SYLVIA PLATH E I GIORNI DEL SUICIDIO
Ricevo da una lettrice de "Il Lato debole", Stefania Caracci, un piccolo delizioso libro, dal titolo "Sylvia Plath I giorni del suicidio" (ed. Ripostes, Salerno, 2001).
Lo leggo in una serata e' piccolissimo e penso con sollievo che finalmente posso proporre alla rubrica anche un'autrice a cui pensavo da tempo, Sylvia Plath. E che la posso proporre attraverso la sottile ma originale angolatura di una studiosa che ha dedicato gran parte della sua vita, a conoscere e tentare di entrare davvero dentro il complesso e doloroso mondo poetico di Sylvia Plath.
Staefania Caracci a cui vanno tutti i miei sentiti ringraziamenti vive e lavora a Roma, e' scrittrice, laureata in letteratura inglese - che insegna ma, soprattutto, e' profonda conoscitrice della Plath di cui, oltre a " I giorni del suicidio", ha appena ultimato una biografia di prossima pubblicazione. Non si tratta solo di una conoscenza scolastica, di una passione nata e cresciuta sui libri, o di un'ammirazione letteraria; e' un vero amore, per la poetessa e per la donna. Cosi' leggiamo nella prefazione:
"L'incontro con la Plath lo volli tenacemente, quando informai il mio professore all'Universita' di Roma che intendevo lavorare sulla scrittura della poetessa di cui avevo letto alcuni versi durante un soggiorno a Londra, per elaborare la mia tesi di laurea. Era il 1971.
. Mi tuffai in Ariel, The Colossus, The Bell Jar: da li' sarebbe partito il mio percorso. Sono trascorsi circa trent'anni
..".
La particolarita' di questo piccolo libro e' quella di prendere in considerazione non l'intera biografia o l'intera produzione della Plath, ma i suoi ultimi quaranta giorni, quello stretto arco di tempo racchiuso tra il 1 Gennaio e l'11 Febbraio del 1963, giorno in cui si suicido' a Londra, nella casa di Fitzroy Road, che un tempo fu dimora di Yeats ("
.e' stata la casa di un poeta che amo.
. E' con me, al mio fianco. Questa e' la mia torre all'ombra del faggio rosso e le sue rose sono i miei fiori. La targa azzurra alla sua memoria in alto a destra del portoncino mi ha invitata. Ho sentito che questa doveva essere la mia casa, l'unica che fosse giusta per me. Un poeta irlandese morto ventiquattro anni fa e' la sola compagnia che io ho.").
Ma chi era Sylvia Plath, di cui questo libro racchiude gli ultimi, frenetici pensieri di vita?
Nata nel 1932 nel Massachusetts, trascorre l'infanzia e l'adolescenza in famiglia, vicino a Boston, all'interno di un ambiente colto e conservatore. Il padre, a cui e' ambivalentemente molto legata, muore quando lei ha otto anni; molta critica successiva dara' grande importanza a questa perdita prematura e all'intensita' edipica ancora in atto in Sylvia quando il padre scompare ("
era un autocrate dira' piu' avanti negli anni lo amavo e detestavo e probabilmente ho desiderato spesso che morisse. Quando mori', immaginai di essere stata io ad ucciderlo
").
Bambina e studentessa modello, timida ed introversa, inizia a scrivere molto presto e ad inviare i suoi scritti a riviste e a premi scolastici; e' la piu' produttiva tra gli studenti, e va gia' maturando un'attenzione e una ricerca sofisticata e particolarissima verso la parola e l'uso della metafora, che non la abbandonera' piu'.
In parallelo al caparbio impegno verso un'affermazione prima universitaria e poi letteraria, inizia il percorso depressivo di Sylvia, la presenza strisciante di quell'angoscia di vivere che la conduce, nel '53, al primo tentativo di suicidio.
Dimessa dall'ospedale (dove e' trattata con psicoterapia ed elettroshock), si laurea l'anno seguente con lode, nel '54. Nel '56 sposa il poeta inglese Ted Hughes, unica relazione intima ed importante della sua vita, che diventa il baricentro del grande bisogno di amore di Sylvia e con il quale, all'inizio, l'unione sembra idilliaca. Nel '60 esce "The Colossus", la prima raccolta di poesia. I due vivono a Londra e hanno due figli, Frieda e Nicholas, ma e' proprio con la nascita del secondo bambino che il matrimonio si incrina fino a che Ted, nel '62, non se va definitivamente con un'altra donna.
Sylvia resta sola, senza soldi, nella casa di Londra, divisa tra il dover provvedere ai bambini, la necessita' di scrivere come una furibonda esigenza interna (e' questo breve periodo che la separa dalla morte il suo momento piu' dolente creativo), la nostalgia di Ted ("
..Ted e' a Soho, a pochi passi; e' piccolo come uno gnomo, se ne va sui tetti, le sue orme sulla neve
."), la depressione ("
.tutti subiscono le conseguenze dei miei scatti d'ira, i cambiamenti d'umore, i momenti di depressione cupa e ottusa
.. odio la debolezza in cui mi gettano le lacrime, odio la solitudine insediata nelle mie viscere, odio in me la donna che chiede e il mio stesso terrore
.").
