"GOMORRA" di Matteo Garrone e "IL DIVO" di Paolo Sorrentino (Italia, 2008) di Rossella Valdrè
"Ecco perche i potenti che si muovono dentro il Palazzo, e anche coloro che li descrivono stando anchessi, logicamente, dentro il Palazzo per poterlo fare si muovono come atroci, ridicoli, pupazzeschi idoli mortuari. In quanto potenti, essi sono gia morti, perche cio che faceva la loro potenza ossia un certo modo di essere del popolo italiano non ce piu: il loro vivere e dunque un sussultare burattinesco".
(P.P. Pasolini, 1975)
Sebbene stilisticamente molto diversi, dopo aver visto sia "Gomorra" che "Il divo", rispettivamente di Garrone e Sorrentino, ho trovato giusto considerarli insieme, allinterno di una visione unitaria, cosi come anche il festival di Cannes di questanno li ha meritatamente premiati ed accoppiati. Il cinema italiano torna agli onori del mondo ridiventando capace di leggere la realta, hanno detto i critici. E vero, e forse anche qualcosa di piu.
"Gomorra" e "Il divo" leggono la realta italiana - uno in stile piu neorealistico, laltro con i toni del grottesco, come e nel gusto di Sorrentino ma soprattutto parlano del Potere. Di quel Potere che tesse le sue trame nellinsediamento democristiano del Palazzo, come fu per Andreotti, ma anche di quello stesso Potere la cui assenza, la cui colpevole vacanza ha prodotto la nascita di un altro sottopotere, ugualmente devastante e capillare, ovvero la camorra napoletana e casertana di "Gomorra".
Ci risulta agevole, quasi naturale, legare assieme questi due film, finalmente forti e intelligenti, perche facilmente troviamo la stessa Italia, il fil rouge del potere di uno Stato miope e corrotto che ha come contraltare lantistato della mafia e della camorra, tenuti insieme da un perverso ma perfetto bilanciamento.
Delle trame si e detto gia molto, e non mi ci soffermo estesamente. In "Gomorra" (che resta, a mio avviso, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni), la camorra napoletana e casertana e narrata attraverso il testo del romanzo di Roberto Saviano con sufficiente fedelta, ma anche consentendo al regista di leggerlo attraverso la sua poetica asciutta e neorealistica. Vi si intrecciano cinque amare storie di vita, tutte articolate allinterno o ai margini dellestesissima criminilita di quella parte del Paese. Abbiamo cosi Don Ciro, "lesattore", che passa a distribuire denaro alle famiglie degli arrestati del suo clan; liniziazione del piccolo Toto e di altri ragazzini come lui, che nascono e muoiono dentro quel mondo senza nemmeno conoscerne altri; la smania per le armi e per luccidere di Marco e Ciro, che si prerareranno la fossa con le loro mani; Pasquale, il sarto di talento costretto a subire al concorrenza di unaltra mafia di disperati, quella cinese; e il giovane Roberto, bravo ragazzo appena laureato che crede di aver trovato lavoro e scoprira invece di ritrovarsi nel traffico dei rifiuti tossici. Un mondo di poche parole e di gesti essenziali, dimenticato dallo Stato e dalla legalita, in qualche modo fuori dalla Storia sebbene storia esso stesso, governato da sue proprie leggi, regole di iniziazione (i bambini in coda per farsi sparare e provare se hanno "coraggio"), da un suo proprio perverso welfare (Don Ciro), dove nessuno studia e lavora ma tutti campano, fino a che non vengono fatti fuori per avere sgarrato, come Marco e Ciro con la cui morte si chiude il film, qualli che "a noi sparare ci piace da impazzire". Proprio su Marco e Ciro una delle scene piu belle del film (non presente nel libro), quando dopo aver rubato le armi di un potente al cui clan non vogliono appartenere, vanno in mutande sulla spiaggia e sparare nellaria per festeggiare la loro presunta liberta, manichini dementi e illetterati eccitati dalla morte, lunica cosa che conoscono. Pur ridotto allessenzialita dellantropologia che vuole rappresentare, "Gomorra" non e dunque un documentario, ma e pervaso invece dalla struggente poetica di film come "Accattone" o come quelli dei fratelli Dardenne ("Lenfant", ad esempio), dove limmagine da sola riesce a raccontare il reale fornendo al tempo stesso una chiave stilistica in lui leggerlo, un poetica delle povere cose e dei destini senza speranza.
Ne "Il divo", invece, lestroso Paolo Sorrentino utilizza la chiave del grottesco e della caricatura per dipingere la sua fotografia dellattore per eccellenza della politica italiana dal dopoguerra ad oggi, Giulio Andreotti. Qui il film non aggiunge niente di quello che gia conosciamo della vicenda politica, e anche umana, di Andreotti e dei suoi sette governi (!), non vuole approfondire un aspetto piuttosto che un altro, piuttosto gioca a creare, con lamalgama perfetto delle musiche, un sorta di bunuelesco quadro dinsieme del Palazzo, nel senso dell efficacissima definizione pasoliniana del Potere. Scelgo di seguire alcuni scritti di Pasolini dal Corriere della Sera di quegli anni (la fine degli anni 70 come il periodo, secondo lo stesso Pasolini, in cui maggiori sono stati i danni della Democrazia Cristiana che non ha saputo capire i cambiamenti del Paese), perche mi sembra lintellettuale italiano che piu lucidamente ha saputo esaminare (e presagire) i crimini e la fisionomia della nostra classe politica, quegli "atroci, ridicoli, pupazzeschi idoli mortuari" che cosi bene tratteggiati popolano questo film.
