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CONSIDERAZIONI SULLA BUONA PRATICA NELL'USO DEL METADONE, SCATURITE DAI SEMINARI DEL MAGGIO 98 A CESENATICO

Mila Ferri

Responsabile dell'Ufficio Tossicodipendenze della Regione Emilia Romagna

La necessità di approfondire tra gli operatori del sistema dei servizi alcune tematiche relative all'uso del metadone ha portato all'organizzazione, nel maggio 1998, di due seminari residenziali sul tema.

La discussione ha riguardato quasi esclusivamente gli aspetti tecnici della somministrazione del metadone. Non sono mai state sollevate le vecchie e si spera superate diatribe, spesso di natura esclusivamente ideologica, su "metadone sì o metadone no".

Non è stato nemmeno sollevato, se non marginalmente, il problema dei dosaggi.

Una prima considerazione di carattere generale che scaturisce dal lavoro è la seguente: a volte esiste una distanza tra quanto si ritiene utile, quanto si crede in buona fede di stare facendo e quanto in realtà si fa. Comunque l'utilizzo del metadone è ancora vissuto da molti operatori come una opzione qualitativamente più scadente rispetto ad altri interventi cosiddetti "nobili" , una specie di resa davanti alle pulsioni tossicomaniche; tante difficoltà organizzative sembrano in realtà il riflesso di posizioni ideologicamente orientate. Anche chi ha caratterizzato il proprio servizio come "distributore di metadone" vive spesso questa scelta come subita e svilente.

Nel corso del seminario sono stati affrontati alcuni punti di criticità nell'uso del farmaco:

1- Il Servizio e l'operatore ritiene, nella pratica, di governare lo strumento, o invece è lo strumento che di fatto governa il servizio?

2- Gli operatori e l'intero Servizio si sono sentiti sufficientemente formati quando si è ripreso l'utilizzo del metadone? Atualmente ci si sente sufficientemente formati? Il dibattito e il confronto all'interno del Servizio avviene su basi scientifiche o ideologiche?

3- Quando il Servizio ha ripreso l'uso del farmaco, è stato adeguatamente valutato l' impatto che avrebbe prodotto sulla vita del servizio?

Su questi tre primi punti il lavoro dei gruppi ha prodotto una serie di interessanti considerazioni. In generale si rileva la necessità di tenere più alto l'investimento sui pazienti in terapia metadonica; c'è chi lamenta il fatto che i pazienti trattati con metadone "snobbano" gli operatori psicosociali ( o viceversa...). C'è forse ancora una difficoltà ad affrontare pazienti con tratti di cronicità, ed è diffuso il timore di essere noi stessi induttori di questa cronicità. Si segnala il rischio di farsi prendere la mano dallo strumento, nel senso di ricercare l'alternativa più semplice.

In realtà di per sè il trattamento metadonico non è affatto semplice e richiede un investimento da parte di tutta l'equipe.

4- Per iniziare un trattamento metadonico, si usa il cosiddetto "metodo della mensa", cioè il paziente sceglie tra le varie possibilità offerte dal servizio, o invece si attua una fase di osservazione e diagnosi con un appaiamento "bisogni del paziente-trattamento"? Il servizio ha veramente diverse opzioni da utilizzare o questo è di fatto l'unico strumento offerto? La decisione di inizare il trattamento è del medico, della microequipe o dell'equipe? Può succedere che il primo colloquio con un operatore non medico influenzi il medico a trattare subito il paziente? Può succedere che il farmaco venga utilizzato prevalentemente per sedare l'ansia dell'operatore?

5- Quanto la modalità di prima accoglienza influenza la richiesta del paziente e la conseguente risposta del servizio? Qual è l'immagine del servizio all'esterno?

Anche qui, dalla discussione è emersa la difficoltà a conciliare quello che si ritiene utile, quello che si crede di stare facendo e quello che in realtà si fa. Tutti concordano sulla necessità della diagnosi e sulla discussione in microequipe, ma poi scaturiscono frasi del tipo "basta un esame urine positivo e la richiesta del paziente". In certe situazioni la terapia viene iniziata precocemente come aggancio con il servizio, per non perdere il paziente; per altri la terapia metadonica è l'ultima chance. E' diffusa la sensazione che iniziare un mantenimento metadonico ipotechi pesantemente l'evoluzione futura del programma terapeutico; da una parte si teme la cronicizzazione, ma paradossalmente i pazienti in trattamento metadonico sono spesso i meno seguiti.

