|
XIV LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
|
 N. 844
|
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato CENTO
Modifiche alla legge 13 maggio 1978, n. 180, concernente
accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, e
alla legge 23 dicembre 1978, n. 833, concernente istituzione
del Servizio sanitario nazionale, in tema di tutela della
salute mentale
Presentata il 14 giugno 2001
XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 844
Onorevoli Colleghi! - Entro il 31 dicembre 1996,
secondo quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 3 della
legge 23 dicembre 1994, n. 724, era stata stabilita la
chiusura dei residui manicomiali. A quasi venti anni
dall'approvazione della legge n. 180 del 1978, si profilava,
dunque, una nuova, impegnativa e certamente complessa fase.
Da una parte, infatti, le nuove norme chiudevano
definitivamente una esperienza pluridecennale degli ex
manicomi, che già all'inizio degli anni novanta era stata
denunciata da esponenti del Parlamento.
Dall'altra parte, come indicato da un ordine del giorno,
presentato dal senatore del gruppo verde, Ronchi, e approvato
dal Senato della Repubblica, in occasione dell'approvazione
della legge n. 549 del 1995, appare indispensabile che la
chiusura dei residui manicomiali sia, alla luce della
situazione venutasi a determinare, seguita da essenziali
impegni: "Promuovere un'azione di coordinamento, di indirizzo
e di impulso nei confronti delle regioni affinché tale
chiusura avvenga nei tempi previsti, con progetti
differenziati e personalizzati, perché non si verifichino
situazioni di abbandono o la riproposizione di strutture
manicomiali comunque denominate; costituire presso il
Ministero della sanità un "Osservatorio sul superamento dei
manicomi" con la partecipazione di operatori, di associazioni
di volontariato e dei familiari, di rappresentanti
istituzionali; attuare un'indagine sulle cliniche e strutture
private che ricoverano o ospitano malati di mente per
verificare che non siano manicomi mascherati; provvedere,
nell'ambito delle proprie competenze e sulla base della
disponibilità finanziaria per il settore della sanità, con
particolare riferimento agli stanziamenti non ancora impegnati
per le opere edilizie in sanità (ex articolo 20 della
legge n. 67 del 1988), a promuovere le iniziative necessarie e
urgenti per contribuire ai finanziamenti indispensabili ad
attivare le strutture residenziali destinate agli ospiti dei
residui manicomiali che verranno chiusi".
In questi anni molti reparti di neuropsichiatria degli
ospedali o dei policlinici sono stati trasformati in piccoli
bunker, seguendo spesso la medesima logica dei manicomi
che si volevano chiudere. Le cliniche psichiatriche private
sono diventate, quasi sempre con la compiacenza delle ex
unità sanitarie locali e delle attuali aziende sanitarie
locali, una sorta di parcheggio per i malati che non si sa
dove mettere e da chi fare assistere.
Vi sono alcune condizioni fondamentali e urgenti da
determinare per una effettiva attuazione degli impegni cui il
Parlamento ha vincolato l'azione del Governo. Occorrono
accordi di programma con le regioni; finanziamento di
interventi "utili non solo per i ricoverati degli ex manicomi,
ma anche per le necessità territoriali, presenti e future, dei
malati di mente, utilizzando oltre ai finanziamenti
disponibili, oggi male utilizzati negli ex manicomi e spesso
non impegnati, una quota aggiuntiva del Fondo sanitario
nazionale, oltre al ricavato della vendita parziale o totale
delle aree e degli edifici degli ex manicomi, in particolare
quelle parti non convertibili realmente e radicalmente nelle
nuove strutture abitative e nella nuova organizzazione
alternativa a quella manicomiale"; inserimento non traumatico
nelle nuove strutture degli attuali ricoverati presso gli
ospedali ed istituti psichiatrici, attraverso programmi
individuali di riabilitazione ed integrazione sociale;
garanzia di adeguati interventi riabilitativi sanitari,
sociali ed educativi agli ospiti delle strutture alternative,
sia con personale professionalmente qualificato sia favorendo
la partecipazione del volontariato sociale in strutture che
siano sotto la responsabilità del dipartimento di salute
mentale della azienda sanitaria locale territorialmente
competente; costituzione di un Osservatorio permanente sul
superamento dei manicomi "nel quale siano rappresentati gli
utenti, le loro famiglie, operatori ed associazioni di
volontariato del settore".
