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Genitorialità diffusa

Una forma di supporto della disgregazione familiare e di prevenzione del disagio giovanile

Silvia Vegetti Finzi

Docente di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Pavia

In rete il sito dell’autrice (biografia intellettuale e riferimenti alla sua vasta opera) in Scrittorincorso di Mondadori http://www.silviavegettifinzi.net/

1. Premessa

Dal dopoguerra in poi il nostro paese è radicalmente cambiato nel senso di passare da una struttura prevalentemente agricola a una struttura industriale avanzata . Il passaggio ha richiesto rapidi processi di urbanizzazione e di omologazione culturale. Nel giro di alcune generazioni sono andate perdute plurisecolari regole di convivenza e si sono dimenticate forme di cultura ormai recuperabili soltanto in una dimensione archeologica.

Sono spariti dialetti, manifestazioni sacre e folkloristiche oltre che un patrimonio di saperi materiali che comprende le cucine regionali , le coltivazioni biologiche , tecniche di allevamento degli animali, di pesca, di caccia, di conservazione degli alimenti, di lavorazione della materia prima, di controllo del territorio.1

Utilizzando categorie weberiane, possiamo affermare che è avvenuto un veloce processo di modernizzazione, vale a dire di progressivo disincanto, razionalizzazione, intellettualizzazione del rapporto dell'uomo col mondo e pertanto dell'uomo con se stesso.2

Come sempre il passaggio dalla mentalità tradizionale a quella in senso lato moderna non è stato indolore. Non si è trattato di una dolce e lenta perdita di memoria ma di una cancellazione violenta. La nuova cultura si è liberata dai ceppi della precedente svalorizzandola, accusandola di primitivismo, oscurantismo, irrazionalità e superstizione.

L'ingresso in Europa rappresenta senza dubbio una conferma positiva degli sforzi compiuti dall'Italia per adeguarsi alle nazioni occidentali più avanzate. Ma il successo non può esimerci dal riflettere sulle trasformazioni che l'omologazione comporta , anche in termini di lunga durata. Non intendo con questo proporre una reazionaria nostalgia del passato. So bene quanta ingiustizia, sofferenza e ignoranza contenesse la civiltà pre-borghese. Tuttavia ritengo che recuperare modalità diverse di vivere nel mondo ci aiuti ad uscire dall'ovvio a non considerare l'esistente come necessario.

 

 

 

2. L'eclisse della comunità contadina

Il mondo contadino si basava su di un vincolo comunitario che in parte si è trasformato in società, cioè in rapporti contrattualizzati e istituzionalizzati , in parte è stato recentemente recuperato dal volontariato ma che, per una rimanente quota, è andato perduto. Il sistema delle alleanze matrimoniali, il controllo della sessualità giovanile, la solidità del matrimonio, la salvaguardia dei bambini, l'assistenza ai malati e agli anziani, l'elaborazione del lutto, la memoria collettiva erano processi condivisi da tutti i membri della comunità.

Come premesso, l' eclisse di quel mondo è stata favorita e accellerata dalla sua demonizzazione. Nell'enfasi critica si sono sottolineati gli aspetti di autoritarismo, moralismo, intrusione, le dinamiche di intolleranza e conformismo , tralasciando tutte le componenti positive delle piccole comunità. I protagonisti del paese tradizionale si sono ridotti ad alcune negativissime maschere: il padre-padrone, la vecchia pettegola, l'avido bottegaio, il prete moralista, le beghine maldicenti. Con l'acqua sporca si è gettato via però anche il bambino. So bene che il tempo è irreversibile e credo che un ritorno del passato non sia possibile e neppure auspicabile. Non dobbiamo dimenticare che il nazismo si è alimentato, al suo sorgere, di nostalgie comunitarie( Volkgeist ) e che recentemente il termine " comunità" si è riconfermato, non solo ambiguo, ma anche minaccioso : sovra-identificazione, demonizzazione delle differenze, gusto dell'esclusione, idealizzazione della "purezza" etnica, integralismi, estremismi intolleranti. Tuttavia l'anonimato, la solitudine, l'indifferenza non sono attributi necessari della modernità.Dobbiamo rimettere in cantiere un pensiero dell' "essere insieme" ( être-en-commun) basato sulla cittadinanza e non sulla territorialità.

3. La privacy come valore borghese

Il trionfo borghese della privacy ha comportato una divisione netta tra il familiare e l'extrafamiliare, tra i valori di tenerezza, confidenza, solidarietà della nicchia privata e la prevaricazione, l'anonimia, l'indifferenza della sfera pubblica. 3

Mentre un tempo la figura di una donna affacciata alla finestra rappresentava nell'immaginario condiviso la speranza d'amore , la sorveglianza dei bambini, l'attesa del marito lontano, una modalità di comunicare tra donne immediata e diretta, d'improvviso è stata considerata l'espressione di una ridicola, assurda, indecente curiosità e intrusività nella vita altrui. Le persiane si sono chiuse per sempre sulle facciate ostili della case. Il motto " ognuno pensi ai fatti suoi! " è divenuta l'unica regola del buon vicinato.

Gli abitanti dei grandi, anonimi palazzoni delle periferie urbane si fanno vanto di non conoscere, anche dopo molti anni , i loro coinquilini. Chiudersi a più mandate dietro la porta blindata è sentito come una prova di adeguatezza alla realtà sociale. Ci si comporta così non solo per paura, continuamente alimentata da nuovi allarmismi, ma anche perchè sembra giusto e opportuno . Poichè la vita metropolitana costituisce un modello di riferimento per tutti, anche nei paesi più piccoli si cerca di adottare i medesimi comportamenti.

Lo slogan degli anni '70 : " Il privato è politico" e i conseguenti tentativi di riformulare il rapporto pubblico-privato sono stati travolti da nuove tendenze.

Tra queste appaiono dominanti: l'invecchiamento della popolazione, il declino della fecondità e da ultimo il problema dell'immigrazione . Fenomeni che suscitano sentimenti contrastanti , comunque ad alto tasso di emotività. " Siamo pochi", "siamo vecchi", "siamo invasi dagli stranieri " sono constatazioni stereotipe, poco disponibili al confronto e alla critica e perciò facilmente manipolabili ideologicamente.