6- Come avviene materialmente la soministrazione del farmaco? E' un puro atto distributivo, o c'è la possibilità per il paziente di sentirsi accolto ed ascoltato?

7- Che cosa si intende per trattamento metadonico integrato? Si intendono altre prestazioni professionali specifiche (psicoterapia, sostegno educativo strutturato) o, oltre a questo, la possibilità per il paziente di avere uno spazio relazionale, anche piccolo, al momento della distribuzione del farmaco? La distribuzione avviene stile "catena di montaggio" o c'è il tempo per soffermarsi, anche per pochi minuti, con il paziente?

8- Come è strutturata la sala di attesa? E' un "porto franco" o è una situazione in cui il servizio viene a caratterizzarsi come spazio di cura?

Su questo tre punti gli operatori si sono interrogati a fondo. La tendenza generale è quella di ritenere integrato il trattamento che preveda altre opzioni codificate oltre alla somministrazione; nel prosieguo della discussione, però, molti hanno convenuto che il contatto quotidiano con il paziente è di per sè terapeutico. A questo punto molti infermieri hanno affermato di non sentirsi pronti ad affrontare questo compito e di aver bisogno di ulteriore formazione.

E' stata inoltre sottolineata la differenza tra servizi più piccoli, dove di fatto è più semplice il contatto, e servizi ad alta utenza, dove sorgono il maggior numero di problemi. In questi casi spesso si assiste ad una separazione fisica tra ambulatorio di distribuzione metadone e area cosiddetta "dei colloqui". Spesso in queste situazioni il rischio della mera distribuzione è più reale.

E' stata segnalato il caso particolare di due Sert bolognesi, per i quali la distribuzione del metadone è stata affidata ad una cooperativa in appalto. Questo è stato preso ad esempio da non imitare.

Per quanto riguarda la sala di attesa, anche qui, quasi paradossalmente, più il servizio ha numeri elevati di pazienti in metadone meno la sala di attesa è presidiata ed articolata con servizi informativi.

9- Gli orari di somministrazione si articolano in base alle effettive necessità degli utenti o sono adattati alle difficoltà organizzative del servizio? Quanto gli operatori si sono a loro volta adattati alle difficoltà e quanto hanno cercato di farvi fronte?

Dalla ricognizione all'interno dei gruppi è emerso che la grande maggioranza dei Sert non distribuisce il metadone nei giorni festivi. Questa constatazione è stata accolta con sorpresa, in quanto i servizi chiusi la domenica si sentivano una eccezione. C'è una richiesta di una ricognizione formale da parte della Regione sugli orari di apertura dei Sert. In generale la mancata apertura è dovuta a carenze di personale.

10- Vengono eseguiti regolari controlli tossicologici urinari prima e durante il trattamento? Con che periodicità? Con che modalità vengono raccolte le urine e con che tipo di controllo?

Mentre in teoria tutti concordano sulla necessità di un monitoraggio adeguato tramite esami tossicologici, nella pratica si assiste a situazioni molto differenziate con punte di grave problematicità.

In un gruppo si è segnalato che ben il 50% dei servizi rappresentati non effettuava uno screening tossicologico prima dell'inizio della terapia.

11- Quando si avvia un trattamento, è prevista una successiva fase valutativa? Ci si è fissato qualche obiettivo?

Su questo nei report dei gruppi c'è solo qualche indicazione da cui si arguisce uno scarso impegno dei servizi in questo campo.

12- Quali sono le modalità dell'affido del farmaco? Avviene su esigenze cliniche, o su esigenze del servizio, che non è in grado di reggere un nomero eccessivo di pazienti quotidianamente o non è in grado di assicurare l'apertura nei giorni festivi? Per l' affido del metadone, esiste un protocollo interno, e questo protocollo viene regolarmente verificato?

In generale l'affido avviene per esigenze del servizio (chiusura nei festivi e anche difficoltà a reggere un numero elevato di pazienti) e per necessità cliniche. Non esistono protocolli interni se non in una minoranza dei casi, e i criteri sono molto diversificati (da 6 mesi di astinenza documentata a 1 settimana di trattamento). Si segnalano seri problemi in questo campo e si sottolinea che il rapporto operatori/utenti in metadone condiziona pesantemente le modalità di gestione e di affido del farmaco.

13- I trattamenti sono diversificati sulla base di indicazioni diagnostiche o in base ad un accordo spesso tacito all'interno del servizio sui dosaggi minimi e massimi?

