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LA ZONA (Rodrigo Plà, 2007) di Francesca Crivaro

"L’angoscia ha cessato di essere la questione privata della singola persona. L’umanità occidentale in generale è immersa nell’angoscia: un determinato presentimento di minaccia terribilmente incombente sconvolge la certezza ontologica della persona umana. L’invadenza del fenomeno dell’angoscia , che da cento anni cresce vertiginosamente, ha raggiunto un’intensità mai sperimentata fino a oggi".

(V.E. von Gebsattel , Imago Hominis, 1964)

La zona, opera prima del regista messicano Rodrigo Plà, distribuito in Italia dalla Sacher film (ancora una volta Moretti conferma il suo straordinario talento nell’individuare registi di valore), premiato al festival di Venezia 2007 con il Leone per la migliore opera prima e al festival di Toronto con il premio della critica, è un film ben girato, convincente e purtroppo fin troppo attuale. Già dalla prima scena sembra di essere catapultati in un romanzo di James Ballard: La Zona potrebbe tranquillamente essere l’ Eden-Olympia di Super Cannes o la Chelsea marina di Millennium people. Non ci sono citazioni dichiarate delle opere di Ballare, ma è chiaro per chiunque abbia mai letto almeno un libro dello scrittore inglese che proprio quello sia il punto di partenza del film. Come è altrettanto chiaro che ben presto nel film la fantascienza sociale dei romanzi ballardiani venga superata dalla vita reale. I pericoli e le paranoie che derivano dall’isolamento sociale, che gli amanti di Ballard hanno imparato a conoscere e temere nei suoi romanzi, nella Zona diventano tristemente reali.

La Zona è un quartiere residenziale di Città del Messico: al suo interno ville signorili, campi da golf, scuole private ,strade pulite e ordinate. Ma soprattutto vigilanti privati, decine di telecamere per la videosorveglianza, altissime mura di cinta e filo spinato. Un vero e proprio microcosmo che vive con le proprie regole e il proprio statuto speciale, nel quale la vita sembra scorrere parallelamente al degrado sociale, alla delinquenza e alla povertà del mondo esterno e al tempo stesso confinante delle favelas. Ma i due mondi sono inevitabilmente destinati a intersecarsi: basta un temporale ed il conseguente blackout elettrico per mandare in mille pezzi il muro che li divide e con esso la miserabile e artificiosa serenità della Zona. Durante la notte un colpo di vento fa cadere un grosso cartellone pubblicitario che si trova subito al di là della recinzione che circonda la Zona: crolla un pezzo di muro e saltano per qualche minuto la rete elettrica e il sistema di videosorveglianza, così tre ragazzi delle favelas (che ricordano tanti personaggi del nostro neorealismo, per non dire i borgatari descritti da Pasolini nei suoi romanzi) approfittando della situazione si introducono nella Zona. I tre entrano in una villa per rubare, ma la proprietaria li sorprende e la situazione subito degenera: uno dei tre ragazzi uccide la donna, ma intanto arrivano sul posto i vigilanti privati che iniziano a sparare uccidendone due. Il terzo, Miguel, riesce a scappare diventando così l’obbiettivo di una caccia all’uomo alla quale partecipano quasi tutti gli abitanti della Zona, decisi a non coinvolgere la polizia e a farsi giustizia da soli. Il ragazzo braccato, non potendo uscire dalla Zona, proverà a nascondersi tra le ville nel quartiere e finirà nello scantinato di una di esse, dove verrà scoperto da Alejandro, un sedicenne che fino ad allora ha partecipato alle ronde con il padre. Trovandosi davanti il "mostro" e fissandolo negli occhi, il giovane della Zona si renderà conto che quello delle favelas èin fondo solo un ragazzo come lui e cercherà di aiutarlo a scappare. Alejandro non riuscirà nel suo proposito: Miguel verrà trovato e pestato a sangue dai più invasati fra i suoi inseguitori, morendo sotto gli occhi degli abitanti della Zona.