La reazione più immediata è quella di chiudersi a riccio nel privato, di alzare sempre nuove barriere protettive nei confronti di un mondo che spaventa.

Ne sono vittime soprattutto i bambini che, per crescere, hanno invece bisogno di lasciare progressivamente l'alveo protetto della casa e della famiglia per affrontare ciò che sta oltre le mura domestiche.

Ma il "lasciarli andare" viene procastinato sempre più in là sino ad essere rinviato a "data da destinarsi".

Nel libro scritto con Anna Maria Battistin , I bambini sono cambiati,4 abbiamo appunto indicato come uno dei più rilevanti aspetti della contemporaneità il "sequestro" dei bambini nella famiglia. Se escono di casa è sempre in compagnia di un adulto e per recarsi in luoghi protetti, dove svolgono attività già organizzate , secondo modi programmati, sotto l'occhio vigile e attento di un educatore.

La paura del traffico, dello smog, del ladro, del pedofilo ha desertificato le nostre strade. Non solo nelle grandi città ma anche nei centri minori non si trova più un bambino o un ragazzo inferiore ai 15 anni che passeggi da solo. Sono stati abbandonati i luoghi della socializzazione infantile spontanea: i cortili, le scale condominiali , le aree incolte, le strade, le piazze. I ragazzi della via Pal non abitano più qui.

Ma meno bambini circolano più l'ambiente diviene pericoloso per il bambino.

D'altra parte sappiamo ormai che la famiglia non è il paradiso descritto dai libri per l'infanzia, più mistificanti che edificanti. La maggior parte delle molestie , degli abusi e delle violenze sessuali avvengono in famiglia ad opera di persone molto vicine alla vittima.

Per cui non si tratta di chiudere in casa i nostri figli ma di rendere abitabile il mondo.

4. La famiglia è nella società

Poichè il tempo e anche la disponibilità psichica dei genitori vanno continuamente diminuendo, è giusto ma forse inutile chiedere loro più attenzione, impegno e dedizione nei confronti dei ragazzi. Rischiamo di renderli soltanto più ansiosi. Il lavoro , e non solo la carriera, impongono a uomini e donne obblighi sempre più esosi in termini di orario, concentrazione, rendimento, formazione permanente. Ormai le famiglie si dividono in due grandi categorie: quelle che ripongono molte speranze nei figli e che sono pronte a spendere per la loro realizzazione tutto quanto è possibile in termini di risorse morali e materiali e quelle che invece non ce la fanno perchè sono destrutturate psichicamente e/o economicamente. Le prime ricevono sin troppe esortazioni, le seconde non sono comunque in grado di recepire nulla prima che si siano riassestate.

Per cui l'attenzione degli psicologi deve ampliarsi dal nucleo familiare alla società, dalle dinamiche private a quelle pubbliche.

La condizione di genitori non è più garantita dal certificato matrimoniale. Vi sono, nel nostro paese, circa 300.000 famiglie di fatto senza contare i separati che ancora non hanno registrato la fine del rapporto coniugale. E' sempre più frequente la situazione di una coppia che non si considera più composta da marito e moglie ma che continua a mantenere uno stretto legame di genitorialità.

Data la precarietà del matrimonio, si può dire resista , come luogo di incontro fondamentale tra i due sessi, soprattutto la parentalità, l'essere padre e madre dei propri figli.5

Da quando il divorzio è diventata realtà indiscussa ci si è resi conto che non il patto coniugale ma la responsabilità genitoriale costituisce l'elemento irreversibile della famiglia.

Tuttavia su questo dato di fatto non vi è ancora una sufficiente riflessione. Anzi, invece di affrontarla, ci si appella al passato.

Pochi mesi fa la presentazione di un progetto di Legge che regoli la fecondazione medicalmente assistita si è trasformato in un conflitto sul modello di famiglia legittima. Forti opposizioni ha suscitato la proposta di consentire anche alle coppie di fatto di accedere alla fecondazione artificiale , mentre l'articolo che approvava la fecondazione eterologa, ossia il ricorso a gameti ( ovuli o spermatozoi) offerti da donatori anonimi, è stato bocciato, provocando il ritiro dell'intera proposta di Legge da parte della relatrice, l'onorevole Marida Bolognesi. Nel primo caso si rivela l'identificazione della famiglia con la sua formalizzazione legale, nel secondo con i legami di sangue. In ogni caso ci si appella alla consuetudine come unico collante per il progressivo disaggregarsi di un'istituzione che tutti riconoscono in crisi. Ci si dimentica però che il nocciolo duro della famiglia è costituito dal rapporto genitori-figli, lasciato, finchè non sorgono vertenze giudiziarie, alla sfera invisibile del privato.

Se vi è un coinvolgimento pubblico per quanto riguarda il matrimonio, nulla avviene invece per la responsabilità genitoriale.

La Chiesa prevede, tramite il battesimo, una cerimonia d'ingresso del nuovo nato nella Comunità dei credenti, nulla di analogo accade invece nell'ambito laico. La nascita si riduce per lo Stato alla trascrizione di nome proprio , connesso al cognome paterno, sullo stato di famiglia.

La famiglia certificata non entra in relazione con la comunità circostante se non al momento della scuola dell'obbligo, quando il piccolo cittadino diviene necessariamente ( scattano altrimenti sanzioni penali) un alunno della scuola pubblica o parificata. Ma prima di questo sarebbe auspicabile una cerimonia di presentazione e benvenuto del bambino nella realtà sociale che lo accoglie e, contemporaneamente, una dichiarazione solenne di impegno congiunto di genitorialità da parte del padre e della madre .

A partire dal secondo dopoguerra, ogni progetto riformatore che riguardi la Scuola si è sempre proposto, in maniera esplicita, di formare dei cittadini. Il termine "cittadini" rinvia alla polis greca e alla rivoluzione francese, a patti di cittadinanza costituiti da diretti e doveri esplicitamente contrattati da maschi , adulti, appartenenti alla medesima comunità.

