Shadia B. Drury, Terror and Civilisation. Christianity, Politics and the Western Psiche, Palgrave, New York 2004, pp. XV 212, $ 47,33.
[ Pubblichiamo questa lunga recensione di Antonello Armando, già noto a chi legge POL.it. Le prese di posizione di Armando proprio perché originali e provocatorie, anche se non sempre, per quanto ci riguarda, condivisibili meritano una particolare attenzione ed una capacità, da parte dei lettori, di proporci interventi specifici, finalizzati alla discussione sia delle posizioni di Antonello Armando, così come emergono anche da questa sua recensione, sia delle tesi dellautrice recensita. Shadia Drury è unimportante autrice canadese, che, alla University of Regina, occupa la "Canada Research Chair in Social Justice" ed è professore nel "Department of Political Science and Philosophy"]
Mercoledì 28 settembre, ore serali. Canale 5 trasmette Matrix a cura di E. Mentana. Si parla del divieto fatto dallautorità governativa ai ginecologi di un ospedale torinese di usare la pillola RU 486 per le interruzioni di gravidanza. Partecipano una rappresentante del governo, una dellopposizione, uno dei suddetti ginecologi, un sacerdote.
Solo contro tutti, questi non manca di coraggio, al limite di sfrontatezza. Non ha infatti remore ad argomentare che, ferma restando lopposizione della Chiesa allaborto, lintervento chirurgico è da preferire a quello farmacologico perché comporta un quantum di dolore e di rischio che funge da buon deterrente contro lintenzione abortiva e in favore del diritto alla vita di chi, lasciandosi per un attimo andare a unemotività un po scomposta, egli chiama enfaticamente ed allusivamente "Lui".
Gli interlocutori si precipitano a rispondere che questargomentazione è irrispettosa non solo della salute e dei diritti della donna, ma anche della sua identità di essere umano responsabile perché la criminalizza, attribuendole unassenza di affetti e unintenzione, appunto, omicida che può essere contrastata solo con la minaccia del dolore e del rischio della vita.
Lineffabile sacerdote sorride. Ne ha motivo perché i suoi interlocutori non si sono accorti che, proprio rispondendo così, gli lasciano buon gioco. Nessuno di loro ha infatti obiettato a quellespressione "Lui" che enfatizza lidea che il concepito sia già una vita, un soggetto, permettendosi la libertà schizofrenica di pensare e indurre a pensare una vita senza una nascita. Nessuno di loro si è opposto al pensiero che laborto sia omicidio e in tal modo hanno lasciato che passasse subliminalmente un altro argomento in favore dellintervento chirurgico: questo va mantenuto in luogo dellaltro perché trasmette limmagine di un atto cruento e completa la deterrenza costituita dal terrore di fronte al rischio del dolore e della propria vita con quella costituita dal terrore e dal senso di colpa per la prospettiva di sopprimere o far sopprimere una vita altrui.
Il sacerdote ha motivo di sorridere, ineffabile e tollerante. Poco gli importa di quello che gli è stato risposto. Nessuno ha obiettato alla sua evocazione di quel fantomatico "Lui" ed egli ha raggiunto il suo scopo, svolto la sua missione: ha potuto, sotto le vesti dellamore e dellinteresse per la vita condensati in quellevocazione, far passare lidea che luso del farmaco appartenga a una cultura della morte; e al tempo stesso, sia pure per un istante, ha potuto sollevare negli ascoltatori lombra del terrore di poter diventare, in qualche modo, complici di uniniziativa omicida: un terrore che egli è convinto essere indispensabile strumento di civiltà
Sorride perché nessuno tra gli interlocutori coglie neppure questo ulteriore effetto della sua argomentazione, o quantomeno ne rileva lesistenza.
Ho ricordato questo episodio per dire dellattualità e dellimportanza del recente libro di Shadia Drury, che si confronta invece proprio con il suddetto ulteriore effetto dellargomentazione del sacerdote e vi si oppone analizzandone le radici e le articolazioni storiche e mostrandone le contraddizioni. É rilevandone appunto una, la più stridente, che il libro ha inizio: "Nellepoca delle nascite in provetta, della clonazione e della ricerca sulle cellule staminali, molti Cristiani credono che stiamo vivendo una "cultura della morte"" (p. 1).
Nella foto su internet - http://en.wikipedia.org/wiki/Shadia_Drury - lautrice appare come una gran bella donna. Nata in Medio Oriente nel 1950, ha studiato in Canada laureandosi in Scienze politiche nel 1978 presso la York University di Toronto con una tesi sul diritto naturale e insegna Scienze politiche e Filosofia presso lUniversità canadese di Regina.
La sua tesi è stata anche la sua prima pubblicazione, cui ha fatto seguito la cura di un volume miscellaneo [Law and Politics: Reading in Legal and Political Thought, Detselig 1980] e, dieci anni dopo, uno studio [Alexandre Kojève. The Roots of Postmodern Politics, St. Martins Press, New York 1994] sul pensatore russo Aleksander Kojève formatosi con Vladimir Soloviev e poi con Karl Jaspers e vissuto a Parigi a partire dal 1929, noto soprattutto per il suo commento alla Fenomenologia dello spirito di Hegel sviluppato nel corso dellinsegnamento allÉcole des Hautes Études tra il 1933 il 1939 [tr. it. La dialettica e lidea della morte in Hegel, Einaudi, Torino 1948]; ed è da questo scritto che prendo a seguirla nel suo viaggio nelle radici e nella storia dellideologia del terrore e della morte.
