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P. Pancheri (a cura di), Farmacoterapia psichiatrica (Trattato Italiano di Psichiatria), Masson, Milano 2003, pp. 618, Euro 75

 

 

Questo è il primo volume monotematico della 3° ed. del Trattato Italiano di Psichiatria, che si configura come un’edizione permanente con pubblicazioni semestrali programmate, in una struttura sequenziale a rinnovo continuo degli autori, al fine di ottimizzare la capacità di aggiornamento.

L’opera ha l’ambizione di rivitalizzare la rigida classificazione degli psicofarmaci (antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori) sulla base di una farmacodinamica di primo impatto definita a partire dai sistemi recettoriali coinvolti in prima istanza che non implica un loro ruolo esclusivo.

La filosofia generale del testo viene esplicitata nei primi due capitoli da P. Pancheri (Metodologia generale) e da A. de Bartolomeis e A. Ambesi-Impiombato (Basi molecolari e biologiche). Gli altri capitoli riguardano i singoli psicofarmaci di cui si considerano le caratteristiche generali e la gestione clinica, con particolare attenzione alle interazioni farmacologiche e agli effetti collaterali. In chiusura, un’appendice descrive gli psicofarmaci in commercio con i nomi delle specialità farmaceutiche, le ditte produttrici e le schede tecniche. Ogni capitolo è seguito da una bibliografia essenziale, ma contenuta.

In apertura si riconosce che "l’uso dei farmaci è solo una delle molteplici possibilità di intervento dello psichiatra", ma subito dopo si sottolinea come l’efficacia dei farmaci abbia, come garanzia, gli studi clinici controllati, condotti in doppio-cieco con procedure rigorose su gruppi di pazienti con patologie diagnosticate in base al DSM-IV. Un primo problema che si può individuare in queste procedure è l’uso di scale di valutazione qualitativa trasformate in punteggi numerici per consentire una elaborazione statistica dei risultati. Assieme a questo vi sono i problemi degli studi di meta-analisi e quelli di revisione, delle linee-guida e degli algoritmi terapeutici impiegati per ottimizzare l’uso dei diversi farmaci. Questi argomenti sono discussi in modo equilibrato e consapevole dell’enorme sforzo fatto negli ultimi anni per arrivare ad una Evidence Based Medicine (EBM) ed anche ad una Evidence Based Mental Health (Cochrane Library), ovvero programmi di diffusione di informazioni mediche basate sulle prove, in cui si ricerca l’equilibrio tra effetti positivi ed effetti negativi delle diverse alternative di trattamento (cf. Clinical Evidence, Ministero della Salute, 2003)

E’evidente che un’equiparazione tra malattie organiche somatiche e malattie psichiatriche in termini di EBM è altamente problematica.

Un cardiopatico avverte certi sintomi che permettono di cercare e trovare segni clinici precisi documentabili strumentalmente (ECG) e nel laboratorio di analisi (p. es. livelli sierici di marcatori specifici come la CPK-MB). I sintomi talvolta accusati da uno psicopatico possono per contro raramente preludere a segni clinici strumentali o laboratoristici. Mentre infatti il cardiopatico può "isolare" la fonte del suo disagio e denunciarne i fattori di rischio eventuali (p. es. fumo, ipertensione) con una chiara percezione della propria patologia d’organo, lo psicopatico non ha queste possibilità. Egli può solo indicare che il disagio riguarda il suo Io, il suo rapporto con il mondo o con l’ambiente in cui vive.

Un enorme, ammirevole lavoro biochimico ha permesso di individuare e capire le primissime tappe molecolari del funzionamento del SNC, ma il passaggio da queste tappe alla funzione globale del SNC è del tutto oscuro ed ogni correlazione tra una modifica farmacologica di queste tappe e una modificazione dei comportamenti resta altamente problematica.

La difficoltà degli studi di psicofarmacologia è ulteriormente aumentata dall’impossibilità di impiegare adeguati "modelli animali" e di dover limitare l’osservazione del comportamento degli animali trattati quasi esclusivamente a variazioni della loro motricità.

Il fatto che, malgrado queste limitazioni ed ostacoli, si sia arrivati a costruire un armamentario psicofarmacologico esteso come quello attuale, è senz’altro una conquista straordinaria. L’odierno psichiatra sa che non esiste una cura della malattia mentale che abbia lo stesso statuto delle terapie mediche ordinarie (p. es. terapia insulinica per la malattia diabetica). Sa inoltre sempre, anche se talvolta lo dimentica, che egli stesso è farmaco o parte insostituibile della terapia e il presente volume cerca di ribadire questa consapevolezza, anche se il numero degli psicofarmaci da conoscere e da usare impone un enorme e continuo sforzo di studio e aggiornamento che potrebbe temporaneamente distrarre il terapeuta, concentrato sulle molecole, dal paziente che di tali molecole dovrebbe beneficiare.