Ma vi sono dimensioni della vita che sfuggono a una rete formata da maglie così larghe. Mi riferisco ai bisogni delle donne, dei bambini, dei vecchi rimasti soli, degli immigrati non ancora inseriti. Per loro il Codice non basta. Nessuna Legge può obbligare alla sensibilità, alla compassione, all'ascolto, all'aiuto spontaneo, alla responsabilità. Eppure credo che se i vicini di casa, i conoscenti, gli spettatori occasionali si fossero sentiti coinvolti , come genitori sociali , nelle tragiche vicende di bambini violentati e uccisi, questi fatti non sarebbero successi. Quante serrande abbassate, porte sigillate , palpebre e orecchie chiuse hanno circondato di omertà le piccole vittime? In questi casi vi sono delitti di omissione che nessuna sanzione può perseguire ma che costituiscono comunque pesanti responsabilità morali.

Ma non è il caso di evocare tragedie così sconvolgenti per mostrare le conseguenze dell'indifferenza diffusa.

Se c'è bisogno della rete nazionale del Telefono Azzurro è perchè la comunicazione porta a porta non funziona più. E' necessario predisporre rapporti verticali che sostituiscano la mancanza di scambi sociali orizzontali. Vi sono, è vero, tendenze che vanno controcorrente rispetto alla parcellizzazione, all'egoismo e all'isolamento, prima tra tutte l'imprevista diffusione del volontariato.

Ma anche il volontariato da solo non basta a fare tessuto sociale, occorre che la responsabilità si diffonda e che alimenti anche i percorsi comunicativi più capillari. Solo così l'offerta di aiuto

può proporsi là dove occorre, nel luogo e nel momento più opportuni, con le modalità più adeguate.

5. Dall'etica della cura all'etica della responsabilità

Sinora la responsabilità dei più piccoli spetta alla famiglia, alla scuola e alle figure professionali socialmente delegate a questo compito: educatori, religiosi, operatori sanitari e sociali. Ma per quanto si infittiscano le presenze e le competenze, vi saranno sempre delle smagliature del tessuto sociale in cui la persona minorenne, indigente, malata o comunque in difficoltà può precipitare.

Per questo mi sembra importante educare alla responsabilità, vale a dire alla disponibilità all'accoglienza dell'altro, pur nel rispetto della sua alterità.

Tradizionalmente la responsabilità , connessa a forme più o meno palesi di coercizione, è stata esercitata dal potere nell'ambito di rapporti fortemente dissimmetrici . Emblematica, in questo senso, la figura del padre e della sua potestà nel precedente diritto di famiglia. Si tratta ora di coniugare la responsabilità con la libertà, o meglio con le libertà, al plurale. La difficoltà consiste nel connettere il sè neutrale, impersonale e disincarnato dei diritti e dei doveri, con il sè incarnato, narrativo e comunitario dei valori.

La comunità tradizionale , come abbiamo visto, non esiste più ma può essere evocata come un'utopia di convivenza , basata sulla sicurezza, la fiducia, l'identità collettiva. Ognuno di noi possiede una dimensione intima, privata, un sè segreto che non può però sottrarsi completamente all' esposizione all'altro. La comunità utopica prevede al tempo stesso l'ospitalità e il rispetto , l'elaborazione di un modello di umanità condiviso e la molteplicità di percorsi di autorealizzazione.

Il soggetto moderno non può decidere che cosa è bene e male in modo assoluto , deve comunque sussistere un margine di autonomia personale. Il problema è appunto quello di trovare un punto di equilibrio tra la realizzazione della propria soggettività e il sistema di relazioni in cui ciascuno è inscritto. Responsabilità non significa pertanto assoluta oblatività, oblio di sè, ma disponibilità all'altro.

L'etica femminile della cura valorizza la responsabilità ma a senso unico: è la donna che si fa carico degli altri. L'etica della responsabilità è invece reciproca : chiede che ciascuno, nell'ambito delle proprie capacità, risponda dei propri atti , si faccia carico delle conseguenze delle proprie azioni anche al di fuori della logica della punibilità. Ma tra le proprie azioni vi sono anche le omissioni, nei confronti di sè e nei confronti degli altri.6

Se questo avvenisse le famiglie non sarebbero più sole con le loro debolezze interne e esterne, con i conflitti che si trovano ogni giorno ad affrontare in concorrenza con le esigenze della società civile e del lavoro.

I periodi di crisi potrebbero essere più facilmente affrontati se non vi fosse l'abbandono che sinora contraddistingue le giovani coppie che, oltre alle famiglie d'origine, non hanno spesso alcun altro punto di riferimento. Senza contare l'isolamento in cui si trovano i nuclei familiari di immigrati extracomunitari, sradicati dal paese d'origine senza trovare da noi vera ospitalità.

Non pochi bambini, vedendo attorno a se tante situazioni di disgregazione familiare, vivono nell'angoscia dell'abbandono e nella paura della solitudine. In tal modo non costruiscono quella sicurezza di base, quella fiducia nell'altro che sole permetteranno loro, una volta divenuti adulti, la costituzione di uno stabile rapporto di coniugalità. L'instabilità delle famiglie attuali condiziona la fragilità delle famiglie future. Sarebbe diverso se sapessero che oltre la soglia di casa non vi è il nulla ma tante altre porte aperte.

Le politiche di sostegno alla famiglia costituiscono la risposta a un reale problema sociale ma credo che lo sguardo vada esteso a tutta la società, superando, per quanto possibile, la contrapposizione pubblico-privato, il narcisismo e l'egoismo proprietario ( "il figlio è mio e lo gestisco io") che rappresentano una componente , forse correggibile, del capitalismo. In tal modo il disagio sociale , quello dei figli in particolare, può essere forse prevenuto o per lo meno attutito.

6. Genitori e genitorialità

D'altra parte credo che la difesa ad oltranza della famiglia tradizionale , ottenuta con proibizioni e incentivazioni, sia troppo rigida per contenere le spinte innovative che pur esistono all'interno dei processi di disgregazione. Tra il negare il valore della famiglia e il pietrificarla in un blasone, vi è una strada più difficile , che consiste nel riconoscimento e nella valorizzazione di una vasta, complessa, ramificata, capillare rete di relazioni reciproche che consenta a ciascuno di "scrivere la propria storia" senza dimenticare che, della nostra storia , fanno parte le storie altrui per cui la realizzazione di sè è inscindibilmente connessa alla realizzazione dell'altro . Si prospetta qui un rapporto di responsabilizzazione reciproca che, nei confronti dei più giovani, assume la forma della genitorialità diffusa.