Scrive in questo breve periodo, tra il '62 e il '63, i suoi lavori piu' famosi, pubblicati in gran parte postumi: "The Bell Jar", uscito nel '63, poco dopo la morte; "Ariel", nel '65, forse la sua opera piu' struggente, scritta nei mesi precedenti il suicidio; nel '71 esce "Crossing the Water". Sara' Ted ad aver cura delle pubblicazioni postume dei lavori di Sylvia.
In seguito, Sylvia Plath e' diventata una sorta di oggetto di culto per gli studiosi di letteratura americana e per il pensiero femminista. Piu' o meno, tutti la conosciamo. Ho tuttavia voluto riportare con un certo dettaglio la biografia della Plath per coloro che si avvicinassero ora al testo della Caracci, senza conoscere questa autrice se non per la clamorosita' del suicidio (si asfissio' con la testa nel forno, badando bene che i bambini non fossero danneggiati e lasciando loro pane e burro da mangiare), o appunto in quanto diventata nel tempo simbolo per le femministe americane dell'oppressione a cui la donna soggiace nell'universo chiuso della dimensione domestica
.
Meno conosciuta e', invece, la poesia. La poesia per la Plath costituisce, ad un tempo, ferrea rigida disciplina coltivata in anni di severo esercizio, e unica forma di balsamo e di espressione al dolore interno ("
mi sento priva di quell'energia che vedo negli altri. Allora li invidio. Li invidio per essere altro da me. Io riesco solo a produrre parole che s'accordano in versi e trasudo poesia. Sono solo li', oramai. La mia solitaria, irriverente, fatale eruzione sgorga nella gabbia vitrea, lucida come maiolica, entro cui me ne sto rinchiusa dall'infanzia").
Molto si e' scritto sulla Plath. Molto si e' detto circa il rapporto col padre, il rapporto con Hughes, le motivazioni ai ripetuti tentativi di suicidio (si veda, a proposito, il saggio di Alvarez "The savage God" (edizioni Penguin Book), che era anche amico di Sylvia). Chi voglia approfondire il personaggio, trovera' ampio materiale anche nei siti che riportiamo qui a fianco.
Ma vorrei qui, con l'occasione offertami dal testo della Caracci, invitare a leggere soprattutto la poesia di Sylvia Plath, perche' lei e' li', e' solo li'; Sylvia fa parte di quei poeti, a parer mio, che abitano i loro versi, che sono nei loro versi, non possono essere altrove.
Il rigore assoluto con cui la Plath ricercava il valore musicale della parola, con cui coltivava l'uso della mefafora (che la fa rientrare nei confessional poets ) e' il demone interno, e' la preoccupazione costante di questa donna tumultuosa e di una timidezza paralizzante', che scrive i suoi capolavori in un tempo breve e febbricitante, sotto la spada di damocle di una morte incombente, sempre ricercata non tanto come suidicio letterario', ma come desolata incapacita' a permanere in questa vita.
Vorrei concludere con un commento di Robert Lowell, professore alla Boston Univesity che ebbe modo di conoscere Sylvia nel 59, ma non la noto'.
Dall'introduzione all'edizione originale di "Ariel", scrive Lowell nel'66:
"
..E' straziante, riandando al passato, capire che il segreto dell'ultima irresistibile fiammata di Sylvia Plath e' nascosto nella discrezione, nel garbo estremo della sua penosa timidezza. Non e' mai stata una mia allieva, ma per due mesi circa, sette anni fa, segui' il mio corso di poesia alla Boston University. La rivedo, opaca contro il cielo luminoso di una finestra priva di qualsiasi panorama
.. Era alta, snella, con il busto lungo e fragile, i gomiti aguzzi, era nervosa, imbarazzata, gentile una presenza tesa e brillante che la timidezza paralizzava. La sua umilta', la sua disponibilita' ad accettare tutto quanto veniva generalmente ammirato parevano darle a volte un'esasperante docilita' che nascondeva la sua pazienza e la sua audacia fuori moda. Ci mostro' allora poesie che in seguito, piu' o meno cambiate, vennero pubblicate nel suo primo libro, The Colossus. Erano poesie dai toni bassi, perfette nella struttura, facili all'allitterazione e a un'angoscia dolente ed intimista. Un bastardo che si sforza di galoppare / Spinge lo sciame dei gabbiani a volar via dal litorale
Non prestai allora, ne' saprei dire perche', un'attenzione molto profonda a nessuna di quelle poesie. Avvertii la sua raffinatezza, la sua confusione, e non seppi immaginare la sua stupefacente, trionfante completezza futura"