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Peter Fonagy - Mary Target, Psicopatologia evolutiva. Le teorie psicoanalitiche, Cortina, Milano 2005, pp. 474, Euro 37,50.

 

 

Il libro di Fonagy e Target non intende proporsi solo come una sintesi dei piu’ significativi contributi alla psicopatologia evolutiva da parte delle correnti analitiche, ma, come le opere di altri autori, da Eagle a Green, denuncia lo sgretolamento dell’unita’ dottrinale della psicoanalisi, nel senso di un’inarrestabile crisi di cui egli prevede, in mancanza di una svolta critica, un esito letale.

Se infatti Green, alludendo alla frammentazione teorica e al proliferare di scuole e sottoscuole, parlava di "tanti stati nello Stato", Fonagy usa la suggestiva metafora secondo cui ogni psicoanalista coltiverebbe "il suo orticello sempre piu’ piccolo". Parlando quindi coraggiosamente del rischio di un’imminente "morte della psicoanalisi", l’autore non si limita ad un generico appello a ricompattarsi sotto un’insegna ormai logora, ridotta al comune background storico e terminologico, ma tenta di individuare le cause della crisi storica e attuale della teoria freudiana.

L’iniziale rassegna delle teorie psicoanalitiche mostra la costante evoluzione di un processo che, a partire dalla teoria pulsionale di Freud, sposta progressivamente l’attenzione sullo sviluppo e sulle funzioni dell’Io (sono citati in particolare H. Hartmann, che ha messo in evidenza il ruolo delle capacita’ adattive dell’Io nella lotta contro la dipendenza dai bisogni biologici, e Anna Freud, forse la prima a porre il problema dello sviluppo evolutivo al centro del pensiero psicoanalitico), per arrivare alla teoria delle relazioni oggettuali, per cui lo sviluppo del bambino è imprescindibile dalla relazione diadica con la madre e dalle rappresentazioni interne delle relazioni interpersonali.

A tale proposito, i concetti kleniani e degli psicoanalisti post-kleniani (in particolare Bion e Rosenfeld) hanno fornito efficaci correlazioni tra il rapporto madre-bambino e quello tra analista-paziente, ed hanno sottolineato l’importanza dell'impatto emotivo sullo sviluppo delle capacita’ cognitive. Parallelamente a queste teorie, si è sviluppata la psicologia del Sè di Kohut: la teoria pulsionale sembra diventare qui secondaria rispetto all’istanza del raggiungimento di un Sè coeso e integrato (attraverso la funzione di rispecchiamento, ovvero di "oggetto-Sè", da parte del caregiver), il cui deficit porterebbe allo slatentizzarsi di aggressivita’ e pulsioni sessuali isolate.

Il modello di Fonagy e Target, sviluppato sulla base di osservazioni empiriche ed elaborazioni teoriche, si focalizza invece sulla capacita’ di comprendere il comportamento interpersonale in termini di stati mentali, definita "mentalizzazione". Tale funzione riflessiva, acquisita nell'ambito delle prime relazioni di attaccamento, risulta fondamentale ai fini della organizzazione del Sè e della regolazione affettiva. La mentalizzazione è definita quindi "il processo per mezzo del quale la comprensione del Sè in quanto agente mentale si sviluppa dall'esperienza interpersonale, in particolare dalle prime relazioni oggettuali".

L'esperienza infantile di avere una mente o un Se’ psicologico, distinto dall’alterita’, non sarebbe dipendente da fattori genetici, ma risulterebbe dall'interazione, nel corso dell'eta’ evolutiva, con menti piu’ mature, che siano "benevole, riflessive e sufficientemente in sintonia".

La mentalizzazione sarebbe quindi un processo composto da fattori sia autoriflessivi sia interpersonali: solo la loro combinazione consentirebbe al bambino di distinguere la realta’ esterna da quella interna, ed in particolare le emozioni interiori dagli eventi interpersonali.

La mentalizzazione non è quindi, secondo gli autori, solo un processo cognitivo, ma è strettamente connessa al concetto di "regolazione affettiva", cioe’ la capacita’ di modulare i propri stati emotivi, fondamentale per l'acquisizione di un autentico senso di Se’.