Particolarmente importante per gli psicofarmaci è l’effetto placebo, cioè la componente aspecifica della terapia dipendente dalle attese del medico e del paziente, dalla comunicazione e dal setting terapeutico. Le percentuali dell’effetto farmacologico, ascrivibili all’effetto placebo (fino ad un massimo del 50%), riportate nel testo, sono sottostimate rispetto a quelle riportate in letteratura (fino ad un massimo del 70%) (cf Enserink, Science 284, 238, 1999).

Come avveniva già 50 anni or sono, tutti gli psicofarmaci attuali sono varianti del motivo agonismo/antagonismo recettoriale e il loro uso dipende dall’efficacia clinica, ma anche dalla diffusione commerciale; esso è cioè determinato sia dalle convinzioni degli psichiatri che dalla forza di penetrazione nel mercato delle ditte produttrici.

Argomenti analizzati in dettaglio sono inoltre la specificità delle indicazioni terapeutiche, la latenza terapeutica di vecchi e nuovi psicofarmaci, il rapporto tra approccio terapeutico categoriale e dimensionale, la durata del trattamento e la fase critica della sospensione, i dosaggi e la loro variabilità, la variabilità della risposta individuale, le associazioni farmacologiche, la continuità dei trattamenti in rapporto a fattori terapeutici specifici ed effetti collaterali, la valutazione psicometrica e clinica dei risultati da cui emerge il livello di remissione della patologia. Gli errori terapeutici vengono considerati con attenzione in relazione a diagnosi, indirizzo terapeutico, programmazione del trattamento, previsione dei risultati, procedura e pratiche di prevenzione. La parte conclusiva del capitolo introduttivo riguarda aspetti bioetici del trattamento psicofarmacologico, i suoi costi e i rapporti tra terapeuti ed aziende produttrici di farmaci.

Il secondo capitolo di carattere generale, dedicato alle basi biomolecolari dell’uso clinico degli psicofarmaci, è una rassegna estensiva dei meccanismi recettoriali e di trasporto di membrana, della trasduzione dei segnali, della regolazione dei meccanismi di trascrizione genica, della farmacogenomica e della neuroplasticità.

Le informazioni riportate riguardano i diversi livelli della neurotrasmissione centrale e cioè sintesi dei neurotrasmettitori, interazione tra questi e i loro recettori o trasportatori di membrana, trasduzione del segnale dal recettore al nucleo cellulare e modifica della neuroplasticità, ai quali si può riconoscere l’azione degli psicofarmaci. I risultati considerati riguardano in larga parte esperimenti "in vitro" con sistemi isolati e liberi da cellule, ma anche prove "in vivo" con tecniche di neuroimaging che documentano il legame di farmaci marcati con radioisotopi a recettori cerebrali di volontari normali e affetti da patologie psichiatriche.

In generale, sono stati presi in esame 14 tipi di neurotrasmettitori e 31 recettori diffusi in almeno 17 diverse aree cerebrali. Importanti contributi alla conoscenza dei meccanismi recettoriali sono venuti dalla ricerca biotecnologica con cellule staminali embrionali, animali transgenici e portatori di delezioni geniche (knock-out). I bersagli dell’azione della maggior parte degli psicofarmaci sono la neurotrasmissione dopaminergica, serotoninergica, colinergica e GABAergica, mentre i loro effetti sono eccitatori, inibitori o di stabilizzazione dell’umore. La recente branca della farmacogenomica e quella della bioinformatica che si sono sviluppate a partire dai dati ottenuti dal "Progetto Genoma Umano" hanno fatto intravvedere potenzialità e stimolato aspettative e speranze di identificare tratti ereditari specifici di malattie psichiatriche e caratteristiche genetiche individuali che possono indirizzare il trattamento psicofarmacologico.

Questo testo è un’opera molto ricca e documentata, certamente adeguata all’enorme complicazione dell’oggetto di studio dichiarato. E’ perciò una lettura altamente raccomandabile a psichiatri, a neuroscienziati e, in generale, a tutti coloro che operano nel campo della psichiatria.

Lauro Galzigna

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