La prima parte del suo libro su Kojève è dedicata a ricostruirne il pensiero, la seconda a descriverne linfluenza su protagonisti dellesistenzialismo e della cultura francese come Sartre, Queneau, Breton, Bataille, Segan, ma anche Hyppolite, Lacan, Foucault, Althusser, Deleuze, Derrida, Guattari; la terza a illustrarne linfluenza sul capostipite del movimento dei Neoconservatori americani, L. Strauss, e su figure di spicco di tale movimento come Gourevitch, Gilden, Rosen, ma soprattutto D. Bloom, autore del ben noto The Closing of American Mind [Simon and Schuster, New York 1987, tr. it. Frassinelli, Milano 1988], e F. Fukuyama, autore dellaltrettanto ben noto The End of History [The Free Press, New York 1992, tr. it. Rizzoli, Milano 1992].
La Drury evidenzia anzitutto linteresse di Kojève per la dialettica hegeliana e come sia strettamente legato a quello per la dialettica di Marx e per la Rivoluzione sovietica: esso si accentra infatti sulle pagine della Fenomenologia dello spirito dedicate alla dialettica servo-padrone che tanta parte hanno avuto nel costituirsi del pensiero marxista. Come è noto, secondo Hegel la comparsa della coscienza individuale stabilisce una tendenza dellindividuo ad affermarsi, la quale cerca soddisfazione nellessere riconosciuto da un altro individuo come superiore e la ottiene attraverso la lotta che vede vincente chi laffronta avendo sviluppato la capacità di "essere per la morte", superando il terrore di perdere in essa la vita ed elevandosi oltre listinto animale allautoconservazione. Lesito di questa lotta nella costituzione delle due figure del padrone e del servo rappresenta un momento patologico (p. 17) che la storia tende a superare procedendo verso un fine di reciproco riconoscimento, che nel marxismo diventa la società comunista.
La Drury sostiene che la specificità dellinterpretazione che Kojève dà di Hegel sta nel sottovalutare la caratterizzazione hegeliana del suddetto momento storico come patologico e nel sottolineare invece che "lumanità delluomo è intimamente legata con quellatto di conquista privo di precedenti che ha inizio con il tentativo di un uomo di renderne un altro schiavo e di ridurlo a una cosa da usare per i propri propositi e la propria soddisfazione" (p.18); e ciò perché appunto quellumanità non sarebbe altro se non la capacità di "essere per la morte" che eleva oltre lanimalità dellistinto di autoconservazione e produce quellatto. Conseguentemente, per Kojève, lo svolgimento della storia non consiste nel superamento della relazione servo-padrone, ma nel divenire il servo egli stesso padrone, ovvero nellacquisire anchegli la capacità di "essere per la morte", di superare anchegli listinto bruto e animale dellautoconservazione.
La rivolta degli schiavi promossa dal Cristianesimo in nome di un principio opposto a quello guerriero e che Kojève chiama "femminile" (p. 23) fa sì che anche questi trovino lumanità perduta o mai avuta in quanto, per attuare quella rivolta, debbono anchessi realizzare lumanità guerriera dalla quale erano stati sottomessi, superare listinto di conservazione, apprendere ad "essere per la morte"; ed è per questo che nella successiva storia di quella rivolta assumono, secondo Kojève, valore positivo il Terrore della Francia giacobina e quello della Russia bolscevica e stalinista [la Drury non ci dice se Pol Pot frequentò i seminari di Kojève].
Tuttavia egli non sembra farsi illusioni: realizzata la rivolta, venuto meno il momento del terrore che gli rendeva presente l"essere per la morte", lo schiavo, pur emancipatosi, perde di nuovo la sua umanità proprio per lessersi il "principio femminile" affermato nella storia moderna; e la perde in un modo questa volta che, per la sua globalità e capillarità, Kojève ritiene definitivo e, sulla scia di Nietzsche, teorizza come il tempo dellultimo uomo, della fine della storia.
Circa i motivi per cui egli non considera possibile un riscatto anche per questa disumanità moderna e postmoderna, la Drury suggerisce che forse egli coltiva così allestremo il suo elitismo: nel contemplare lintervenuta globale disumanizzazione degli uomini, la sua vocazione nichilista gli consente di sentirsi come il guerriero assoluto, colui che è in grado di contemplare e reggere, insieme alla fine di sé, la fine del mondo, in grado di affrontare tutto il peso del nulla.
Non però dello stesso avviso sono stati i suoi allievi francesi. Essi condividevano con lui la valutazione della modernità come momento della perdita di quell"essere per la morte" che costituisce lumano, ma vi si opponevano idealizzando la trasgressione ed esaltando la produzione di atti cruenti, violenti, destabilizzanti, che reintroducessero un po di benefico terrore nel mondo. Il Gilles de Rais di Bataille, il Pierre Rivière di Foucault e la mitizzazione della schizofrenia degli autori dellAntiedipo debbono non poco allinsegnamento di Kojève; come non poco gli deve Lacan (p. ix e 93) con la sua traduzione dellinterpretazione kojeviana della dialettica servo padrone nel concetto di un desiderio mosso dallassenza di oggetto, dallesposizione al nulla e alla morte e dal cercare soddisfazione nel fare dellaltro la cosa di cui colmarsi: là dove il terrore diventa protagonista tre volte - nel vissuto del desiderante, in quello del desiderato, e come unico mezzo per ottemperare ai limiti posti dalla Legge del padre alla soddisfazione del desiderante [va ricordato che Lacan propose quel punto centrale della sua dottrina che è linterpretazione della negazione freudiana (J. Lacan, Écrits, du Seuil, Parigi 1966 pp. 369-400 e 879-898) sotto forma di un dibattito con J. Hyppolite, altro commentatore di Hegel legato a Kojève; e che conosceva gli scritti di Leo Strauss (op. cit. pp. 508-509)].
