Stefania Carracci, di cui ci siamo gia' occupati per i suoi lavori su Sylvia Plath , anglista e tradutrice romana, esordisce nel mondo della narrativa con un delizioso romanzo, Doppia esposizione. Una piccola, piacevole sorpresa.
Vi ritroviamo tutti i temi cari all'Autrice: l'amata Inghilterra - irrinunciabile paesaggio dell'animo e dei ricordi -, la riflessione sul femminile e sull'essere donna scevro da ogni retorica e autocompiacimento, il gusto per la ricerca delle fonti e del passato, che l'ha vista per molti anni appassionata biografa della Plath, lo scavo interiore, che tuttavia non e' mai privo di un tocco di leggerezza e di indulgenza.
Nina, la protagonista, e' assediata dal caldo e dai pensieri, vagamente inquieta, alla ricerca di qualcosa. Roma e' immersa nella calura di un'estate qualunque, quasi deserta, il tempo scorre lentamente. Il figlio Giulio e' in vacanza con la fidanzata, il marito Gabriele, di nuovo, e' ricaduto preda della depressione. E' da questa morsa che Nina vuole fuggire: dalla violenza di quei silenzi, di quegli occhi apatici e inespressivi, di quelle mancate risposte.
La vita coniugale, lo sappiamo, non e' mai facile. A sprazzi, qua e la' nel romanzo, appaiono squarci del passato di Nina: un primo matrimonio precoce e inconsapevole, la gioia impagabile della maternita' (ma che oggi porta con se' la necessita' di accettare un distacco), la dolorosa presenza dei genitori, dei quali ci si deve occupare, ma verso i quali siamo gravidi sempre di risentimenti e mancanze. La malattia di Gabriele, a cui Nina e' legata da un profondo affetto, sembra essere troppo. No, non ce la faccio, mi devo allontanare.
Lo sguardo vaga intorno, sugli oggetti della casa romana. Ad un tratto, si posa su un ritratto: e' quello di Agnese. Nina ne ha sempre sentito parlare, fin da bambina; il suo stesso nome e' un diminutivo di Agnese, la misteriosa nonna partita in gioventu' per l'Inghilterra, alla ricerca di una nuova vita, fuggendo ad un padre violento, e che torno' povera, malandata e sola, per morire ancora giovane poco tempo dopo.
Nina ha sempre visto quel ritratto, e' da sempre stato li', e' sempre stata curiosa di capire, ma oggi e' diverso. Non sono piu' sola, scrive.
In Specchio, la poesia di Sylvia Plath che Stefania Carracci cita in apertura, leggiamo "...Ogni mattina e' la sua faccia che prende il posto del buio/In me ha annegato una ragazza e in me una vecchia/sale veso di lei giorno dopo giorno come un pesce/tremendo...". Improvvisamente non e' piu' un ritratto: e' uno specchio, appunto. Non e' piu' soltanto il volto enigmatico dell'antenata quello che Nina osserva, ma e' il suo stesso volto. Lo stesso nome, lo stesso amore per l'Inghilterra, la stessa esigenza di liberta', di rottura, di cambiamento.
Il bisogno di rispecchiamento - la psicoanalisi ce lo ha insegnato - e' essenziale all'essere umano. Il bambino si specchia dapprima nello sguardo materno, dal quale riceve significazione, investimento e riconoscimento ("tu sei il mio bambino, ti riconosco" e' come se dicesse la madre); in seguito si "specchiera'" nel suo stesso corpo, involucro narcisistico nel quale sara' costretto a vedersi per tutta la vita; da adolescente saranno gli amici, il gruppo dei pari l'inevitabile specchio; infine cerchera', da adulto, nelle esperienze della vita, negli ideali, negli oggetti amati, ancora quel rispecchiamento che fornisce conferme e sicurezze, in parte sull'impronta di quel primo sguardo materno, in parte alla ricerca di nuovi sguardi.
Questa e' la storia di un'identificazione (Nina ripercorre il percorso di Agnese e se ne sente profondamente affine), e anche del suo superamento. Proprio ripercorrendone le traccie, Nina si 'libera' , alla fine, del fantasma inquietante di Agnese. Potra' cosi' riprendersi se stessa, una se stessa con tutti i suoi problemi, certo, ma piu' libera.
Decide di partire per l'Inghilterra, sulle tracce di Agnese. Il percorso non si rivela difficile, Nina ha fortuna, trova subito cio' che cerca. Nella stessa elegante dimora dove Agnese aveva risieduto, ospite degli Shanders, ricchi signori del luogo, viene accolta da Steven, il nipote, e puo' accedere facilmente al diario di Agnese, prezioso scrigno di memorie intorno a cui si snoda l'io narrante del ricordo. Siamo in un altro scenario, anche interiore, rispetto all'afa romana; campagne, castelli, l'ombra delle passeggiate di Mrs Dalloway....
Non entriamo nei dettagli della vicenda, per non privare il lettore del gusto della scoperta; ma non e' la vicenda in se', a parer mio, cio' che conta. La storia che il diario contiene e' una classica, triste storia di fine '800. La giovane Agnese diventa amante di Robert, che pero' e' promesso sposo di Anne, la figlia dei signori...la tragica storia d'amore clandestino si concludera' come le convenienze e i tempi richiedevano, con la cacciata e il ritorno a casa di Agnese, costretta anche ad un maldestro aborto e a portare su di se' il peso della sconfitta e della vergogna. Alla fuga dalla violenza del padre, si contrappone un'altra piu' sottile forma di violenza, quella delle convenzioni sociali e dell'enorme peso che avevano sulla donna; cosi' come e' violenza anche la depressione di Gabriele, l'effetto che ha su Nina e sugli affetti circostanti. Al suo ritorno, Agnese non ha piu' nessuno, neanche il manesco padre al quale si sarebbe adattata; e' malata, infelice, la sua vita sara' breve. Una vita che fu tutta racchiusa e vissuta in quei tre anni, dal 1893 al 1896, contenuti nel diario: le speranze ingenue dell'arrivo, l'amore passionale per Robert, la scoperta di Londra, i balli, un mondo ricco ed evoluto.....
Dunque se la fuga non serve, se talvolta non basta, qual'e' la vera soluzione?
E' la creativita'. "Basta solo tradurre - scrive Nina - scrivero' e l'idea gia' mi emoziona. Ho la storia di Agnese da raccontare".
Nina-Agnese (e anche io, nel momento in cui sto scrivendo queste parole) ha gia' trovato lo sbocco: raccontare, raccontarsi, narrare e ri-narrare. Tessere cosi' i tasselli, i ricordi, le fantasie, le immagini. Creare una trama, una trama interiore; non importa come va a finire. E' scrivendo il diario che Agnese sopravvive al dolore muto, non raccontabile, degli anni della sua vicenda; ed e' scrivendo il romanzo che Nina si emancipa, in fondo, dal sentirsi una piccola Agnese mancata (il diminutivo, che infine abbandonera'), e trova la forza di rivedere il marito, riprendere il pur difficile filo dalla sua vita in mano. Se nei romanzi esiste un messaggio, un tentavo di soluzione per l'Autore e i suoi personaggi, a me pare che in questa Doppia esposizione, in questo affascinanre mirroring, rispecchiamento reciproco dell'una con l'altra, la svolta stia nella possibile non di rivivere, ma di raccontare. Sembra un sogno, alla fin fine: "L'inghilterra e' scomparsa dalla mia vista. Potrebbe essere un paese sognato". (corsivo mio).
Al pari del sogno, non importa quanto sia 'vero' o meno: ci e' servito ad elaborare, a trasformare.
Buona lettura.
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