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RUBRICA A CURA DI NADIA MICALI - Dept. of Psychological Medicine, Institute of Psychiatry - De Crespigny Park - London


Passaggio in India

 

E'strano cominciare una corrispondenza da Londra facendo un salto spaziale di migliaia di chilometri per trovarsi a scrivere sull'India.

Il motivo pricipale di cio'e'una mia recente visita in India in occasione del Congresso internazionale di psichiatria infantile (ICCAPAP), svoltosi a Nuova Delhi qualche settimana fa. Il secondo motivo per questa scelta e'il legame ancora forte che esiste tra l’India ed i suoi colonizzatori di un tempo non molto lontano e le sue implicazioni sulla nostra pratica clinica .

Il congresso ha aveva come scopo integrare temi diversi relativi alla psichiatria infantile, trattando aspetti sociali e culturali caratteristici del paese ospite, lo sviluppo di servizi territoriali in India ed in altri paesi in via di sviluppo, non dimenticando l’approccio prettamente occidentale alla etio-patogenesi ed al trattamento in psichiatria infantile.

L'Europa e gli Stati Uniti hanno visto la psichiatria infantile svilupparsi come specialita'a se nell’ultimo secolo, gli sviluppi di questa disciplina sono in seguito stati " esportati" nel resto del mondo.

La situazione economica indiana, affine ad altri paesi "poveri", fa si'che vi sia una grande differenza nel modo in cui ci si prende cura dell’infanzia. Una studentessa di economia indiana mi ha detto sul treno: " dobbiamo far fronte a problemi piu'elementari, come la malnutrizione, la mortalita'infantile, l’analfabetismo. Come possiamo pensare alla salute mentale dei nostri bambini?".

Nonostante cio’, citava la Prof. S. Malhotra, il numero di bambini in l’India raggiunge circa i 350 milioni, ed il numero di psichiatri infantili e'circa 20 in tutto il paese, piu'50 psichiatri generali che svolgono attivita'clinica di psichiatria infantile. Inoltre la maggior parte dei centri clinici sono situati nelle metropoli e l’80% della popolazione che vive in zone rurali e semi-rurali non ha accesso a servizi di psichiatria infantile. Il problema e'dunque la mancanza di risorse umane, in termini di psichiatri che ricevono una formazione adeguata, e lo squilibrio di servizi territoriali esistenti in diverse aree del paese

.

A fronte di cio’, e'stato riportato durante il congresso, che la prevalenza di disturbi psichiatrici tra i bambini indiani e'risultata, in uno studio condotto in tre siti diversi, simile a quella trovata negli studi di Michael Rutter sull’isola di Wight, in Inghilterra. Non bisogna dimenticare che sicuramente la prevalenza di alcune patologie e'maggiore in paesi come l’India rispetto all’occidente, ad esempio disturbi neuropsichiatrici (epilessia, ritardo mentale) o disturbi di somatizzazione, conversione e sintomi somatici non-specifici. Altri disturbi, come i disturbi dell’alimentazione o l’iperattivita'con disturbo dell’attenzione, fra gli altri, sono meno presenti in questo paese.

Le influenze culturali sul modello di sviluppo psicologico del bambino giocano un ruolo importante nel nostro approccio alle patologie psichiatriche nell’infanzia.

Riguardo allo sviluppo infantile, ho appreso con curiosita'che secondo l’Ayurveda, uno dei piu'antichi sistemi filosofici e medici indiani, lo sviluppo psicologico del bambino comincia al concepimento. La nascita rappresenta la fine del primo stadio di sviluppo, per cui un concetto centrale del modus pensandi indiano e'che la personalita'del bambino si forma durante la gestazione invece che durante l’infanzia. Inoltre data la teoria della trasmigrazione delle anime, l’idea che un bambino nasca con delle qualita'psichiche innate, provenienti da una vita precedente, fa si'che ci sia una pressione minore da parte dei genitori a plasmare il carattere dei figli. Culturalmente e socialmente l’enfasi e' sulle caratteristiche innate del bambino, i genitori sono quindi piu'flessibili ed indulgenti nell’educazione.

Passiamo ad aspetti del trattamento.

Si e'discusso dei vari approcci farmacologici in psichiatria infantile, utilizzati anche dai colleghi indiani.

Fondamentale, mi e'stato descritto da uno psicologo di Benares, e'pero’nell’approccio indiano alla psichiatria infantile il ruolo della famiglia. Nelle famiglie indiane l’educazione dei figli e'focalizzata sul bambino, favorisce la dipendenza, piuttosto che l’indipendenza come in occidente, e valorizza la conformita'al gruppo e la ricerca dell’approvazione del gruppo piuttosto che lo sviluppo di desideri personali. L’unita'familiare e'quindi caratterizzata da rispetto dei sentimenti di ognuno, creando un’atmosfera di sicurezza e sacrificio all’interno di essa.

Coinvolgere la famiglia nel processo terapeutico viene considerato molto importante, inoltre appare necessario integrare modelli di cura tradizionali ai classici modelli occidentali. Spesso, secondo un assistente sociale di Chennai, il focus terapeutico e'sulla semplicita'delle relazioni tra bambino e genitore, sull’affetto ed il bonding.

Queste riflessioni socio-culturali, mi hanno dato molto da pensare sui modelli di patogenesi e trattamento della malattia mentale occidentali che noi in Inghilterra ci troviamo spesso ad "imporre"ad una gran parte dei nostri pazienti, ed ai loro genitori, ovvero al gran numero di individui di diversi gruppi etnici che giungono alla nostra osservazione. Londra soprattutto e'ricca di comunita'asiatiche ed afro-caraibiche, per parlare delle piu'numerose, e spesso ci si trova di fronte a cercare di comprendere la malattia mentale con l’occhio occidentale.

Probabilmente cio'e'applicabile a chiunque di noi si trovi a fare clinica in luoghi dove il faccia a faccia medico con minoranze etniche e'una realta'quotidiana. Adottare nella pratica clinica quotidiana un approccio diverso da quello occidentale, etnocentrico per eccellenza, rappresenta, secondo me, un’esigenza di primaria importanza nel momento storico che stiamo vivendo.

Esiste una letteratura ricca sull’approccio cross-culturale in psichiatria, ma nonostante cio'ci troviamo spesso durante il nostro lavoro quotidiano a dimenticare il ruolo che la "cultura" gioca nel vissuto dei nostri pazienti.

In conclusione, penso che confrontarsi con modelli culturali e sociali diversi dai nostri possa divenire uno strumento indispensabile per comprendere gli effetti che essi hanno su ciascuno di noi e di applicare questa consapevolezza a problemi clinici specifici.

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NADIA MICALI

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