Il termine intende mantenere la concretezza corporea , la disponibilità, l'attenzione, il calore degli affetti, la capacità di condividere le emozioni che è propria della famiglia pur ampliandosi al di fuori dell'istituzione familiare strettamente intesa. Questa prospettiva comporta un atteggiamento diverso da parte degli operatori, siano essi sociologi, psicologi o pedagogisti, l'adozione di uno sguardo anche telescopico rispetto alla famiglia e alle sue dinamiche interne.Si assiste attualmente a una settorializzazione delle competenze e degli interventi ( psicologo della famiglia, della scuola, dell'ospedale, dell'adolescenza, dell'infanzia, della senescenza, dell'handicap) che rischia di smarrire il sistema complessivo delle interdipendenze. Naturalmente non sto proponendo un tuttologo , un "medico condotto" della società, ma un esperto che veda al di là delle sua specifica area di intervento, che sia in grado di cogliere i mutamenti ancora confusi e contradditori della famiglia senza demonizzarli o patologicizzarli. E al tempo stesso che cerchi , in modo creativo e concreto, di predisporre il sociale a recepire, amortizzare , orientare e sostenere processi di trasformazione che comportano sempre un lungo, travagliato periodo di crisi. Una proposta, tutta da discutere, consiste appunto nella estensione e condivisione pubblica della genitorialità privata.

Protagonista di questo progetto può essere ogni adulto, inteso come cittadino, così come la famiglia, in quanto soggetto sociale. Le due possibilità non sono comunque in contrasto in quanto chi ha assunto un'ottica parentale porterà nella sua famiglia questa disponibilità, evitando di far coincidere la genitorialità con la generatività. Non dimentichiamo che Gesù invita gli apostoli a seguirlo abbandonando la famiglia naturale a favore di una "prossimità" universale.

"Ti seguirò, Signore, disse un apostolo, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa . Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". 7

Tra la totale disponibilità ( che ha ispirato gli ideali monastici ) e la totale indisponibilità all'altro ( che contraddistingue l'individualismo capitalistico ) si apre lo spazio intermedio della condivisione.

Attualmente sono già in atto esperienze, per quanto minoritarie, di pervietà degli ambiti privati a una dimensione "transizionale". La scommessa consiste nel portare la famiglia fuori di sè, nell'attivare un vettore centrifugo, che attraversi tanto il privato quanto il pubblico, ponendoli in relazione reciproca. Il movimento non è di per se stesso una garanzia di positività: può rappresentare infatti tanto una spinta emancipatoria e progressista quanto una forma di ripiegamento su forme di aggregazione pre-politiche , una sorta di regressione spontaneistica in un momento di crisi dello stato e delle istituzioni pubbliche.

In ogni caso mi sembra interessante riflettere su queste proposte, sulle motivazioni che le animano, sulle difficoltà che incontrano. In un'epoca in cui la storia sembra essersi fermata , ogni germe di progettualità sociale merita attenzione. 8

7. Famiglie che aiutano famiglie: risorse e difficoltà

Un'esperienza particolarmente interessante è quella attualmente in corso a Bergamo,9 dove la funzione genitoriale viene articolata su tre livelli:

1) genitori nella famiglia: quali percorsi possono essere realizzati per favorire un'assunzione consapevole del ruolo educativo genitoriale rispetto al figlio che nasce, cresce, cambia;

2) genitori nella comunità: quale cambiamento culturale deve avvenire perchè i genitori da attori marginali possano affermarsi come soggetti sociali, come risorsa collettiva , riconoscibili oltre l'invisibilità e riconosciuti oltre la retorica;

3) genitori come capacità educativa diffusa rispetto non solo ai propri figli ma ai "figli degli altri", genitorialità che istituzioni, agenzie e comunità adulta possono assumere rispetto ai minori perchè alla loro crescita vengano offerti sostegno e tutela.

Finora si tratta di un "cantiere aperto" più in grado di promuovere domande che di proporre risposte. Ma è proprio di "spazi di apertura" che necessita il pensiero progettante.

Un'obiezione che si può porre alla proposta di diffondere la disponibilità e la competenza genitoriale è la seguente: "Come possiamo chiedere alle famiglie un impegno così gravoso quando è l'istituto familiare stesso a essere in crisi, come prova il numero crescente di separazioni, divorzi, violenze e abusi tra le pareti domestiche? "

E' vero la famiglia sta attraversando anni particolarmente travagliati ma proprio la situazione di crisi richiede di tentare riformulazioni nuove del più antico aggregato umano. Le analisi psicologiche del malessere familiare concordano su di un unico dato: esiste una correlazione strettissima tra l' isolamento della famiglia e il suo disagio.

Perciò l'apertura delle poche o tante risorse familiari alla comunità circostante non servono soltanto agli altri ma aiutano la famiglia stessa a risolvere i propri problemi.

Aristotele sosteneva che "la famiglia è il luogo della tragedia". Che cosa intendeva dire? Che tutte le nostre più grandi passioni - l'amore, l'odio, l'invidia, la gelosia, la paura e la speranza - albergano nel nostro cuore e si rappresentano prima di tutto all'interno del contesto familiare, nell'ambiente in cui sono più forti i vincoli di interdipendenza. Se la famiglia si rinserra , barrica porte e finestre che danno sul mondo, le forze passionali che la abitano finiranno con l'implodere e con trascinare i suoi membri nel conflitto dichiarato o nel rancore freddo. In ogni caso la famiglia è un sistema energetico che , per sopravvivere e funzionare, deve restare aperto all'alterità, allo scambio, al confronto, che deve potersi modificare col passare del tempo. 10

E' stato detto che la famiglia funziona come un organismo: nasce, cresce e poi lentamente declina. Poichè nulla al suo interno rimane immutato, la ostinata difesa dell'esistente rischia di intralciare il processo fisiologico che la contraddistingue. 11

Eppure sono proprio le famiglie che più avrebbero bisogno di cambiare quelle che, spaventate dalla propria fragilità, si oppongono a ogni trasformazione.