Il divo Giulio (forse persino eccessivamente ristretto in una postura fissa caricaturale che ne fa davvero un idolo mortuario), si aggira esclusivamente tra le affrescate stanze del Palazzo e lombrosa casa coniugale, dove la moglie Livia preferisce stare rispetto al Quirinale, come una sagoma luciferina e insonne, tormentata dalle emicranie, perennemente ricurva su di se ("stia dritto Presidente", lo esorta lamata segretaria). Il film si sofferma sulla parabola finale sia della Democrazia Cristiana nel suo insieme, i cui membri vengono catturati dai giudici, sia sullandreottismo come anima nera della stessa DC, fino al Processo dell87 che lo vedra condannato e poi prosciolto. In mezzo, tutto lincredibile intreccio di stragi e di mafia, luccisione di Moro e le morti misteriose di Calvi, Sindona, Pecorelli, Ambrosoli e altri, i suicidi di Tangentopoli e le feste "dentro il Palazzo", santuario del Potere del tutto separato dal Paese reale.
In questa tragica separatezza dal Paese reale che il film rappresenta in maniera eccellente sta linizio della crisi della Democrazia Cristiana, il germe delle collusioni con la mafia e i poteri altri, e la colpa piu grave di un partito, quello democristiano, che "durante i primi ventanni ha governato un popolo storicamente incapace di dissentire, esattamente come durante il ventennio fascista o durante lottocento borbonico e pontificio". Pasolini immaginava un metaforico Processo (che sarebbe poi avvenuto, ben oltre la sua morte) in cui i "gerarchi DC" avrebbero dovuto essere processati per i crimini commessi allItalia povera e contadina che avevano ereditato dal dopoguerra e tenuto in ostaggio per trentanni, ed elencava queste colpe secondo una sorta di "elenco morale" che avrebbe previsto: "indegnita, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con in petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilita delle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacita di colpirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dellItalia, responsabilita della degradazione antropologica degli italiani (responsabilita, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilita della condizione, come si usa dire, paurosa delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilita dellabbandono selvaggio delle campagne, responsabiltia dellesplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass media, responsabilita della stupidita delittuosa della televisione, responsabilita del decadimento della Chiesa, e infine magari anche distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori".
Non avere capito questa la colpa grave che era morto un certo potere e se ne stava sosituendo un altro, massificato e tecnologico e con diversi mezzi di produzione, che portava maggiore benessere e beni superflui, ma senza che quel benessere venisse usato per far progredire realmente la nazione e listruzione, ma creando invece le fallaci premesse perche quel benessere diventasse solo consumismo fine a se stesso, portando cosi a quella mutazione antropologica degli italiani a popolo mercificato e alieno alla cultura, che sostituira il "vecchio potere con uno nuovo, "un Tecnofascismo (
.) in grado di trovare nelle enormi masse di giovani imponderabili che vivono senza valori, una potente truppa psicologicamente neonazista".
Il divo Giulio va al processo del film (per la sola connivenza con la mafia, e non per tutti i crimini morali immaginati da Pasolini) a fornire le risposte piatte della sua verita: il Potere ha un effetto collaterale, per salvare il Paese dalla minaccia comunista ha dovuto paradossalmente fare del male, fare dei compromessi. Il Potere secondo Andreotti si autoassolve, dunque, perche e come condannato ad agire male per fare il bene, non puo tollerare la verita, quella verita che uomini come Moro o Dalla Chiesa non smettono di perseguire. Forse locchio del regista, pur tratteggiandone una ridicola caricatura, ha una qualche simpatia per luomo Andreotti (lo stesso Pasolini gli riconosce che "la sua buonafede cattolica, provenendo dallinfanzia, ha qualcosa di sincero"): lo vediamo tormentato, consapevole dentro di se della superiorita morale dei "dannati della verita" che pure deve sconfiggere, lo vediamo solo e senza piaceri, legato alle due donne di casa, la moglie e la fedele segretaria, come uniche presenze amorevoli in una vita svuotata dal Palazzo, ne intuiamo le freddezze infantili ("non ho mai potuto baciare mia madre").
Come in "Gomorra", anche qui una scena da ricordare: quando riceve lavviso di garanzia, lui e moglie di fronte alla televisione, Renato Zero che canta "i migliori anni della nostra vita", loro immobili e silenti, e uno sguardo profondissimo di lei lo scruta, lo esplora, come se infine lo vedesse, lo volesse conoscere internamente, nellanima.
Perche li abbiamo messi insieme, questi due bei film di cui tanto si potrebbe scrivere e parlare? Il Palazzo di Andreotti, coi suoi "pupazzeschi idoli mortuari", e separato dalla realta del Paese come il quartiere di Gomorra o Casal di Principe, le feste assurde dei Cirino Pomicino non sono poi cosi lontane dalle iniziazioni della camorra, mondi a se, lontani dal mondo vero che pulsa, ghetti esiliati dalla modernita, dalla cultura e dalla legalita. Tra le colpe morali dellelenco pasoliniano di unintera classe politica e della sua colpevole miopia, ce anche laver permesso, lavere favorito o almeno il non avere combattuto con efficacia quelle premesse di ignoranza e malcostume su cui le varie Gomorra hanno potuto crescere indisturbate.
(i pezzi di Pasolini sono tratti da:"Il Processo" (1975) e "Fuori dal Palazzo" (1975) in: Lettere Luterane; I Nixon italiani (1975) in: Scritti Corsari, tutti raccolti in Meridiani, Mondadori, Scritti sulla politica e sulla societa)
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