L'insieme di queste proposte delineano e suggeriscono una
prospettiva seria, non "ideologica", di confronto e di
indirizzo in merito all'assistenza psichiatrica e, in
generale, al tema della salute mentale dei cittadini. Non già
soltanto una scelta pragmatica, in senso riduttivo e
strumentale, che sarebbe, per così dire, imposta dalla
esigenza di fare fronte alla richiesta di revisione della
legge n. 180 del 1978 secondo una logica repressiva; quanto
l'ipotesi di una soluzione non retorica alla sofferenza
psichica che c'è, ed è in aumento, in una società come la
nostra che soffre la mancanza di valori, che vive tra
squilibri profondi di ricchezze offensive e di povertà
inaccettabili.
Chiunque abbia messo piede in uno degli ex ospedali
psichiatrici certo si sarà chiesto quale riforma sia stata
approvata, nel 1978, con la legge n. 180. Il problema è di
piena attualità, con alcuni progressi che tuttavia non
cancellano il ricordo (e in molti casi, la realtà) delle
situazioni che Franco Basaglia aveva denunciato con il suo
famoso volume "Crimini di pace": lì, con tutta la loro
brutalità e crudezza, a gridare vendetta contro una società
che si era sostanzialmente "lavata" la coscienza con una legge
che mai seriamente si è voluto applicare. Sono stati anni di
iniziativa e di denunce, di informazione in merito a casi e
situazioni di "ordinaria aberrazione": da Milano a Rieti, da
Roma a Reggio Calabria, da Messina ad Agrigento. Al di là
dell'ormai famoso caso di Agrigento, scoppiato e parzialmente
risolto per la tenacia e l'impegno di Domenico Modugno, che è
riuscito a trasformarlo in caso nazionale, esiste una miriade
di situazioni che abbiamo rimosso.
A tale proposito si ritiene opportuno ricordare nuovamente
due atti parlamentari che, nella X legislatura, alla fine
degli anni ottanta, rappresentarono un forte grido di denuncia
contro lo scandalo dei manicomi e, dopo la "180", degli
ex manicomi. Il primo (interrogazione n. 4-02299 del
senatore Spadaccia ed altri) riguardava specificamente la
situazione riscontrata nel manicomio di Agrigento: "Premesso
che il 7 luglio il senatore Franco Corleone, del Gruppo
federalista europeo ecologista, senza alcun preavviso si
presentava all'ospedale psichiatrico di Agrigento e, in
assenza del direttore, chiedeva al dottor Francesco Butera,
primario dell'ospedale e in quel momento facente funzioni di
direttore, di visitare l'ospedale; che il senatore Corleone
era tra l'altro accompagnato dal giornalista Gad Lerner de
L'Espresso, che sulla visita ha scritto un servizio
pubblicato sul numero 42 del 23 ottobre 1988 con una
documentazione fotografica inoppugnabile; che è quasi
impossibile descrivere la vergognosa ed allucinante situazione
oggettiva nella quale i malati sono costretti a vivere. In
questa sede è sufficiente esporre i seguenti dati che comunque
potranno dare un'immagine certamente lontana dalla realtà:
a) nell'ospedale psichiatrico di Agrigento sono
tuttora ricoverati 375 malati suddivisi in sette padiglioni
completamente fatiscenti;
b) i malati sono assistiti da tre psichiatri a
tempo pieno e da uno a mezzo orario, gli infermieri sono un
centinaio suddivisi in quattro turni (2 o 3 infermieri per
ogni reparto di 50, 60 persone);
c) la terapia praticata ai malati è esclusivamente
farmacologica;
d) le condizioni igienico-sanitarie sono tali da
rendere quasi impossibile l'accesso ai padiglioni: il pungente
odore di urina, ovunque sporcizia e rifiuti di ogni tipo, i
pavimenti corrosi ed il linoleum ormai praticamente
impregnato di escrementi, i bagni sudici, i gabinetti
incrostati, le lenzuola (là dove c'erano) sporche, le coperte
lacerate; la ditta che cura la pulizia dell'esterno dei
padiglioni (si fa per dire!) getta tutti i rifiuti in una
discarica interna all'ospedale; l'enorme numero di gatti,
l'inimmaginabile quantità di mosche, la più volte denunciata
presenza di topi, nonché i numerosi cani randagi che
scorrazzano nell'ospedale, confermano che l'unico paragone che
si può fare con questa struttura è quello di una discarica
pubblica;
e) i malati, completamente abbandonati a loro
stessi, mangiano con il solo cucchiaio in gavette di latta o