Anche qui le posizioni sono diversificate e sono probabilmente vere entrambe le possibilità.

14- Come il servizio si dà e indica le regole? Come il servizio si dispone a farle rispettare?

Non è emerso nulla su questo punto.

15- Qual è il rapporto con i medici di base?

16- Qual è il rapporto con le farmacie?

Esistono situazioni in cui i medici di base sono coinvolti in maniera ritenuta idonea ai bisogni dell'utente; altrove si segnala la tendenza a "scaricare" i casi più problematici.

Del tutto saltuario ed episodico il rapporto con le farmacie.

Si segnalano le seguenti richieste:

1.formazione infermieri

2.formazione medici

3.informazione sugli orari di apertura dei Sert

4.lavoro di standardizzazione delle procedure

5.affinamento degli strumenti di valutazione

6.messa a punto di protocolli operativo-gestionali

7.approfondimento sui pazienti non responders

GLI ESPERTI RISPONDONO

In relazione ai punti di criticità sopracitati, si è pensato di raccogliere il parere di alcuni esperti internazionali. La via più semplice ci è sembrata quella di inviare via posta elettronica una richiesta a chi fosse conosciuto personalmente da un membro del nostro gruppo di lavoro.

Alla nostra richiesta hanno risposto:

H. Kleber - Columbia University, New York

R.Brady - Bridge Plaza Treatment and Rehabilitation Services, Long Island, New York

V. Dole - Rockefeller University, New York

V. O'Brien - Pennsylvania University, Philadelphia

A. Byrne - Redfort, New South Wales, Australia

M. Scimeca -St. Barnabas Hospital, New York

Le risposte non sono state sempre puntuali; alcuni hanno rimandato a loro pubblicazioni. Dalla lettura del materiale, inviato direttamente o a cui siamo stati rimandati, emerge il seguente quadro.

1. Quali sono le modalità e le regole per l'affidamento del farmaco al paziente stesso o ai familiari?

Raramente il farmaco viene affidato ai familiari; è ritenuto utile sapere che in famiglia ci sono persone affidabili che vengono responsabilizzate nella gestione del farmaco. Si utilizza l'affido ai familiari per comprovati casi di impossibilità del paziente a raggiungere l'ambulatorio di somministrazione.

Esistono regole sulla quantità e la durata dell'affido: si comincia generalmente con l'affido per i giorni festivi, dopo almeno 3 mesi di trattamento, fino a giungere ad un massimo di 5-6 dosi affidate con 1-2 somministrate sotto supervisione, per settimana. L'astinenza da eroina è richiesta quasi sempre anche per l'affido minimo, mentre per periodi di affido più prolungati vengono richieste maggiori garanzie: almeno 2 anni di programma effettuato ( in alcuni casi 3 anni, di cui almeno 2 con tossicologici negativi), controlli urinari negativi per le maggiori sostanze di abuso. Nel programma australiano viene richiesto anche un lavoro stabile o la necessità di prendersi cura dei figli, nessun problema legale in corso e un dosaggio del farmaco non superiore a 150 mg/die. In ogni caso le regole vengono discusse con il paziente fin dalla presa in carico e sono comunque possibili sporadiche eccezioni.

Il Centro di Long Island ci ha inviato copia di un modulo utilizzato per ogni variazione nello schema di affidamento del farmaco. E' da notare che la variazione, richiesta dal medico che ha in carico il paziente, viene decisa da un supervisore che valuta le motivazioni e la situazione del paziente in quel momento. Questa modalità ci è sembrata interessante, se non altro come incentivo alla riflessione; l'idea non è quella di burocratizzare la relazione terapeutica, ma di fornire un supporto operativo per giungere ad una decisione sufficientemente ponderata.

2.Durante il trattamento, con che frequenza viene effettuato uno screening tossicologico? Quali sostanze vengono ricercate? Qual è la conseguenza di una positività per morfinici (aggiustamento del dosaggio, esclusione dalla terapia)?

Generalmente la frequenza degli screening tossicologici è di 1 ogni 7-10 gg. random. Dopo i primi tre-sei mesi di negatività, la frequenza a volte viene ridotta. Vengono ricercate routinariamente le maggiori sostanze di abuso (oppiacei, barbiturici, cocaina, amfetamine, benzodiazepine, cannabis, metadone).

In caso di positività per oppiacei, si rivaluta il dosaggio. In alcuni casi viene effettuata una metadonemia e il dosaggio viene aggiustato di conseguenza .

