XI CONVEGNO NAZIONALE CIPA
Palazzo delle Stelline Milano
23, 24, 25 novembre 2001
IL PADRE: PAROLA SILENZIO TRASFORMAZIONE
Lo scrittore e la navicella spaziale.
Quando il femminile accoglie il paterno nella sua rêverie.
BRIGITTE ALLAIN-DUPRE' - Parigi
Prima di tutto, vorrei dirvi, quanto mi sento onorata dell'invito del professore Trapanese e del CIPA, a partecipare a vostri lavori.
Doppiamente onorata, visto che parlo per prima.
Allora, vorrei approfitarne per farvi entrare nella mia rêverie... rêverie di una donna, di una terapeuta di bambini, di fronte a un paziente che induce un pensiero del maschile paterno...
E spero anche che la musica troppo francese del mio italiano non vi impedisca di sognare con me... me ne scuso in anticipo.
Lorenzo è un bambino di quasi 6 anni. Da 4 o 5 settimane, commincia a vivere la relazione con la terapeuta senza la madre : infatti, al'inizio, per quasi 18 mesi, la terapia si è svolta in 3: madre, bambino e terapeuta.
È in questo periodo, in cui accetta la separazione che si svolge la seduta che voglio racontarvi.
Lorenzo entra nello studio. Proprio prima che la porta sia chiusa, mi dice "scrivi", gli chiedo : cosa vuoi che scriva? , "tutto, tutto quello che faccio, come gioco, tutto quello che dico".
Lorenzo mi ha gia visto prendere degli appunti durante la seduta, ma questa ingunzione mi sembra carica di uno senso nuovo, profondo, benché non riesca a capire di che si tratta.
Penso che desidera che la mia attenzione a quello che fa, sia occupata da lui, anche dallo scrivere. Mi siedo, con carta e pena, anche fiduciosa che il senso simbolico uscirà da questa ingunzione.
Adesso, vi invito, a sognare con me, nello spazio di questa seduta.
Mentre commincio a scrivere quello che succede, Lorenzo m'interroga, da lontano, cercando gli accessori dei personnagi di Play-Mobil che, di solito, usa per construire le sue storie. Mi interroga, in modo un pomeccanico per sapere dove sono le cose, ma le trova da solo nel cestino, che conosce molto bene e che utilizza ad ogni seduta.
Anch'io rispondendo un poda lontano, a domande che non chiedono veramente delle risposte, penso, dunque scrivo, che, forse,vuole stabilire un legame tra noi, pero non troppo teso, e che le sue domande, cosi elusive, servono proprio a questo.
Scrivo: ha bisogno di sentirmi assorbita soltanto da lui, pero, in modo indiretto. Le emozioni, i sentimenti che provo, le idee che di solito metto in parole, le interpretazioni, amplificazioni, o anche, le domande su quello che succede, oggi, a sua richesta, deveno essere sostitute con il lavoro del mio pensiero e della sua rappresentazione grafica, nella scrittura.
Quando mi chiede d'essere assorbita a pensarlo sulla carta, forse è perchè esiste dentro di lui la paura di farsi assorbire da me, cioè dal contatto diretto, forse troppo diretto, non mediato dalla scrittura.
Lorenzo, qui, mi fa capire che, quello che gli conviene, sarebbe, che come lui, avessi, anch'io, la mia propria area di gioco, per essere sola, nella sua presenza, come lui vuole essere solo, nella mia presenza.
Vedo, dunque, disegnarsi una situazione simmetrica tra di noi. Una situazione a specchio : nel gioco, lui mette in scena una rincorsa tra un biker e una navicella spaziale. Il pilota della moto e quello della navicella sono due personnagi maschili identitici. Uno sta nella bolla della navicella, l'altro fuori, inforca la moto. Ambedue cercano di affrontarsi in un singolar tenzone, il pilota della navicella, pero, protetto dalla sua volatilità, sfugge sempre al biker...
Seguendo l'idea dello specchio, aggiungerei che Lorenzo mi chiede da un lato di restare attenta a quello che fa, di osservarlo, e, dall'altro, di distanziarmi nella scrittura, e anche forse, nella mia rêverie...
Nel suo gioco, percepisco una figura simbolica scissa in due elementi, uno maschile, l'altro, piutosto femminile, per la forma contenente, rotonda e chiusa della navicella spaziale.
Penso che questa figura simbolica potrebbe rinviare alle parti proiettate di una coppia maschile/femminile, che commincia a rappresentarsi. La corsa-inseguimento, pero, fa pensare che le due parti maschile e femminile non sono capaci di dialogare in modo equilibrato: una cerca di prendere l'altra, come per annulare la differenza, o per rendere il rapporto impossibile.
Continuando la mia rêverie, a proposito di questo spazio transizionale, simmetrico, mi dico che il bambino ci esprime la capacità a sentirsi, nello stesso tempo, solo e legato: solo nello gioco che l'assorbisce, dove i protagonisti sono legati dalla rincorsa, e legato, prima, dalle poche parole che abbiamo scambiato, e poi, dal mio scrivere su di lui.