di plastica che, dopo il pasto, devono lavarsi da soli. Il
cibo prima di essere servito è esposto, anche per ore, senza
alcuna copertura (nei reparti si sono visti gatti e mosche
gigantesche che sinistramente si aggiravano su inqualificabili
teglie di triglie); non esistono bicchieri ("chi vuole può
bere al rubinetto" è stata la laconica risposta di un
infermiere), mentre in nessun reparto vengono utilizzati
tovaglie e tovaglioli;
f) i malati sono tutti vestiti in modo
insufficiente, numerose sono le persone che portano abiti
striminziti e numerosi sono coloro che girano completamente
nudi; nei magazzini giacciono centinaia di paia di pantaloni
di taglia inferiore alla 40; gli stessi infermieri portano
camici acquistati da loro stessi (molti di loro però non
vestono alcun camice) ed alcuni portano ai malati gli abiti
smessi di casa;
g) i reparti dormitorio presentano decine di letti
allineati senza che i posti siano caratterizzati da elementi
personali, non esistono neppure armadi dove i malati possano
conservare i propri effetti; le camerate non sono riscaldate e
le finestre sono in gran parte rotte; in alcuni stanzoni sono
stati addirittura praticati buchi all'altezza del pavimento
per consentire di lavare "a secchiate d'acqua" i reparti; i
servizi igienici sono indescrivibili, alcuni presentano più
water affiancati senza alcuna divisione;
h) la regione Sicilia ha stanziato 16 miliardi per
la ristrutturazione dei reparti e la gara di appalto, dopo
anni, è stata conclusa solo qualche mese fa. Nonostante ciò è
legittimo ritenere che il miglioramento delle strutture non
migliorerebbe le condizioni dei malati: l'insufficienza
dell'organico non consentirebbe alcuna modifica delle terapie
e i reparti cadrebbero in breve in stato di abbandono (in
particolare gli infermieri maschi si rifiutano di pulire i
reparti poiché questo è compito dei portantini che però non ci
sono);
che più volte durante la visita i malati hanno espresso
la volontà di uscire (secondo il dottor Butera, la maggior
parte di questi potrebbe essere dimessa) mentre ad alcuni di
loro è proibito uscire anche dai reparti e tutti i padiglioni
sono circondati da alte reti metalliche;
che più volte, in numerose relazioni scritte, i
responsabili sanitari dell'ospedale hanno denunciato la
situazione dell'ospedale senza che per questo nulla cambiasse
e che 18 mesi fa un maresciallo dei carabinieri ha, con un
fotografo, effettuato una visita nei reparti dell'ospedale,
gli interroganti chiedono di sapere:
quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda
prendere per modificare la situazione da lager
riscontrata nell'ospedale psichiatrico di Agrigento;
se intende aprire un'indagine amministrativa
sull'ospedale psichiatrico di Agrigento;
quali immediate iniziative intende prendere nei
confronti dell'assessore regionale alla sanità e nei confronti
dell'unità sanitaria locale competente;
cosa intende fare per garantire l'applicazione della
legge n. 180 del 1978".
Il secondo atto (interpellanza n. 2-00235 presentata
dall'onorevole Corleone al Senato della Repubblica), conteneva
una denuncia:
"Premesso che: il senatore Francesco Corleone
(accompagnato dal giornalista de L'Espresso, Gad Lerner,
dall'assistente parlamentare dell'onorevole Modugno, Gaetano
Benedetto, e dal fotografo Franco Zecchin) ha visitato in
tempi diversi numerosi ospedali psichiatrici per constatare lo
stato di applicazione della legge n. 180 del 1978;
che già in precedenti interrogazioni si denunciava la
drammatica e vergognosa situazione degli ospedali psichiatrici
di Rieti ed Agrigento;
che numerosi altri ospedali (valga per tutti l'esempio
di Girifalco, in provincia di Catanzaro) versano in uno stato
di abbandono totale tale da renderli simili più che a
strutture sanitarie a dei veri e propri lager;
che questa situazione è stata nuovamente confermata
dalle visite effettuate nei giorni 20, 21 e 22 febbraio 1989
negli ospedali di Reggio Calabria, Messina e Scicli
(Ragusa);
che l'ospedale di Reggio Calabria, che sorge su di un
terreno di 17 ettari, ha già ricevuto due ordinanze di
sgombero da parte della magistratura per inagibilità dei
locali;
che nonostante questo ben 352 malati (193 uomini e 159