Naturalmente anche il rapporto tra la famiglia e la comunità varia a seconda delle fasi della vita .Quando in casa vi sono figli piccoli va da sè che restano poche risorse da offrire agli altri, ben diversa è invece la situazione delle famiglie composte di soli adulti, alcuni in attesa di occupazione , altri pensionati.

I giovani hanno già scoperta l'impegno, la fatica ma anche le gioie del volontariato. Occorre ora estendere la loro esperienza ai familiari in quanto soggetti di genitorialità.

Le famiglie possono così diventare una risorsa collettiva. La somiglianza e la prossimità rispetto ad altre famiglie consente loro di svolgere un vero e proprio monitoraggio del malessere sociale, cogliendo il disagio là dove si evidenzia, senza troppi filtri burocratici e istituzionali. Spesso la famiglia in difficoltà si confida più facilmente con altri genitori piuttosto che con l'assistente sociale, il medico o il carabiniere.

So per esperienza che quando l'indigenza è acuta non è neppure in grado di chiedere aiuto. Dal canto loro i servizi sociali diventano sempre più territoriali e burocratici per cui il divario tra bisogno e risposta si apre a forbice. Se famiglie aiutano altre famiglie , la rete è invece capillare e simultanea. Tuttavia non possiamo affidare ai privati la gestione dell'assistenza pubblica. E' nell'integrazione tra la disponibilità spontanea e le forme organizzate di Walfare state che emergono nuove risorse.

Ma non solo. Così come abbiamo riconosciuta perniciosa la condizione di solitudine in cui si trovano le famiglie a rischio , altrettanto pericolosa può essere la solitudine che si può creare intorno alla famiglia che aiuta e sostiene. Ancora una volta non è tanto la singola famiglia quanto un' aggregazione di famiglie che può accollarsi il compito, difficile e prolungato, di supportarne altre. Si tenta infatti di intrecciare una rete che non ha solo maglie verticali, che connettono chi ha di più a chi ha di meno, ma anche orditi orizzontali, che pongono in relazione tra di loro le famiglie donative, superando la particolarità insita nella vita privata. Non dimentichiamo che, come avviene in ogni rapporto terapeutico, curando gli altri , la famiglia accudente cura anche se stessa. Nello scambio si mettono a punto le funzioni genitoriali, spesso sovrapposte e confuse e si dispiegano potenzialità sinora inespresse, si ridefiniscono ruoli e identità. Ponendo come soggetto dell'agire la coppia parentale, composta di un uomo e di una donna, si attivano differenti competenze e stili comunicativi. 12

Purchè, non si sarà mai insistito abbastanza, non si tratti del rapporto uno a uno (una madre ne aiuta un'altra; un padre ne supporta un altro), dove l'asimmetria si impone violentemente. Le relazioni duali sono straordinariamente intense ma, proprio per questo, di breve durata.

Se vogliamo evitare di suscitare attese che saranno disattese , occorre inscrivere le due famiglie in una dimensione comunitaria che contenga entrambe. Condividendo l'impegno e la responsabilità è possibile che le presenze si alternino, si sostituiscano, si avvalgano di altre competenze, senza che improvvise indisponibilità spezzino repentinamente il dialogo avviato.

Sarebbe molto importante, a questo punto, una rassegna delle sperimentazioni in corso su tutto il territorio nazionale e un loro confronto.

Ad esempio, presso il Comune di Palermo , l' esperienza di progetti cofinanziati dall'UE e dal Ministero della Pubblica Istruzione (14/2) ha dimostrato l'efficacia di interventi mirati alla formazione di genitori .

Con incontri di gruppo, i genitori sono stati informati sulle possibilità che il territorio offre in termini di servizi e si è chiarita insieme la loro funzione , che va integrata nel sistema complessivo delle risorse. In alcuni contesti tali progetti,proseguiti e approfonditi in concorso con gli EE.LL , hanno contribuito non solo alla formazione ma anche a una presa di coscienza che ha portato alla costituzione di centri di ascolto per i genitori nelle scuole, centri promossi da madri e da alcuni padri, volti alla programmazione e alla realizzazione di interventi contro la dispersione scolastica. Il primo approccio con la famiglia del ragazzo allontanatosi dalla scuola veniva affidato a questi genitori, preventivamente formati, che assumevano poi funzione di tutor.13

Mi sembra che da queste prime esperienze risulti rilevante l'importanza della formazione preliminare e continua dei genitori che si impegnano nel sociale in quanto genitori. Lasciati a se stessi, tendono probabilmente a generalizzare la loro specifica competenza e visione del mondo e a intervenire in modo sostitutivo, senza attendere che il tempo predisponga la famiglia aiutata all'ascolto e al cambiamento.

La questione dei tempi è centrale. La psicoterapia insegna che se si vogliono indurre mutamenti strutturali occorre sospendere il desiderio di successo e affidarsi all'andamento degli eventi con la fiducia che, se si è instaurata una situazione di ascolto, di sicurezza e di speranza, " qualche cosa accadrà".

Così intesa, la formazione dei genitori che , al di là della generatività, vogliono vivere rapporti di genitorialità , deve coinvolgere non solo la ragione ma anche gli affetti, i sentimenti, le emozioni , le sensazioni. Il modo con cui ci si avvicina al dolore degli altri non può essere lasciato alla casualità e alla spontaneità.

Vi sono già esperienze positive in tal senso. Ad esempio, a Pavia, il Centro di aiuto alle donne maltrattate si avvale da anni della consulenza di psicoanalisti che preparano e sostengono le operatrici.

Sappiamo, dalle prime riflessioni su esperienze di genitorialità diffusa , che il rapporto "faccia a faccia" tra chi dà e chi riceve, può suscitare impreviste resistenze.

Si crea infatti una gerarchia, dove il primo si trova dalla parte della pienezza e del bene, il secondo in quella della mancanza e del male. Teniamo poi presente che nessuno vuole riconoscersi in una situazione di totale dipendenza da un altro.

