Trieste 4 novembre 2002
Caro giornalista,
con
questa lettera, che tante volte avrei voluto scriverti, vorrei rivolgermi ai tanti amici con cui so di condividere la fede nella
democrazia e molte battaglie per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza
alle fasce piu' deboli della popolazione. Vorrei parlare a quanti, di fronte al
rischio di cancellazione della legge 180, vogliono assumere posizioni di
equilibrio neutrale, riconoscendo (e chi non la riconosce!) la sofferenza che
vivono le persone con disturbo mentale e le loro famiglie e la chiusura dei manicomi come causa di quella sofferenza. A
quegli amici che dichiarano ideologica ed utopica la 180 e che sono convinti
che i malati di mente, cosi' li chiamano senza imbarazzo, vanno collocati in luoghi
dignitosi che, per carita'!, non diventino ÄúlagerÄù .
Non
c'e' imbarazzo nelle tue affermazioni perche' pensi al dolore delle famiglie,
perche' pensi all'evidenza di troppe risposte mancate. Perche' , come me, pensi
di avere a cuore il destino delle persone con disturbo mentale. Eppure se tu
avessi potuto attraversare, con me e con loro, gli ultimi trent'anni della
storia psichiatrica italiana, forse qualche sicurezza la perderesti. E
proveresti imbarazzo perche' quella legge (che io temo tu conosca poco), con un
gesto assolutamente semplice e "umanamente comprensibile", con un
semplice atto di giustizia, ha restituito a quelle persone ridotte a
"matti da legare" lo statuto di cittadini, il diritto ad esistere
dentro quel contratto sociale da cui erano stati definitivamente espulsi in modo
del tutto improprio, anche se "giustificabile" per la cultura
scientifica del XIX secolo.
Perche',
oggi in Italia, grazie a quella legge, i soprusi che i malati e le loro
famiglie continuano a subire, sono riconosciuti per quello che sono :
ingiustizie che , proprio perche' esiste quella legge sono finalmente
riconoscibili come tali.
Le
persone ancora legate ai letti, le porte chiuse, le mortificazioni corporali,
gli abbandoni intollerabili sono gli oltraggi a quel diritto di cittadinanza,
che oggi, quando viene violato o negato, genera imbarazzo, obbliga a
nascondersi, a trovare scuse.
E allora faresti fatica a liquidare cosi' in fretta la
questione, pensando ad una malattia che ancora si ritiene invalidante perche'
non si sa di che cosa si sta parlando e ci si fida di parole di cui non si
legge il significato. Proveresti imbarazzo perche' avresti visto troppe persone
"dementi" riaversi, rimontare, rimettersi a parlare di se', di te, di
tutti noi, rimettersi a guardare oltre il muro dietro cui la psichiatria aveva
sepolto vive le loro storie. Conosceresti molti uomini e donne che oggi
lavorano, hanno una famiglia, svolgono compiti di responsabilita', frequentano i
teatri, i cinema , leggono, scrivono, giocano a calcio. Insomma amano fare le
stesse cose che tu ami. Avresti visto che le persone con schizofrenia
guariscono, e vogliono vivere e si battono per non essere mai piu' discriminate.
" Voglio che la gente capisca che io sono proprio come tutti gli
altri.Sono una persona e voglio essere trattata come tale.Nessuno dovrebbe pensare
di mettermi in una scatola con l'etichetta" ha detto con commozione Nadia, ad un convegno delle
associazioni di persone con
disturbo
mentale.