donne) sono lì ricoverati in condizioni subumane;
che nonostante l'assistenza di 14 medici, un igienista,
2 psicologi, un farmacista e 7 assistenti sociali, il loro
stato di abbandono è pressoché totale e le terapie loro
destinate sono esclusivamente farmacologiche;
che i 7 reparti in cui sono suddivisi i pazienti versano
in condizioni ripugnanti sia per l'assoluta carenza di beni
essenziali quali coperte e lenzuola, comodini, sedie, armadi,
eccetera, sia per l'indescrivibile stato delle poche cose
esistenti: reti dei letti sfondate ed arrugginite, materassi
inservibili, coperte sudicie;
che anche le strutture igienico-sanitarie risultano
assolutamente carenti e prive di quell'elemento di
riservatezza necessario per la tutela della dignità umana dei
ricoverati;
che l'ospedale psichiatrico "Mandalari" di Messina,
diretto dal mese di dicembre dal professor Giuseppe Spadaro,
già direttore per lunghi anni dell'ospedale psichiatrico di
Girifalco, nonostante alcune apparenze positive, oltre alle
stesse carenze riscontrate negli ospedali di Agrigento e
Reggio Calabria presenta un'incredibile situazione di
sovraffollamento: 312 uomini e 362 donne sono letteralmente
stipati in 7 reparti, un'altra cinquantina di malati vivono in
due comunità protette ed in un cosiddetto day hospital,
sebbene nella struttura sanitaria vi sia una sartoria ed un
magazzino-guardaroba efficientemente gestito da una suora e da
15 sarte, i malati sono prevalentemente scalzi e con abiti
laceri e sporchi, numerosi anche i degenti vestiti in maniera
approssimativa se non addirittura nudi, ovvero con abiti
inadeguati alla stagione;
che le camerate hanno letti, alcuni a castello, talmente
ravvicinati da rendere impossibile la presenza di sedie e
comodini, tanto che non si arriva a capire dove verranno
ubicati i mobili acquistati dall'amministrazione dell'ospedale
per oltre 600 milioni;
che nel primo reparto donne le 83 ricoverate dormono in
un unico stanzone servito solo da 2 bagni e disgustose sono le
condizioni igieniche complessive in cui vivono gli ammalati:
fetore insopportabile dei materassi intrisi di urine, coperte
lacere, muri macchiati;
che la pulizia dei reparti è affidata alla cooperativa
"Mariva" che impiega nell'ospedale 48 addetti il cui operato,
vista la situazione riscontrata, è pressoché nullo;
che l'ospedale ha interi reparti senza riscaldamento (ad
esempio il secondo reparto donne con 75 ricoverate) ed altri
riscaldati con stufe a legna che hanno completamente annerito
i soffitti e le pareti;
che a Scicli, in provincia di Ragusa, all'interno
dell'ospedale civile è presente un reparto per i lungodegenti
definito "dementi tranquilli": è questo un reparto quasi
fantasma visto che a detta di alcuni amministratori non è
collegato nè al servizio psichiatrico di diagnosi e cura, nè
al servizio neurologico, nè al servizio geriatrico e non ha un
capitolo nei bilanci della unità sanitaria locale;
che sebbene siano arrivati materassi nuovi, dopo lo
scandalo di Agrigento, le condizioni di indigenza dei
ricoverati sono totali: si pensi che circa 50 donne rinchiuse
in un padiglione vengono lavate per terra utilizzando un'unica
spugna per tutte e l'acqua di volta in volta viene raccolta in
un catino;
che queste donne passano l'intera giornata sedute ai
tavoli di uno stanzone ed alcune di loro non escono
all'esterno dal 1961: analoga situazione si registra nel
reparto uomini, dove malati vagano come anime in pena da uno
spoglio salone ad un cortile recintato da un alto muro
sovrastato da una rete metallica;
che si segnala, in particolare, che fra le pazienti ve
ne era una con una gigantesca ernia non curata ed un'altra
operata da appena due giorni al femore,
gli interpellanti chiedono di sapere:
quali urgenti provvedimenti si intendano adottare per
porre fine al suddetto stato di cose e quali decisioni si
intendano prendere per verificare eventuali responsabilità del
personale medico, paramedico ed amministrativo nonché dei
responsabili delle unità sanitarie locali competenti;
se si intenda aprire un'accurata indagine per verificare
le condizioni generali dei malati di mente nel nostro Paese,
nonché lo stato di applicazione della legge n. 180 del
1978".
