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Erminia Passannanti, Il corpo & il potere. Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, Troubador Publishing Co., Leicester (UK) 2004, pp. 84.

(il libro può essere ordinato via internet alla Amazon inglese, alla seguente URL:

http://www.amazon.co.uk/exec/obidos/ASIN/1904744486/troubadorpublish/202-4744188-9339830)

Il corpo & il potere, pubblicato in Gran Bretagna in lingua italiana, è opera della poetessa, saggista e traduttrice Erminia Passannanti, che vive a Oxford. Si tratta di uno dei più accurati e interessanti scritti sul più controverso film di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 Giornate di Sodoma. Come nei suoi lavori su Franco Fortini e sulla poesia italiana contemporanea, anche nell’esaminare l’opera pasoliniana la Passannanti mette in campo un complesso di conoscenze ampie e profonde, che vanno dalla filosofia alla letteratura, dalla critica cinematografica alla psicologia e alle arti figurative. In tal modo, la trattazione non solo interessa lo sviluppo del film di Pasolini, i suoi obiettivi, il suo senso complessivo, ma indaga anche i suoi significati meno evidenti, meno diretti e più reconditi, e perciò più profondi, attraverso l’attento esame dell’extratesto nei suoi vari livelli: e tale esame si rivela un’operazione quanto mai importante, quando ci si confronta col poeta-regista Pasolini. La poetica del Pasolini regista si distingue infatti per l’esplicito riferimento alla poesia, intesa come percezione dei significati veri, essenziali, di una realtà resa banale dalla superficialità dell’industria culturale e dal carattere riduttivo dei linguaggi specialistici: come rileva Erminia Passannanti, "Pasolini dichiarava di volere continuare a portare avanti un discorso sulla ‘realtà’, ma nei termini di un ricorso radicale alla metafora da realizzarsi attraverso il medium cinematografico, per consentire alla verità di venire alla luce mediante la forza espressiva dell’immagine, fuori e oltre le barriere dei linguaggi specialistici.

Nel trattamento cinematografico dei suoi soggetti, mirava, pertanto, ad un’immagine allo stato puro, come linguaggio poetico dotato di potenza evocatrice. La lingua-cultura a disposizione del regista, come organismo vivo che ingerisce, assimila e reinventa incessantemente tanto i dati della realtà, quanto le sue forme di coscienza e le sue funzioni, riconducendo a un discorso organico la contraddittorietà della visione artistica e del pensiero filosofico, doveva potersi basare sulla figura del poeta quale fautore della funzione creativa dei mezzi espressivi e tecnici impiegati. Il cinema, secondo Pasolini, doveva poter svolgere una funzione non strumentale, diversamente da altri linguaggi, volti all’estrinsecazione di funzioni comunicative pragmatiche. Il proposito era, dunque, portare il linguaggio cinematografico a stretto contatto con la poesia per conferire al cinema le stesse specificità espressive" (pp. 9-10).

Il cinema di Pasolini si configura quindi come un’arte ibrida, fortemente caratterizzata da un’espressività di natura poetica e non strumentale, -da un’espressività che, cioè, non si esaurisce in un’insensata catena di rimandi da un oggetto all’altro, ma mira alla stessa essenza delle realtà considerate. L’arte cinematografica di Pasolini risulta inoltre "contaminata" dal riferimento alle analisi di Freud, Foucault, Lacan, Merleau-Ponty, Bataille, Barthes sulle dinamiche di costituzione del potere e sull’uso della corporeità dei dominati da parte dei dominanti. La Passannanti osserva infatti che Pasolini, in Salò, realizza "un’estremizzazione non solo dei processi degenerativi della morale, o di quelli che, sul piano ideologico, politico ed etico, attengono alla formazione dei regimi totalitari, ma anche di altre forme di destituzione della libertà, quali possono avere luogo subdolamente all’interno di forme di governo a tendenza liberale.

Da questa prospettiva, Salò rappresenta un attacco sia alle dittature di partito sia alle forme di capitalismo avanzato, quali modelli che subordinano il singolo e la collettività, di cui si dichiarano garanti, all’autorità dei modelli sanciti. Presi nell’ingranaggio della macchina del potere, individuo e massa sono forzati a forme di consenso che stimolano, al contempo, comportamenti contrapposti di integrazione e alienazione, ottenuti, nelle dittature, attraverso norme disciplinari basate sulla cieca obbedienza, e nelle società liberali, tramite l’assimilazione dei codici imposti dalle élite, dalle classi dirigenti" (p. 15).

A questo proposito, è chiaro l’influsso che esercitano su Pasolini le tesi di Foucault sulle tecniche di costituzione e mantenimento del potere attraverso la formazione di un "corpo-potere", capace di condizionare e addirittura di plasmare le personalità dei governati: infatti, "come critica alle ideologie che partecipano alla creazione dello Stato assolutista e del dominio capitalistico, Salò nasceva dal bisogno di commentare l’effetto che il potere ha su chi il potere politico o economico lo subisce, primo tra questi i giovani […]. Ricorrendo ad un procedimento dialettico-allegorico, che poneva come paradigmi dell’opera le antinomie vittima/carnefice, bene/male, ordine/anarchia, il film rappresentava il modo in cui le masse si figurano lo Stato, e come l’assimilazione del singolo al ‘corpo-massa’ venga indotta al fine di rendere il popolo uno strumento acritico e passivo nelle mani delle oligarchie del potere costituito" (p. 12).