Obiettivo del trattamento psicoanalitico sarebbe pertanto quello di raggiungere una sufficiente "affettivita’ mentalizzata" (concetto di Jurist che definisce una capacita’ matura di regolazione affettiva), che, secondo Fonagy e Target, "rappresenta la comprensione esperienziale dei sentimenti in un modo che va ben oltre la comprensione intellettuale".

I concetti di regolazione affettiva e mentalizzazione presentano significativi punti in comune con precedenti teorie evolutive: analogamente alla teoria dell'attaccamento di Bowlby, si riconosce il ruolo centrale di un ambiente che permetta la comprensione, da parte del bambino, degli stati mentali degli altri e del Sè, e quindi l'instaurazione del processo di mentalizzazione.

Sono inoltre evidenti le influenze del modello bioniano: il bambino cercherebbe nel

genitore una rappresentazione del proprio stato mentale da interiorizzare per raggiungere

un'adeguata regolazione affettiva, utilizzando quindi la capacita’ della madre di "contenere"

mentalmente stati affettivi riconosciuti come intollerabili e di modulare sentimenti ingestibili.

Un'armonica relazione con la madre permetterebbe quindi sia un attaccamento piu’ maturo

del bambino sia la comparsa e lo sviluppo del pensiero simbolico-rappresentazionale.

La teoria evolutiva di Fonagy e Target presuppone che il bambino, nelle prime fasi

della vita, equipari il mondo interno a quello esterno, nella "modalita’ dell'equivalenza

psichica". Per fronteggiare le terrifiche esperienze provocate dalla proiezione delle

proprie fantasie all'esterno, il bambino dovrebbe acquisire una "modalita’ di far finta"

in relazione ai propri stati mentali: questa sarebbe la finalita’ del gioco, in cui è possibile

pensare che lo stato interno non abbia alcuna implicazione col mondo esterno.

Quando le due modalita’ sono integrate (normalmente verso i 4 anni di eta’) si arriverebbe,

infine, alla mentalizzazione (o "modalita’ riflessiva"): dimensione fondamentale per

uno sviluppo esente da rischi patologici, "nella quale gli stati mentali sono

esperiti come rappresentazioni".

Il modello di psicopatologia presentato dagli autori è in stretta relazione con la loro

teoria evolutiva: una persistente equiparazione di mondo esterno e interno, secondo la

modalita’ dell'equivalenza psichica, sarebbe dominante nel mondo soggettivo di pazienti

con gravi disturbi di personalita’. In particolare, la relazione con un genitore distanziante, o,

al contrario, troppo preoccupato ed ansioso, porterebbe, in entrambi i casi, ad un rispecchiamento

affettivo patologico da parte del bambino.

Egli sarebbe incapace, infatti, non solo di creare una rappresentazione secondaria,

ma anche di stabilire il senso di un confine fra se’ e l'altro: attraverso l'identificazione

proiettiva, un'esperienza interna diventa improvvisamente esterna.

Questa difesa è tipica del paziente con disturbo borderline di personalita’. Altra

conseguenza di un inadeguato rispecchiamento genitoriale sarebbe lo sviluppo di un

"Sè estraneo", quando il bambino, secondo Fonagy e Target, non riesce a trovare "se stesso"

nella mente della madre, ma vi trova invece "lei" (come afferma Winnicott a proposito dello

sviluppo del "falso Sè "), ed è costretto ad un'erronea interiorizzazione dello stato mentale

dell'oggetto come una parte nucleare di se stesso. La disorganizzazione del Se’ porterebbe ad

una frammentazione delle relazioni di attaccamento, creando un bisogno costante di

identificazione proiettiva ("l'esternalizzazione del Se’ estraneo") in qualsiasi relazione intima.

Successive esperienze di traumi relazionali potrebbero indurre il bambino a dissociarsi dalla

sofferenza usando proprio il Sè estraneo per identificarsi con l'aggressore, percependo se stesso

come distruttivo e, in alcuni casi, mostruoso. La possibilita’ di sopravvivere ad esperienze

traumatiche sarebbe invece migliore se la mentalizzazione fosse liberamente disponibile e

consentisse di interpretare il comportamento dell'aggressore.