Con Strauss e con i Neoconservatori ci si muove in una direzione che, pur nella dipendenza dallideologia terroristica di Kojève, si differenzia da quella dei francesi per alcuni contenuti e per linfluenza esercitata.
In particolare Strauss, come la Drury dimostra commentandone la corrispondenza con Kojève, segue percorsi di studio in parte diversi da quelli di questo per giungere al pensiero razzista di una diversità di tipi umani fondata sulla naturale capacità del tipo umano superiore di essere per la morte e sulla naturale incapacità delluomo comune di fronteggiarne il terrore; inoltre nellambito del tipo superiore differenzia il guerriero dal filosofo e affida a questultimo il compito di evitare la fine della storia realizzando il potere tirannico di risospingere gli uomini verso lumanizzante terrore grazie anche al concorso benefico di cicliche catastrofi totali terrorizzanti nel loro accadere e nel loro prospettarsi. A differenza del filosofo di Kojève, a suo modo soddisfatto nella contemplazione della fine della storia, il filosofo di Strauss, nellattesa di catastrofi che accrescano la possibilità di realizzare la sua benefica tirannia, fa una politica volta comunque a riuscire nel nobile fine di reintrodurre nella storia il valore vitalizzante del terrore.
Ed è perché questo suo far politica gli dà attualità e influenza esercitandosi sullo stesso paese della Drury e su tutto il mondo, che a questa è potuta bastare la seconda parte del libro su Kojève per dire degli epigoni francesi, ma non le è bastata la terza per dire di Strauss e degli epigoni americani di Kojève e di Strauss; ha così dedicato loro due lavori [The political Ideas of Leo Strauss, Palgrave, New York 1988, seconda edizione 2005 e Leo Strauss and the American Right, St. Martins Press, New York 1997, seconda edizione 1999] che illustrano tra laltro lo spessore della presenza dellideologia del terrore nei loro pensieri, azioni e progetti.
Mi soffermo qui sulla parte più recente di questi due libri, e cioè l"Introduzione" aggiunta nel 2005 alla seconda edizione del primo, per accennare come in essa, più esplicitamente che altrove, la Drury dichiari i motivi politici e attuali della sua ricerca storico filosofica. Essi sono connessi al fatto che gli attuali responsabili della politica americana orientata in senso aggressivo e verso una forte limitazione delle libertà civili, e in particolare dei diritti delle donne, sono passati attraverso la scuola di Strauss; ed al fatto che, perciò, "esiste un nesso preciso" tra le sue idee politiche "e la condizione disastrosa della democrazia americana e la sua tragica politica estera" (p.x). Ella punta il dito sul loro uso del terrore a fondamento del consenso: l11 settembre è la catastrofe attesa da Strauss per realizzare quella tirannide del filosofo che avrebbe riscattato la società americana e il mondo dalla fine della storia nella piattezza e nellavvilimento del liberismo moderno, ed è stata appunto sfruttata dai suoi epigoni diretti e indiretti, pervenuti a posizioni di potere, per rilanciare attraverso la dottrina e la prassi della guerra continua preventiva la benefica presenza del terrore.
Questa proiezione in avanti, nellimmediato, fin nella cronaca, della sua ricerca sullideologia del terrore viene in contemporanea allapprofondimento ed allampliamento della ricerca sulle radici.
Nel suo ultimo libro, oggetto di questa recensione, ella va oltre lorizzonte moderno, abbandona Kojève, Strauss, Heidegger, Nietzsche, Hegel per volgersi più indietro a guardare direttamente proprio là dove, a detta di Kojève e di Strauss, vi sarebbe invece lopposto, ovvero lavvilente presenza dellaspirazione a un riconoscimento che si fonda sulla reciprocità anziché sulla sopraffazione e sostituisce, per ottenerlo, il mezzo femminile dellamore a quello virile e guerriero del terrore; si interroga cioè sul Cristianesimo.
Fin dalle prime battute il suo confronto con questultimo mostra unimpostazione peculiare e audace ponendosi oltre un diffuso pregiudizio. Il nesso tra Cristianesimo e terrore, così argomenta lA., è largamente riconosciuto e molti studi si sono soffermati sulle sue manifestazioni più note, dalla caccia alle streghe, al massacro degli Indios, dei Mussulmani di Spagna, degli eretici eccetera. Tuttavia tali studi risentono abitualmente di un limite: quello di dare per scontata la distinzione tra Cristiani e Cristianesimo, tra Chiese e Cristo, tra gli uomini che seguono e applicano la dottrina di Gesù e questa dottrina considerata nella purezza della sua enunciazione originaria. In breve, le aberrazioni in senso terroristico della storia del Cristianesimo sono state prevalentemente considerate, in base a unargomentazione che lA. chiama "apologetica", come una degenerazione, non come una logica e necessaria conseguenza della predicazione di Gesù; ella intende dimostrare il contrario, la consistente sostanziale presenza già nel messaggio evangelico dellintolleranza e di quella che, così si intitola la prima parte del suo libro, chiama "metafisica del terrore".