Solo
perche' non sei stato li', allora, continui a non sapere che quella sofferenza
che chiamiamo "malattia mentale" non risponde ad alcun decorso
inesorabile, ma che ben diversamente si gonfia, si piega o si frantuma a
seconda di come la si guarda, la si ascolta; di come ci si avvicina a chi vi e'
rimasto intrappolato. Che la malattia mentale non e' un'entita' granitica, un'
evidenza biologica, un' ipoteca irreversibile sulla condizione umana. Che le
ferite, le storture, i sobbalzi dell'esistenza di questi uomini e donne
assomigliano ai nostri, che quel dolore ci riguarda ed e' comprensibile, come lo
e' tutto cio' che appartiene all'umanita' che e' in noi. E solo dato che non sei
stato li', continui a ignorare che la malattia si nutre dell'abbandono, della
violenza, dell'incomprensione, eppure riesce stemperarsi fino a sfaldarsi
quando il diritto di cittadinanza che quella legge oggi sancisce si tramuta in
appartenenza: nel diritto di esistere, abitare, lavorare, avere relazioni.
E
che oggi non e' piu' possibile spacciare la violenza, l'usurpazione, il controllo
per pratica terapeutica perche' c'e' sempre, da qualche parte, qualcuno che
finisce per smentirlo: un operatore, un volontario, un sindaco, una madre, un
fratello, un semplice cittadino che sa. Una persona che chiede aiuto, che
pretende di parlare, di capire, di essere ascoltata. Che chiede ostinatamente
di guarire. Un padre o una madre che pretendono un figlio da amare e non
qualcuno di cui avere
paura,
qualcuno di cui disfarsi, una povera cosa da abbandonare altrove.
Conosceresti,
se invece fossi stato con me nei luoghi della follia, i sussulti, le
tribolazioni, lo smarrimento della "scientificita' psichiatrica"
perche' avresti incontrato i suoi cedimenti mille volte. Riconosceresti che
l'inguaribilita' e la cronicita' nascondono l'incapacita' della psichiatria di
vedere i propri limiti e l'inerzia che le impedisce di inventarsi strategie
nuove e diverse . Avresti visto Servizi di Salute Mentale fasulli, inesistenti,
grotteschi nel loro disimpegno, nella loro sciatteria, nella loro stupidita'; e
ti accorgeresti della falsita' di chi intende far ricadere sulla legge la responsabilita'
di
questi
fallimenti.
Ma
avresti visto anche centri di salute mentale territoriali funzionanti,
residenze comunitarie, gruppi di convivenza diffusi in tutte le regioni
italiane e sapresti quanto e' stata ricca e faticosa la costruzione di una alternativa
all'internamento, alla deprivazione, all'abbandono istituzionale, al bisogno di
relazioni che le persone finalmente manifestano. Avresti incontrato migliaia di
maestri, educatori, accompagnatori, attori, imprenditori, scrittori sempre
molto motivati che hanno dato vita alle cooperative sociali: esperienze che
sono oggi uno strumento irrinunciabile di emancipazione,di
rimonta
che meglio dovrebbe essere conosciuto e alimentato.
Avresti frequentato le tante associazioni formate da persone con disturbo
mentale, da familiari, da cittadini che,al di la' delle strumentalizzazioni che
tu stesso inconsapevolmente alimenti, rappresentano il segno piu' evidente del
cambiamento.
Riconosceresti che, nei fatti, una legge quadro, come
e' la legge 180, ha avuto a Trieste, nella nostra regione e in molti altri
luoghi in Italia applicazioni pratiche esemplari. E ti fideresti di quanto
segnala l'Organizzazione Mondiale della Sanita' che, come ricorda un tuo lettore
indica l'esperienza del nostro paese come uno dei pochissimi eventi innovativi
nel campo della psichiatria su scala mondiale. E per questo diventa ancora piu' colpevole la disattenzione
dello stato e dei governi
locali
nel corso di tutti questi anni.
