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SETTE DOMANDE A: WALTER F.BAILE

di Luigi Grassi e Anna Costantini

Walter F. Baile si è laureato in Medicina in Italia presso l’Università di Pavia nel 1972. Trasferitosi negli Stati Uniti si è specializzato in Psichiatria nel 1976 presso il Johns Hopkins Hospital di Baltimore, dove ha diretto dal 1978 al 1983 il Servizio di Psichiatria di Consultazione e Liaison del Dipartimento di Psichiatria. Dal 1983 al 1987, in qualità di Professore Associato di Psichiatria ha fondato e diretto il Maryland Center for Pain Management presso la University of Maryland School of Medicine di Baltimora.

Dal 1987 al 1993, ha quindi diretto il Servizio di Oncologia Psicosociale presso il H. Lee Moffitt Cancer Center, University of South Florida College of Medicine, a Tampa, Florida, divenendo quindi nel 1994 Professore di Psichiatria presso la stessa Università.

Dal 1994 è Professore di Psichiatria e Direttore della Sezione di Psichiatria presso l’M.D. Anderson Cancer Center, Houston, University of Texas

Ha presieduto la Task Force on Physician-Patient Communication del National Comprehensive Cancer Network, È membro dell’American Society of Clinical Oncology, Subcommittee on Physician-Patient Communication. Ha condotto seminari e workshops sulla comunicazione in oncologia in diversi Paesi Europei, tra cui Germania, Italia e Portogallo. Ha inoltre collaborato nel Training the Trainers course del Southern Euroepan Psycho-Oncology Study (2001) e, più recentemente al progetto di workshops per Direttori di Struttura Complessa Oncologica in Italia (2004), e all’interno dl Corso organizzato dalla European School of Oncology nel settembre 2005 a Ferrara sul tema della Communication Skills (www.cancerworld.org), co-patrocinato dalla International Psycho-Oncology Society (IPOS) e dalla Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO). Walter Baile ha inoltre pubblicato numerosi lavori scientifici sul tema della comunicazione in oncologia, producendo diverso materiale didattico (Video CDs) in collaborazione con Robert Buckman sullo stesso tema. Un recente suo contributo sulla Comunicazione in Oncologia è disponibile nel webcast core-curriculum in più lingue in Psico-oncologia sviluppato dalla International Psycho-Oncology Society (IPOS) e dalla European School of Oncology (ESO) (www.ipos-society.org e www.cancerworld.org). La presentazione, disponibile in Francese, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Ungherese, è stato tradotto e adattato in italiano in collaborazione con la Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO) (www.siponazionale.it).

 

L’INTERVISTA

DOMANDA (D): Quali sono, in generale, le esperienze della letteratura sulla comunicazione in oncologia, nei curricula formativi degli oncologi?

RISPOSTA (R): Gli oncologi di molte nazioni hanno capito che le abilità comunicative sono molto importanti e che necessitano di maggiore formazione in questo campo, ma c’è poco spazio per corsi di studio dedicati a questa importante area. Un recente studio pubblicato dal nostro gruppo (J Cancer Educ 2004;19(4):220-224) ha riportato che meno di un terzo dei corsi di formazione per oncologi ha avuto un significativo numero di lezioni sulle abilità comunicative e molte di queste non sembrano includere le più efficaci tecniche di insegnamento sulla comunicazione. Una buona capacità comunicativa verrà nel prossimo futuro richiesta ai colleghi oncologi dalla maggior agenzia accreditata che è la ACGME, sebbene si siano create controversie tra i direttori dei corsi di formazione riservati agli oncologi. Negli Stati Uniti occorre indubbiamente una maggior formazione delle abilità comunicative nelle scuole di medicina prima che gli studenti affrontino le prime difficoltà comunicative e interpersonali nei propri tirocini formativi.

(D.) Quali sono i vantaggi di una buona formazione alla comunicazione in ambito clinico sia per l'oncologo che il paziente e la famiglia?

