una forma di outing a tal punto necessaria, che mettendo allo scoperto il responsabile del gesto antico consente alla vittima di recuperare il proprio diritto interiore a esistere, è un vero abuso che mortifica il soggetto e minaccia le radici sane del corpo sociale.
L'ABUSO di cui parlo è quello di una informazione selvaggia, zitta quando dovrebbe parlare, chiacchierona fino al parossismo quando è ora di tacere. L'informazione che accetterebbe di pubblicare il libro della coraggiosa vittima a condizione di purgare il testo dalle accuse concernenti padre e madre. L'informazione che propaga notiziari in rete per potenziali abusatori, che infetta con energie corrotte la morale comune, acquistando nel farlo potere e denaro. Forse sono i nomi di questi abusatori che tutti dovrebbero conoscere, sono questi gli orrori con cui bombardare un'opinione pubblica intasata da moralismi occasionali e facili.
Capita che si spacci per libertà di stampa e di scambio una simile prevaricazione della fiducia assegnata, che al di là del danno immediato al singolo e alla collettività impoverisce il nostro vocabolario, toglie alle parole la complessità di cui si nutre da millenni la fantasia di ciascuno, rosicchia lo strumento stesso della comunicazione.
Il dovere della rivista rimane quello di combattere ogni forma di pregiudizio semplificativo, di mantenere desta l'attenzione per quanto si annida nelle pieghe, dietro le quinte, nell'ombra. L'arte ci soccorre, è vero: era proprio il tema dell'abuso in famiglia che veniva affrontato in Ragnatele, l'opera di Eduardo Pavlovsky che compare nel numero del quadrimestrale intitolato Sensibilità e suscettibilità. Il reo e il folle tenta di gettare ponti robusti e flessibili tra simili suggestioni e le regole del miglior vivere insieme.
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