Compito dello psicoterapeuta sarebbe quindi simile a quello del genitore, con la funzione sia di "contenere" le angosce del paziente (come afferma Bion), sia di mettere in evidenza il "carattere rappresentazionale" del suo pensiero.

Il setting analitico dovrebbe focalizzarsi sull'esperienza transferale attuale del paziente. I cosiddetti "enactments", ovvero i momenti in cui il paziente è costretto ad esternalizzare le parti estranee del Sè, sarebbero le situazioni in cui il terapeuta potrebbe venire a contatto con la sua vera interiorita’, anche se questi sono anche i momenti più difficili per la comunicazione di un insight, vista l'intensa esperienza emotiva che il paziente sta sperimentando.

Dal punto di vista epistemologico si riscontra un certo eclettismo terminologico: il termine "mentalizzazione" sembra evidenziare le influenze del cognitivismo, che cerca di individuare un processo di funzionamento mentale compatibile con le recenti scoperte delle neuroscienze (nel tentativo, in ultima analisi, di spiegare l’attivita’ psichica in funzione della neurofisiologia). Il concetto di "regolazione affettiva" si puo’ ricollegare, invece, alle teorie psicoanalitiche pulsionali, in cui si usa il termine "affetto", e non "sentimento", per riferirsi ad un derivato di pulsioni istintuali, traducibile in termini naturalistici.

L’Io sarebbe quindi concepito empiricamente come un "contenitore vuoto" e gli "affetti" come accadimenti spiegabili dal punto di vista biologico (in tal senso si potrebbe affermare che, come avviene a livello di qualsiasi altro apparato somatico, anche l’apparato psichico possa essere "affetto" da un processo patologico, che causerebbe un’alterazione della regolazione delle cariche libidiche).

Il termine "comprensione esperienziale dei sentimenti" richiama, invece, una dimensione molto lontana dalle precedenti, quella della fenomenologia: la crescita del soggetto, nel corso dell’ eta’ evolutiva, non sarebbe proporzionale alle sue semplici acquisizioni intellettuali, ma rivestirebbe un ruolo fondamentale in questo processo relativo alla "esperienza dei sentimenti", che sembra pero’ difficile comprendere senza assumere una dimensione che trascenda il puro naturalismo. Gli autori manifestano quindi la necessita’ di evadere dai limiti dell’ortodossia psicoanalitica: è innegabile, comunque, che sia molto sottile il confine tra l'esigenza di un rinnovamento teoretico e l’ambiguita’ nell’uso simultaneo di termini che, almeno nei significati originari, sembrano quasi contraddittori.

Riguardo invece alle questioni relative alle frequenti discrepanze tra teoria e pratica in psicoanalisi, gli autori mettono in rilievo, in particolare, come, da un lato, si assista alla continua nascita di nuove teorie, mentre dall’altro si evidenzierebbe un sostanziale immobilismo delle metodologie cliniche, che si mantengono aderenti alla cornice tradizionale.

Questa carenza, sul piano della pratica, additata dagli oppositori della psicoanalisi come ragione stessa del suo declino, sarebbe riconducibile all’interesse predominante di Freud per gli aspetti teorici della dottrina, rispetto a quelli clinici, dove egli ammetteva di procedere "per prove ed errori".

Attualmente, secondo Fonagy e Target, ogni psicoanalista cercherebbe, nella sua esperienza clinica, una conferma, a volte forzata, dei suoi presupposti teorici, trascurando implicitamente le verifiche negative.

Si identifica nel predominante "induttivismo enumerativo" (cioe’ la pura raccolta di situazioni coerenti con una premessa) il limite della psicoanalisi, che, a differenza delle altre dottrine scientifiche, rinuncerebbe ad un rigoroso metodo deduttivo, consistente in piu’ saldi legami tra teoria e tecnica. Questo comporterebbe l’ "empirizzazione" di ogni assunto, decadendo spesso in un immediato pragmatismo.

La mancanza di connessione tra teoria e tecnica sarebbe la causa dell’attuale "eclettismo metodologico". Si arrivera’ al paradosso che ogni autore sia portato cosi’ a focalizzare la sua attenzione su aspetti particolari delle problematiche del suo paziente, finendo per cercarvi aprioristicamente conferma alle sue posizioni teoriche, anziche’ inquadrarle nell’ambito di un generale ed organico sistema dottrinale.