Proviamo a interpretare più oltre questa idea della coppia: quando mi ordina " scrivi", mi chiede di ri-marcare, di essere il testimone attivo di questa nuova capacità a vivere il confronto degli opposti: solo/con, fuori/dentro, terrestre/aereo, maschile-eretto/femminile-contenente, senza che la sua psiche sia invasa, da fantasie di angoscia, legate alla confusione, che, di solito, facevano esplodere il gioco, in senso psicologico ma anche reale.
Lo spazio transizionale del gioco, dove si è installato, ha il suo parallelo nello spazio transizionale dello scrivere e del pensiero dove mi ha chiesto di installarmi. Sento che l'atmosfera relazionale è molto tranquilla.
Proseguo la mia rêverie...
Adesso, penso ad una situazione a tre: lui, io e il mio scrivere.
Nella coppia io-e-lo-scrivere, immagino una coppia formata dal rappresentante femminile, la terapeuta, e un rappresentante maschile simbolico, che funziona come differenziatore, faccendo appello alle categorie organizatrici del pensiero conscio. Per sottolineare la sua componente maschile, lo chiamero ormai, lo scrittore, si potrebbe anche chiamarlo Logos, o Animus.
Ricapitoliamo il mio iter:
- saremmo passati dalla paura fantasmatica di essere assorbito dal materno arcaico, progettato su di me, nel faccia a faccia del duello,
- alla creazione di uno rapporto a tre, tra il bambino che incontra un femminile, anch'esso in congunzione con un maschile che abbiamo chiamato lo scrittore.
Si portebbe discutere del salto che faccio dal materno arcaico al femminile. Come dice l'articolo che abbiamo scritto Giuseppe Maffei ed io, l'uscita del materno arcaico, che implica l'appertura della fusionalità tra madre e bambino, fa nascere il pensiero, accesso alla vita simbolica e alla rappresentazione.
A un certo punto, sento, nelle interazioni di Lorenzo, un cambiamento di tonalità: durante sua terapia, ha avuto spesso, dei comportamenti molto agressivi, nei miei confronti, o nei confronti del setting; oggi, invece, ha un comportamento differente e nuovo: va sul divano, organizza con i cuscini una base per la navicella spaziale, mi dice "vedi, posso salire sul divano, ma non lo sporco..." È vero che aveva voluto, da solo, togliere i stivali fangosi nella sala d'attesa.
A questo punto, posso scrivere, dunque, che Lorenzo ha accettato d'integrare l'alterità, que permette di riconoscere l'altro come una parte diversa di se stesso, con il sacrificio d'onnipotenza che questo implica.
Poi, la mia reflessione continua, vedendo che, proprio prima della fine della seduta, Lorenzo va a installare la navicella spaziale con il suo occupante, nell'angolo più scuro e più ritirato dello studio, sotto il tavolo, dietro il cestino, al sicuro nelle pieghe delle tende.
Alla fine della seduta preferisce lasciare i giochi senza metterli a posto, abitato, come sempre, della fantasia di poter ritrovarli nello stesso ordine, alla prossima seduta.
Dopo la sua partenza, rimettendo i Play mobils nel cestino, saromolto sorpresa di scoprire che ha sostituito il pilota della navicella spaziale con una figura femminile di bambina.
Devo dire, che, fino ad oggi, comminciava quasi ogni seduta selezionando in modo piutosto rabbioso nel materiale "quello che veramente non l'interessava", cioè tutte cio che aveva una connotazione femminile materna : toglieva i neonati, le culle, le mamme, le bambine, gli ustensili di cuccina, etc.
Lorenzo è uscito, ed io, sotto il tavolo, a carponi, mi dico, "adesso siamo in quattro, una terapeuta con il suo scrittore, e un bambino con una bambina dentro la navicella".
In quelle 4 o 5 sedute in cui Lorenzo è rimasto solo con me, è la prima volta che mette in scena, a livello simbolico, il legame maschile femminile. È la prima volta che non fa un disegno "per la mamma", acting a-simbolico, che tenta di ragiungerla nella realtà, senza poter introgettare una dimensione materna di sicurezza.
L'osservazione che vi ho presentato risale al 92. Avevo aggiunto un commento che, oggi mi sembra insufficente. Mi mancavano due nozioni chiave che non avevo ancora incontrato. La prima è la nozione del doppio.
A proposito del doppio, vorrei citare Francesco Donfrancesco, quando scrive su Anima : "il riconoscimento di Animus e Anima significa un'esperienza specifica, che sembra riservata perlopiù, o almeno primariamente, allo psicoterapeuta".
Più avanti, aggiunge: "La sizigia sarrebbe la forma di coscienza propria di uno psicoterapeuta: sarrebbe infatti quel punto di vista che stabilisce il fuoco dell'attenzione e dell'interesse non sull'intero e il costante, ma sul particolare, sul temporaneo di volta in volta diverso e cosi rende capaci di penetrare nelle singole emozioni, nelle singole immagini, nelle complessità dei rapporti e di riflettere con cura le illusioni e i grovigli dell'anima".