La diffusa credenza, notando la quale labbiamo vista aprire il suo libro, secondo cui nellepoca attuale si sarebbe affermata la cultura della morte, si svolge nellaltra secondo cui tale affermazione sarebbe dovuta alla perdita dei valori religiosi e troverebbe rimedio nella riacquisizione di autorità da parte della Chiesa e del Cristianesimo. Ella ritiene non sia così perché proprio nel Cristianesimo quella cultura ha radice; chi affida a questo il compito di opporsi ad essa non solo non tiene conto della storia criminale della Chiesa, ma soprattutto non considera che essa non è affatto trascesa dalloriginario insegnamento di Gesù, e invece ne discende.
Gesù, prosegue lA., è un personaggio paradossale. E stato rispettato anche dai critici più radicali del Cristianesimo, che ella identifica in Nietzsche e in Westermarck, e presenta indubbi aspetti positivi come il disinteresse per il potere, il rifiuto del pensiero secondo cui la perversione umana giustificherebbe la tirannia, e limmunità da unirrazionale arroganza verso le donne. Tuttavia non può essere completamente assolto dai delitti perpetrati in suo nome. Egli non è così ammirevole come lA. ricorda (pp. 4-5) di avere ella stessa creduto al tempo della sua prima educazione ortodossa e cattolica, né la sua dottrina è così dolce e mite; sono evidenti in lui "pecche caratteriali" strettamente connesse ai difetti della dottrina (p. 4).
Gesù è presentato nei Vangeli come lincarnazione dellamore, del perdono, dellumiltà e dellumana sofferenza, ma anche come un essere autoritario e vendicativo. Dopo avere portato a dimostrazione di ciò episodi della sua vita tratti dai Vangeli sia sinottici che apocrifi, lA. passa a mostrare come il carattere autocratico di Gesù si rifletta nella sua equiparazione dellassenza di fede al peccato, e il suo carattere vendicativo nella sua dottrina sullinferno e sulla dannazione.
La prima porta allintolleranza e giustifica le persecuzioni; la seconda conferisce alla metafisica del terrore una forma e una qualità che prima non aveva: gli Ebrei conoscevano il terrore indotto dallira di Dio manifestantesi nelle inondazioni, nelle carestie, nella schiavitù in Egitto, ma Gesù introduce un tipo di terrore nuovo in quanto legato non a una sofferenza fisica da patire in questo mondo, ma a una sofferenza sia del corpo che dellanima da patire anche nellaldilà (p. 16).
Paradossalmente, la metafisica del terrore anima anche la concezione che Gesù ha del Paradiso, dato in premio a chi non ha peccato di mancanza di fede: fa infatti parte di quel premio la gioia dovuta alla sadica e compiaciuta contemplazione dei tormenti dei dannati; tanto che, estremizza provocatoriamente lA., lHimmler affetto da gravi disturbi fisici e psichici nel corso della sua opera di sterminio degli Ebrei figura come un essere più sensibile dei santi ed eletti cristiani (p. 27).
La stessa buona novella portata da Gesù al mondo è fondata sul presupposto di una "assai cattiva novella" (p. 27). Egli, nellannunciare la buona novella della sua venuta per salvare lumanità dal peccato, dà per scontato che lumanità intera sarebbe stata giustamente condannata dal peccato dei suoi primi progenitori. La buona novella, presupponendo quella cattiva del peccato originale secondo la quale tutti sono peccatori e sostenendo che la salvezza è condizionata da una fede che è un dono indipendente dal merito, consolida la metafisica del terrore e condanna allangoscia.
In conclusione: "Limmodestia, lintolleranza, la vendicatività delle parole di Gesù non possono essere separate dalla barbara storia della Chiesa e dal lungo elenco delle sue persecuzioni di Ebrei, Mussulmani, eretici, donne e liberi pensatori" (p. 43).
"La metafisica del terrore" inerente alla predicazione di Gesù non può dunque svolgersi che in una "Politica del terrore" su cui si sofferma la seconda parte del libro.
L. von Ranke ha narrato la storia del papato come continuo alternarsi di moderazione e intransigenza. Pur non citandolo, lA. sembra riprendere questo modello interpretativo allorché tratta il rapporto tra Cristianesimo e politica, ma se ne differenzia perché fa della moderazione e dellintransigenza non le caratteristiche di figure storiche che si alternano nel tempo, ma due categorie che definiscono linsieme della politica cristiana concorrendo in una stessa finalità integralista.
Laspetto più interessante della sua trattazione della politica del Cristianesimo è lattenzione al latente, lo sforzo di riconoscere il ruolo che, oltre lapparenza, vi svolge il terrore. Essa si presenta infatti come una politica della rassegnazione guidata dalla certezza che il male e lingiustizia non possano essere risolti in questo mondo; ma non è moderata quanto ciò indurrebbe a credere e implica invece un attivo coinvolgimento nel male del mondo e una sua attiva produzione una tesi che lA. svolge commentando il pensiero di S. Agostino e di Voegelin, un rappresentante della corrente neoconservatrice che la sua critica aveva in precedenza risparmiato.