A riprova della scarsa scientificita’ attribuita alla pratica clinica, Fonagy, nell'agosto 2003, in una discussione con Blum sulla mailing-list dell'International Journal of Psychoanalysis, osservava, a proposito della mancanza di scientificita’ dei trattamenti psicoanalitici, come la stessa ricostruzione della storia dei vissuti del paziente possa apparire dubbia dal punto di vista della veridicita’ oggettiva, assumendo piuttosto la forma di una "narrativa" non del tutto fedele alla realta’ dei fatti, scaturita da una sorta di sottile collusione tra analista e paziente.

Gli autori, nella loro pur efficace critica delle carenze epistemologiche che caratterizzano la psicoanalisi contemporanea, non sembrano mettere in evidenza come gia’ nel sistema freudiano fosse presente una dicotomia metodologica tra teoria e pratica clinica. Sul piano pratico della psicologia clinica, dove Freud si trovava a diretto contatto con l’esperienza psichica, l’attenzione era focalizzata sulle tematiche dell’interiorita’ umana attraverso un metodo terapeutico autenticamente dialogico, fondato sulla più incondizionata autonomia della personalita’ umana. Nello stesso tempo, pero’, sul piano teorico, ritroviamo nello stesso Freud il costante proposito di conferire ai problemi dell’interiorita’ psichica e della personalita’ umana un’interpretazione fondata sui principi del piu’ assoluto riduzionismo biologico.

Diceva infatti Freud, nella sua "Introduzione al narcisismo", riferendosi al futuro della psicologia in relazione alle scoperte biologiche: "Forse queste risposte saranno tali da far crollare tutto l'artificioso edificio delle nostre ipotesi (...) Probabilmente le carenze della nostra esposizione scomparirebbero se fossimo gia’ nella condizione di sostituire i termini psicologici con quelli della fisiologia o della chimica". E' chiara l'impostazione organicistica e naturalistica, che difficilmente potra’ tradursi, sul piano pratico, in un trattamento psicologico scientificamente aderente alla teoria.

Altre correnti, all'interno della psicoanalisi, sembrano rivendicare un principio di maggiore autonomia alla soggettivita’, attraverso un concetto di Io riflessivo e un’attenzione alle modalita’ del suo sviluppo relazionale; esse non giungono, tuttavia, ad una vera riformulazione teoretica dei contenuti freudiani, restando sul piano di un'ambiguita’, come gia’ osservato, anche terminologica.

Al di fuori della psicoanalisi, le correnti fenomenologiche si oppongono alla pretesa di ridurre il problema della personalita’ al puro livello psicobiologico, rivendicandone l'assoluta originalita’, come "Erlebnis", come vissuto mai riducibile al puro biologismo. Jaspers, a questo proposito, affianca al metodo della "spiegazione", come ricerca dei nessi causali naturalistici, il metodo della "comprensione": l'unico idoneo a cogliere intuitivamente e analogicamente le manifestazioni della vita psichica e affettiva.

Le correnti socio-culturali e interpersonali condividono l'esigenza di superare i limiti della teoria pulsionale, considerata inidonea a cogliere in modo esaustivo la complessita’ della vita psichica.

In questo senso, l'approccio di Sullivan (illustrato anche da Fonagy e Target) sottolinea come la motivazione fondamentale di ogni comportamento umano sia rappresentata dall'intenzione di stabilire una relazione con l'alterita’, il cui fondamento è sempre da ricercare sul piano dell'interiorita’ soggettiva e non, quindi, nel mondo naturale.

Il problema del rapporto tra psicologia e scienza, tuttavia, non sembra risolto del tutto neppure attraverso questi indirizzi metodologici, che abdicano a priori ad ogni principio di sistematicita’ razionale, pur preservando le istanze dell’interiorita’ soggettiva.

Per non rinunciare, quindi, ne’ alle autentiche tematiche interiori, ne’alla sistematicita’ di una scienza psicologica, si renderebbe necessaria l'assunzione di una formula logica e interpretativa che ponga al centro la stessa contraddizione dialettica della vita psichica, come costante problematizzazione tra interorita’ e esterorita’, Io e mondo esterno, Io e Se stesso.

GABRIELE GIACOMINI

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