Il paesaggio culturale e sociale dellOccidente si trova ad essere sempre più composito e complesso in conseguenza dei movimenti migratori di massa che lo attraversano. Le istituzioni pubbliche sono sollecitate sempre più dagli stalli, dalle sospensioni e dalle cadute o, allopposto, dalle accelerazioni marginalizzanti, devianti o recalcitranti, di simili movimenti. Tali sollecitazioni si dispongono in particolare intorno alle interfacce dei servizi pubblici (sanitari, sociali ed educativi), interrogando gli operatori relativamente a domande di cura i cui contenuti esplicitamente o, più spesso, implicitamente pongono i dilemmi dellalterità culturale, ideologica e personologica.
Il quarto seminario intende promuovere un dibattito intorno ai temi della clinica transculturale e della salute mentale delle popolazioni migranti, con lobiettivo di individuare le problematiche emergenti dal punto di vista organizzativo, teorico e tecnico e di confrontarsi sulle strategie che localmente sono state adottate per farvi fronte. Tale confronto appare, infatti, preliminare allindividuazione di finalità generali, di programmi condivisi e di interventi articolati secondo linee di indirizzo a livello nazionale. Occorre, infatti, tenere presente che la presa in carico delle popolazioni migranti rappresenta un ambito che richiede unintensa sperimentazione sia nel senso di unattività di ricerca, che nel senso del maturare unesperienza da parte degli operatori e ciò richiede ancora una fase di moltiplicazione delle pratiche e di sviluppo di teorie.
È solamente da pochi anni ed in un periodo di tempo relativamente ristretto, che i flussi migratori internazionali sono arrivati a definire un quadro demografico consistente e tale da richiedere attenzione dal punto di vista della salute pubblica. Tuttavia, prima ancora di costituirsi come paese di ricezione, lItalia è stato un paese di emigrazione, sia interna che verso lestero. Tale storia non ha tuttavia prodotto, allinterno delle discipline psicologico-psichiatriche, una riflessione capace di strutturare un saper-fare transculturale. Un saper-fare, cioè, in grado di rapportarsi alla molteplicità culturale interna e di ponderare il rischio per la salute mentale di individui e masse in movimento. Un saper-fare, ancora, che fosse in grado di inserirsi nel movimento politico e tecnico che ha portato alla riforma psichiatrica, apportando un contributo sul piano degli interventi clinici, sul piano della critica al connubio sapere-potere in psichiatria e in psicologia e, infine, sul piano delle politiche sanitarie e culturali generali.
Gli interrogativi attuali, dunque, si addensano lungo due diverse dimensioni.
In primo luogo, è necessaria una riflessione sul ruolo assegnabile alla dimensione culturale nel processo diagnostico e terapeutico. Da questo punto di vista, le competenze ed i saperi clinici degli operatori sono chiamati a confrontarsi con la molteplicità linguistica, personologica e ideologica (con riferimento anche alla referenza ad un pluralità di risorse terapeutiche) che i pazienti stranieri pongono. Si tratta dunque di valutare, da una parte, le possibilità di interazione con le conoscenze ed i dilemmi che provengono da discipline di confine, quali letnopsichiatria e la psichiatria transculturale e lantropologia medica e culturale e, dallaltra, di verificare le modifiche ai setting clinici che si rendono necessarie ed opportune per adeguarsi ad una simile molteplicità. Lungo questa linea di riflessione, è in particolare linserimento della mediazione linguistico-cutlurale nei dispositivi di intervento che interroga gli operatori. Che cosa si deve intendere per mediazione linguistico-culturale in salute mentale? Quali sono le strategie e le tecniche che è necessario implementare per far sì che lidea di mediazione si attualizzi nellincontro clinico? In altre parole, come è opportuno costruire un sistema clinico che funziona nella mediazione fra diverse lingue e culture? Quale formazione deve possedere questa nuova figura il mediatore che fa la sua comparsa nella scena clinica?
In secondo luogo, occorre interrogarsi sui risvolti organizzativi che simili sviluppi comportano. I servizi sono infatti chiamati a pensare una strategia di intervento a partire dalle problematiche strutturali emergenti e dagli sviluppi tecnico-professionali ipotizzabili e percorribili. Non si tratta, cioè, di rispondere ad una semplice contingenza, anche se si questa si manifesta sotto le sembianze dellemergenza. Ma di ri-pensare le proprie strategie e le proprie impostazioni di fondo per garantire il diritto alla salute ad una popolazione sempre più complessa dal punto di vista culturale e linguistico. Sul piano organizzativo, dunque, gli interrogativi si addensano spesso intorno alla scelta fra servizi universalistici e servizi dedicati. È una scelta che spesso si pone in modo radicale e che si carica dal punto di vista ideologico. È infatti il tipo di filosofia organizzativa e dunque il tipo di risposta politica che viene chiamata in causa, in una situazione in cui i principali modelli di riferimento adottati in altri paesi europei (assimilazionista, multiculturale, ecc.) hanno mostrato limiti e difficoltà. Si tratta dunque di avviare una riflessione che parta più che dalle impostazioni ideologiche, dalle problematiche emergenti e dalle risposte disponibili o che promettono il maggior contributo possibile sul piano dellefficacia e dellefficienza degli interventi e sul piano dello sviluppo conoscitivo.