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F. Gabrielli, P. Cardinale (a cura di), L'Amministrazione di Sostegno nella realtà ospedaliera. Teoria e pratica, Giappichelli Editore, Torino, 2008, pp. 214, euro 25.

L'introduzione della figura dell'Amministratore di sostegno (stabilita dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6) ha risposto all'esigenza di risolvere alcune delle storiche contraddizioni riguardanti gli strumenti di tutela del paziente psichiatrico. Tale innovazione ha l'obiettivo di superare l'antica equivalenza tra malattia di mente ed incapacità di agire del soggetto, e si ricollega all'intento della legge Basaglia (1978) di riconoscere progressivamente al paziente nuovi spazi di libertà e di autonomia (come osserva Bandini nel capitolo iniziale).

Il testo in questione nasce dagli interventi degli Autori partecipanti al Convegno "L'Amministrazione di sostegno: applicabilità in ambito ospedaliero", che si è svolto a Genova nel giugno 2005, grazie alla collaborazione tra la Clinica Psichiatrica, l'Azienda Ospedaliera "S. Martino" di Genova ed il Corso di Laurea in Servizio Sociale della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Genova. Tali contributi originari sono stati rivisti ed aggiornati in base alle norme giuridiche attualmente vigenti, per evidenziare le principali funzioni innovative dell'Amministratore di sostegno, figura che avrebbe un ruolo più flessibile ed adattabile alle esigenze del singolo paziente rispetto ai provvedimenti assistenziali precedentemente introdotti.

Le misure di interdizione e di inabilitazione, infatti, pur essendo necessarie a tutelare gli interessi materiali ed esistenziali dei pazienti più gravi, appaiono eccessivamente restrittive verso i soggetti che, pur soffrendo di disturbi psichici rilevanti, possono godere di un buon compenso psicopatologico grazie alle attuali opzioni farmacologiche e psicoterapeutiche, e di fatto sono in grado di mantenere un sufficiente adattamento in molte o alcune aree (sociale, lavorativa, ecc.). Anche in ambito assistenziale è in corso da tempo, quindi, una progressiva revisione dei dispositivi di protezione del malato, per abolire l'antico pregiudizio secondo cui il paziente psichiatrico sarebbe potenzialmente un soggetto pericoloso per sé e per gli altri, incapace, inoltre, di provvedere ai propri interessi.

La nomina dell'Amministratore di sostegno intende porre il malato in condizione di adattarsi nel modo migliore alle menomazioni del suo disturbo, supportando adeguatamente le funzioni psicofisiche ancora efficienti; al contrario, secondo le vecchie norme, i provvedimenti di interdizione e di inabilitazione, pur indirizzati alla protezione del paziente, avevano l’indesiderata conseguenza di ridurre in modo spropositato la sua autonomia.

Il concetto di "sostegno", in particolare, implica lo sviluppo di una particolare forma di relazione tra l'Amministratore e l'assistito, che si colloca oltre la dimensione professionale, per coinvolgere la sfera morale ed esistenziale. A questo proposito, la legge del 2004 indica esplicitamente la necessità, da parte, dell'Amministratore di sostegno, di tutelare non solo i bisogni, ma anche le aspirazioni del beneficiario: tale funzione trova un corrispettivo soltanto nell'art. 147 c.c., in cui viene sancito l'obbligo, da parte dei genitori, di tener conto delle aspirazioni dei figli, all'interno del processo educativo.

I legislatori hanno quindi posto al centro non tanto i beni materiali da tutelare (contrariamente a quanto avveniva nei procedimenti di tutela e curatela, finalizzati prevalentemente alla protezione del patrimonio e degli interessi dei congiunti della persona interessata), ma soprattutto la cura della salute e dell'integrità psicofisica del soggetto.

Si registra, inoltre, un totale rovesciamento della prospettiva in cui considerare il paziente: mentre interdizione ed inabilitazione implicavano una sostanziale incapacità di agire del soggetto interessato, circoscrivendo la sua autonomia ad un numero molto esiguo di azioni, la nomina dell'Amministratore di sostegno concede all'individuo la possibilità di essere considerato tendenzialmente capace, riservando gli atti di competenza dell'Amministratore ad interventi eccezionali, espressamente elencati dal giudice.

Tale procedura appare quindi molto flessibile e adattabile di volta in volta alle esigenze del singolo individuo, oltre che potenzialmente reversibile e passibile di una revisione, non escludendo, in qualche caso, un recupero delle capacità cognitive e fisiche del soggetto (a differenza dell'inflessibilità che caratterizzava la procedura di interdizione).

