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Oliver Sacks, Zio tungsteno, Adelphi, Milano 2002, pp. 412,

Euro 19

 

La presenza nel mondo di Oliver Sacks, nei luoghi che accolgono icone, è solida, diffusa, quasi pervasiva. C’è, innanzitutto, il suo sito [ www.oliversacks.com ], da dove ci guarda, sorridente e disponibile; lì ci sono informazioni, notizie delle sue attività e la concretizzazione della sua disponibilità al contatto. Ci sono i suoi libri, sicuri successi editoriali e i film, interpretati da grandi attori e diretti da famosi registi, dove si raccontano le storie che lui stesso ha scritto: storie molto adatte ad essere narrate da un mezzo, come il cinema, che può comunicare appieno la fisicità, particolare, dei personaggi descritti e riproporre la materialità degli ambienti nei quali le vicende si svolgono.

Ma il richiamo a Oliver Sacks ricorre anche ("testo ispirato a ..") in iniziative teatrali o viene usato per legittimare commenti e riflessioni su aspetti particolari dell’esistenza; Sacks parla dei ciechi, dei sordi, degli smemorati, degli emicranici, dei fanatici di diete, delle moto. Diverte leggere la sua impressione, di convinto motociclista, sul libro Il veicolo perfetto.La motocicletta, di Melissa Holbrook Pierson ("vi si ritrova — egli dice — il senso di libertà e di gioia che si prova correndo con la moto"), che conferma la poliedricità della sua personalità, realizzata su piani così diversi tra loro. Sembra, in sostanza, di sapere già tutto di lui e sembra, inoltre, che lui abbia già detto molte cose di sé attraverso il suo fare, non confinato in un solo campo di sapere.

Perché, a questo punto, questa biografia? Lo si capisce, poco a poco, quando ci si addentra nella lettura del testo. E’ un testo avvincente come un romanzo, rigoroso, a tratti, come un trattato scientifico, appassionato, come possono esserlo le storie che ripropongono i propri percorsi di crescita.

L’autore ha ritrovato in questa autobiografia una parte di sé che voleva ritrovare; è andato, ora, quasi settantenne, alla ricerca delle sue origini, con la saggezza e la sagacia dell’uomo maturo che riguarda se stesso, per completare, ma anche per continuare con consapevolezza, la sua strada. Egli racconta la sua vita dalla prima infanzia fino ai quattordici anni e attinge, da subito, a ricordi di colori, di odori, di oggetti che ci dicono molto del suo interesse per l'esterno, della sua apertura totale, sana, al mondo percettivo.

Si può quindi leggere questa "necessaria" autobiografia come una conferma di quanto viene prospettato, da più parti, come necessario, per i percorsi individuali dell’oggi e del domani: radicati in una contemporaneità che permette ben pochi appigli e che nasconde, spesso, le esili linee di rassicuranti continuità; si parla, infatti, di una "formazione continua" che non è solo accumulo di conoscenze, sedimentazione di "apprendistati", ma costruzione continua di una soggettività che si rapporta con un mondo complesso ed è quindi anche continua "costruzione di identità."

Questa costruzione - ricostruzione della propria identità che accompagna la vita stessa — questa riflessione sulle proprie esperienze che le connette insieme in una trama leggibile anche da altri — la troviamo proposta, quasi con umiltà, da un personaggio come Oliver Sacks, il cui percorso di vita è, certamente, un percorso raro.

Egli racconta la sua storia, la storia della sua relazione con l'esterno, con l'altro da sè, descrivendo, con minuziose analisi retrospettive, i suoi pensieri, il suo vissuto e gli oggetti esterni. Il suo atteggiamento pare non cambiare di molto rispetto a quello con cui è in relazione. Possono essere cose, oggetti di sapere, libri o persone. Forse per facilitare il lettore egli crea, nell'andamento del racconto, regolari intervalli tra cose e persone; ma non ci sono parti più calde, popolate di esseri umani , o più fredde, come la storia della chimica, i suoi esperimenti, o la descrizione e le riflessioni sulla tavola di Mendelev. Tutto è attraversato dallo stesso calore.