La politica della rassegnazione è connessa con il realismo politico, in quanto la sua apparenza di moderazione torna utile nellassenza del potere, ma altrimenti si volge in militanza attiva: il lupo si fa alloccorrenza pecora, ma resta lupo.
Per politica della rassegnazione lA. non intende solo un impegno nelle cose del mondo guidato dalla convinzione che il male e le ingiustizie non possono essere in esso estirpate e luso strumentale dellapparenza di moderazione connessa a questa convinzione; intende anche lassunzione di un atteggiamento di apparente astensione dalla politica al quale dedica la terza parte del libro intitolata "Letica dellamore".
Il Cristianesimo si presenta come una dottrina volta a orientare non la politica, ma la vita privata e Cristo come il maestro di unetica fondata sul principio dellamore tra gli uomini e verso Dio.
LA. identifica quattro aspetti caratterizzanti tale etica: linvito a disinteressarsi dei beni di questo mondo, lesortazione a perdonare le offese, linterdizione di fare agli altri quanto non si vorrebbe fosse fatto a sé e lestensione di questinterdizione oltre le azioni, alle intenzioni, ai sentimenti, ai pensieri; non è il comportamento, ma la purezza danimo a costituire la moralità delluomo.
A ciò si aggiunge la pretesa che questi e altri precetti relativi al rapporto con il prossimo in base allamore vengano accolti e seguiti con amore.
Sono però precetti spesso poco conciliabili con la natura umana; ma soprattutto sembra estraneo alle possibilità di tale natura astenersi, oltre che dalle azioni immorali, dalla loro rappresentazione nellintenzione, nel sentire e nel pensiero.
Letica di Gesù introduce quindi nellOccidente la convinzione di un conflitto tra morale e natura umana e delluomo come creatura sottoposta a un "continuo interno stato di assedio". Essa non è opposta alla metafisica del terrore e sta alle radici dellassunto "secondo cui il terrore spirituale, politico e psicologico è fondamentale per il processo di civilizzazione. Per diventare civile luomo deve essere terrorizzato spiritualmente, oppresso politicamente, brutalizzato psicologicamente" (p. 75).
Questa conclusione è la premessa della quinta parte del libro interamente dedicata a Freud e intitolata "La psicologia del terrore".
Freud criticò letica cristiana sostenendo che le eccessive richieste da essa rivolte allindividuo, in particolare in materia di sessualità, sono responsabili di quella che egli chiama nevrosi moderna; e ci si è perciò aspettati che egli si schierasse contro di esse, ma non è affatto così.
LA. fa anzitutto riferimento al caso di Dora ammalatasi, secondo Freud, per il senso di colpa di avere, alla morte della sorella, avuto il pensiero di essere finalmente libera di amarne il marito e pone in evidenza come egli, invece di portarla a riconoscere linfondatezza di quel senso di colpa nessuna azione essendo seguita a quel pensiero, lo assume per fondato e lega lasserita guarigione della paziente allaver riconosciuto e confessato una colpa legata allintenzione.
Nei seguenti due capitoli di questa terza parte lA. circostanzia la sua affermazione dellinerenza del pensiero freudiano alletica religiosa del Cristianesimo attraverso articolate e convincenti argomentazioni che via via illustrano la presenza in tale pensiero della credenza nel peccato originale, della convinzione dellopposizione tra desideri e morale, istinti e civiltà, della confusione tra azioni e intenzioni e dellattribuzione di un ruolo sostanziale al terrore nella fondazione e nella salvaguardia della civiltà.
Non si tratta però di una semplice riproposizione di idee religiose cristiane. La riproposizione comprende un perfezionamento e un aggravamento del "continuo interno stato di assedio". Freud conferisce a tali idee dignità scientifica traducendo il mito del peccato originale nel presunto dato storico delluccisione del padre primevo, dando allopposizione tra desideri e morale, istinti e civiltà, il fondamento della sua teoria degli istinti, sostenendo la confusione tra azioni e intenzioni con la sua teoria del sogno, prospettando in luogo dello spettro della dannazione quello della pazzia e internalizzando con la teoria della coscienza e del super io il terrore necessario alla difesa della civiltà la cui induzione il Cristianesimo lasciava al dato esterno della collera e della punizione divina che si sarebbe espressa nella dannazione eterna.
In sintesi, egli, "lungi dal sovvertire la morale cristiana (
) le dà autorità scientifica e le conferisce nel mondo moderno uninfluenza che aveva avuto solo nel Medioevo" (p. 101).
Per inciso, guardando oltre oceano ella avrebbe potuto sentirsi meno "sola" di quanto afferma di essersi sentita nella "desolazione intellettuale" che riscontra nella letteratura su Freud (p. ix); non nascondo cioè la mia sorpresa e soddisfazione nel constatare come qualcuno, lungo percorsi di ricerca del tutto indipendenti, abbia maturato unidea sul freudismo assai prossima a quella da me avanzata a partire dal 1976 [cfr. ad es. La realtà storica del freudismo in www.antonelloarmando.it], secondo la quale esso non si limita a riproporre gli assunti religiosi, ma li modernizza nascondendoli e travestendoli in termini scientifici.