Le risposte a quelle, come ad altre interrogazioni ed
interpellanze, quando ci sono state, sono di ordine formale.
Restano, in tutta obiettività, documenti che meritano di
essere riproposti.
Per due ordini di ragioni. Il primo, rispetto alla
situazione determinatasi alla fine degli anni settanta ed
all'approvazione della legge n. 180 del 1978, riguarda le
leggi che non sanciscono comportamenti già definiti sul piano
dei comportamenti umani, del costume, degli atteggiamenti
sociali; ma si pongono come premessa per provocare ed
accelerare mutamenti ritenuti necessari. La legge n. 180 del
1978 appartiene a questa categoria.
Il secondo - che fa ritenere condivisibili le premesse e i
contenuti della legge n. 180 del 1978, al di là delle ragioni
contingenti che ne consentirono la nascita - ha a che fare con
il rispetto della sofferenza psichica dell'uomo, nel senso del
suo recupero e superamento anziché dell'emarginazione e della
repressione. Ancora una volta il problema è costituito da una
volontà politica dominante e da una coscienza collettiva che
appaiono non solo lontane dall'accoglimento effettivo di
questa nuova impostazione, ma anche attivamente riluttanti e
spesso ostili. Alcuni sostengono oggi che la chiusura dei
manicomi, non avendo trovato un terreno predisposto ad
accoglierla, ha comportato tanti disagi ed inconvenienti per
cui si rendono necessarie modifiche della legge n. 180 del
1978 tali da costituire nella sostanza, secondo la nostra
opinione, un ritorno indietro con la riapertura di strutture
segreganti. Altri invece si attestano in una pura difesa
ideologica della legge n. 180 dal 1978, negandone limiti ed
insufficienze palesi.
Entrambe le posizioni riducono in effetti il complesso
problema della patologia psichiatrica e della cura ad una
semplice questione di strutture, come se collocare in ospedale
anziché in manicomio il paziente psichiatrico fosse di per sè
sufficiente a trasformare l'intervento repressivo in
intervento terapeutico.
Il manicomio è stato un luogo orrendo, non solo e non
tanto per le sbarre e i letti di contenzione. Il manicomio è
stato quello che tutti noi sappiamo, soprattutto perché gli
uomini che lo hanno inventato e gestito hanno usato se stessi
e questi strumenti con modalità e intenzioni repressive.
Non si può proporre di modificare in senso terapeutico le
strutture psichiatriche, se non si comincia almeno a porre il
problema di chi sono e cosa fanno gli uomini che di queste
strutture hanno la responsabilità.
Qual è, dunque, il problema dalla cui valutazione può
maturare anche una impostazione estranea alle posizioni
speculari ora richiamate? E', a mio avviso e di quanti in
questi anni non hanno mai ritenuto risolutiva la sola
decretazione per legge della chiusura dei manicomi, il
problema della formazione professionale degli operatori
psichiatrici.
Così come non fu sufficiente, anche se rappresentò un
primo passo indispensabile, aprire i manicomi per fare
"guarire" i malati mentali dalla loro "malattia"; così come
non è possibile pensare che basti modificare le strutture e le
organizzazioni assistenziali perché gli operatori psichiatrici
acquisiscano automaticamente la capacità umana e professionale
di accostarsi alla sofferenza psichiatrica con rispetto ed
attitudine terapeutica; così oggi non è sufficiente prendere
atto della cosiddetta "territorializzazione dell'assistenza
psichiatrica", cioè l'approccio al disturbo psichico nel luogo
dove si manifesta e non la sua enucleazione dal contesto
sociale.
Nella fase attuale, come peraltro già affermato in
passato, è onesto ammettere che la tutela della salute mentale
della popolazione non è certamente un compito soltanto del
Servizio sanitario nazionale, anche se la istituzione del
dipartimento per la salute mentale delle aziende sanitarie
locali, previsto dall'articolo 1 della presente proposta di
legge, può essere un utile strumento per raggiungere alcuni e
precisi obiettivi delineati negli articoli successivi.