In un certo senso ciascuno di noi, nella prima fase della vita, è stato assolutamente dipendente per la sua stessa esistenza dalla capacità di dedizione di una figura materna. Ma, come osserva sagacemente Winnicott, ha poi rimosso ogni ricordo di quel periodo evitando di essere grato a chi gli ha permesso di crescere. 14

La mancata elaborazione di sentimenti di gratitudine rende poi difficile l'accettazione dell'aiuto e del dono . Si preferisce pensare che essi siano, soprattutto quando provengono da una persona che ha adottato un atteggiamento materno (di generosità incondizionata), atti dovuti. Oppure li si rifiuta per non sentirsi in condizione di inferiorità e di debito.

Con questo voglio dire che è importante, non solo la formazione dei genitori che affrontano un percorso di genitorialità, ma anche la costante supervisione dei loro vissuti da parte di uno psicologo competente ed esperto in psicologia di gruppo. Nel funzionamento del gruppo agiscono fenomeni mentali molto primitivi. Bion li definisce " assunti di base".15

Essi esprimono emozioni inconsce , fantasie onnipotenti, attivate dalle ansie indotte dall'appartenenza al gruppo. I "genitori sociali" si trovano contemporaneamente ad appartenere a tre gruppi: la loro famiglia; l'insieme delle famiglie che si sono votate alla genitorialità; la famiglia con la quale entrano in rapporto di sostegno e di aiuto.

Ognuna di queste aggregazioni ha particolari dinamiche centripete e centrifughe che, interagendo tra di loro, creano un campo di interazioni multiple e complesse. La famiglia di origine tenderà a difendere la propria priorità; nel gruppo dei volontari potrà sorgere un clima competitivo; tra famiglia che dona e famiglia che riceve può instaurarsi un atteggiamento di richiesta illimitata cui fa riscontro una fantasia salvifica onnipotente.

Un possibile pericolo è infatti costituito dalla collusione inconscia su un fantasma di questo genere : vi è una madre , detentrice di tutti i beni, che mantiene in vita un bambino fragile e impotente. Il dono è incondizionato, il bisogno illimitato.

In questi casi l'esperienza sarà intensa ma di breve durata perchè i conflitti inconsci inelaborati ostacolano il lavoro intenzionale.

La famiglia in difficoltà "porge" a chi l'assiste i problemi che non riesce a risolvere con questo mandato: "Vedi un po' tu se sei capace di sbrigartela meglio di me!"

Apparentemente una richiesta, implicitamente una sfida.

Senza cadere in questa trappola, occorre piuttosto riformulare insieme la domanda, cercando di utilizzare termini meno deformati dall'ansia e dalla paura. Occorre quindi riattivare le potenzialità genitoriali momentaneamente collassate.
Si tratta di recuperare risorse inespresse di paternità e di maternità e di porle in situazione, agganciandole alle questioni da risolvere.

Di solito la famiglia che si sente impotente di fronte a difficoltà eccessive, presenta le questioni in modo tale da dimostrare che sono irrisolvibili. Di fronte a proposte di soluzione ( per forza di cose parziali e compromissorie) , tende a sabotare ogni ipotesi, secondo la logica del tutto o niente.

Lo scopo non sarà allora quello di dare ricette giuste ma di indurre cambiamenti , tenendo conto che la famiglia funziona come un sistema e che la modificazione di un elemento comporta la crisi di tutto l'insieme.

Il motivo per cui si preferisce accostare famiglia a famiglia, piuttosto che ricorrere alle consuete forme di assistenza professionale , consiste soprattutto nell'attivare contemporaneamente due sistemi, secondo la modalità di trasmissione a ruote dentate dove, al movimento dell'una corrisponde un movimento dell'altra.

Così inteso il rapporto interfamiliare diviene paritetico nella diversità perchè entrambe le famiglie crescono nella relazione, maturano nello scambio. Non è più così chiaro chi prende e chi dà: l'assimmetria iniziale si modera nella condivisione.

Se l'obiettivo non è tanto di riparare le carenze più evidenti quanto di realizzare un nuovo assetto strutturale della famiglia e della comunità, diviene fondamentale la dimensione dei tempi. Chiunque operi per "curare" è travolto dalla fretta terapeutica, dall'impazienza di raggiungere subito i risultati attesi.

In realtà il senso della cura non consiste, in questi casi, in una mitica "guarigione"ma nel percorso stesso: in ciò che lascia dietro di sè ( l'individualismo proprietario) e in ciò che persegue ( una società giusta e solidale). Sappiamo poi che già ora ma più ancora negli anni prossimi, le famiglie più bisognose di aiuto saranno quelle extracomunitarie.

Famiglie che si dibattono nel conflitto irrisolto tra identità e assimilazione , per cui non sarà facile attivare le loro risorse pur rispettando le differenze che alimentano i processi di riconoscimento e valorizzazione di sè.

Il rapporto con forme di esistenza antropologicamente diverse richiede una preliminare messa in crisi della propria presunta superiorità, una relativizzazione dei punti di vista non certo facile da perseguire in un contesto storicamente eurocentrico.

In questa prospettiva presente è critico, anche autocritico, il futuro è utopico, connesso ai tempi lughi della storia dell'umanità .

Benchè sembri un progetto piccolo piccolo, la genitorialità condivisa si colloca in quella dimensione di escatologia secolarizzata ( la realizzazione del Regno di Dio in terra ) che, teorizzata da S. Agostino, e stata poi ripresa, in modi diversi, da tutti gli utopisti.

Il suo modello ideale prevede il superamento della proprietà privata, dei privilegi accordati ai legami di sangue, dei ruoli precodificati, la possibilità per tutti di realizzare le proprie potenzialità. Nel frattempo, tra l'ideale realizzato e l'individualismo imperante, si possono identificare percorsi parziali, senz'altro non risolutivi, ma tali da apportare nella realtà segmenti di socialità diversa, elementi di una morale nuova, pratiche alternative.

