"Il delitto Murri ci dice Valeria P. Babini nellEpilogo della sua "storia" poteva restare uno dei molti e tristi episodi di cronaca nera dellItalia di inizio secolo; invece, da "sotto le due torri" [
] la vicenda coinvolse lopinione pubblica italiana trasformandosi nel caso giudiziario più discusso dellItalia giolittiana". Un caso che attivò un susseguirsi drammatico e convulso di eventi, rivelatore della tormentata fase di transizione del Paese vero il XX secolo: fu loccasione per una strumentazione ideologica e politica mirante a liquidare valori che avevano costituito lasse portante del processo di formazione e di crescita in senso moderno della nuova nazione: socialismo, radicalismo, scienza, positivismo, visione laica del mondo e dellimpegno educativo furono al centro di un acceso dibattito che per più anni coinvolse lopinione publica nazionale e interessò settori importanti dellintellettualità europea.
Allorigine del "caso Murri" vi fu luccisione avvenuta a Bologna, il 28 agosto 1902, del conte Francesco Bonmartini per mano di Tullio Murri, fratello di Linda Murri, moglie della vittima. Tullio e Linda erano figli di Augusto Murri, celebrato clinico medico dellUniversità di Bologna. Quel delitto crudele ma sulle prime vissuto dalla città come scandalo circoscritto nellambito della "buona borghesia", acquista rapidamente ben altro significato e risonanza quando se ne impossessa strumentalmente il fronte benpensante e cattolico, rappresentato soprattutto dal quotidiano clericale bolognese "Lavvenire dItalia", di recente "modernizzato" con lintroduzione della cronaca nera. Il giornale avvia una campagna violenta e di grande successo raggiunge tre edizioni giornaliere amplificando dettagli morbosi e insinuazioni oscene sui Murri. Per il suo magistero e per la levatura filosofica e morale, il clinico Augusto Murri impersonava molto autorevolmente la cultura laica e positivistica predominante nellItalia di fine Ottocento. Eletto nello schieramento progressista al consiglio comunale di Bologna, aveva pronunciato dure requisitorie contro leducazione religiosa nelle scuole. Attivo militante socialista era il figlioTullio, da poco eletto nel consiglio provinciale. Scatta dunque un attacco durissimo il cui bersaglio è Augusto Murri e lideologia che egli rappresenta. La tragedia della sua famiglia è sfruttata spregiudicatamente a dimostrazione dei pretesi effetti nefasti delleducazione laica e razionalista. La prospettiva strategico-politica era però più ampia: sotto accusa cè il positivismo e lideale della scienza come suprema regolatrice dellumana condotta. E questo, va sottolineato, lautentico nucleo problematico che conferisce al libro il suo valore e la sua importanza. Non tanto il disvelamento di un crimine impressionante della "Bologna bene", ché anzi di esso alcuni risvolti rimarranno in ombra, alla fine. E invece la ricostruzione del senso storico - culturale e sociale - del grande clamore e del dilagante coinvolgimento polemico che ne era scaturito. Da qui lo straordinario lavoro di ricerca di Valeria P. Babini, basato sullanalisi di una documentazione eccezionalmente ricca e di prima mano, testimoniata nel volume da un nutrito apparato di note, indispensabile fonte di informazioni sui tanti personaggi e fatti richiamati nel testo. Numerose le illustrazioni, costituite da deliziose incisioni e foto depoca.