(R.): Vi sono chiari e positivi risultati clinici, determinati da una buona capacità comunicativa, che includono un incremento della soddisfazione del paziente, una miglior informazione del paziente rispetto alla sua malattia e in alcuni casi un’azione positiva sull’andamento della malattia e del percorso clinico. I medici che hanno seguito i nostri corsi sulle Communication Skills hanno riportano una maggior fiducia nel trattare le emozioni dei pazienti, nell’accompagnare i pazienti verso cure di tipo palliativo e nello sviluppare una relazione con il paziente e la famiglia attraverso la comprensione dei loro obbiettivi e desideri.

(D.): Quali sono le barriere rispetto all’apprendimento e ‘insegnamento delle abilità comunicative?

(R.): I medici hanno pochissimo tempo da dedicare ai loro pazienti e pochi sono i docenti che possono insegnare queste capacità. L’oncologo è ancora orientato verso un trattamento di tipo esclusivamente medico a scapito degli aspetti psicosociali e dell’importante ruolo che ha la pratica nel supportare il paziente attraverso una buona comunicazione e una buona capacità relazionale.

(D.): Qual'è l'esperienza dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) a questo riguardo? Vi sono sforzi per promuovere training sulla comunicazione da parte di ASCO?

(R.): Non posso parlare direttamente per ASCO ma in questa Associazione è stato istituito un comitato educativo interessato specificamente a questo aspetto. Sono state pubblicate alcune linee-guida sulla comunicazione e sulla gestione dei sintomi e quasi ogni anno vengono attivate diverse opportunità di apprendimento in quest’area durante in occasione del convegno nazionale statuinitense. Nel 2004 sono stati condotti con successo workshops sulla comunicazione con il paziente oncologico ma sono stati limitati a due giorni e riservati ai membri dell’ASCO. A causa di questo sono state sollevate alcune discussioni inerenti la necessità di estendere i workshop in funzione delle richieste dei singoli stati o di aree regionali.

(D.): Tu hai una grande esperienza, avendo insegnato in contesti anche culturali diversi, dal Giappone, all'Italia, alla Germania. Qual'è la tua esperienza e che differenze trovi nei contesti culturali. Che preparazione hanno i diversi partecipanti dei vari Paesi?

(R.): Nel Nord America i mandati legali ed etici ordinano un’informazione completamente trasparente al paziente rispetto a tutto quanto lo riguarda e a tutto ciò che gli accade. Soluzioni comunicative occorrono nella fase della discussione della prognosi e nella condivisione delle scelte da adottare. In altre nazioni la cura del paziente è più "centrata sulla famiglia" e questo risulta dalla pratica che molti medici adottano di parlare prima con i familiari che con il paziente (specialmente nei casi in cui debbano comunicare cattive notizie). Io penso che questo rappresenti un’ulteriore sfida per chi lavora nel campo dell’oncologia.

(D.): Quali ostacoli hai incontrato nell'applicare la metodologia di insegnamento delle Communication Skills nella nostra cultura e quali risorse hai potuto osservare nei partecipanti?

(R.): Ho avuto modo di fare un’esperienza con medici Italiani nell’insegnamento delle Communication Skills attraverso l’impiego di attori e piccoli gruppi, che sono i maggiori metodi da noi utilizzati nei workshop negli Stati Uniti. Gli oncologi italiani hanno lavorato con un elevato livello di motivazione ed entusiasmo durante questi corsi. Gli Italiani seconda la mia opinione sono molto individualisti e spesso esprimono la loro opinione così abbiamo avuto difficoltà ad adattare i problem solving dei piccoli gruppi con quelli appartenenti alla normale cultura del gruppo.

(D.): Quali adattamenti suggerisci nell'adattare tecniche?

(R.): Dal mio punto di vista è necessario essere sicuri che si rispettino e siano completamente rispettate le aspettative culturali e cercare di trovare il modo di migliorare la relazione con il paziente all’interno di un contesto oncologico centrato sulla famiglia. È importante dare ai medici l’opportunità di riflettere sui propri sentimenti relativi alla comunicazione delle cattive notizie e suggerire loro modalità specifiche (parole o frasi) che possono usare per aiutarsi nel comunicare le cattive notizie al paziente.

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