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Riccardo Dalle Luche continua la sua regolare collaborazione a questa rubrica. L'autore, psichiatra, da molto tempo impegnato in una ricerca su psicopatologia e cinema, ha prodotto su questo tema, insieme alla collega Alessandra Barontini , un "saggio di psicopatologia dal cinema di Cronenberg "( R. Dalle Luche, A. Barontini, Transfusioni. Baroni Editore, Viareggio-Lucca 1997.) Lo spazio dedicato al cinema di POL.it è aperto a suggerimenti e contributi.


“Eyes Wide Shut”, di Stanley Kubrick (USA/GBR) 1999

Bisogna avere gli “occhi bene chiusi” (ed i critici cinematografici, si spera prezzolati, ce li hanno ben tenuti) per non accorgersi che l'ultimo film firmato da Kubrick (Eyes Wide Shut, la cui piu' probabile traduzione è proprio “occhi ben chiusi”) non è opera sua se non in alcune parti del primo tempo. E' questa la spiegazione che mi sono dato del progressivo disagio emerso nel corso della visione del film man mano che l'usuale occhio deformante del grande Stanley (grandangolo piu' perfetta illuminazione piu' nitidezza piu' composizione pittorica delle inquadrature), lo straordinario controllo sulla recitazione degli attori di alcune delle scene iniziali e l'accurata colonna sonora, lasciavano il passo ad un estenuato, prevedibile fumettone giallo-erotico infarcito qua e la' di citazioni kubrickiane (Lolita, 2001, Il bacio dell'assassino etc.) come faux semblants e specchio per le allodole.

Nicole Kidman, mai cosi' bella e brava all'inizio, scompare per un'oretta buona per ricomparire in una sciatta e piagnucolosa recitazione da serial televisivo solo in un finale sconvolgente per la sua rassicurante e prevedibile banalita'. Tom Cruise, nel frattempo, gia' imposto in una parte inverosimile per lui (un bamboccio del genere non puo' essere il medico di fiducia dei miliardari newyorkesi), si era trasformato in un impacciato investigatore che elargiva generose mance a destra e manca e mostrava il suo tesserino da medico come quello dei poliziotti della buoncostume. Infine, è davvero meglio tenere gli occhi chiusi sulla lunga sequenza dell'orgia che di visionario ha solo l'anonimato seriale dei nudi femminili, degni del peggior Crepax, ed il clima piu' ridicolo che terrifico di certi horror nostrani di serie B.

Nonostante la relativa fedelta' tematica al peraltro datatissimo testo di Schnitzler, non resta niente dello squarcio sul mondo interno che il “sosia di Freud” perseguiva.Due sono le ipotesi che formuliamo sul perchè la lavorazione di questo film sia stata cosi' lunga: la prima è che Kubrick sia andato incontro ad un decadimento mentale lento ma progressivo, il secondo che si sia ammalato di qualche malattia mortale; in entrambi i casi, mentre qualche professionista hollywoodiano tentava l'improbabile continuazione del lavoro del maestro nell'attesa del suo decesso, la macchina produttiva alimentava l'attesa con una campagna pubblicitaria che forse non ha precedenti: su questa, si', teniamo bene gli occhi aperti, perchè durera' ancora a lungo e restera' memorabile, come tutti i veri capolavori.

Riccardo Dalle Luche


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