Il risultato è una storia dell"Italia del "caso Murri"" narrata nel dettaglio con inconsueta eleganza stilistica e non senza una distaccata, divertita ironia, strutturata con unarchitettura sapiente e un ritmo che ha landamento - e la partizione - quasi-musicale di un melodramma. Si apre con unouverture nella quale unabile mise en scène presenta Augusto Murri il giorno della sua prima lezione universitaria dopo due anni di volontario esilio da Bologna. In unaula traboccante di studenti e di medici legge per unora e tre quarti, con il volto segnato dallemozione, una "prolusione dotta, quasi filosofica" ribadendo la sua fondamentale adesione al razionalismo e alluso della critica. Claudio Treves la definirà "un dramma di Eschilo". Questa epifania della figura di Murri solitaria e drammatica conferisce la tonalità allintera vicenda. Egli rimane costantemente sullo sfondo come persona-simbolo, oggetto degli attacchi morali e ideologici, mai però chiamato a deporre in sede giudiziaria. Allouverture seguono capitoli densi di fatti e di personaggi; la narrazione procede ora incalzante, per il susseguirsi di colpi di scena, ora più distesa e riflessiva, come in un andante. Nel primo atto dellopera si entra subito in medias res. Sul palcoscenico cè il cadavere di Bonmartini. Da quel momento il "romanzo di Bologna" cresce su se stesso e si dilata a dismisura ad opera della stampa che gareggia spasmodicamente per battere sul tempo la magistratura inquirente in uninchiesta parallela che fornisca in anticipo al lettore sempre nuovi dettagli o indiscrezioni, reali o di fantasia. Col tempo, ai quotidiani si affiancherà una quantità incredibile di altra stampa, pubblicazioni periodiche (a dispense), opuscoli, volumi fatti stampare a tamburo battente dagli avvocati protagonisti del processo e così via; un motivo non secondario dellinteresse del libro è il panorama che offre delleccezionale diffusione capillare dellunico strumento di comunicazione di massa allora disponibile: quei prodotti a stampa che informano e orientano lopinione pubblica.
Alla prima parte dellopera - dedicata allinchiesta giudiziaria svoltasi a Bologna sino al rinvio a giudizio degli imputati - fa seguito una sorta di "interludio", un capitolo centrale dedicato alle reazioni del "mondo della cultura". Vediamo qui più da vicino Augusto Murri, i suoi rapporti con lateneo bolognese e, tra gli altri, Giovanni Pascoli, per il quale cera chi aveva sperato inutilmente che assumesse nel "caso Murri" il ruolo che era stato di Émile Zola nel caso Dreyfus. Entra in scena, tangenzialmente, anche Cesare Lombroso, medico del carcere di Torino dove sarà trasferito il processo per legittima suspicione. E appunto nellaula del tribunale di Torino è ambientata la seconda parte della vicenda. Sul teatro del processo il sipario si alza il 21 febbraio 1905. Sul palcoscenico affollato si esibiranno avvocati e periti tra i più celebri del momento - una volta pubblicate, le arringhe in difesa di Linda occuperanno un volume di 911 pagine - e si conteranno i corrispondenti di cinquantatre testate giornalistiche. Sfileranno quattrocento testimoni e tra il pubblico non mancano celebrità del mondo teatrale. Era il momento, ricordiamo, del teatro "naturalistico", e non di rado attori famosi cercavano di avvicinarsi alla rappresentazione della realtà studiandola nei tribunali, appunto, o nei manicomi.
E qui, attraverso lanalisi acuta di Valeria P. Babini delle lunghissime arringhe e delle verbose esposizioni peritali, si dispiegano fra i tanti offerti dal libro i due piani di lettura a nostro avviso più importanti. Luno è il processo alla scienza. Sia per errori di strategia processuale da parte degli avvocati e dei periti della difesa, sia soprattutto per intrinseca fragilità dei presupposti disciplinari esplicitamente esibiti, si assiste alla disfatta della psichiatria: nellambizione di presentarsi con la dignità di "scienza esatta" aveva preteso di pronunciare la parola definitiva sui comportamenti mediante espedienti tecnici aggiornati che avrebbero dovuto garantire lacquisizione di dati obiettivi. Si andava dai test di associazione verbale a un pletismografo portato in aula come una sorta di "macchina della verità". Alla fine, Enrico Morselli, nel tentativo di far riconoscere a Tullio Murri la seminfermità mentale, rievoca nozioni come l"atavismo" o il "primitivismo" e conclude giudicandolo dominato dall"autosuggestione" per una imprecisata "idea ossessiva" di dover "salvare" la sorella amatissima da un matrimonio infelice.
