LA MENTE IRRIDUCIBILE Sui limiti della mente Una considerazione importante non sempre esplicitata nella letteratura è tuttavia quella relativa ai limiti del sistema esaminato, anche se Penrose accenna alla possibilità che sia proprio l'ambiente esterno ciò che offre alla mente la sua componente non computazionale o non algoritmica. Si ha così l'impressione che per molti il sistema cervello/mente sia un'entità limitata a quanto è contenuto nella scatola cranica dell'uomo. In realtà si sa bene che nessuna mente è in grado di operare normalmente in condizioni di isolamento assoluto. Questo indica che l'interfaccia con il mondo esterno costituita dagli organi di senso è parte integrante dell'io/mente, mentre i limiti dello stesso "sfumano" nell'informazione circostante e nei rapporti che esso stabilisce con il mondo. Si tratta di una considerazione semplice, ma non semplicistica, che permette di giustificare una prospettiva antiriduzionista senza ricorrere a complicate analisi epistemologiche basate su gatti di Schroedinger vivi e morti al tempo stesso, virtualità e concetti quantomeccanici in genere. Ogni mente individuale è infatti assimilabile ad un oggetto luminoso che non si presenta con caratteri di localizzazione netta ed uniforme come sarebbe quella di una luce laser, ma piuttosto con quelli della fiamma di una candela che diffonde la sua luce fino ad un limite indefinito, sfumato e non facilmente localizzabile. Occorre poi considerare l'importante questione dell'individualità: parlare di una mente umana media o di un cervello umano medio non ha molto senso se si pongano, come estremi di un intervallo, per esempio Albert Einstein e un deficiente totale (troppi gli esempi di questa categoria per sceglierne uno). Ogni mente non è definibile solo in termini di gioco tra hardware e software, poiché un peso determinante deve avere anche la storia dell'individuo e tutti gli eventi completamente casuali che ne hanno influenzato lo sviluppo. L'interazione hardware/software nel cervello è comunque totalmente diversa da quella che si ha nei computers, perché il software, inteso come esperienza, storia, memoria, nel caso del cervello modifica strutturalmente il hardware. Quando invece si inserisce un nuovo programma (software) in un computer non si modifica la struttura dei suoi circuiti allo stesso modo con cui ciò avviene nel cervello. Il cervello ha infatti una caratteristica plasticità che permette un suo continuo rimodellamento epigenetico, cioè indipendente dalla programmazione stabilita dal genoma. E'vero che anche il computer può modificare i propri programmi per influenza dell'ambiente come succede nei sistemi delle reti neurali capaci di apprendere, seguendo sempre delle regole computazionali, per esempio con meccanismi di retro-propagazione, ma questo avviene senza che il computer stesso alteri i propri circuiti. Tornando ad Einstein, si può notare che,secondo quanto il grande scienziato ha riconosciuto nella propria Autobiografia , egli è stato quel che è stato "anche" perché aveva avuto uno zio capace di esercitare su di lui un importante stimolo negli anni dell'adolescenza. Tutto questo per dire che se sarà certamente possibile completare il programma dell'intelligenza artificiale e costruire una macchina con capacità di computazione pari se non superiori a quelle di qualsiasi individuo, resterà sempre un grosso margine di irriducibilità che impedirà di considerare tale macchina,anche se fosse capace di superare il test di Turing,come identica ad un cervello umano. Il test di Turing ha infatti,come condizione irrinunciabile, l'esistenza di un osservatore esterno che "decide" in quale stanza si trovino l'uomo o la macchina. La mente naturale completa, così come una possibile mente artificiale, non sono realtà che possono esistere indipendentemente dall'esistenza di un osservatore esterno. Vai alla sezione precedente |