Leggendo queste parole mi chiedevo se il riconscimento dell'anima e del animus, non era, per una donna, un modo di pensare, la madre abastanza buona, cioè quella che puoentrare, dentro di lei, in contatto con una mancanza/presenza del maschile.
Mi manca il tempo per sviluppare tutto quello che abbiamo cominciato a pensare con Giuseppe Maffei sull'argomento del doppio: basterà dire che la nascita psichica del neonato attraversa, all'uscire dalla fusionalità narcissistica con la madre, un momento di doppio, in cui la madre è percepita come una parte di se ed una parte di altro, un momento che abbiamo chiamato doppio-di-se/doppio-di-madre.
La parte madre, portatrice d'alterità, è doppia anche essa: una femminilità materna che contiene, dentro di lei, la tracia psichica dell'uomo, e al livello conscio, il legame affetivo con quest'ultimo.
Quando ci troviamo con pazienti come Lorenzo, sia bambini che adulti, che vivono o hanno vissuto in contatto con una madre la cui psiche ha quasi cancellato questa tracia del maschile paterno, sia usando la forclusione, sia il diniego o anche soltanto usando la disqualificazione, cosa succede nelle proiezioni del transfert sul terapeuta?
Mi sembra che si puo dire che il paziente proietta, per via d'identificazione proiettiva, nel transfert, una figura materna, in cui manca il doppio maschile, cioè senza alterità, senza differenza, ripetendo il fantasma partenogenetico della madre che diniega il maschile paterno. Si capisce bene che questo tipo di transfert, tocca, in maggior parte, i terapeuti donne.
Quando Lorenzo esige dalla sua terapeuta che essa si assorbisca dentro questo lavoro di pensiero e di scritura, cosa fa? Le chiede che attinga la traccia psichica maschile di cui lui ha bisogno per liberarsi dal potere della fusionnalità materna.
Prima di concludere, dobbiamo chiederci cosa è questo maschile che sarebbe rappresentato dalla scritura e dal pensiero della terapeuta?
Vorrei dire, che, per me, l'atto di scrivere è un oggettivazione, che organizza i sentimenti e le emozioni dentro un lessico che si puo condividere.... La scritura ci preserva dall' omnipotenza emozionale.
La seconda nozione che mi mancava è la figurabilità. Sono i freudo-kleinieni, Cesar e Sarah Botella che mi hanno permesso di andar avanti su questa questione.
Infatti, noi junghiani, siamo abituati a pensare che i momenti strutturanti della vita psichica, che non sono stati vissuti in un rapporto personale con una madre in carne ed ossa, rimangono in una attesa archetipica, come grandi immagini, cariche di una forte energia, che cercano di attuarsi in un incontro umano, per portar avanti il processo di individuazione.
L'esperienza clinica, pero, ci mostra che certe esperienze precoci di privazione, sono tanto invadente che il potenziale archetipico è anche lui inraggiungibile : questi pazienti si vivono come contenitori vuoti, hanno spesso a disposizione un largo registro di espressioni auto-erotiche che sembrano dar vita al mondo interno, anche se funzionano come inganni. Questi pazienti danno la prevalenza al mondo percettivo e al fare, come forma di rapporto a se e all'altro.
Con tali pazienti, il problema non è di far risalire il materiale rimosso, ma, piutosto di permettere al non-vissuto, al non-figurabile, di figurarsi, dentro il rapporto all'altro, nel transfert. Mi sembra che lo stato psichico di rêverie, sia una via creativa per raggiungere il topos psichico dove si trovano questi pazienti.
Chiedendo alla terapeuta di scrivere, Lorenzo ci informa del suo ingresso nel mondo della rappresentazione. Esiste un contenitore simbolico per un pericolo che non era figurabile, che consente adesso di tenere a distanza il rischio di perdita dell'oggetto.
Scrivere è come avere. La terapeuta, coll'ingunzione di scrivere, è caricata del lavoro di trasposizione, che va dal gioco, verso un atto simbolico che trascende la volatilità, la fugacità dell'esperienza dell'istante, per iscriverlo in una mitologia, una epopea, una fiaba, uno raconto...una relazione.
I Botella insistono che, a loro avviso, il carattere traumatico dello trauma infantile non corrisponde nè al modello della nevrosi traumatica, nè a quello dell'après coup. Il carattere traumatico dello trauma non verrebbe nè dall'intensità di una percezione, nè dal contenuto di una rappresentazione, ma dall'incapacità a trasformare, a rendere psichico uno stato chi, proprio a causa di questa incapacità, si transforma in un eccedente di energia, uno percettivo non legato".
Teoricamente, questo contributo esogeno, ci permette di animare dall'interno, la nozione junghiana di animus, e di articolarla ad un largo campo simbolico che va dalla traccia cancellata del maschile nella psiche materna, fino all'iscrizione del bambino in un mito personnale che nomina nello stesso momento, la differenza e il legame.
Vi ringrazio per l'ascolto attento.
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