Uno di questi è la socializzazione dei nonni, una riserva di parentalità particolarmente idonea a recepire richieste provenienti dalle famiglie e a rispondervi con tempestività e vicinanza, non solo territoriale, ma anche e soprattutto affettiva.

8. Il ciclo delle generazioni e l'etica dell'emancipazione

Sappiamo tutti che i nonni costituiscono una straordinaria possibilità di aiuto per le giovani coppie negli anni in cui il carico delle incombenze familiari e lavorative è quasi insostenibile.

La loro disponibilità è encomiabile ma spesso viene circoscritta nell'ambito della famiglia senza diventare una risorsa sociale .

Possiedono invece un patrimonio di competenze e di esperienze che potrebbe essere speso a favore della comunità.

Da un sondaggio Doxa relativo al 1998 risulta che sono circa 900.OOO gli over 65 che si dedicano al volontariato, pari al 10% del totale. Potrebbero essere molti di più si vi fosse una cultura della genitorialità sociale.

Capita che alcune scuole chiamino in cattedra i nonni per parlare delle loro esperienze durante la guerra o delle loro competenze professionali, magari cancellate dal progresso tecnico. Oppure che i nonni svolgano compiti di vigilanza privata, aiutando i bambini a districarsi nel traffico all'inizio o al termine delle lezioni, dando nel frattempo un occhio al minaccioso stazionare di figure male intenzionate.

Ma sono ancora episodi sporadici e di breve durata. Se i nonni si considerassero tali anche al di là dei loro diretti discendenti, al di fuori della trama parentale, l'intero panorama della convivenza civile ne risulterebbe trasformato.

Gli anziani sentono di aver dato molto al Paese e di fatto è così se si pensa che la ripresa economica dopo la guerra si è in gran parte avvalsa del loro lavoro. Chiedere loro ulteriori prestazioni può, a questo punto, sembrare esoso. Sarebbe forse giusto esplicitare un patto tra le generazioni e promettere che essi riceveranno quanto hanno dato in termini di fatica, responsabilità, dedizione, tanto nell'ambito pubblico quanto in quello privato.

Ma, come accade nel primo rapporto madre-figlio, il prendersi cura dell'altro, il farsi carico della sua immaturità, dipendenza e fragilità, non basta.

Occorre anche allearsi con le sue spinte evolutive, centrifughe, emancipatorie. In una società gerontocratica come la nostra, gli adulti e gli anziani tendono invece ad arroccarsi nella difesa dei loro poteri e privilegi.

Manca la spinta ad attuare il ricambio generazionale, sì che i giovani stazionano sempre più a lungo in un limbo di non appartenenza.

In quanto membri a tutti gli effetti della società dei consumi, condividono il superfluo, ma non accedono all'essenziale, a quelle risorse (casa e lavoro) che li possono rendere indipendenti.

La famiglia rimane a tempo indeterminato una nicchia che li accoglie e sostenta senza opprimerli eccessivamente, ma in tal modo li induce a prolungare lo stato di figli e nipoti sino alle soglie della maturità. La disponibilità, l'indulgenza, la tenerezza possono, a lungo termine, rivelarsi una trappola.

Quando i giovani-adulti, ormai più adulti che giovani, giungono a occupare posizioni di responsabilità sono ormai ultratrentenni , un'età in cui le fantasie utopiche e le energie innovative si sono sopite per cui prevale la conservazione dell'esistente rispetto alla ricerca del nuovo .

L'etica della responsabilità e della cura, per quanto importante, rischia di tradursi in un atteggiamento di difesa, in una forma di conservazione: timorosa dei rischi, nemica dei conflitti, scettica rispetto alle illusioni che alimentano qualsiasi impresa.

Sul vuoto lasciato dalle utopie del futuro tendono a prender posto le utopie del passato, con il loro correlato di conservatorismo e reazionarietà. Per questo ritengo che gli psicologi della famiglia dovrebbero acquisire un'ottica sociale e trasgenerazionale, mentre molti di loro prediligono attenersi , nel loro lavoro, a una mappa simultanea delle relazioni , secondo la metodologia sistemica che privilegia l'hic et nunc, nella convinzione che tutto ciò che vi è di rilevante nel passato sia comunque iscritto nel presente. Può essere vero, tuttavia manca in questo modo di procedere una prospettiva che apra all'avvenire , che orienti l'intervento secondo finalità alternative e non soltanto riparative.
Se riteniamo che la genitorialità sia una dimensione transfamiliare , non solo in senso genealogico ma anche in senso estensivo, se ne deduce che lo psicologo della famiglia deve ampliare la rete delle sue competenze e dei suoi interventi, ridefinire la sua utenza e gli obiettivi da raggiungere.

Troppo spesso invece l'etica della cura rimane un implicito dell'agire, una sorta di ideologia dell'ovvio, come se lo scopo fosse evidente e scontato come uno stereotipo. Se lo psicologo risponde semplicemente alle richieste che gli provengono dalle istituzioni (tribunale, scuola, famiglia in crisi) il suo intervento rischia di limitarsi alla riduzione del disagio e al supporto delle dinamiche adattive. A scapito delle risorse trasformative.

Ma credo che a questo punto sia prioritario interrogarsi sulla figura e la funzione dello psicologo nei servizi pubblici. Vi è attualmente una crisi di identità che rischia di distruggere alcune tra le conquiste più significative della nostra società, come quella dei consultori familiari.

Appare sempre più chiaro che l'intervento psicologico deve essere tempestivo, capillare, personalizzato, che la prevenzione è più efficace della terapia . Ma poi si moltiplicano i lacci burocratici, le strettoie finanziarie, le accuse più o meno fondate di incompetenza e di inefficienza. Di certo è venuta meno la cultura degli anni '70, emarginati i soggetti sociali che allora furono egemoni, svalutati gli ideali di quella grande stagione civile. Quasi inavvertitamente si ritorna a consegnare la psicologia ai medici e agli ospedali che, in quanto tali, leggono il disagio sociale in termini di malattia e vi rispondono nel modo che considerano più efficiente ed efficace: il farmaco. In mancanza di una cultura critica e alternativa , è facile ottenere su queste basi il consenso degli utenti che non si sentono più messi in crisi come richiede invece un intervento psicologico che li voglia protagonisti e non semplicemente "pazienti".