Laltro piano di lettura che va segnalato lo offre il personaggio chiave del dramma, Linda Murri. Più volte ricorre nel libro, ora in accenni fugaci, ora protagonista di snodi descrittivi importanti, sempre presente negli spazi della stampa che riversa su di lei i giudizi più disparati. Adultera, da un lato considerata ispiratrice e forse organizzatrice del delitto, dallaltro vista come emblema del "nuovo" mondo femminile di cui mostra gli aspetti più temuti nelluniverso maschilista. Nellimperante visione tradizionalista, che vuole la donna difesa dai possibili influssi negativi della "cultura", un giudice istruttore codino non troverà di meglio che far sequestrare la biblioteca di Linda per rintracciarvi opere licenziose e corruttrici. Ma Linda è comunque la prova degli effetti negativi delleducazione laica che si vuole le sia stata impartita dal padre. Stigmatizzando luna, si intende colpire laltro. Per lo spirito dellepoca è inammissibile nella donna separare la sessualità dalla sua destinazione riproduttiva; quindi i giornali - apripista il foglio clericale di Bologna - costruiscono di Linda unimmagine denigratoria, diffondendo le fantasie sessuali più scabrose e di fronte allintenso clima affettivo esistente nella famiglia Murri, alludono addirittura a rapporti incestuosi con il padre e il fratello. Si delinea così uno stereotipo negativo di donna che, con le loro arringhe, gli avvocati difensori cercheranno di demolire, sostituendolo peraltro con unimmagine non meno stereotipica, ricalcata sullideale materno e domestico. In più punti della sua opera, seguendo con attenta penetrazione psicologica il riemergere di volta in volta, nel corso degli eventi, di questo personaggio femminile, Valeria P. Babini ci restituisce la possibilità di una ben diversa comprensione di Linda, immagine dolente di vittima dei pregiudizi ma enigmatica e complessa, con "qualcosa di inspiegabile", secondo Scipio Sighele. Un personaggio non certo di donna allavanguardia, tuttavia portatrice di una "verità" femminile che al momento solo altre sensibilità femminili sanno cogliere e vivere con intelligente solidarietà, ad esempio Anna Kulischoff, Ada Negri, Paola e Gina Lombroso. Né va trascurato come lAutrice tratteggi con toni icastici e di pietoso rispetto laltro personaggio femminile del dramma, lumile guardarobiera Rosina Binetti, personalità elementare, a tratti primitiva, autenticamente dedita al grande amore per Tullio Murri. Unica fra gli imputati giudicata inferma di mente in sede processuale, finirà internata al manicomio di Torino con la diagnosi dallalone diffamatorio, per lepoca, di "isteria".
Concluso il processo con la condanna di tutti gli imputati, lepilogo della storia è il "processo a un secolo che muore". Leggendo le ultime pagine nelle quali Valeria P. Babini sintetizza i nuclei problematici portati alla luce dalla vicenda Murri, sorge in noi la visione di una fase crepuscolare che lentamente avvolge unepoca, una cultura, una società. Lo stesso Augusto Murri ci appare ormai in quella che Giorgio Cosmacini, in uno dei suoi saggi più intensi (Storia dItalia Einaudi Annali 4) chiamerà , dopo il suo "stallo teoretico", "declinante parabola": lascerà una grande lezione di razionalismo critico, ma non creerà una "scuola" che la tramandi e la faccia vivere. Il positivismo, braccato dallidealismo crociano e dal pragmatismo, si sta spegnendo. Nella versione di Cesare Lombroso, che di lì a poco verrà giubilato e riposto ad acta dai suoi stessi allievi, vivrà ormai solo nei gabinetti della polizia scientifica. Molti altri di quei nuclei problematici rimangono nodi irrisolti che continueranno a stimolare la riflessione nel secolo successivo: i rapporti fra leducazione morale e la scienza; la psichiatria "derisa e umiliata" risolverà la sua pretesa di "scientificità" nel crudo biologismo della gestione manicomiale e tarderà molti decenni prima di trovare una sua peculiare fondazione epistemologica; la messa in discussione di valori e "vergogne" della borghesia che solo la psicoanalisi, ormai alle porte, riuscirà a decifrare: quella stessa psicoanalisi a cui, e forse non senza motivazioni molto personali, Augusto Murri dedicherà lunghe pagine della sua Nosologia e psicologia (1923), in una critica feroce e assoluta.