La proposta per il provvedimento di amministrazione di sostegno, oltre che direttamente dall'interessato o dai suoi familiari, può essere promossa anche dai responsabili dei servizi sanitari, che sono anzi tenuti a proporre al giudice tutelare l'inizio di tale procedura, una volta venuti a conoscenza di precarie condizioni mediche o psicosociali di un paziente.

Ai fini della nomina di un Amministratore è condizione necessaria (ma non sufficiente) l'accertamento medico di una condizione di menomazione fisica o psichica da parte del soggetto interessato, unito ad una diagnosi clinica ed alla dimostrazione di un nesso causale tra patologia e impossibilità parziale o temporanea della persona a provvedere ai propri interessi. Il giudice, quindi, per emettere tale disposizione di sostegno, necessita della collaborazione di una specifica equipe, composta da clinici, medici legali ed anche operatori sanitari e sociali, per stabilire l'incidenza della menomazione psicofisica nella vita della persona e le modalità cliniche ed assistenziali attraverso cui far fronte alla patologia stessa.

Il grado di autonomia del paziente nello svolgere atti della vita quotidiana e la valutazione delle residue capacità cognitive risultano i fattori fondamentali per orientare la scelta verso una procedura di amministrazione di sostegno o di interdizione: appare infatti determinante il funzionamento globale del paziente in questione, anzichè il tipo di psicopatologia presentata, pur essendo in ogni caso fondamentale effettuare una corretta diagnosi clinica.

La procedura dell’interdizione, allo stato attuale, è stata opportunamente modificata dalla nuova legge, per cui si sta sviluppando una "nuova cultura dell'interdizione" (come nota Spallarossa nel secondo capitolo), che consiste nell'applicare tale procedura solo come misura di protezione estrema per il paziente (dopo aver escluso l'opportunità di tutelarlo adeguatamente attraverso la nomina di un Amministratore di sostegno), e nell'esercitarla, quando necessario, con l'intenzione di limitare, comunque, il meno possibile la sua capacità di agire (stabilendo, ad esempio gli atti di ordinaria amministrazione che l'interdetto può ancora svolgere autonomamente).

Da quanto descritto appare evidente l'assoluta assenza di criteri definiti e standardizzati nella scelta tra amministrazione di sostegno o interdizione. Tale assenza di linee guida avrebbe l'obiettivo di superare rigidi schematismi a priori, per privilegiare le esigenze del singolo individuo che necessita assistenza; proprio la grande discrezionalità di scelta conferita al giudice può comportare, tuttavia, alcuni problemi applicativi ed interpretativi riguardo alcuni punti della legge.

E' oggetto di discussione allo stato attuale, in particolare, il problema della scelta tra amministrazione di sostegno e interdizione nei casi di assoluta incapacità di intendere e di volere del paziente. A questo proposito, il ricorso al provvedimento di interdizione è stato criticato in quanto definito anacronistico, mortificatorio e sostituibile con efficacia da un'amministrazione di sostegno con funzioni adeguatamente stabilite dal giudice e modulate secondo le esigenze del paziente; tale interpretazione sarebbe inoltre compatibile con la necessità di rispettare i diritti fondamentali dell'individuo, evitando un'inutile privazione dei suoi spazi di libertà e di autonomia (Savorani). Secondo altri Autori che intervengono nel testo (Martinelli, Mazza Galanti), invece, la procedura di interdizione avrebbe ancora un ruolo necessario e specifico nei casi in cui un soggetto, affetto da una patologia altamente invalidante, abbia la tendenza, a causa di un'insufficiente consapevolezza di malattia, a sfuggire alla rete di controllo assistenziale ed a compiere in modo inadeguato i cosiddetti atti personalissimi (ovvero matrimonio, testamento, donazione, riconoscimento di figlio naturale, prestazione del consenso informato ai trattamenti sanitari).

Un altro tema controverso riguarda i limiti posti dalla legge all'Amministratore di sostegno nello svolgere le sue funzioni, soprattutto per quanto riguarda la facoltà di sostituirsi al proprio assistito nel consenso ad un trattamento sanitario. Secondo l'art. 5 della Convenzione di Oviedo, a questo proposito, non può essere effettuato nessun intervento clinico "se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato", tranne che in condizioni di urgenza, in cui invece "si potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata" (art. 8 della Convenzione).

