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Giangiorgio Pasqualotto, East & West. Identità e dialogo interculturale, Marsilio, Venezia 2003, pp 210, Euro 16,00

Questo è, in ordine di tempo, l’ultimo contributo dell’Autore, filosofo di formazione europea, alla cultura orientale cui ha dedicato, tra gli altri, i libri Illuminismo e illuminazione (1997), Yohaki. Forme di ascesi nell’esperienza estetica orientale (2001), Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d’Oriente (2002).

Il percorso di Pasqualotto, partito da Schopenhauer, Nietzsche e dalla Scuola di Francoforte, è in certo senso complementare a quello del filosofo giapponese Kuki Shuzo, arrivato in Europa per studiare la filosofia occidentale. Nel saggio La struttura dell’Iki (1922) quest’ultimo ha concluso circolarmente il suo itinerario ritornando e ritrovando la sua cultura d’origine e non è escluso che lo stesso Pasqualotto finisca per fare così.

Entrambi gli Autori sono interessati soprattutto al dialogo interculturale come strumento necessario a ritrovare la propria identità, evitando da un lato la tentazione dell’esotismo e dall’altro quella di una riduzione a sé dell’altro da sé.

Il libro di Pasqualotto consta di tre parti intitolate rispettivamente Orientamenti, Percorsi e Tracce, in ognuna delle quali viene sviluppata la comparazione tra temi e motivi delle tradizioni filosofiche orientale ed occidentale. La trattazione si basa sulla messa a fuoco di temi e problemi che si prestano a livelli massimi di scambio transculturale, come ad esempio la figura e il ruolo del Maestro, il problema della sofferenza, l’Amore per l’Uno, il presente come dimensione divina, il rapporto tra Uno e Molti.

Già nella Prefazione compaiono importanti temi di meditazione, come l’idea e l’esperienza del vuoto quale spazio di potenzialità. Possiamo aggiungere, a tale proposito, che nella fisica contemporanea un concetto familiare è quello di vuoto quantistico come spazio in cui vi è equilibrio perfetto tra materia ed antimateria. Solo la rottura di tale equilibrio provoca la comparsa, nello spazio che cessa di essere vuoto, di materia oppure di antimateria.

Anche la relazione a tre variabili indipendenti, descritta con la metafora dei due poli e del campo da essi prodotto, richiama alla mente la transizione dalla logica aristotelica binaria (vero/falso) alla logica ternaria costruita in seguito alle scoperte matematiche di Kurt Gödel e riconosciuta più corretta per definire le soluzioni di problemi con le categorie vero/falso/indeterminato.

A pag 97 è interessante per i cultori di discipline della psiche la nota n. 45, la quale riporta, a proposito della figura e ruolo del Maestro, la precisazione che una figura siffatta si possa talora celare sotto le spoglie di un "direttore di coscienza" come potrebbe essere uno psicanalista, anche se tra le due figure vi possono essere importanti differenze discusse nei testi citati in bibliografia..

Il confronto tra Maestro occidentale e Maestro orientale viene quindi sviluppato a partire dall’analisi dell’insegnamento socratico e del suo metodo maieutico, per identificare le caratteristiche che entrambe le culture impiegano al fine di distinguere i veri dai falsi Maestri. Le caratteristiche del vero Maestro sarebbero infatti il disinteresse, la necessità di essere tale, l’astensione dall’imporre delle verità, la marginalità e la convivenza con i propri discepoli.

Ovviamente diverse sono le modalità con le quali il Maestro spinge il discepolo alla ricerca e alla scoperta della verità. Il dialogo socratico è infatti un confronto logico-dialettico tra idee messe a confronto, mentre il dialogo zen, quando utilizzi il metodo dei koan, tende piuttosto a provocare una liberatoria rottura della logica ordinaria.

E’ evidente lo sforzo che fa l’Autore per stimolare i lettori ad un confronto costruttivo di culture, capace di produrre il massimo grado di reciproca tolleranza. Solo sul riconoscimento dell’identità altrui si può infatti fondare il pieno riconoscimento dell’identità propria.

Questo tentativo è benemerito e ad esso non si può augurare che il più pieno successo possibile: solo quando il termine "altro" non sarà più identificabile o sovrapponibile con quello di "nemico" potrà infatti realizzarsi l’utopia della concordia e della pace tra individui, nazioni, etnie, ideologie e fedi religiose. Il fetido cancro del nazionalismo e dell’imperialismo ha provocato molte delle guerre che hanno funestato il secolo passato e che si preparano a funestare il secolo presente.

L’unico farmaco capace di sconfiggere o prevenire questa aberrazione è di tipo culturale. "Conoscere l’altro" può anche non voler dire "amare l’altro", ma certamente diminuisce il pericolo di "odiare l’altro". Quando infatti si cerca onestamente di conoscere idee, motivazioni e scopi sottesi alle azioni di chi è diverso sarà certamente più facile accettarne e giustificarne i comportamenti, fino ad arrivare ad un reciproco adattamento. Se poi si ricorda che solo le differenze generano informazione, a maggior ragione si giustifica lo studio delle differenze come unico metodo per evitare o prevenire un inaridimento e un impoverimento della propria cultura.

Lauro Galzigna

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