Inoltre, è altrettanto onesto e corretto ricordare che
generalmente, in questo campo come in altri (per esempio AIDS,
malattie veneree, sessualità, aborto, eccetera), riguardante
problemi coinvolgenti la personalità e la vita privata
dell'individuo, il ricorso al servizio pubblico avviene per
necessità e non per scelta. Infatti, specialmente per la
malattia mentale, accade che l'individuo evita il servizio
pubblico fino a quando gli è possibile, per la carica di
giudizio morale di cui è insito spesso il comportamento degli
operatori. Il ricorso al servizio pubblico avviene
successivamente come ultima ratio, quando non ha più
importanza il giudizio morale degli altri ed il soggetto è
etichettato come "diverso". A questo punto è contraddittorio
per coloro che lo chiedono, ed illusorio e mistificante per
coloro che lo promettono, pensare di trovare una soluzione
definitiva ai problemi della sofferenza umana da parte di un
servizio psichiatrico che sia inteso in senso totalizzante e
non problematico.
Inoltre, se è vera la necessità di tutelare la salute
mentale in ogni età della vita, non può essere dimenticato
quanta importanza abbiano l'infanzia e l'adolescenza.
La prevenzione non può cominciare, allora, soltanto al
compimento del diciottesimo anno, ma diventa fondamentale
impegnare, nei limiti delle possibilità più sopra espresse, il
Servizio sanitario soprattutto nel settore materno-infantile,
organizzando finalmente la neuropsichiatria infantile nel
nostro Paese ai livelli delle nazioni più progredite (articolo
3).
L'articolo 2 della presente proposta di legge affronta il
complesso problema del ricovero psichiatrico della popolazione
adulta, finora non risolto oppure risolto attraverso la
mistificazione del ricovero ospedaliero. Infatti, in patologia
psichiatrica molteplici sono le ragioni che possono rendere
utile, opportuno o addirittura necessario, il ricovero.
Raramente si tratta di ragioni oggettive. Nella stragrande
maggioranza dei casi l'esigenza del ricovero scaturisce da
esigenze estremamente soggettive sia che il ricovero sia
richiesto dallo stesso paziente, sia che esso sia richiesto da
terze persone (parenti, medici, altri), con il consenso o meno
dell'interessato.
Parlare di ragioni soggettive, riconoscerne la validità,
ritenere che la risposta terapeutica debba tenere conto di
esse, significa impostare il problema del ricovero
psichiatrico su basi totalmente diverse da quelle finora in
vigore. Le nuove norme in materia recate dal Piano sanitario
nazionale per il triennio 1998-2000 (di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 23 luglio 1998) e dal progetto
obiettivo "Tutela salute mentale 1998-2000" (di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999) prendono
atto della realtà complessa della patologia mentale e della
necessità di predisporre adeguati standard di cura,
assistenza e riabilitazione. Ma appare comunque necessario
stabilire norme specifiche in particolare per quanto concerne
il problema del ricovero, punto cruciale dell'intervento
terapeutico.
Un ricovero psichiatrico rispettoso della soggettività
delle esigenze e dei bisogni dei pazienti può essere definito
da questi propositi: consentire al paziente un'esperienza di
accoglimento e di accettazione proprio allorché, in
conseguenza della sua patologia, tutte le relazioni con il suo
ambiente di appartenenza vanno in crisi; promuovere un
processo di superamento della crisi nel quale egli sia
attivamente partecipe e corresponsabile.
A questi obiettivi può corrispondere un luogo di ricovero
impostato secondo i princìpi della comunità
socio-terapeutica.
La comunità socio-terapeutica è infatti organizzata e
gestita in modo tale da dare un significato terapeutico
emancipatorio ed evolutivo a tutti i momenti della vita
comunitaria. Questo significa un alto grado di addestramento e
capacità socio-terapeutiche specifiche da parte del personale,
ma soprattutto da parte del responsabile della comunità
stessa.
Infine, nell'articolo 4 è affrontato il problema
determinante della formazione professionale degli
operatori.
La malattia mentale, il disturbo psichico, la patologia
comportamentale sono disfunzioni che riguardano la sfera
soggettiva, intrapsichica e relazionale, degli individui.
Analogamente, l'approccio a questo tipo di sofferenza, la sua
valutazione e la stessa risposta terapeutica sono funzioni
strettamente connesse con la personalità e la soggettività di
coloro cui competono compiti terapeutici ed assistenziali in
questo ambito.
Un'assistenza psichiatrica adeguata alle necessità di
coloro che vi si rivolgono con richieste ed aspettative di
aiuto pone, pertanto, un duplice ordine di problemi: quelli
organizzativi e strumentali, e quelli riguardanti la qualità
umana e professionale degli operatori socio-sanitari.