Questo film è stato descritto unanimemente dai critici cinematografici come un’opera sulla paura, noi invece riteniamo che qui la paura sia un elemento del tutto marginale. L’errore risiede infatti nel confondere la paura con l’ansia-angoscia: la distinzione tra queste due esperienze emozionali è fondamentale per la comprensione piena della drammaticità del film. E’ vero che il sentimento di partenza dei ‘residenti’ è la paura di perdere i propri privilegi, ma ben presto questa paura lascia il passo a un sentimento di indefinita inquietudine. Il concetto è spiegato magistralmente da Eugenio Borgna: "L’ansia (angoscia) indica in questo orizzonte di comprensione fenomenologica un’esperienza improvvisa ,o continuata, di spaesamento e di sventura imminente che ha in sé qualcosa di indeterminato e liberamente fluttuante. La paura, invece, testimonia di uno stato d’animo , di un’espressione emozionale, che si indirizza su una situazione reale e concreta dotata, certo, della connotazione di pericolo e di rischio, ma non oscura né ignota". Ecco il punto: i ricchi cittadini di Città del Messico autosegregatisi in un ghetto di lusso pensano di proteggere con mura di recinzione la loro sicurezza, ma finiscono per non rendersi conto che non esiste nessun sistema di vigilanza, nessun filo spinato, nessuna telecamera che possa eliminare quel senso di inquietudine. Perché esso non nasce dall’esterno, ma è radicato nella condizione umana stessa.

La necessità di modellare il territorio da parte dei cittadini della Zona, trasformandolo in un enorme villaggio turistico, non può che essere interpretato come il tentativo di vincere questo sentimento di angoscia. Convincerci di poter controllare lo spazio che viviamo diviene l’unico modo per illuderci di preservare la nostra libertà. A questo proposito Guy Debord affermava: "L’urbanesimo è la presa di possesso dell’ambiente naturale e umano da parte del capitalismo che, sviluppandosi conseguentemente in dominio assoluto, può e deve ora rifare la totalità dello spazio come suo proprio scenario". La fondamentale riflessione di Debord aiuta a comprendere la trasformazione della nostra società: infatti se nel periodo in cui Debord scrive la città intesa come immenso agglomerato di case senz’anima sembrava al capitalismo, proprio per il suo carattere di massa, l’unico modo per esercitare il proprio potere sociale e tenere in qualche modo a freno l’angoscia, oggi questa concezione viene ribaltata.

L’esplosione delle città sulle campagne e gli imperativi del consumo che ad essa sono legati hanno fallito nelle loro funzione terapeutica anti-ansia e il ripiegarsi in quartieri residenziali blindati appare oggi come l’unica speranza di sfuggire al sentimento fluttuante dell’angoscia. Si inizia a proporre dunque un nuovo modo di controllo dello spazio. La speranza di oggi è che aumentare la distanza fisica con quello che sentiamo come una minaccia ci garantisca la protezione, ma si tratta di una protezione precaria e fragilissima. Questa modalità di controllo è infatti destinata a fallire, fondamentalmente per due motivi.

Il primo è che la convinzione di individuare la minaccia che ci ossessiona in eventi e accadimenti specifici (nel caso del film in tre ragazzini disperati) non è che un’illusione. Magari rassicurante, ma purtroppo profondamente errata: come abbiamo già sottolineato con l’angoscia siamo davanti a un’esperienza emozionale indefinita e inafferrabile."Il concetto dell’angoscia è completamente diverso da quello del timore e di simili concetti che si riferiscono a qualcosa di determinato, mentre invece l’angoscia è la realtà della libertà come possibilità per la possibilità". (Kierkegaard nel Il concetto dell’angoscia.-La malattia mentale).

Il secondo motivo del fallimento è che la distanza fisica che noi affannosamente tentiamo di interporre con le cose per sentirci rassicurati non è che la forma meno importante di distanza. Esiste infatti un’altra distanza che è quella che realmente ci collega alle cose e che nessun muro può aumentare. "Talora la distanza vissuta è troppo corta …gli avvenimenti ci ossessionano, ci avvolgono come la notte, ci privano dell’individualità e della libertà". (Merleau- Ponty nella Fenomenologia della percezione).

Il messaggio del film ci è sembrato chiaro e lucidissimo: fino a quando cercheremo protezione nell’isolamento e nel controllo sullo spazio o sugli altri, la nostra esistenza non potrà che essere destinata al fallimento. Solo lo sguardo di Alejandro verso quel suo coetaneo disperato, solo l’incontro delle loro due vite e la loro relazione, solo la rimondanizzazione può davvero aiutarci a vincere l’angoscia.

"Noi non siamo monadi senza finestre: non siamo soggettività chiuse in se stesse, e in se stesse imprigionate, ma siamo monadi con le finestre spalancate che si muovono in una connessione aperta e continua con le esperienze e con il mondo degli altri-da-noi"
(Eugenio Borgna, in ‘Le figure dell’ansia’).

COLLABORAZIONI

Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci aspettiamo suggerimenti ma soprattutto collaborazione.

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