LA. dice anche altro. Parlando dellascetismo cristiano e della sua vilificazione della donna ne aveva messo in evidenza leffetto boomerang che si manifesta soprattutto nella produzione di ossessioni sessuali (pp. 95-97). Ora aggiunge che la versione freudiana di quellascetismo ha determinato la proliferazione di comportamenti trasgressivi in generale, ha dato luogo a una "romanticizzazione del male" presente già nellammirazione di Freud per i "grandi uomini", cioè per quanti non hanno permesso che la loro selvaggia istintualità fosse piegata e sono perciò i soli a potere "guidare gli altri perché solo loro sono in grado di compiere tutte le brutalità necessarie alla salvezza della civiltà" (p. 132).
Lascio alleventuale lettore di percorrere in dettaglio e di valutare questo complesso e ricco insieme di argomentazioni, per proporre una considerazione sul significato che questa parte conferisce allinsieme del libro.
Il fatto che esso, essenzialmente dedicato al Cristianesimo, verta su Freud per unintera parte su cinque, sembra creare uno squilibrio; ma proprio attraverso questo squilibrio lA. propone un pensiero significativo: Cristianesimo e freudismo, i due protagonisti del libro, sono i due pilastri della moderna ideologia del terrore.
Mi sembra che in tal modo essa non si limiti a completare la sua descrizione delle formulazioni moderne dellideologia del terrore affiancando Freud a Kojève e a Strass; infatti, portando a maturazione lintuizione già presente in alcune pagine della sua monografia su Strauss (pp. 56-69), nelle quali aveva ricostruito un immaginario dialogo tra lui e Freud di una sostanziale influenza di questi sul padre del neoconservatorismo americano, la Drury sembra rivedere, in qualche misura, la sua precedente convinzione: non sono Strauss e Kojève i maggiori responsabili della presenza nel pensiero moderno dellideologia del terrore, ma Freud.
Una critica quindi più corrosiva di altre, indebolite, nonostante la loro maggiore fondazione teorica [M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, Nuove Edizioni Romane, Roma 1772], dalleccesso formale [L. Villoresi, Freud? E un imbecille. Intervista a M. Fagioli, "Venerdì di Repubblica" 19.3.1991] cui le porta lurgenza di ottenere ascolto: indebolite dalla carenza di senso storico e dalluso improprio di categorie psichiatriche nellesame di fatti storici.
La critica della Drury è più corrosiva anche di altre critiche, che prendono di mira numerosi dettagli della teoria, della clinica e della storiografia freudiane [Le livre noir de la psychanalyse, a cura di C. Meyer, Les Arènes, Parigi 2005], ma trascurano totalmente il dato sostanziale della religiosità di Freud e del potenziamento da lui apportato alla metafisica cristiana del terrore.
Nellultima parte del libro lA. si volge al presente interrogandosi sulla possibilità di separarsi dalla convinzione dellopposizione tra istinti e civiltà e dalla conseguente ideologia del terrore.
Ella inizia notando lesistenza di due visioni del rapporto tra terrore e civiltà, per luna delle quali la civiltà è superamento del terrore, per laltra il terrore è fondamento della civiltà ed affermando che sono ambedue di origine biblica anche se la seconda risente dellaccentuazione cristiana del dualismo biblico. Esse si presentano come opposte, ma sono complementari congiungendosi nel pensiero che il terrore sia necessario alla civiltà per realizzare lopposizione della civiltà ad esso.
Si pone dunque lesigenza di andare oltre ambedue quelle visioni e più ancora oltre la loro congiunzione, di trascendere lorizzonte del dualismo biblico nel quale sono ambedue radicate. LA. ritiene di poter rispondere a questesigenza contestando anzitutto lassunto dellopposizione tra istinti e civiltà e quello conseguente che il terrore sia lindispensabile fondamento della civiltà stessa e sostenendo per contro che quel fondamento sta nel trasporto che gli esseri umani provano verso gli ideali "in quanto conferiscono al mondo forma, ordine, bellezza e significato" (p. 134).
Tuttavia, una volta che un ideale sia "riuscito a conquistare il cuore degli uomini e delle donne, una volta che il suo fascino sia diventato irresistibile, sorgono visionari che non possono fare a meno di immaginare quanto sarebbe bello il mondo se tutti si conformassero" ad esso (p. 137).
Essi interpretano lopposizione a tale loro immaginazione come male, traendone la conferma dellopposizione tra istinti individuali e civiltà per contrastare la quale è necessario il terrore.
In tal modo lideale tende a pervertirsi nellintolleranza, nellasservimento delle coscienza e nel disprezzo della giustizia; e il gruppo sociale costituito da quanti si raccolgono intorno ad esso entra in conflitto con lo Stato garante della coesistenza degli ideali, della liberà delle coscienze e della giustizia (p. 141).
Il successo dellideale, la capitolazione dello Stato alle pretese di una propria componente parziale raccolta intorno a un ideale, inaugura però leclissi di questo perché gli toglie gli aspetti di libertà e spontaneità che ne costituivano liniziale fascino e perché la convinzione che in suo nome ogni ingiustizia e abominio trovino giustificazione finisce con lesporlo al disprezzo. La possibilità di un ideale di indurre alla mostruosità di compiere i peggiori crimini con tranquilla coscienza (p. xii) incontra dunque un limite. Si apre un vuoto che un altro ideale colmerà per seguire a sua volta questa parabola che lo porta a soccombere nella perversione integralista.