I primi sono stati affrontati e risolti, nelle varie
epoche, conformemente alla ideologia sulla malattia mentale
prevalente al momento.
I secondi sono stati finora affrontati, nel migliore dei
casi, esclusivamente attraverso modalità di insegnamento che
consistono nella trasmissione di nozioni, di teorie, di
tecniche.
Una formazione professionale che prenda in considerazione
l'aspetto essenziale di qualsiasi intervento psichiatrico,
cioè la relazione umana tra operatore ed utente, deve mettere
in grado l'operatore stesso di divenire consapevole dei
fattori emotivi ed affettivi che entrano in gioco in tale
relazione.
Questa consapevolezza non è trasmissibile per
insegnamento, ma è gradualmente raggiungibile attraverso
esperienze che mettano in grado l'operatore di vivere in prima
persona la realtà emotiva ed affettiva di una relazione
terapeutica. Attraverso questa esperienza l'operatore diventa
consapevole delle proprie esigenze e reazioni emotive, di come
possono anche gravemente interferire nel lavoro terapeutico ed
assistenziale, di come possono essere controllate ed anche
utilizzate per la comprensione dei problemi dell'utente e
quindi per una efficace risposta di aiuto.
Strumento privilegiato per questo tipo di formazione è il
piccolo gruppo (dieci, quindici partecipanti), condotto da un
formatore esperto in questa tecnica, cioè specificamente
addestrato per questo lavoro.
Questo tipo di formazione non può essere nè imposta nè
generalizzata, perché si basa sulla partecipazione e
collaborazione attive, motivate e volontarie dei
partecipanti.
In conclusione, noi non vogliamo la sofferenza delle
famiglie e verso di esse non abbiamo alcun atteggiamento di
sufficienza o di disumanità, ma continuiamo a tenere al centro
della nostra attenzione e preoccupazione i problemi del
malato, in quanto individuo e cittadino non da sopportare e da
nascondere, bensì da aiutare senza paternalismi. Il nostro
rifiuto delle soluzioni ghettizzanti è allo stesso tempo
rifiuto della pratica dell'abbandono, ed affermiamo che è
nella capacità di capire i fenomeni in quanto rivelatori di
una realtà, e non di impedire che i "matti" diano fastidio,
che si misura la civiltà di una società.
XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 844
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Dipartimento per la salute mentale delle aziende
sanitarie locali).
1. Il primo comma dell'articolo 34 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, è sostituito dai seguenti:
"Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
organizzano su base dipartimentale i servizi di assistenza
psichiatrica.
Gli interventi per la tutela della salute mentale sono
svolti dai servizi unici di psichiatria, di neuropsichiatria
infantile e di psicologia, istituiti presso ogni azienda
sanitaria locale. Tali servizi sono coordinati tra loro, con
il servizio sociale del dipartimento per la salute mentale
delle aziende sanitarie locali e con gli altri che siano
ritenuti necessari. L'organizzazione dipartimentale deve
prevedere la costituzione di due gruppi interdisciplinari ed
unici per l'intera azienda sanitaria locale, dei quali uno per
la popolazione adulta ed un altro per la popolazione
infantile, integrati tra loro per garantire la continuità
negli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione,
relativi alle malattie mentali, nel passaggio dall'età
infantile all'adolescenza ed all'età adulta".
2. Al terzo comma dell'articolo 34 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, le parole: "dai servizi e presidi territoriali
extraospedalieri di cui al primo comma" sono sostituite dalle
seguenti: "dai servizi e dai dipartimenti di cui ai commi
primo e secondo".
3. I dipartimenti per la salute mentale di cui ai commi
primo e secondo dell'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978,
n. 833, come modificato dal comma 1 del presente articolo,
devono essere istituiti entro un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
Art. 2.
(Presidio per il ricovero psichiatrico della popolazione
adulta).
1. Il quarto comma dell'articolo 34 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, è sostituito dai seguenti:
"Le regioni devono istituire, nel territorio di competenza
del dipartimento per la salute mentale, comunità
socio-terapeutiche per il trattamento sanitario, volontario ed
obbligatorio, dei pazienti le cui relazioni con l'ambiente
familiare e sociale appaiano gravemente compromesse in
conseguenza della patologia, al fine di promuovere il
superamento della malattia e la piena riabilitazione mediante
la partecipazione e la corresponsabilizzazione del paziente
stesso alla vita della comunità, nonché una progressiva
riduzione del ricovero a tempo parziale.
