Il Disturbo dellIdentità di Genere è caratterizzato, così come illustrano gli items del DSM-IV-TR, da due criteri principali componenti che devono essere entrambe presenti per fare diagnosi:
Criterio A
Deve essere evidente una intensa e persistente identificazione col sesso opposto, che è il desiderio di essere, o linsistenza sul fatto di essere, del sesso opposto.
Lidentificazione con laltro sesso non deve essere solo un desiderio per qualche presunto vantaggio culturale derivante dallappartenenza al sesso opposto.
Criterio B
Deve esserci prova di un persistente malessere riguardo alla propria assegnazione sessuale, oppure un senso di estraneità riguardo al ruolo di genere del proprio sesso.
La diagnosi non va fatta se il soggetto ha una concomitante condizione fisica intersessuale (per es., sindrome parziale di insensibilità agli androgeni o iperplasia surrenale congenita).
Inoltre, per fare diagnosi, deve esservi prova di un disagio significativo sul piano clinico, oppure di compromissione dellarea sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.
Leziologia del disturbo è ancora incerta e le molte teorie in merito mettono in luce la sua multifattorialità analizzandone gli aspetti genetici, endocrinologici, socio-ambientali, psicodinamici e psichiatrici.
Inutili e fallimentari si sono dimostrati i tentativi psicoterapici del passato di forzare il paziente a ritrovare lidentità di genere conforme al suo sesso biologico.
La tendenza odierna è quindi quella di considerare come trattamento più corretto per questo disturbo ladeguamento al sesso desiderato.
Liter di adeguamento, fatto di cure ormonali, interventi chirurgici e supporto psicologico, culmina con loperazione chirurgica di riassegnazione sessuale con la quale i genitali esterni vengono modificati e resi simili a quelli del sesso desiderato, e si conclude con la rettificazione dei dati anagrafici del soggetto.
Tutto questo è stato reso possibile in Italia dalla legge 14 aprile 1982, n. 164, che reca le "Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso", successivamente modificata dallart.10, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Ed è proprio nellambito del problema del Disturbo dellIdentità di Genere che abbiamo svolto una ricerca con lo scopo di analizzare il momento in cui, con la riassegnazione chirurgica, avviene ladeguamento al sesso desiderato di questi soggetti.
Losservazione dei movimenti emozionali in questo particolare contesto può infatti rivelarsi utile per la comprensione di questa non facile patologia e di questi non facili pazienti.
Lindagine clinica è stata svolta nel periodo tra Novembre 2007 e Maggio 2008 presso la Clinica Urologica dellOspedale di Cattinara dellUniversità di Trieste, dove sono stati operati i pazienti della nostra casistica, grazie alla collaborazione del Prof. Carlo Trombetta, urologo, e della Dott.ssa Laura Scati, psicologa del Centro.
In un solo caso lindagine si è spostata allOspedale Maggiore di Parma, in relazione ad una collaborazione del Prof. Trombetta con il Dipartimento di Urologia di tale ospedale.
Ogni soggetto è stato esaminato nei tre-quattro giorni immediatamente successivi loperazione chirurgica ed è stato sottoposto ad unintervista-guidata (questionario semi-strutturato) atta a valutare aspetti anamnestici e aspetti più strettamente riferiti al momento della riassegnazione.
Per sintetizzare gli ambiti indagati sono stati i seguenti:
- dati socio-anagrafici
- dati familiari
- il Disturbo dellIdentità di Genere e la sua storia
- eventuali comorbilità psichiatriche
- liter di adeguamento e lintervento di riassegnazione
- grado di benessere attuale e aspettative future
Inoltre, tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una applicazione atipica del Test della Figura Umana di Machover e, quando possibile, è stato effettuato un riscontro catamnestico a due mesi di distanza dallintervento.
La casistica è composta da 7 soggetti di età media di 40 anni e con diagnosi accertata di Disturbo dellIdentità di Genere ad esordio nellinfanzia; sono tutti transessuali andro-ginodi nonostante il Centro tratti anche transessuali gino-androidi confermando in questo senso i dati della letteratura circa la frequenza nettamente maggiore del Disturbo dellIdentità di Genere nei maschi. E possibile, inoltre, che la priorità di altri interventi, come la mastectomia ad esempio, nonché i risultati scadenti circa la chirurgia sui genitali esterni per soggetti di sesso femminile, incidano sullassenza nel nostro campione.
Tutti i soggetti hanno conseguito la scolarità media superiore e svolgono unattività lavorativa, anche se con caratteristiche di sotto-occupazione rispetto al livello culturale (soprattutto in imprese di pulizia); questo entra in gioco probabilmente, come le stesse pazienti affermano, con la loro condizione di transessualità.
Solo una paziente dichiara apertamente, come unico impiego, quello prostituzionale.
Le valutazioni anamnestiche hanno confermato dati già segnalati in letteratura circa la prevalenza di famiglie non nucleari, una relazionalità spesso simbiotica con la madre e la carenza identificativa con la figura paterna.
2 pazienti su 7 dichiarano di aver avuto rapporti omosessuali, pertanto congrui con il disturbo, prima dellinizio del loro iter di riassegnazione.1 sola paziente è stata sposata.
Durante liter di riassegnazione 4 soggetti del nostro campione hanno intrecciato relazioni sentimentali stabili con soggetti di sesso maschile . Questi dati sono indicativi di una stabilità affettiva maggiore rispetto a quella di campioni precedentemente analizzati in altre indagini (Rasore et al. 1998a, 1998b, 2008).
Nel campione viene rilevata, sempre in accordo con i dati della letteratura, una comorbilità con Disturbi Depressivi e Disturbi dAnsia in 3 casi, con Disturbo di Personalità e pregresso Abuso di Sostanze in 1 caso.