L'incapacità di dare il consenso ad un atto medico, secondo la legge, è prevista soltanto nei casi in cui siano intervenute forme di tutela stabilite dalla legge, ovvero interdizione e inabilitazione; per quanto riguarda l'amministrazione di sostegno, invece, tale nomina deve essere integrata da un provvedimento che attribuisca all'Amministratore i poteri decisionali in ambito sanitario (vista l'esigenza di salvaguardare in ogni ambito la cura della persona); in caso contrario, il beneficiario non è in alcun modo limitato nell'esercitare il proprio consenso (così come avviene nelle condizioni di incapacità naturale), quando non siano presenti gli estremi per un Trattamento Sanitario Obbligatorio.

L'Amministratore di sostegno, quando previsto esplicitamente, può quindi prendere decisioni sugli interventi sanitari, tenendo conto, però, che "la persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione" (art. 6, comma 5, della Convenzione).

Quest'ultimo passo implica il problema di come agire nei casi di rifiuto del paziente ad intraprendere o proseguire una terapia (ovvero la revocabilità di un consenso precedentemente dato). Poichè, come descritto precedentemente, è necessario tener conto non solo dei "bisogni", ma anche delle "aspirazioni" del soggetto da tutelare, l'Amministratore di Sostegno deve valorizzare le residue facoltà cognitive e decisionali dell'assistito, affinchè possano essere rispettate le sue intenzioni, fino all’eventuale rifiuto di interventi medici in caso di una sua ferma opposizione.

E' possibile, tuttavia, determinare la differenza tra un rifiuto netto e un'opposizione solo apparente da parte del paziente, limitata cioè a silenzi o a vaghi dinieghi labiali? Pur essendo il problema molto complesso e multiforme, Martinelli, nel capitolo dedicato ai problemi interpretativi delle attuali leggi, suggerisce che un valido confine si può porre tra comunicazione verbale e coazione fisica necessaria a superare la volontà contraria dell’interessato: mentre, infatti, il tentativo, anche concitato, di persuadere verbalmente il paziente ad assumere una terapia o ad accettare il trasferimento in un ambiente protetto potrebbe essere considerato funzionale (come parte di un processo inteso a convincere il paziente), non sarebbe invece legittimo un costringimento fisico (come, ad esempio, l’inserimento coatto di un demente dall’ospedale ad una comunità per anziani, una volta superata l'acuzie del quadro clinico).

L'opposizione del paziente a beneficiare di cure o misure assistenziali costituisce una delle aree conflittuali più problematiche per la nomina di un Amministratore di sostegno; i soggetti in cui tali questioni si evidenziano più frequentemente sono il paziente anziano ed il paziente psichiatrico cronico, spesso molto restii ad accettare di ricevere forme di tutela, quando prevalgano modalità di comportamento di tipo negatorio o minimizzante. In presenza di un netto rifiuto da parte dell'interessato, allo stato attuale, la richiesta di nomina di un Amministratore di sostegno non può essere accolta dal giudice: se il paziente si oppone all’amministrazione di sostegno ed è presente uno stato di grave menomazione psichica, potrebbe essere indispensabile l’istruzione d'ufficio di un procedimento di interdizione o di inabilitazione.

In questo contesto, quindi, l'opportunità di un’amministrazione di sostegno rischia di essere persa proprio da quei soggetti che potrebbero trarne il maggior vantaggio. Un limite della legge attuale (pur nel complesso innovativa e funzionale) è proprio di non aver approfondito la questione relativa a quei soggetti doppiamente svantaggiati che, pur avendo urgente bisogno di tutela e protezione (sia dal punto di vista clinico che giuridico), rifiutano a priori le proposte terapeutiche ed assistenziali, senza rendersi conto delle conseguenze (come osserva Gabrielli nel capitolo dedicato alla psicopatologia ed ai dispositivi di protezione dell'anziano). Tali problematiche si presentano in tutta la loro drammaticità nei casi in cui un paziente affetto da una patologia grave, necessitante cure urgenti, rifiuti le terapie e non sia possibile accertare, nel breve termine, se sia capace o meno ad esprimere il consenso a causa di un possibile disturbo mentale.

Il cosiddetto "Trattamento Sanitario Obbligatorio per motivi medici" non è attualmente regolamentato da una specifica legge, e la sua attuazione è legata, ad iniziative di volta in volta concordate con il magistrato. Vi è quindi il rischio di dovere ogni volta organizzare soluzioni idonee, con dispendio di tempo ed esiti non sempre uniformi, nonostante la necessità di agire con urgenza renderebbe preferibile l’utilizzo di linee guida operative.