La responsabilità della comunità socio-terapeutica è
affidata dal dipartimento per la salute mentale ad un medico
psichiatra, che abbia acquisito il riconoscimento di formatore
secondo quanto previsto all'articolo 34-bis.
La comunità socio-terapeutica deve essere organizzata per
ospitare un numero di pazienti compreso tra i quindici e i
venti in funzione della popolazione servita dal dipartimento
per la salute mentale.
La comunità socio-terapeutica, quale servizio
psichiatrico, deve operare in strutture rispondenti alle
specifiche esigenze della malattia mentale; in particolare si
devono assicurare ambienti che garantiscano il rispetto della
dignità umana e la possibilità per i pazienti di organizzare
autonomamente la propria quotidianità e di ottenere e
custodire oggetti personali.
I piani sanitari regionali devono prevedere, per
l'istituzione della comunità socio-terapeutica,
l'utilizzazione prioritaria di tutte le strutture edilizie
sanitarie e socio-assistenziali adatte allo scopo presenti
nelle aziende sanitarie interessate".
Art. 3.
(Presìdi del dipartimento).
1. Il quinto comma dell'articolo 34 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, è sostituito dai seguenti:
"I presìdi utilizzati dai servizi di psichiatria, di
neuropsichiatria infantile e di psicologia, sono quelli delle
aziende sanitarie locali a livello distrettuale, i
poliambulatori, gli ospedali generali e le comunità
socio-terapeutiche secondo quanto previsto dal presente
articolo.
Il servizio di psichiatria delle aziende sanitarie locali
assicura le necessarie competenze negli ospedali generali: è
vietata in ogni caso l'istituzione di divisioni o sezioni
psichiatriche, nonché di servizi psichiatrici ospedalieri
autonomi.
Le aziende sanitarie locali devono organizzare, anche
attraverso convenzioni private, un servizio di assistenza
domiciliare in grado anche di aiutare le famiglie che ospitano
parenti o congiunti affetti da patologie psichiatriche.
Il servizio di neuropsichiatria infantile delle aziende
sanitarie locali risiede nell'ospedale generale, con posti
letto tecnici di appoggio, in numero da cinque a dieci, nei
reparti di pediatria, e svolge la propria attività nelle
strutture e nei presìdi del dipartimento materno infantile,
nel quale è obbligatoriamente integrato".
Art. 4.
(Formazione del personale).
1. Dopo l'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n.
833, come modificato dalla presente legge, è inserito il
seguente:
"Art. 34-bis. - (Albo nazionale dei formatori)-
1. Il Ministro della sanità istituisce, con proprio
decreto, l'albo nazionale dei formatori, al quale possono
accedere coloro che dimostrano di possedere i requisiti
specifici ottenuti attraverso esperienze documentabili.
2. Le regioni, per l'attuazione dei programmi di
formazione previsti nei piani sanitari regionali, identificano
le istituzioni pubbliche e private che hanno svolto attività
formativa specifica nell'ultimo quinquennio".
2. L'istituzione dell'albo nazionale dei formatori e i
provvedimenti delle regioni di cui all'articolo 34-bis
della legge 23 dicembre 1978, n. 833, introdotto dal comma 1
del presente articolo, devono essere attuati entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 5.
(Corsi di aggiornamento).
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, in conformità a quanto disposto dal progetto
obiettivo "Tutela della salute mentale 1998-2000" di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22
novembre 1999, organizzano corsi di aggiornamento per il
personale medico ed infermieristico operante nelle strutture
psichiatriche al fine di consentire ad ogni operatore la
frequenza di almeno un corso ogni due anni.
2. Al fine di cui al comma 1 sono autorizzati accordi,
convenzioni con università o con istituti specializzati
pubblici o privati operanti nel settore della psichiatria o
della psicologia da almeno cinque anni.
Art. 6.
(Abrogazione di norme).
1. L'articolo 8 della legge 13 maggio 1978, n. 180, è
abrogato.
Art. 7.
(Trattamento sanitario presso la comunità
socio-terapeutica).
1. Nei commi primo e secondo dell'articolo 35 della legge
23 dicembre 1978, n. 833, e nella rubrica e nei commi secondo
e terzo dell'articolo 2 della legge 13 maggio 1978, n. 180, le
parole: "trattamento sanitario obbligatorio", ovunque
ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: "trattamento
sanitario presso la comunità socio-terapeutica".
TORNA ALLA PAGINA PRINCIPALE DELLE NORMATIVE DI POL.IT
|