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Le Comunità Terapeutiche: ambienti di vita, percorsi di cura

Quando, come e quanto l’abitare può essere terapeutico

REPORT DELLE GIORNATE di Sara Cassin

Si sono tenute a Cantalupa (TO), il 17 e 18 gennaio 2002 due giornate di studio dal titolo: "Le Comunità Terapeutiche: ambienti di vita, percorsi di cura — quando, come e quanto l’abitare può essere terapeutico".

L’iniziativa è stata promossa dalle Strutture per la Riabilitazione Du Parc di Torre Pellice (TO), in collaborazione con AtiC (Associazione Italiana per la Terapia di Comunità) e Tiarè Onlus — Servizi per la Salute Mentale.

L’intento degli organizzatori è stato quello di promuovere la riflessione ed il dibattito sulle caratteristiche dell’offerta delle Comunità, in quanto strutture intermedie del DSM, intese come luoghi dell’abitare, ma anche come tappe di un percorso terapeutico.

Il programma constava di una prima parte che presentava tipologie specifiche di Comunità Terapeutiche in Italia e all’estero (Francia e Inghilterra), fornendo dati epidemiologici e di valutazione dei risultati dei trattamenti, oltre che descrivendo le filosofie ispiratrici dell’agire comunitario e dunque dell’operatività quotidiana; una seconda parte dedicata alla presentazione degli strumenti di verifica del funzionamento delle strutture residenziali, sia dal punto di vista dei processi organizzativi interni, sia dal punto di vista dell’efficacia dei trattamenti rispetto alle indicazioni all’inserimento, descrivendo le potenzialità ed i limiti del trattamento residenziale della patologia psichiatrica.

Al termine dei lavori, si è dato spazio alle esperienze sul campo degli operatori di comunità, che hanno potuto confrontarsi, utilizzando la metodologia del gruppo, propria dell’operatività Comunitaria, appunto, sul lavoro quotidiano con i pazienti delle due maggiori categorie diagnostiche che costituiscono l’utenza elettiva delle comunità terapeutiche: (pazienti psicotici e pazienti borderline).

La discussione che si è sviluppata nel corso delle due giornate ha coinvolto la numerosa platea, composta da operatori delle comunità, da psichiatri territoriali, primari dei DSM e familiari, sui temi dell’effettiva efficacia del trattamento residenziale, della ricerca clinica su epidemiologia ed esiti, sull’assoluta necessità di pensiero, organizzazione ed integrazione degli e sugli interventi riabilitativi, sull’imprescindibilità di vigilanza, verifica e controllo da parte degli enti finanziatori e da parte della committenza non solo dell’operato delle strutture, ma anche dell’intera gestione del percorso di cura del paziente psichiatrico.

La presentazione delle esperienze delle comunità inglesi e francesi, che certo hanno una tradizione più consolidata rispetto alle comunità italiane, ha messo in luce l’estrema definitezza e trasparenza dei modelli fondanti il lavoro, degli obiettivi di cura e delle metodologie operative. Le Comunità hanno un’utenza specifica e selezionata sulla base delle effettive potenzialità e risorse della comunità (il paziente viene selezionato sulla base della compatibilità DELLA STRUTTURA VERSO L’OSPITE e non viceversa); hanno dei sistemi di rilevazione e costante valutazione in itinere dell’efficacia dei trattamenti; possono fornire dati statistici precisi, validi ed attendibili che sostengono eventuali istanze e richieste di finanziamenti pubblici o da parte dei committenti (ASL).

In linea generale è apparso evidente che, nei paesi in cui sorgono le istituzioni descritte, è riconosciuta formalmente sia dagli invianti, sia dalle istituzioni governative, la peculiarità di intervento e la potenziale efficacia degli interventi residenziali a carattere comunitario per l’utenza psichiatrica (sia essa con diagnosi di psicosi, sia con diagnosi di disturbo di personalità).

Dai relatori italiani che hanno delineato il panorama nazionale e regionale della riabilitazione residenziale in psichiatria sono emerse alcune importanti criticità, che spesso costituiscono un problema.

In primo luogo, l’estrema eterogeneità delle "strutture residenziali protette", ad alcune delle quali è aprioristicamente attribuita la denominazione di "Comunità", secondo generici requisiti strutturali previsti dalle normative vigenti, e senza farne emergere una qualche specificità.

In secondo luogo l’assoluta necessità di enunciare e valutare in itinere i meccanismi ed i processi di funzionamento che sostanziano il progetto di terapia residenziale che ciascuna struttura dovrebbe perseguire; nonché di stabilire procedure di assessment e follow up riferite ad invii e esiti di trattamento.

E’ apparsa inoltre imprescindibile un’integrazione tra strutture residenziali e Dipartimento di Salute Mentale, a partire dall’invio, per proseguire nel follow up del progetto terapeutico residenziale, nel corso del quale devono essere previste le modalità della continuità terapeutica dopo le dimissioni. Troppo spesso infatti si attua il cosiddetto "modello flipper" in cui il paziente è sbattuto da un’agenzia di cura ad un'altra, salvo poi finire in una "buca senza ritorno" che rappresenta il luogo della cronicizzazione. La buca a volte è la Comunità, a volte può anche essere il non meglio identificato "Territorio".

Una maggiore attenzione all’aspetto della continuità terapeutica, da realizzarsi in sinergia tra strutture residenziali e servizi territoriali, è un auspicio emerso dalle giornate di studio, insieme ad una proposta operativa, cioè quella di passare "dalla psichiatria del DOVE alla psichiatria del COME".

L’idea è quella di uscire dalla logica di un’ offerta di situazioni standardizzate e risposte stereotipate in luoghi di presa in carico, per pensare invece la riabilitazione in termini di progetto e percorso di cura, sostenuto da rigorose procedure di valutazione del caso (in invio ed in itinere) e costantemente verificato negli esiti.

Questa modalità operativa consentirebbe ai titolari del mandato di cura una progettazione ed una programmazione volte ad una più razionale allocazione di risorse economiche e di personale.

Un ultimo, ma non meno importante, argomento trattato riguardava l’aspetto economico del finanziamento. Dalle relazioni del settore programmazione dell’assessorato regionale alla sanità è emerso che il problema della sanità (e conseguentemente per la psichiatria) è certo la quantità delle risorse, ma anche, e soprattutto, la modalità con cui esse sono distribuite ed organizzate. Anche in questo caso sono emerse proposte da discutere sull’opportunità di finanziare non tanto la giornata di degenza o il posto letto, quanto piuttosto il progetto.

Le tematiche per le quali gli operatori di comunità hanno dimostrato un’accoglienza senz’altro positiva riguardavano le modalità di lavoro di gruppo e le metodologie di sostegno all’équipe, enunciate nell’interessantissima relazione del Dr Perini sull’argomento "Cultura organizzativa della Comunità Terapeutica" (e riprese in pratica, nei workshop conclusivi), che paiono essere un argomento cruciale nell’ambito della "macro-categoria" della Formazione degli operatori, tema anch’esso risultato come pietra angolare dell’organizzazione comunitaria.

Data la quantità e la rilevanza degli stimoli e delle proposte emerse in questo incontro, gli organizzatori ritengono opportuno continuare il dibattito ed approfondire le tematiche che hanno riscosso maggiore interesse promuovendo per il futuro iniziative analoghe alle giornate di studio o ancora attraverso i diversi "contenitori" web che trattano argomenti psichiatrici.

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