Alcuni di questi Autori sembrano implicitamente sostenere che, una volta individuata la necessità di una terapia di mantenimento con metadone, l'ottenere risultati positivi derivi semplicemente dall'individuazione del giusto dosaggio.

3. Che cosa si intende per "trattamento metadonico integrato"?

Tutti gli Autori concordano sulla necessità di integrare il trattamento metadonico con interventi psicosociali, che vengono modulati a seconda delle necessità.

Nei programmi americani, molto standardizzati, nei primi 30 gg. viene attuata una valutazione biopsicosociale. I primi tre mesi vengono dedicati al raggiungimento di obiettivi a breve termine (inquadramento medico, problemi finanziari o abitativi), mentre gli obiettivi più a lungo termine vengono riservati alla seconda parte del trattamento ( es. trattamenti educazionali, riabilitativi o psicoterapici).

V. Dole sottolinea l'efficacia di questa terapia "if somministred by informed and compassionate clinicians". Nel Cap. "mantenimento metadonico" del Lowinson e Ruiz "Substance abuse: a comprehensive textbook" lo stesso autore elenca dettagliatamente le condizioni organizzative ottimali per un ambulatorio di somministrazione di metadone. Oltre a segnalare la necessità di spazi adeguati, calcolati sulla base del n. presuntivo di pazienti, dice: "idealmente, l'area di dispensazione del farmaco è adiacente ad una comoda sala di attesa. La zona infermieristica dovrebbe essere ben illuminata e dovrebbe permettere una facile comunicazione tra l'infermiere e il paziente, visto che questa interazione è il contatto più frequente che il paziente ha con l' èquipe curante. Questo permette all'infermiere di valutare il paziente e notare ogni cambiamento nell'apparenza e nel comportamento, così come assicurarsi che il paziente assuma il farmaco...La sala di attesa può essere utilizzata per fornire informazioni sul programma di cura e i suoi servizi, sulla prevenzione dell' HIV, sulle cure prenatali e parentali, e altre importanti informazioni. Attraverso l'uso creativo di videotape che scorrano continuamente mentre i pazienti sono in attesa, il clinico può fornire importanti informazioni ai suoi pazienti. Dato che i pazienti spesso portano con sè i figli, la sala d'attesa deve essere sicura e non in vista della vera e propria sala di dispensazione.... i pazienti devono vivere la clinica come diversa dall'ambiente ostile dove utilizzavano eroina e capire che qui si applicano regole differenti... la somministrazione di metadone è un aspetto importante del trattamento, e la relazione tra il paziente e l'infermiere è molto importante. I direttori di programma dovrebbero adoperarsi per rendere questa relazione un processo terapeutico". E' evidente come, accanto agli obiettivi più specifici del trattamento ,vengano valorizzati i contatti quotidiani e l'accoglimento del paziente.

Ci è sembrata molto interessante questa sottolineatura della necessità di un ambiente "attorno al farmaco" come indispensabile complemento al farmaco stesso. Forse troppo spesso, nei nostri Servizi, non viene posta adeguata attenzione a questo aspetto. Crediamo infatti che la prima e fondamentale "integrazione" del trattamento metadonico stia nella crazione di un ambiente sufficientemente contenitivo, che faccia sentire accolto il paziente sia dal punto di vista dei locali che del rapporto con l'infermiere.

4. Nei pazienti affetti da comorbilità psichiatrica di asse I o II, qual è il ruolo dei programmi metadonici a mantenimento?

La presenza di comorbilità non viene considerata una controindicazione al trattamento metadonico; la sensazione di alcuni è che i pazienti possano trarre beneficio dalla contemporanea somministrazione di metadone e psicofarmaci a seconda della patologia associata. Tutte le strutture sono in grado di provvedere autonomamente alla diagnosi e alla terapia di patologie psichiatriche.

5.Quali sono le indicazioni per porre fine ad un trattamento metadonico a mantenimento? Si termina quando il paziente va molto male o quando va molto bene?

In generale, se non si ottengono risultati si passa ad una rivalutazione, spesso comprensiva di metadonemia. La sensazione generale è che è necessario trovare il dosaggio adeguato, e comunque darsi tempo per valutare una situazione stabilizzata. Ogni variazione di dosaggio deve essere seguita da un periodo di assestamento prima di una valutazione di risultato. Si ritiene anche che un progetto di sospensione della terapia debba essere intrapreso dopo anni di astinenza e debba essere fortemente supportato.


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