LA. ritiene di poter leggere la storia della civiltà occidentale in base a questo schema. Non la seguirò nel dettaglio di tale lettura limitandomi a notare che ella identifica in quella storia un momento in cui lo Stato liberale, sorto dallesigenza di porre fine ai conflitti religiosi, si è dimostrato "vulnerabile di fronte alle forze premoderne disilluse dal suo minimalismo secolaristico e desiderose di fare dello stato lo strumento di un grande ideale immaginato come identico alla verità ed alla giustizia cosmiche" (p. 145).
Qui il discorso di questo suo ultimo libro si ricollega a quello dei precedenti lavori su Kojève, su Strauss e sui Neoconservatori, per convergere sempre più strettamente sullattualità, sulla situazione politica del Canada (p. 145), ma soprattutto degli Stati Uniti allinizio del XXI secolo. Ella sostiene infatti che lamministrazione di questultimo paese si trova ad essere fortemente influenzata dal rifiuto proprio dei Neoconservatori "del fine minimalista dello Stato liberale in favore del fervore e dellintensità di uno Stato devoto a un ideale grande e nobile" (p. 145) fino a concepire lo Stato come "una macchina militare consacrata alla disseminazione dellideale democratico nel mondo" (p. 145), a offrire alle nazioni meno fortunate il dono della verità, della libertà e della giustizia; e, di conseguenza, fino a considerare quanti non accettano tale dono come esseri demoniaci che è legittimo terrorizzare e distruggere in quanto si oppongono alla civiltà.
La loro prospettiva è dunque di nuovo quella del dualismo biblico; ma "sfortunatamente - aggiunge lA. - i problemi politici del mondo moderno sono interamente biblici"; ovvero unaltra civiltà, quella Islamica, partecipe anchessa di quel dualismo, "è convinta anchessa di stare dalla parte della verità e della giustizia e ritiene che i suoi nemici siano alleati con Satana, con la malvagità e con la barbarie" e che sia legittimo combatterli con il terrore (p. 146).
Il mondo moderno "perde così ogni complessità, si polarizza nei due opposti campi del bene e del male, della civiltà e della barbarie, del noi e del loro", configurandosi dunque quello che ella, riferendosi al titolo del noto libro di S. Hutinghton, chiama "scontro delle civiltà".
Subito appresso però si chiede se si possa parlare di scontro. Non è propriamente così, poiché esiste una segreta alleanza tra i protagonisti dello scontro e una specularità delle loro convinzioni ed azioni.
Circa la segreta alleanza ella segnala la funzionalità del terrorismo islamico al progetto neoconservatore ed integralista secondo il quale solo la minaccia di un nemico e il terrore che esso induce possono tenere insieme la società americana e risospingerla verso i valori religiosi; una volta venuta meno la possibilità di identificare tale nemico nellURSS, è stato necessario reinventarlo anche servendosi di "nobili bugie". Come si è visto, nell"Introduzione" alla seconda edizione della sua monografia su Strauss lA. affermerà che l 11 settembre è stato per i Neoconservatori la catastrofe teorizzata da Strauss come necessaria al ristabilimento dei valori religiosi, ma già qui aveva ricordato che vi era stato chi laveva intesa come la giusta punizione divina per i peccati dellAmerica (p. 149).
Circa la specularità delle convinzioni e delle azioni lA. sostiene senza mezzi termini che quanto "rende così mortale lo scontro tra lIslam e lOccidente non è una radicale differenza tra i due protagonisti, ma la loro similiarità" (p. xv) e scorge nel terrorismo di Atta che sacrifica la propria vita per realizzare la volontà di Dio unidentità con quello di Sansone che sacrifica la propria vita per realizzare la volontà divina, ambedue criminali, ambedue martiri ed eroi.
Resta da dire delle indicazioni che lA. dà sulla possibilità di andare oltre lorizzonte biblico. Ella la ricerca allinterno della civiltà occidentale, non perché ritenga che ne sia più capace, né perché neghi che è esposta a uneffettiva minaccia, ma perché ritiene che per opporsi efficacemente a tale minaccia debba anzitutto riconoscere e risolvere la propria ideologia del terrore: la sua unica speranza sta nel trascendere la sua dipendenza dal dualismo biblico cristiano "coltivando lautocritica (self-criticism) e lautocomprensione (self-understanding)" (pp. 150-151).
Il principale strumento dellautocritica e dellautocomprensione è la storiografia non solo perché permette di individuare la presenza nellOccidente dellideologia del terrore, ma anche in quanto permette di relativizzare il racconto biblico che identifica il nemico nellaltro protagonista dello scontro, di riconoscere le ragioni di ambedue i protagonisti, e di comprendere come ciascuno di essi sia mosso non solo dalla paura e dal rifiuto dellaltro, ma anche dallinvidia e dallattrazione per i suoi valori.
La validità e limportanza del discorso della Drury non possono di certo essere diminuite da alcune notazioni critiche intese non a contestarlo, ma a suggerire possibili svolgimenti.
Ad esempio, qualche perplessità suscita la critica dellargomento apologetico, non perché la storia criminale della Chiesa vada assolta intendendola come degenerazione di un messaggio di Gesù indipendente dallinterpretazione istituzionale, ma perché è arduo sostenere lesistenza di un tale indipendente messaggio essendo gli stessi Vangeli sinottici che lo conterrebbero una produzione istituzionale.
Peraltro, perplessità sorgono anche riguardo alla scelta di interpretare letteralmente alcuni passi evangelici, potendosi obiettare che uninterpretazione allegorica avrebbe reso più difficili certe conclusioni.