E' la continuità del suo sguardo che ci colpisce; ci colpiscono la descrizione delle sensazioni, la comunicazione dei suoi pensieri, la curiosità costante ed entusiasta ma assolutamente decisa a perseguire un gioco di verità.

E’ stato molto enfatizzato il suo rapporto con la conoscenza scientifica; si può dire che questo testo fa dell’ottima divulgazione scientifica: con leggerezza, senza perdere rigore e precisione, l’autore ci dà modo di ripetere - qualche volta anche di imparare - contenuti scientifici importanti.

La sua è la biografia di un uomo laico: laico perché ha vissuto la guerra ("il Dio che non c’era") e la paura della morte; laico, soprattutto, perché alle fedi, di qualsiasi tipo, preferisce la ricerca della conoscenza del mondo reale.

La storia della sua crescita coincide con la storia della sua conoscenza del mondo, nutrita da percorsi di cui egli pare tuttora subire il fascino; percorsi che lo mettono in contatto con stabili, rassicuranti oggetti: tale è il privilegio che la passione per la chimica regala ai suoi adepti. Ma il contatto avviene anche con i protagonisti del progresso scientifico, di cui Sacks ci ripropone, a volte, la storia. Si tratta di vite legate alla ricerca scientifica, che tuttavia l’autore ci presenta anche nella loro individualità caratteriale. Lo affascina Boyle, ma spiccano le figure di Lavoisier, di Hampry Davy, del grande Mendeleev o di Madame Curie, di cui legge la biografia a dieci anni, rimanendone fortemente colpito. In questo caso è la mamma, grande ammiratrice di Madame Curie, che gliela fa leggere, ma spesso i testi li trova da sé, cercando nelle biblioteche e sviluppando così un percorso conoscitivo autonomo, che fiancheggia quello scolastico e che acquista una sempre maggiore importanza. Ma il contatto con il mondo gli viene garantito anche dal fare: sempre, questo ragazzo, cerca di trasferire in una pratica quello che sta studiando e che vuol capire. Ha un suo laboratorio, dove può fare esperimenti in totale libertà. I suoi esperimenti sono spesso pericolosi. Combina non pochi guai: nella casa dei genitori del suo amico Jonathan, fa esplodere le seppie conservate in modo sbagliato; mette, nella vasca da bagno di casa sua, un polpo il quale — così sostiene — gli comunicava le sue emozioni, assumendo diversi colori quando lui entrava. Proprio a questo punto avviene il passaggio del suo interesse dalla materia inanimata al mondo organico: un mondo che sta entrando nella sua vita, attraverso la mediazione del suo stesso corpo di ragazzo che cresce.

Il suo racconto è scandito da questo passaggio dalla materia alla vita, dagli oggetti alle persone, con il filo conduttore delle riflessioni legate alla relazione con questo "altro da sé" di natura così diversa, ma sempre capace di favorire la crescita intellettuale e umana. Innanzitutto, possiamo osservare, c’è un percorso che lascia spazio alla speranza.

C’è un tema che percorre la narrazione, il tema dell’identità legata alla memoria. Oliver Saks presenta se stesso, la sua formazione, dalla prima infanzia fino ai quattordici anni, e lo fa da uomo maturo, sollecitato da ricordi, da tracce percettive che lo spingono a ritrovare un percorso non ancora compiuto, su cui indagare. C'è in lui un atteggiamento legato al piacere della scoperta, che si presenta al lettore come un interessante elemento di continuità, di cui riscopriamo la nascita e l’evoluzione.

Le paure e il mondo percettivo: stabilità, sicurezza, percezioni mistiche e poetiche dell’infanzia che danno "un centro interiore calmo e profondo"… Anche la madre amava la chimica, voleva spingersi oltre l’apparenza delle cose, sotto, in profondità. Strana famiglia. Sono tanti, medici, matematici, fisici: lui sceglie la chimica (più facile e sicura?). C’è un senso di appartenenza ma anche, da molto presto, la consapevolezza della propria separatezza.

Da subito ricorda i colori del Monopoli. E i colori della casa, i verdi e i gialli. Ha questo tipo di memoria in un mondo affollato di esseri umani: apparentemente sereno, ma forse complicato. Gli piace la sua casa, ritenuta non bella, con pochi oggetti di valore. C'è solo qualche sedia cinese. I suoi non badano all’arredamento. Casa grande, confusa, abitata da tante vite "separate".

