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Nuovi dati supportano l'ipotesi ossidativadel Morbo di Alzheimer Due potenti antiossidanti come selegilina, un farmaco per il morbo diParkinson, e alfa-tocoferolo (vitamina E) riuscirebbero a ritardare l'aggravamentodei sintomi nei casi di Alzheimer moderatamente grave. La notizia èapparsa sul numero del 27 aprile 1997 New England Journal of Medicine. Sonostati pubblicati i risultati di uno studio multicentrico condotto in 23strutture che fanno parte dellí Alzheimer's Disease Cooperative Study.Lo studio è stato condotto somministrando la sola selegilina, lasola vitamina E o entrambe le sostanze contro placebo. Le persone trattatecoi farmaci hanno mostrato un deterioramento inferiore di alcune abilitàquali mangiare, vestirsi o cucinare rispetto a chi assumeva il placebo(25% in meno). Non ci sono stati, però, miglioramenti nelle capacitàcognitive (memoria, linguaggio, attenzione e comprensione). Di qui l'ipotesiche l'effetto antiossidante si eserciti, più che nelle cellule cerebrali,in altri apparati come quello cardiovascolare. Antinfiammatori salvaneuroni Neurology 48(3): 626-632, March 1997 Basandosi sui dati raccolti esaminandoper 15 anni oltre 2.300 persone, ricercatori del National Institute onAging statunitense (NIA) e della Johns Hopkins University hanno conclusoche l'uso continuato e prolungato di antinfiammatori non steroidei o FANS(i farmaci da decenni impiegati come antidolorifici nelle malattie reumatichee l'artrosi) può ridurre il rischio di contrarre la malattia diAlzheimer. Questa interessante conclusione è apparsa sul numerodi marzo 1997 di Neurology, e si basa sul Baltimora Longitudinal Studyon Aging, un'indagine promossa dal NIA, che è l'ente capofila nellaricerca pubblica sullíAlzheimer. Nelle persone che consumavano FANS dameno di due anni il rischio relativo era pari a 0,65, mentre in chi liusava da oltre due anni scendeva a 0,40. Ovviamente, non tutti gli antidolorificihanno manifestato questo effetto: il paracetamolo, per esempio, che haun'azione antinfiammatoria molto scarsa, non ha fatto registrare risultatianaloghi e così l'aspirina, che pure è un potente antinfiammatorio,probabilmente perché usata a dosi troppo basse. Secondo ClaudiaKawas, uno dei ricvercatori della Johns Hopkins School of Medicine, leplacche di amiloide e altre proteine potrebbero essere una risposta a unprocesso infiammatorio, smorzato appunto dall'uso dei FANS. È ancorapresto, comunque, per poter consigliare una profilassi a base di antinfiammatori,il cui uso cronico, peraltro, non è privo di effetti collaterali. Lo schizofrenico curato è meno espostoa contrarre il Morbo di Alzheimer G. M. Murphy, K. O. Lim, M. Wieneke, et al." No increase in the frequencyof Alzheimer's disease in elderly schizophrenics: A neuropathological study."American Association for Geriatric Psychiatry 10th Annual Meeting and Symposium,Orlando, Fla., March 2-5, 1997, p 2. Un'altra possibile linea di interventosull'Alzheimer è quella delineata da uno studio sui pazienti schizofrenicimorti in ospedale, presentato da Greer Murphy, psichiatra della StanfordUniversity, al 10° meeting annuale dellíAmerican Association for GeriatricPsychiatry. Lo studio di Murphy dimostrerebbe, in base alle autopsie condottesu 156 pazienti affetti da schizofrenia, che la percentuale di casi diAlzheimer è uguale se non inferiore a quella della popolazione generale.Infatti, negli ospedali dove è stata condotta la ricerca èpiù facile che giungano pazienti probabilmente affetti anche damalattie neurodegenerative come l'Alzheimer, e che quindi l'incidenza dellamalattia risulti superiore a quella della popolazione complessiva deglischizofrenici. Questo risultato è molto interessante, in quantosi riallaccia ad altri lavori che hanno dimostrato come l'aloperidolo,un farmaco largamente impiegato sugli schizofrenici, possa impedire lasintesi della beta amiloide. (da "Salute e Medicina Internet" - settembre 1998-)
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