Circa liter di riassegnazione, la durata oscilla tra i 2 e i 22 anni e variabili sono i giudizi delle pazienti circa la lunghezza delliter seguito.
Prevalgono comunque due orientamenti: da un lato quello di ritenere il proprio iter troppo lungo e di rimpiangerne uno più breve, dallaltro quello di considerare come ottimale il percorso fatto.
4 dei soggetti su 7 hanno usufruito di un aiuto psicologico durante liter e 6 ne riconoscono lutilità; 4 hanno potuto contare sul supporto dei loro familiari, soprattutto madre e sorelle.
Per quanto riguarda il momento della riassegnazione, è emersa una prevalente dimensione negatoria di ansie e paure connesse allintervento e alla sua concretezza corporea.
Quasi tutti i soggetti dichiarano di non aver avuto paura di affrontare loperazione chirurgica e di aver dormito tranquillamente la notte prima.
Le cicatrici e le sofferenze fisiche inevitabilmente correlate allintervento non vengono prese in considerazione e non preoccupano le pazienti.
La sessualità stessa sembra essere un particolare irrilevante ed, inoltre, è da notare che, durante lintervista, le pazienti apparivano singolarmente perplesse nel parlare di tale argomento.
Tali osservazioni ben si accordano con altre precedenti (Rasore et al., 2008) circa limpressione che per i pazienti con Disturbo dellIdentità di Genere il corpo sia più uno strumento manipolabile che non un vero oggetto sessuale investito di emozioni, pulsioni e sentimenti.
Tutti i soggetti si sono detti molto orgogliosi di essere riusciti a portare a termine liter di adeguamento, hanno valutato il loro grado di benessere come ottimale sostenendo di non essere per nulla pentiti di aver affrontato la chirurgia di riassegnazione e ritengono che con questo cambiamento la loro vita potrà finalmente essere migliore e più integrata.
In contrapposizione alla sicurezza e alla tranquillità espressa verbalmente dalle pazienti durante lintervista, sono invece emerse chiaramente nei racconti di alcuni sogni dubbi e angosce.
Pur con temi diversi, infatti, i sogni di tutte le pazienti rimandano a qualcosa di mancante che comunque non si riesce a trovare, ad angosce di notevole entità circa la possibilità di raggiungere la dimensione di unadeguata integrazione.
La riassegnazione, nel sogno, si delinea più che come un traguardo, come tappa di un cammino ancora faticoso da percorrere.
Il Test di Machover è stato proposto ai soggetti in modo atipico chiedendo loro di raffigurare se stessi prima e dopo lintervento di riassegnazione.
I risultati sono indicativi di una certa difficoltà nella percezione dellimmagine del proprio corpo; i soggetti non disegnano se stessi come figure umane, ma si rappresentano attraverso metafore, oggetti e personaggi fantastici.
Una paziente, ad esempio, si ritrae come una notte buia e tempestosa prima e come un sole splendente poi.
Unaltra paziente raffigura se stessa prima delloperazione come un mosaico incompleto, immagine peraltro suggestiva di quella profonda dicotomia che caratterizza il disturbo, dove sesso biologico e sesso psicologico convivono a fatica nello stesso corpo nel continuo contrasto di uninsanabile scissione. Per il dopo la stessa paziente disegna una rosa che sboccia, metafora che richiama a qualcosa di fragile ed effimero.
Gli unici corpi disegnati sono un corpo-manichino, un corpo-bambina del tutto asessuato, entrambi ben poco reali, per non parlare di un corpo di sirena destinato agli oceani e un corpo-vampiro condannato a vagare per sempre nella notte, entrambi simboli di grande sofferenza e solitudine.
Anche nel definire lintervento subito nessuno dei soggetti parla di chirurgia in modo reale e concreto; tutti lo descrivono attraverso immagini metaforiche e astratte, spesso enfatizzando il momento con toni euforici: chi parla di una rinascita, chi di una magia, chi di una liberazione.
La riassegnazione sembra configurarsi come la possibilità di un nuovo modo, quello giusto, di essere e vivere nel mondo.
Per tutti i soggetti intervistati lintervento chirurgico viene vissuto come una sorta di secondo parto e i sentimenti che accompagnano questo momento sono di tinta quasi maniacale.
Ma con il passare dei mesi, come mostrano i dati ottenuti dal follow-up a brevissimo termine sulle pazienti, questo entusiasmo lascia spazio ad una sorta di movimento depressivo da intendersi non tanto nel senso di una vera e propria psicopatologia ma piuttosto come molto vicino ad un umano "deprimersi" di fronte alla vita reale di ogni giorno, una volta superata leuforia della rinascita.
Le osservazioni proposte sino ad ora rappresentano un tentativo di fotografare e di comprendere il complesso mondo emotivo con cui una persona riesce ad arrivare alla riassegnazione, momento che potrebbe essere definito "senza ritorno" perfettamente in accordo con la condizione stessa di cui le pazienti sono portatrici, quella condizione che peraltro le ha condotte allintervento.
Il Disturbo dellIdentità di Genere sembra quindi, anche alla luce di queste osservazioni desunte dalla clinica, trovare una conferma nelladeguatezza terapeutica del trattamento di riassegnazione, una terapia rispettosa ed in grado di decifrare la sofferenza del paziente e il suo autentico dramma personale, al di là del binomio onnipotenza-impotenza, spesso pericoloso nella pratica clinica.
Rasore E., Fornaro P., Magi E., dAngelo E., Fenocchio M. P., Fornaro M., Oldrati S., Natta W., Il Disturbo dellIdentità di Genere: aspetti psicologici e psichiatrici, DI.N.O.G., Università degli Studi di Genova, Relazione al 12° Congresso S.O.P.S.I., Roma, febbraio 2008.