Esperienze esterne: piccolo di sei anni se la vede con un preside sadico, molto inglese! Parla della diffusione del bullismo e della crudeltà. Ci passa quattro anni in quel collegio di campagna, dai sei ai dieci, lontano dalla sua grande e popolosa famiglia.

Poi c'è la guerra. La casa diventata irriconoscibile. Cose di tutti: paura, fame, genitori lontani, senso di estraneità. Lui è cattivo con la sua amata cagnetta Greta. E’ sorprendente la quantità di cose, di dettagli della sua infanzia che quest’uomo di quasi settant’anni ricorda. Non crede nei genitori, non crede in Dio, ma vuole credere a qualcosa. Solo e seviziato, si innamora dei numeri che non mutano.

Più tardi è nell’altro collegio, ancora più solo. La fantasia, le storie inventate, l’invenzione di un’altra famiglia, di un altro passato, lo aiutano. Racconta, come molti bambini, di essere stato abbandonato dai genitori. Cerca un’identità.

Sembra non abbia forti meccanismi di rimozione: pensa di sua madre, consapevolmente, cose terribili: che sia un'assassina; e, con coraggio, riesce a dirlo a se stesso.

Nel continuare il racconto della sua vita, nei capitoli in cui i familiari, ma poi anche i maestri e gli amici, prevalgono, viene effettivamente da dire che la sua formazione avviene, davvero, in un contesto privilegiato. Ma è giusto anche ricordare quello che lui stesso ci racconta nel capitolo centrale, "Vita in famiglia".

Nel 1943 il fratello Michael, di cinque anni più grande, diviene psicotico. Ha subìto, come lui, l’esperienza del collegio, dove è stato seviziato dai ragazzi più grandi e perseguitato da vere e proprie torture che il sadico preside di Braedfield infliggeva agli allievi. Oliver associa questa chiusura del fratello in un mondo "magico e maligno" — dove i confini tra fantasia e realtà sono ormai perduti, dove non c’è pace o possibilità di riposo — a queste sofferenze insopportabili. Nota la sorpresa (necessaria indifferenza?) del padre e della madre di fronte alle osservazioni della zia Len, che ha scoperto nella schiena del ragazzo lividi e segni di frustate. Capisce fino in fondo la sua stessa paura e la necessità di difendersi dal caos della follia. Cerca anch’egli rifugio in un mondo, il mondo della mineralogia, della chimica e della scienza, che è certamente mediato dal clima culturale della famiglia, ma che è solo suo e nel quale, davvero senza guida, trova, nella stabilità e nella bellezza degli oggetti, quella sicurezza interiore che lo fa procedere, attraverso la conoscenza di questo stesso mondo, verso la sua, particolare, maturità. Ci fa capire, in sostanza, e non solo attraverso il racconto di questo pur cruciale episodio, come non tutto, in ogni caso, dipenda dai contesti, come non tutto dipenda dagli eventi: sono le persone, gli individui che possono (devono?) trovare le vie d’uscita, le soluzioni, per mantenersi integri di fronte agli attacchi che il corso della vita prepara per loro.

In uno degli ultimi capitoli racconta brevemente qualcosa di suggestivo. Racconta il piacere dei "lussi" goduti "spudoratamente" durante una vacanza in Svizzera, che la famiglia si era concessa dopo la guerra: amante della musica e pianista dilettante, tiene finalmente un concerto; si concede lunghi bagni in un magnifico albergo; scopre le stelle alpine e le genziane…

E’ implicita, in questa narrazione, una riflessione molto rassicurante: si può godere del benessere senza esserne prigionieri; si può utilizzarlo come una piattaforma che ci aiuta a pensare il futuro ed a percepire "la dolcezza della vita". Oliver pensava tutto questo a tredici anni. Ora lo racconta a noi, con una freschezza ed una vitalità che lasciano spazio alla speranza.

Alla fine di questo libro non si può che dire: auguri di un ancor lungo e costruttivo percorso, mister Sacks !

VANNINA FONTE BASSO

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