Riconosceresti cosi' anche quello che manca:
investimenti materiali e risorse umane finalmente adeguati, stimabili intorno a
quel 5% della spesa sanitaria da destinare alla salute mentale. Da anni ormai lo richiedono tutte le
associazioni e gli stessi governatori regionali. Un impegno tangibile da parte
delle regioni per rafforzare le reti dei servizi comunitari, attivando centri
di salute mentale aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e residenze comunitarie
come da vent'anni succede a Trieste, per popolazione ed aree definite ;
un'azione di vigilanza perche' i servizi ospedalieri di diagnosi e cura, i
servizi dell'emergenza,non siano situati nei sottoscala degli ospedali ne'
diventino bunker inesorabili e terrificanti . Un'assunzione di responsabilita'
da parte del mondo accademico per garantire un insegnamento coerente con il
modello di organizzazione dei servizi che il nostro paese ha individuato e
cerca di realizzare. Il coinvolgimento degli enti locali perche' promuovano
programmi di formazione e di inserimento
lavorativo delle persone con disturbo
mentale,
soprattutto i piu' giovani .
Tutte
cose gia' possibili grazie alla 180 e
al progetto obiettivo.
Forse allora sapresti tutto questo che non sai
perche' troppe volte abbiamo
dimenticato di chiamarti in causa. Di farti vedere che cosa e' davvero successo.
E cosi' tu hai visto soltanto l'abbandono delle persone in nome di una liberta'
che era solo indifferenza e arroganza. Hai visto la supponenza dei tecnici, le
negligenze delle amministrazioni, la miopia dei politici. Hai incontrato mille
volte la falsa coscienza di una democrazia che si elargisce facilmente a chi ci
assomiglia molto, a chi e' forte e ha il potere. Ma che si concede con riserva a
tutti gli altri soprattutto a chi si e' convinti di dover diversamente
considerare. Come la persona con disturbo mentale e la sua famiglia, che piu' di
altri rischiano di perdere contrattualita', potere, credibilita', ascolto,
comprensione.
L'irruzione della malattia mentale fa perdere soggettivita', rende debolissimo
il diritto e finisce per giustificare interventi al limite della legalita',
soprusi, gesti violenti. La legge 180 ha voluto impedire che questi gesti
banali e drammaticamente automatici avessero legittimita' formale, avessero
autorita' giuridica.
La
liberta' e' terapeutica" scrivemmo sui muri del manicomio di Trieste che si
apriva, "la cittadinanza e' terapeutica" ha ribadito il cardinale
Martini in un recente convegno della Caritas a Milano.
Ma riconoscere questa cittadinanza e
questa liberta', che la legge garantisce formalmente, non significa credere che
queste persone siano gia' libere, a dispetto degli innumerevoli condizionamenti
affettivi , cognitivi, relazionali, sociali che la loro sofferenza e lo
sgomento che suscita portano con se'. Significa invece, come ricorda la consulta
di bioetica , che con straordinaria
lucidita'
si e' espressa su questi temi, aiutarle a diventare libere.
Come vedi e' possibile riproporre tutta la questione
senza nulla di assoluto e di ideologico.
A una condizione pero': che le persone con disturbo mentale continuino ad essere
considerare cittadini. Persone come tutte le altre, la cui dignita' e il cui
valore devono costituire un limite invalicabile per l'operato delle
organizzazioni, delle tecniche, delle amministrazioni. Se perdessimo questa
rotta, come sembra minacciare il vento controriformista, si finirebbe per
spostare tutele e garanzie dai "matti" e le loro famiglie ad una
piatta ed anacronistica difesa dell'ordine sociale, per proteggere in realta' la
supponenza e gli interessi dei mercati e delle lobby professionali. Legalizzeremmo
di nuovo la violenza e l'abbandono da cui gia' ora, con tanta difficolta', devono
difendersi le persone con disturbo mentale e loro famiglie. Una miriade di
persone che, nonostante la 180, devono battersi quotidianamente contro tanti
nemici, spesso lontani e invisibili, ma sempre molto piu' forti di loro.
Ministri, politici, tecnici, sindacati, amministratori locali, giudici, preti,
giornalisti, uomini comuni che troppo spesso le hanno considerate oggetti,
pensando che non avessero niente da dire, negando sempre le loro storie.
Condannandole ad un'estraneita' irreversibile.
Con stima
Peppe
Dell'Acqua
Direttore
dipartimento salute mentale
Trieste
e
mail peppedellacqua@iol.it