Infine sorprendono quelle parti del libro, soprattutto lultima, in cui lA. considera il Cristianesimo come anche propositivo di un ideale che definisce "femminile": è infatti curioso non tanto che ella faccia proprio un termine usato da Nietzsche, Kojève e Strauss e dia limpressione di accettare la loro identificazione del "femminile" con la passività, ma che ne scorga la rappresentazione in Maria, che del femminile, in quanto ben altro dal passivo, è la negazione più totale (p.137).
Queste notazioni critiche sono però marginali e quanto rilevano può ben essere giustificato come dovuto a semplificazioni funzionali allarticolazione del discorso centrale del libro; di maggior peso mi sembrano invece altre.
Allinizio del libro lA. dichiara la propria convinzione che "ciò che conta è il sentimento (feeling) e che la ragione è assai limitata" (p. x); del resto nullaltro che il sentimento avrebbe potuto sostenere la sua fiducia che "nelle persone vi sia una spontanea tendenza al bene" (p. xiii). Tuttavia, nel libro su Kojève, commentando linterpretazione da questi data delle pagine della Fenomenologia dello spirito sulla dialettica servo padrone, ella aveva anche confessato la propria simpatia per Hegel. Ciò rientrerebbe nellambito dellopinabile e delle predilezioni personali, se non fosse che quella simpatia riecheggia non solo nel suo modo di argomentare, ma anche in un limite delle sue conclusioni: lautocritica e lautocomprensione cui essa affida il trascendimento del dualismo biblico sono infatti funzioni della ragione che, nonostante la loro importanza, non si sono dimostrate sufficienti a realizzarlo.
Come si è visto, secondo lA. autocritica e autocomprensione debbono avvalersi della storiografia; e sul suo rapporto con questa vi sono due osservazioni da fare.
La prima è che ella è molto attenta alla presenza e agli svolgimenti del dualismo biblico nella storia del pensiero occidentale, ma non altrettanto ai passati tentativi di rottura di quel dualismo ricollegandosi ai quali il suo tentativo non potrebbe che trarre forza. Mi riferisco in particolare a Machiavelli, nellinterpretare il quale ella sembra dipendere dallinterpretazione di quello Strauss [Thoughts on Machiavelli, The University of Chicago Press, Chicago 1958] del quale è per altri versi critica spietata. Rinviando però per un approfondimento del senso di questosservazione a una mia recente intervista su POL.it, passo alla seconda.
Essa riguarda il fatto che questo libro presenta lopposizione tra istinti e civiltà, bene e male, come tutta contenuta nellorizzonte del dualismo biblico. Ciò può essere contestato, basti ricordare tale presenza nel mito persiano della lotta tra la luce e le tenebre, Ormuz e Ariman, al quale si è riferito Freud per la sua teorizzazione dellopposizione tra istinto di vita e di morte.
Con ciò non voglio suggerire lopportunità di un ampliamento del discorso. Un tale ampliamento, che la Drury sembra programmare quando presenta questo libro come un "primo passo" (p. xv) nella ricerca sulla storia dellideologia del terrore, rischia infatti di spostare sempre più allindietro il problema. Cè un momento in cui lanalisi storica deve arrestarsi e lasciare posto a unaltra che per comodità chiamerò psicologica. Intendo dire che la critica maggiore che può essere rivolta alla ricerca di questo libro di unuscita dallideologia del terrore è che la sua analisi della "psiche occidentale" in quanto pervasa da tale ideologia è necessaria, ma non sufficiente: in altri termini esso evidenzia magistralmente luso del fenomeno "terrore" nella costruzione di ideologie, filosofie e prassi e le variazioni storiche di quelluso, ma lascia nellombra il problema della natura del fenomeno stesso.
In ciò sta anche il limite dalla sua critica a Freud: ella non sembra sospettare che il potenziamento da lui apportato al terrorismo religioso manifesti una carenza della sua teoria rispetto alla comprensione del fenomeno terrore, e che tale carenza è superabile.
Tutto ciò fa sì che non sia forse un caso se, nella sua opposizione allalleanza tra il pensiero dei Neoconservatori e lintegralismo religioso, la Drury si trova, al pari di tanti altri valorosi e illuminati rappresentanti della cultura nordamericana, a combattere battaglie in negativo, come, se non altro, quella in difesa dellaborto.
Ritorniamo così allepisodio dal quale ha preso avvio questa recensione. Salve restando le notazioni di cui subito sopra, indubbiamente sarebbe stato meno facile ai laici presenti alla trasmissione di Canale 5 soccombere alle argomentazioni dellineffabile sacerdote ed essi avrebbero potuto meglio opporsi al suo subliminale terrorismo se avessero letto il libro di Shadia Drury. Ma, aldilà di questoccasione perduta, esso resta un eccezionale strumento di chiarimento intellettuale e come tale va segnalato a chi senta lesigenza di fortificarsi contro le suadenti menzogne che paralizzano pensieri e risposte da opporre allideologia del terrore ed avverta che oggi il problema non è solo quello di difendere libertà negative, ma anche quello di congiungere il radicalismo nella difesa dellideale laico con lumanità dei mezzi: quello di una politica che sappia vincere la scommessa di congiungere lintransigenza con il rifiuto del terrore e della violenza.
LUIGI ANTONELLO ARMANDO
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