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Evelyn Fox Keller,Il secolo del gene, Garzanti, Milano, 2001, pgg. 146, Lit. 35.000

In questo agile saggio che vale davvero la pena di leggere, Evelyn Fox Keller analizza con chiarezza e lucidità la storia del concetto di gene, dalla sua nascita, nel 1909, al suo statuto attuale condizionato dal Progetto Genoma Umano che ha prodotto la sequenza dell’intero menoma di un individuo. Secondo le parole della Fox Keller quest’impresa "invece di rafforzare il concetto familiare di determinismo genetico che tanto ha colpito l’immaginazione del grande pubblico, lo ha rimesso in discussione". L’era dell’analisi genomica coincide così con un nuovo inizio della biologia sperimentale e non con la sua conclusione. Si parla infatti oggi di una genomica funzionale da sviluppare con le informazioni derivate dalla genomica strutturale. Sapere come è fatto il DNA di un organismo non basta per sapere che cosa questo DNA "fa" perché l’organismo sia cià che è. Nel libro si analizzano gli aspetti fondamentali della genomica molecolare e cioè il ruolo del gene nel mantenere costanti le caratteristiche di una specie, la funzione genica, il rapporto tra programma genetico e programma di sviluppo.

Il riduzionismo estremistico che fino a non molto tempo fa voleva che tutto fosse scritto nei geni trova oggi la sua più forte smentita nella nozione che solo dai rapporti tra geni diversi, tra geni ed ambiente cellulare, tra geni ed ambiente extracellulare dipende quella che si definisce "espressione" genica. Il complesso interscambio tra proteine enzimatiche e DNA venne riconosciuto subito dopo la scoperta della doppia elica. Il DNA, che da solo non riesce a replicarsi o a restare stabile, per fare ciò ha bisogno delle proteine che esso stesso codifica. Lungi dall’essere una struttura rigida e "non comunicativa", il DNA è al centro di una complessa rete che garantisce in maniera dinamica la sua stabilità riparando continuamente i danni e assicurando la replicazione con un sistema di copiatura attiva in cui vengono costantemente corretti gli errori. Stabilità e variabilità genetica coesistono così come facce d’una stessa medaglia in virtù della complementarità dei processi enzimatici che la controllano.

Concetto-chiave per comprendere la funzione genica è quello di regolazione o meglio autoregolazione da cui dipendono i meccanismi che salvaguardano la stabilità e quelli che garantiscono la capacità di modifica evolutiva. I sistemi viventi studiati oggi possono aver avuto origine da una fusione simbiotica tra due sottosistemi evoluti indipendentemente: un sistema autoreplicante di acidi nucleici fortemente propenso agli errori e capace di cambiamenti rapidi con un sistema metabolico autocatalitico più conservatore. I meccanismi sui quali si basa l’individualità. la multicellularità e la sessualità dei viventi si sono quindi evoluti in una storia dinamica di cui l’evoluzione della specie è solo l’ultimo capitolo.

Inizialmente si era pensato semplicisticamente che un gene codificasse una proteine (enzima) e che in questo consistesse la sua espressione. Successivamente, Jacob e Monod introdussero la distinzione tra geni strutturali e geni regolatori identificando, nel modello dell’operone, la capacità dei geni di essere attivati o inibiti. Con l’avanzamento delle conoscenze relative al DNA in cui si erano riconosciuti segmenti codificanti (esoni) e non codificanti (introni) si arrivò a capire come da una stessa molecola di DNA potessero originare proteine (enzimi) diverse e come ogni proteina potesse avere funzioni diverse a seconda del contesto cellulare in cui si trova.

Nel corso di questo sviluppo della biologia molecolare si è verificata una sorte di erosione del concetto di gene e la Fox Keller nota a questo riguardo la limitatezza del termine proposto inizialmente e la necessità di definire in modo più adeguato geni, azione genica e lo stesso concetto di programma genetico. Nelle parole di Max Delbrück, la biologia, a differenza della fisica, non considera fenomeni assoluti, poiché ogni carattere di un organismo è il risultato di una storia evolutiva, di un "bricolage" legato ad eventi aleatori e soluzioni del tutto casuali. L’identificazione della capacità di auto-organizzazione come caratteristica degli organismi viventi risale a Kant, ma solo nel secolo XX, con i progressi della cibernetica e della capacità ingegneristica di usare la ridondanza per costruire macchine sempre più affidabili e flessibili, è stato possibile proporre risposte ragionevoli al quesito "che cosa è la vita?". Questo non implica il riemergere del meccanicismo poiché la stessa ingegneria genetica ha dimostrato il punto di divergenza tra organismi e macchine che sta nella collocazione del progetto e nelle diverse finalità raggiungibili a seguito della sua messa in opera. Principale discriminante tra organismi e macchine è la storia di cui è portatore il progetto biologico e che manca del tutto nel progetto ingegneristico.

Il libro della Fox Keller dovrebbe essere letto da tutti quelli che debitamente o indebitamente vogliono trarre delle conclusioni dagli attuali progressi delle scienze del vivente. Il rapporto tra i geni e la loro espressione è un rapporto dinamico, aperto, mai scontato. Non ha così senso parlare del "gene della vecchiaia" o del "gene del Parkinson" o del "gene dell’Alzheimer" o del "gene della schizofrenia" e via discorrendo, per arrivare al "gene della criminalità" o al "gene dell’omosessualità". Le cose non sono così semplici, anche se sarebbe comodo che così fossero. Pensare che con la clonazione di una cellula di Albert Einstein si ottenga un altro Albert Einstein è una vera e propria idiozia, e anche se, tecnicamente, sarebbe possibile fare una cosa del genere, l’individuo ottenuto potrebbe essere dotato solo di una fotocopia dei geni del defunto senza possedere il suo genio.

Il saggio recensito si raccomanda per il rigore della ricostruzione storica e l’acribia nell’analisi dei risultati sperimentali e contiene interessanti riflessioni sul rapporto tra scienza e linguaggio, oltre ad alcuni sobri ma pertinenti riferimenti letterari che vanno dalle Eumenidi di Eschilo, a proposito dello spermatozoo quale componente attiva della fecondazione, al Zauberberg di Thomas Mann a proposito degli effetti dei geni. La traduzione italiana è generalmente scorrevole e corretta a parte l’errore di rendere "translation" come "traslazione" invece che come "traduzione". Ottime le figure ed equilibrata la bibliografia.

Lauro Galzigna

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