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PIERO COPPO, Negoziare con il male. Stregoneria e controstregoneria dogon, Bollati Boringhieri, Torino 2007,

pp. 176, Euro 20

[ L’ultimo libro di Piero Coppo, figura di spicco dell’etnopsichiatria europea — anticipiamo qui, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, la breve prefazione — ci riporta, tredici anni dopo Guaritori di follia, nello stesso luogo, il Mali, e a contatto con la stessa etnia, i Dogon, già oggetto di elezione dell’africanistica del Novecento, e oggi tra le principali attrattive di un turismo antropologico su cui fanno presa i rituali magici del popolo dell’altopiano. Coppo muove da un punto di vista che invece non concede nulla alle tinte posticce del folklore maliano vagheggiato da Occidente. In un tono che sa conciliare narrazione senza reticenze e riflessione radicale, racconta sì di sacrifici cruenti, di oggetti malefici e protettivi, di forze dirompenti o conservative, ma interpellando innanzitutto il senso che assumono all’interno del sistema di regolazione e mediazione con l’invisibile a cui appartengono malattia e cura. Sistema che vede controstregoneria e guaritori contrastare l’azione disanimante e divorante di stregoni occulti, e arrestarsi sulla labile soglia che separa la conoscenza delle cose nascoste dal potere che le rivolge contro altri umani. Chi opera laggiù — terapeuta o uomo di chiesa — non può permettersi di ignorare il paradigma africano del male. Quella paziente concezione negoziale intesa a disattivarne, volta per volta, gli effetti, piuttosto che a neutralizzarne la temibilità e a estirparlo con accanimento prometeico. Di tutto questo Coppo ha fatto esperienza: ha affrontato il sospetto verso il bianco che indaga il dominio esoterico (perché chiedere è per sapere, e sapere è per fare), ha lavorato a lungo con i "negoziatori", ha lasciatoche l’angoscia arcaica prendesse forma anche dentro di lui e si elaborasse in un libro ]

Prefazione

Questo libro è insieme la continuazione e, per quanto posso prevedere, la conclusione del racconto iniziato più di dieci anni fa con Guaritori di follia. Storie dell’altopiano dogon. Non so ancora se la mia esperienza di quel mondo si conclude così oppure no; so però che, oltre quello che scrivo qui, non mi sarà possibile scriverne. Già in questo libro ho dovuto omettere alcuni fatti e testimonianze importanti, e coprire, con pseudonimi e toponimi di fantasia, alcuni nomi di persone e luoghi. Ma è proprio lo scrivere di questi argomenti, e farlo pubblicamente, che a mio parere conosce un limite che mi sembra già raggiunto. Oltre, è impossibile sottrarsi a rischi e derive di cui si possono trovare tanti esempi nella letteratura in merito.

Scrivere questo libro è intanto servito a me; da un lato per sistemare, e dare dignità, a voci e materiali raccolti in questi anni, che avrebbero altrimenti rischiato di perdersi tra appunti, fogli, registrazioni e quaderni sparsi tra qui e Bandiagara. Non sarebbe stato giusto; prima di tutto nei confronti di chi mi ha accolto dandosi la pena di rispondere alle mie domande o, in un modo o nell’altro, aiutandomi in questo lavoro. Dall’altro, perché la fabbricazione di un libro è già in sé un importante rituale di fissazione e protezione. Fissazione, perché lega esperienze vissute a un oggetto materiale che ha un suo peso, una forma e un destino autonomo dal suo Autore; protezione, perché si tratta sempre di un rituale collettivo, dove pensieri ed esperienze personali si trasformano, grazie al comune lavoro della fabbricazione, non solo in un fatto, ma in un fatto condiviso. Significa dunque non essere più del tutto soli nel consegnare a un oggetto una parte importante della propria vita, che è insieme liberarsi e attaccarsi, rafforzandosi. Una pratica che altre culture conoscono bene e che in altri modi mettono sempre in atto, nei passaggi importanti.

Poi, credo che parlare e scrivere di stregoneria e controstregoneria possa anche servire ad altri. Perché porta alla luce ciò che avviene nel segreto della notte, e quindi consente di operare per proteggersi; ma anche perché apre a una visione del mondo non limitata, non imprigionata in questa particolare storia che ha trovato, soprattutto nel cristianesimo e nell’illuminismo, difese efficaci fino a ora, ma che sembrano non esserlo più nella crisi che stiamo attraversando.

Se è impossibile distruggere il male, allora tanto vale acquisire una posizione salda e protetta, e, da lì, guardarlo; premessa per ogni tentativo di contenerlo e limitarne la potenza. Come prima cosa, dunque, bisogna aprire gli occhi, e tenerli ben aperti. Distogliere lo sguardo, sposare visioni del mondo rassicuranti, farsi sopraffare dalla paura e dal dolore o delegare ad altri il compito del contenimento e della negoziazione ci espongono sempre al rischio di trovarci, un giorno, davanti all’emergere attraverso di noi delle ombre, facendoci cogliere di sorpresa e senza protezioni.

Non parlo evidentemente solo delle crisi individuali che seguono al disvelamento e alla percezione dell’altra faccia delle cose, e a ciò che ne segue per i singoli. Penso anche a cosa diviene la negazione di ciò che abita i sotterranei delle nostre case, all’elaborazione paranoica da parte di gruppi, o popoli interi, impegnati ossessivamente a proiettare il male altrove e su altri, per poi cercare in ogni modo di distruggerlo. Salvo poi, girato l’angolo, trovarsi davanti a uno specchio e accorgersi che si sta agendo, attraverso pratiche di guerra, proprio la dinamica che si voleva combattere, e che niente differenzia più dal nemico che ci si era dati.

L’immagine di un popolo di fratelli amorosi che, amando il prossimo come sé stessi evolvono in ambienti finalmente bonificati dalla luce della coscienza e della ragione, è solo una idea, e neanche tanto buona. Perché, paradossalmente, semplifica e impoverisce il mondo, distoglie dalle indispensabili protezioni e sottrae peso e valore alle negoziazioni necessarie a che i conflitti non diventino guerra, loro elaborazione paranoica; finendo così per aprire la strada a ciò che ci si proponeva di esorcizzare.

Al contrario, e soprattutto oggi, occorre lasciare la posizione del demiurgo che risana il mondo, e, con gli occhi aperti, avviare fermamente e fortemente la negoziazione col fondo oscuro dell’anima umana; quello che gli anarchici, con un movimento contrario a chi pretendeva di stenebrarlo, hanno assunto nella metà nera della loro bandiera, lasciando a quella rossa l’evocazione della vita, della passione che vuole.

Con questa intenzione ho cercato di dare la parola ad altre culture, cresciute per altri percorsi, e di ascoltarle.

Questo movimento ha coinciso, per me, con la necessità di trovare il limite oltre il quale non sono disposto, per conoscere quel mondo, ad andare. Se si entra davvero nel sistema della stregoneria, è l’intero modo di esserci nel mondo che cambia, trasformando abitudini, sguardi, atteggiamenti, operazioni quotidiane, priorità. Non intendo farlo per quel che mi riguarda, e credo che non sia neppure utile, o sensato, proporlo per altri. Non si torna indietro se non per raccogliere ciò che è stato troppo frettolosamente abbandonato, scartato, giudicato, dimenticato; per attualizzarlo però immediatamente nei paesaggi che stiamo attraversando, lavorandolo con gli strumenti inediti di cui finalmente disponiamo, collocandolo al suo posto in questa storia e nel bisogno che ci anima oggi.

PIERO COPPO

pietrocoppo@tiscali.it

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