E' molto più facile per un genitore consegnare il figlio depresso o la figlia anoressica a strutture terapeutiche che agiscono sul sintomo senza coinvolgere il sistema familiare e le relazioni interiorizzate, che lasciano invariato il tessuto sociale sul quale il male di vivere si radica e si moltiplica. In questi anni gli operatori dei servizi pubblici sono stati lasciati soli, soli con le loro competenze settoriali, con il loro disagio esistenziale, con la progressiva erosione del loro prestigio dovuta a un'amministrazione burocratica, più attenta al bilancio che alla qualità delle prestazioni. Dov'è finito l'entusiasmo delle origini, la capacità di progettare e perchè no, di sognare?

Forse è il caso di riallacciare i fili che ci connettono alla nostra storia , riformulare, tenendo conto dei trent'anni trascorsi, una morale condivisa e una politica possibile. Sussistono, anche in questi anni grigi, realtà vitalissime. Penso alle esperienze di umanizzazione degli ospedali, di apertura delle carceri, di riflessione sulla criminalità, di recupero delle donne violentate, alla preparazione di nuove figure professionali, come quelle dei mediatori familiari e culturali. Sono isole che costituiscono un arcipelago, non ancora un continente. Perchè si passi dall'esperimento di punta alla quotidianità serve un ordito di fondo costituito dalla società civile. Ma come far fronte alla disgregazione provocata dalla crisi del rapporto di coppia, da lavori saltuari e marginali che non producono identità, dalla disaffezione politica, da presenze multietniche non ancora assimilate, da tecnologie anonime e spersonalizzanti?

In questa prospettiva il tema della genitorialità diffusa si propone come un incentivo a pensare, come un modo per transitare dall'individualismo narcisistico a forme comunitarie di vita e di progettualità che ci insegnino a vivere insieme, coniugando eguaglianza e differenza, prossimità e distanza.

N O T E

 

1. Si rinvia, in proposito, ai libri di storia quotidiana scritti da M. Boneschi: Poveri ma belli. I nostri anni cinquanta (1995) , La grande illusione. I nostri anni sessanta ( 1996) ; Santa pazienza. La storia delle donne italiane dal dopoguerra a oggi (1998) , tutti editi da Mondadori, Milano

2. Si rinvia in proposito a: S.Vegetti Finzi, Volere un figlio. La nuova maternità tra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997, pp. 144-169

3. Cfr. Chiara Saraceno, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna 1988 (I)

4. S.Vegetti Finzi, A.M.Battistin , I bambini sono cambiati, Mondadori, Milano 1997

5. Si rinvia in proposito a : S.Vegetti Finzi, Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme. Mondadori, Milano 1995

6. Cfr. N.J. Chodorow, La funzione materna , trad.it. La Tartaruga, Milano1991

7. Vangelo secondo Luca, 9,61-2

8. Si rinvia in proposito a : Provincia di Bergamo, Servizi Sociali e Politica della Persona ( a cura del Gruppo di Studio), Genitori e Genitorialità, Atti del Convegno , Bergamo 1 marzo 1997

9. Mi riferisco particolarmente alle esperienze del Centro IN CON TRA per la Genitorialità, promosso dal Centro Risorse Educative del Comune di Bergamo, con il sostegno di: Provincia di Bergamo Servizio in campo sociale Age, Agesc, Associazione Infanzia e Città, Azienda Sanitaria locale Provincia di Bergamo, Comune di Bergamo, Comune di Treviolo, Cooperativa Sociale "Aeper" di Bergamo, Cooperativa Sociale "Il Cantiere" di Albino, Cooperativa Sociale "Il

pugno aperto" di Bergamo, Curia, Ufficio Pastorale per la famiglia; Laboratorio

genitori di Stezzano, Provveditorato Ufficio Educazione alla Salute.

10. E.H. Erikson, I cicli della vita. Continuità e mutamenti individuali, trad.it. Armando, Roma 1984

11.Il concetto di "ciclo divita" è problematizzato da C. Saraceno in quanto " non può essere compreso nelle sue scansioni, nel suo calendario, a prescindere dall'interferenza tra tempo storico, tempi sociali ( in quanto definiscono calendari e scansioni più o meno esplicitamente e fortemente normativi) e tempi della vita individuale e familiare " , C. Saraceno, Sociolog ia della famiglia, opera cit. p. 236

12. Cfr. P. Donati ( a cura di ) Uomo e donna in famiglia , S. Paolo, Milano 1997 e C. Saraceno, Pluralità e mutamento. Riflessioni sull'identità femminile , Franco Angeli, Milano 1992

13. Documento della Città di Palermo. Assessorato alla Scuola redatto da Alessandra Siragusa ( 23-5 — 99)

14. D.W.Winnicott, Dal luogo delle origini (1986) trad.it., Cortina, Milano 1990, pp. 125-130

15. Cfr. Silvia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 199O, pp. 349-358

Per approfondire temi che qui ho potuto solo abbozzare, rinvio a:

S.Vegetti Finzi , Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990

- Volere un figlio. La nuova maternità tra natura e scienza , Mondadori

- Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme. Mondadori

- ( con A. Maria Battistin ) A piccoli passi. la psicologia dei bambini da 0 a 5 anni e I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini da 5 a 1O anni. ; L'età incerta . I nuovi adolescenti ) . Mondadori

- ( a cura di ) Storia della passioni, Laterza, Roma-Bari

- ( con M. Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale , Laterza, Roma-Bari -

- ( a cura di ) Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari

- Parlar d'amore. Le donne e le stagioni della vita, Rizzoli

Presentazione della Rubrica

Questa Rubrica è pensata come uno spazio aperto ai punti di vista di noi adulti, ma soprattutto ai punti di vista delle bambine e dei bambini, degli adolescenti, delle ragazze e dei ragazzi. Si tratta di dar voce alle nostre identità, a volte sospese, incerte, fluide; ma soprattutto ai loro sguardi sul mondo: il mondo che vedono, che vivono, che immaginano, che costruiscono.

SCRIVI ALLA CURATRICE
MARIA MADDALENA MAPELLI
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