Le dinamiche di "educazione", o meglio di "sottomissione" del corpo-massa nei regimi dittatoriali si mostrano in modi piuttosto eclatanti, e tendono a limitare la personalità degli individui entro una gamma ristretta di concezioni e comportamenti: il divieto e la punizione assumono dunque un ruolo centrale nei processi educativi messi in atto dai regimi dittatoriali. Avviene quindi che "in Salò, il corpo-potere, costituito dai gerarchi riuniti alla villa, contempla varie tecniche di restrizione della libertà sia dei prigionieri sia dei collaboratori: queste comprendono l’assillo della prestanza fisica; la verifica costante dei livelli di obbedienza alla didattica normalizzatrice; la sottomissione al protettorato coercitivo sotto la minaccia continua della punizione. L’ossessione dei libertini per il rispetto delle norme fissate è, infatti, proporzionale alla severità dei castighi inflitti in caso di contravvenzione alle leggi fissate. Tale logica disciplinare, che mira a produrre corpi docili, dinanzi al fallimento delle istanze stabilite, crea vittime" (p. 28).

I percorsi di imposizione di modelli ideologici e comportamentali diventano più complessi nel sistema capitalistico e consumistico, sorretto dalle dinamiche di produzione e consumo e dalla loro perpetuazione attraverso una continua induzione di bisogni, -e attraverso il conseguente controllo dei bisogni da indurre e, dunque, delle aspettative di chi è persuaso a manifestare non più desideri "gratuiti" (e forse non realizzabili), ma la mera volontà di appropriarsi di oggetti, di beni, di merci, incessantemente proposti "dall’alto".

Il capitalismo ricerca infatti non soltanto l’obbedienza, bensì il completo appiattimento delle personalità su un determinato (ma non statico) apparato di concezioni e pratiche, su cui il sistema capitalistico si regge e che lo stesso sistema rielabora e propone in maniera parossistica; Pasolini ne è consapevole e, in Salò, illustra le tecniche con cui i dominanti ottengono non solo l’obbedienza, ma perfino la collaborazione e la complicità dei dominati-vittime: "Una delle condizioni", osserva Erminia Passannanti, "per ottenere la disciplina dai ragazzi catturati è la compresenza di vittime e persecutori negli stessi spazi, che diventano aree di gestione del codice prescrittivo, oltre ad offrire ai libertini spunti ed occasioni orgiastiche. La seconda condizione è il controllo dei movimenti dei prigionieri e delle loro più intime funzioni fisiologiche, della fame, dell’ingestione di cibo, della defecazione […]. Salò è una narrazione di racconti libertini gestita da quattro narratrici, le quali coadiuvano i gerarchi a mantenere la disciplina all’interno del reclusorio con attività quotidiane ‘ricreative’ e ‘celebrative’, imponendo ai detenuti condotte, di volta in volta, idonee alla creazione dell’atmosfera orgiastica. Ne consegue che la terza condizione per il controllo del corpo dei reclusi sia la verifica e la messa in scena delle lezioni da loro apprese mediante esami e manifestazioni che sono parodie delle attività che hanno normalmente luogo in caserma, a scuola, o in convento. La quarta e ultima condizione è la realizzazione dell’isolamento e la distruzione della solidarietà tra prigionieri, che entrano in uno stato di crescente sfiducia verso gli altri e paura di essere traditi, come avviene in qualsiasi regime punitivo" (pp. 28-29). La conseguenza delle pratiche disciplinari messe in atto dai dominanti-persecutori è quindi la rinuncia, nei dominati-prigionieri, "alla propria identità a favore di un’assimilazione del corpo individuale al corpo sociale tramite la gratificazione offerta dal corpo-potere" (p. 47).

L’antinomia fra terrore e gratificazione esprime il sadismo che è alla base delle tecniche persecutorie dei libertini di Salò: "Il predominio sociale, economico e corporativo dei libertini di Salò si esplica nella capacità di incutere terrore tramite abusi sessuali e sanzioni disciplinari imposti al gruppo dei giovani sequestrati sia sul piano fisico sia su quello psicologico. L’erotica assume la fisionomia di una forma traslata del potere, copertura retorica dell’aspirazione fallica di supremazia sul più debole, che si estrinseca non tanto nell’anomalia dei vari atti sessuali, quanto nel compiacimento di imporre la disciplina e infliggere la punizione attraverso pratiche perverse. Il potere di deliberare castighi corporali e condanne a morte traduce l’arroganza dei quattro libertini, che mercifica i prigionieri sulla base di una supremazia di classe" (p. 30).