Per quanto riguarda le patologie psichiatriche croniche, inoltre, sarebbe necessario che la legge attuale fosse integrata da criteri operativi definiti per quanto riguarda l'assistenza di pazienti che, pur non essendo al momento acuti (non sottoponibili quindi ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio), rifiutano provvedimenti di cura della persona (in senso lato), la cui carenza prolungata potrebbe costituire un indicatore di successive ricadute della psicopatologia. L'obiettivo ideale sarebbe quello di prevenire, con assidue cure della persona (e dei livelli minimi di sussistenza e di protezione abitativa), l’inevitabile ricorso al TSO, quale tardivo globale provvedimento, che deve far fronte non solo ad una psicopatologia divenuta acuta, ma anche alle insufficienti condizioni socio-ambientali.

All'interno dell'equipe terapeutica, una corretta decisione sulle procedure assistenziali da intraprendere potrà avvenire nel modo ottimale se sono comprese alcune delle motivazioni profonde che possono spingere il paziente anziano a rifiutare le cure. Grazie ai contributi di orientamento psicodinamico è stato evidenziato, in particolare, come l'anziano debba inevitabilmente fronteggiare una profonda ferita narcisistica per la progressiva perdita sia delle persone care scomparse, sia degli oggetti di investimento del Sè (ovvero la propria efficienza psicofisica e l'identità sociale costruita nel corso dell'esistenza). Per elaborare in modo adeguato il lutto conseguente a tali eventi psicotraumatici, l'anziano deve compiere una faticosa opera di ristrutturazione psichica e conferire un nuovo significato alla propria vita ed all'attuale condizione; quando questo non avviene, il soggetto sperimenta un sentimento di progressiva disintegrazione dell'Io ed affiorano inevitabilmente sentimenti di disperazione di fronte allo spettro della morte.

Gabrielli sottolinea, a questo proposito, come possano prevalere, quali difese estreme, un atteggiamento di ritiro e isolamento, con focalizzazione ossessiva sulla propria salute, o, al contrario, una generale tendenza al rifiuto delle cure, nel tentativo di negare la dipendenza dagli altri e di mantenere ideali irrealistici di autonomia e integrità.

E' indispensabile, nei casi in cui il paziente anziano rifiuti le terapie, effettuare un attento esame delle funzioni psichiche, per valutare se si tratti di un autentico desiderio di evitare l'accanimento terapeutico; in altre situazioni, l'atteggiamento negatorio del paziente può essere invece conseguenza di angosce persecutorie verso il personale medico, come tentativo di proiettare all'esterno sentimenti di autosvalutazione, inutilità e risentimento che l'anziano sperimenta su di sè; altre volte possono prevalere, invece, vissuti francamente depressivi, con perdita di speranza di fronte ad una realtà spesso oggettivamente desolante.

In ambito ospedaliero, le tematiche depressive sembrano rispondere in modo particolarmente positivo ad una psicoterapia breve, attraverso colloqui focalizzati sulla situazione presente più che sull'analisi dei conflitti profondi, con lo scopo di instaurare un transfert positivo con la figura del curante e di fornire sostegno al paziente, per fronteggiare le sue angosce di abbandono e di rovina. Tale intervento supportivo, unito alle capacità dell'equipe terapeutica di prendersi cura attivamente delle affezioni psicofisiche lamentate, può consentire il ripristino di un adeguato compenso psicopatologico del paziente, che costituisce la base indispensabile per ottenere una valida alleanza terapeutica ed una significativa collaborazione del paziente alle iniziative assistenziali.

In tal modo, coniugando la presa in carico terapeutica con una modalità di protezione giuridicamente convalidata, è possibile considerare l'ospedalizzazione come il punto di partenza di un percorso finalizzato a fronteggiare le frequenti situazioni di trascuratezza e di abbandono che caratterizzano le patologie croniche dell'anziano, attraverso la costruzione di una rete di sostegno funzionale e rispondente alle esigenze del singolo individuo.

Il testo in questione riesce quindi nell'intento di presentare un quadro esauriente delle attuali opzioni clinico-assistenziali disponibili per l'anziano in ambito ospedaliero, evidenziando, da un lato, i meriti della legge attuale nel porre al centro le aspirazioni del paziente e le sue potenzialità di reinserimento sociale, dall'altro le inevitabili problematiche relative all'applicabilità pratica di alcune norme vigenti. La collaborazione di professionisti provenienti da diversi settori (psichiatri, geriatri, giudici e assistenti sociali) si rivela, in particolare, molto proficua nell'analizzare le complesse e delicate questioni che riguardano l'assistenza del paziente anziano, cui è possibile far fronte solo mediante una fertile condivisione di competenze diverse e specifiche.

Gabriele Giacomini

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