La dimensione conflittuale che pervade Salò è attinente non soltanto alle differenze di classe, ma anche al divario generazionale e, quindi, alla tensione fra la reiterata frustrazione dei libertini e l’apertura al futuro incarnata dai giovani: a questo proposito, la Passannanti sottolinea ulteriormente, e in modo particolarmente pregnante, la significativa influenza, che esercitano sul poeta e regista italiano, le teorie di Foucault concernenti il rapporto fra educazione e repressione. L’atmosfera conflittuale di Salò è inoltre accentuata dalla netta spersonalizzazione, dalla de-umanizzazione dei perseguitati ad opera dei persecutori: la Passannanti rileva infatti che "nella condotta sadica dei protagonisti di Salò, il conflitto relazionale che intercorre tra l’oggetto interno (il desiderio) e l’oggetto esterno (il desiderato) evidenzia il senso d’onnipotenza che i gerarchi ricavano dai bisogni istintuali, soddisfatti tramite le metodologie del potere; le vittime, infatti, vivono in uno spazio intermedio tra realtà e immaginazione, che li rende oggetto di una libido essenzialmente narcisistica" (pp. 46-47).

Il riferimento a Sade risulta predominante nell’extratesto di Salò; Erminia Passannanti osserva tuttavia che Pasolini rilegge Sade dalla prospettiva di Bataille (Le lacrime di Eros, La letteratura e il male, L’erotismo); inoltre, la Passannanti nota che il poeta-regista tiene conto dell’invito di Barthes a "porre attenzione al messaggio etico e filosofico dell’opera del grande libertino" (p. 51). In questo senso, -cioè nella valorizzazione del messaggio etico che, paradossalmente, la raffigurazione del sadismo produce-, si può comprendere perché Pasolini, in Salò, offra al pubblico uno spettacolo che trascende qualunque concezione razionale dei rapporti interumani. In Salò, il corpo delle vittime viene dapprima abusato sessualmente, poi è reificato e costretto alla coprofagia (come ad esprimere, metaforicamente, anche gli effetti dei condizionamenti pubblicitari sulla massa dei fruitori-dominati), e infine viene torturato, stuprato, ucciso, cosicché l’erotico/osceno raggiunga i suoi limiti estremi. L’obiettivo primario di Pasolini consiste, infatti, proprio nel suscitare il disgusto dello spettatore nei confronti dei persecutori e dei loro metodi, giacché "l’osceno ha un suo campo d’azione ben delineato nel sociale, un suo attivismo etico e una sua utilità politica, agendo come una lancia conficcata nel costato del sistema, del suo ordine e delle sue leggi, che invade e destabilizza. Per antitesi, l’erotico/osceno sancisce la legge morale a cui si oppone nel momento stesso che, provocandola, ne sollecita l’intervento e l’autorità" (p. 64). E l’attacco di Pasolini è rivolto non soltanto contro il passato fascista e la sua retorica, ma anche contro il sistema neocapitalistico e le sue pretese umanitarie, edificanti, pseudo-liberali. Pasolini tende quindi a indirizzare il disgusto degli spettatori contro i gerarchi-persecutori, al fine di far emergere l’equazione fra sadismo ed esercizio del potere in contesti sociali, politici, economici non libertari, in quanto fondati sull’attribuzione di potere a un gruppo ristretto, -cioè a un’oligarchia che perpetua la propria supremazia escludendo, massificando e mantenendo in uno stato di inferiorità e sottomissione la gran parte del popolo.

La Passannanti evidenzia quindi la valenza positiva dello shock-value prodotto da Salò: uno shock-value accentuato dagli espliciti rimandi non soltanto a Sade e alle dinamiche perverse che sorreggono tanto il fascismo quanto il capitalismo-consumismo, ma anche a canoni architettonici e pittorici e a concezioni estetiche che riducono l’arte a strumento utile per il regime o, nel caso del sistema capitalistico, a un oggetto riproducibile, commerciabile, usufruibile (ed è evidente, a tal proposito, l’influsso di Benjamin e Adorno).

In Salò, come rileva Erminia Passannanti nelle pagine conclusive del suo saggio, "ciò che si scempia sotto lo sguardo dello spettatore non è la morale sessuale, ma il concetto di coesione e solidarietà sociale, che è simbolicamente stuprata dal corpo-potere e dai suoi meccanismi di asservimento della libertà del popolo" (p. 75). Perciò "lo shock-value prodotto da Salò è momento di coscienza politica e strumento rivoluzionario" (p. 75). E non meno "rivoluzionario", oserei dire, si rivela lo scritto di Erminia Passannanti: infatti, nonostante molti pregiudizi nei riguardi di Pasolini e della sua produzione artistica siano stati superati, sostituiti da interpretazioni più accurate e penetranti, il saggio della poetessa e studiosa di origine salernitana si distingue non soltanto per la profondità della lettura di Salò che esso presenta, ma anche per la notevole erudizione che lo caratterizza, per l’eleganza dello stile e per l’agilità dell’esposizione, che ne rendono particolarmente avvincente e appassionante la lettura.

Diego Lucci

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